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La zecca di Villa di Chiesa: impianto, attività e organizzazione fino alla decadenza

5. I notai ad Iglesias: gli scrivani pubblici

5.7. Gli “scrivani della zecca” o “scrivani della moneta”

5.7.1. La zecca di Villa di Chiesa: impianto, attività e organizzazione fino alla decadenza

Il primo periodo di attività della zecca di Villa di Chiesa è documentabile solo ed esclusivamente grazie alla produzione monetaria e più specificatamente alla coniazione dei Grossi Tornesi, concepiti ad imitazione di quelli che in Francia si erano largamente affermati sin dal 1226, quando Luigi IX ne aveva ordinato la produzione. Il denaro ‘grosso’ battuto in Villa di Chiesa con peso di 4,13 o 3,76 grammi, d’argento a bassa lega, con presenza di piombo, si caratterizza per un diametro compreso tra i 25 e i 26 mm e reca nel dritto uno scudo partito, mezz’aquila e spaccato, racchiuso entro due cerchi concentrici nei quali si svolge la legenda: GUELF ET LOTT COMITES D DONARITICO ET CIE PTIS REGNI KALL DNI. Nel rovescio presenta invece, croce centrale entro altrettanti cerchi che contengono la dicitura: VILLA ECCLIE ARGENTERIE D SIGERRO SIT NOMEN DNI BENEDICTUM513.

La moneta è stata dunque coniata al nome dei conti di Donoratico, Guelfo e Lotto (figli di Ugolino) dei quali reca le armi e l'intitolatura come signori della terza parte del Cagliaritano514. Proprio per questi elementi piuttosto che ritenerla prodotta nel periodo

compreso tra il 1295 e il 1302, come da più parti suggerito515, la si dovrebbe, più

512 È il caso del catalano Bernat Urgelles che per primo ricoprì l’ufficio si scrivano della zecca e che appose la sua firma su una apotecha da lui estesa il 4 ottobre 1324. ACA, Real patrimonio, Maestro razionale, vol. 2108, t. 2, c. 21.

513 G. Meloni, Villa di Chiesa batteva moneta, in «Scuola Civica di Storia», Edizione 2008, Olbia 2009, p. 118.

514 Corpus Nummorum Italicorum, vol. II, tav. XLIV, n. 21.

515 V. Dessì, Monete di Villa di Chiesa, Sassari, 1899, pp. 5-12; E. Birocchi, Zecche e monete della

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verosimilmente, considerare coniata tra il 1289 ed il 1296 e cioè nel periodo durante il quale si svolse effettivamente la signoria di Guelfo e Lotto e dunque porre entro questo arco cronologico l’inizio dell’attività della zecca ad Iglesias.

Questa prima coniazione, della quale ci sono pervenuti soltanto due esemplari516, è da mettere in stretta e diretta relazione con la guerra mossa dagli eredi del conte Ugolino contro Pisa per l’affermazione dei loro diritti su quella porzione di territorio sardo. Poiché, infatti, la facoltà di batter moneta era prerogativa sovrana, oltre che per l’opportunità di utilizzare almeno una parte della produzione di argento, che in quel clima di scontro non poteva più essere esportata verso Pisa, suo naturale sfogo, la coniazione dei grossi tornesi si può leggere anche come tangibile espressione dalla volontà di esprimere l'orgoglioso e consapevole perseguimento di una politica di autonomia statale da parte dei signori della regione che intendevano così riaffermare con determinazione le proprie pretese sulla Sardegna fondandole sul legame matrimoniale che aveva unito Guelfo con Elena di Hohenstaufen, figlia di Re Enzo cui Federico II aveva assegnato la sovranità sull’isola.

In seguito, una volta usciti di scena i Donaratico, e passata Iglesias, intorno al 1301/2, sotto il diretto controllo di Pisa, l’attività della zecca locale non fu sospesa, giacché da allora iniziò la produzione del ‘grossetto’517'. Questa nuova moneta d’argento, conosciuta anche come aquilino pisano, perché simile in peso (circa 1,70 grammi) ai mezzi aquilini o mezzo grossi battuti nella Repubblica dell’Arno, con valore pari a nove denari e diametro di mm 21 presenta sul diritto l’Aquila imperiale a tutto campo accompagnata dall’usuale legenda FEDERIC IMPARATOR, mentre al rovescio, corre la dicitura, simile al grosso Tornese, FACTA IN VILLE ECCLESIE PRO COMI PISANO518.

Oltre questi documenti numismatici non si hanno ulteriori informazioni dirette in merito al reale, concreto funzionamento della zecca di Villa di Chiesa ai suoi albori. È plausibile che la sua organizzazione non fosse dissimile da quella operante in Pisa la cui attività è regolamentata in dettaglio dallo statuto comunale; il Brevis Comunis Pisani, ma questa ipotesi non consente di aggiungere altro in merito alla reale portata dell’attività della zecca di Villa di Chiesa in periodo pisano o di far luce sull'eventuale attribuzione ad essa di altri esemplari che restano pertanto questioni ancora aperte519.

Molto più documentata appare invece l’attività della zecca nel periodo successivo grazie all’iniziativa catalana che, provvedendo alla minuziosa riorganizzazione della produzione monetaria in Villa di Chiesa, intese valorizzare le risorse del territorio di

Zecca di Villa di Chiesa e la politica monetaria degli Aragonesi nei primi anni della dominazione in Sardegna, in «Studi su Iglesias medievale», Pisa 1985, p. 73.

516 G. Meloni, Villa di Chiesa batteva moneta, cit., p. 118. 517 Corpus Nummorum Italicorum, vol. II, tav. XLV, n. 1. 518 G. Meloni, Villa di Chiesa batteva moneta, cit., p. 119. 519 M. Tangheroni, La città dell’argento, Napoli 1985, p. 113.

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nuova acquisizione, da tempo ben noto per i suoi giacimenti argentiferi e per le sue miniere che allora erano considerate le seconde per importanza in Europa520.

Per queste ragioni l'Infante Alfonso cominciò a preoccuparsi dell’organizzazione della zecca prima ancora di avere tolto la città ai pisani. Infatti già il 9 dicembre 1323 si preoccupava di far ricercare tra i partecipanti alla spedizione moneders e obrers idonei a dar vita ad una regolare attività di coniazione521.

In quest’ottica si spiega uno dei primi atti emanati da Alfonso e con il quale l’Infante concedeva a Villa di Chiesa, propter minierarium vicinitatem, il privilegio di batter moneta disponendo infatti che: «in villa predicta ville ecclesie et nusquam alibi in insula Sardinie fiat et cudatur continue moneta tam argenti quam minuta»522.

In seguito, 1 luglio 1331, Alfonso IV emanava nuove diposizioni che per la loro organicità possono leggersi quasi un mini-statuto corporativo523. La nuova organizzazione della zecca di Iglesias risultò in questo modo analoga a quella delle altre zecche operanti nei territori della Corona nelle quali, del resto, è facile riconoscere tracce di un’antica organizzazione comune all’Europa di eredità carolingia524. Tuttavia il

confronto con l'organizzazione della zecca iglesiente di epoca pisana, pur nella scarsità delle informazioni che la riguardano, sembrano mostrarci una realtà più fortemente e sicuramente controllata dal potere statale, senza che questo comporti, tuttavia, la non esistenza di un’ampia area di autonomia organizzativa e operativa525. Del resto, la Corona preferì affidare la supervisione della produzione monetaria a personale catalano che, probabilmente, in una città come Iglesias che aveva mantenuto una popolazione quasi completamente pisana o sardo-pisana, offriva maggiori garanzie in termini di allineamento alle direttive regie526. In questo modo la zecca e quanti vi lavoravano andarono a costituire un corpo, in qualche modo, estraneo al tessuto sociale della città, assicurando però uno stretto e sicuro controllo dell’attività che, fin dall'inizio, era stata concepita come un perno della politica economica aragonese nel nuovo dominio.

520 A. Arribas Palau, La conquista de Cerdena por Jaine II de Aragón, Barcellona, 1952, p. 54. 521 R. S. Lopez, A Aristocracy of money in the early middle ages, in «Speculum», 8 (1953), p. 31, commentando il sigillo dei monetieri d'Orvieto (ma secondo P. Bascapè, Sigillografia, Milano, 1969, p. 365, è il sigillo della zecca) rimarca la distinzione tra laborantes e monetarii ed ipotizza che i primi preparassero i tondelli ed i secondi la moneta. La stessa terminologia trova il Violante per Pisa: cfr. C. Violante, Per la storia economica e sociale di Pisa nel Trecento. La riforma della zecca nel 1318, in «Bollettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 66 (1954). Gli storici sono soliti utilizzare, per comodità; il termine monetieri in senso più generale; C. Mercuriali, La zecca e la

politica monetaria, in M. Tangheroni, La città dell’argento, cit., p. 407.

522 ACA, Cancelleria, vol. 390, c. 142.

523 M. M. Costa, Ufficiali di Pietro il Cerimonioso a Villa di Chiesa, cit., p. 201.

524 C. Mercuriali, La zecca e la politica monetaria, in M. Tangheroni, La città dell’argento, cit., p. 421.

525 ACA, Cancelleria, vol. 390, c. 421. 526 ACA, Cancelleria, vol. 390, c. 421.

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Al vertice dell’attività di coniazione si poneva il capo della zecca, detto anche maestro della moneta, il quale curava direttamente l’amministrazione con l’aiuto di uno scrivano nominato dal re o, talvolta, dai camerlenghi. Lavoravano poi nella zecca un numero non specificato di operai non specializzati, impiegati generalmente per fondere i metalli e preparare la lega, altri lavoratori con mansioni più specifiche, detti monetieri, anche in questo caso in numero non determinabile, e inoltre: un assaggiatore, un responsabile della fusione (fonedor) e un addetto al taglio dei tondelli dalle lamine (tallador)527.

L’attività della zecca, minuziosamente documentata per certi periodi, si fa lacunosa in coincidenza con quegli avvenimenti politici e storici che più marcatamente segnarono le vicende cittadine nel corso della metà del secolo XIV e cioè in quel torno di tempo nel quale Iglesias cadde sotto l’amministrazione dei Giudici d’Arborea per fare poi ritorno alla Corona nel 1355. Ciò nonostante e a dispetto delle ingenti risorse impiegate tra il 1355 e il 1356528 per riattivare la produzione monetaria e ripristinare le strutture della zecca fortemente danneggiate dalle operazioni belliche, la sua attività si avviò verso un lento, progressivo e inarrestabile declino che da lì a breve l’avrebbe portata a sospendere del tutto la produzione529.

5.7.2. La ‘scrivania’ della moneta: il personale, i compiti, la documentazione prodotta

L’infante Alfonso, immediatamente dopo aver acquisito alla Corona la città, nel quadro della più generale riorganizzazione dell’attività della zecca, con disposizione del 19 febbraio 1324, affidò la ‘scrivania’ della zecca al catalano Bernat Urgelles. Successivamente, tra il maggio e il giugno del 1324, lo stesso l’infante Alfonso, accampato sul colle di Bonaria dal quale guidava l’assedio di Castel di Cagliari, stabiliva che Urgelles ricevesse un salario annuo di 50 lire oltre al vitto530. Inoltre allo stesso

527 A. Castellaccio, La Zecca di Villa di Chiesa e la politica monetaria degli Aragonesi nei primi

anni della dominazione in Sardegna, cit., pp. 94-95.

528 C. Giorgioni Mercuriali, La riorganizzazione della zecca di dopo la rivolta di Villa di Chiesa

(1355), in «Studi su Iglesias medievale», Pisa 1985, p. 139.

529 A. Castellaccio, La Zecca di Villa di Chiesa e la politica monetaria degli Aragonesi nei primi

anni della dominazione in Sardegna, cit., p. 131.

530 ACA, Real patrimonio, Maestro razionale, vol. 2059, cc. 16v e segg. In seguito l’entità della paga degli scrivani subì varie modifiche. Inizialmente fu stabilito direttamente dalla Corona, in seguito dall'amministratore generale di Sardegna, e ancora più tardi, intorno al 1331, dal camerlengo di Villa di Chiesa. All’epoca di Alfonso III ammontava a 90 lire, che furono ridotte a 40 tra il 1349 e il 1351 e poco

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scrivano veniva concessa dalla Corte, come sussidio, una ‘bestia’ per effettuare gli spostamenti necessari al corretto espletamento delle sue funzioni531.

Bernat Urgelles ricoprì l’incarico fino al 5 giugno del 1324 data in cui, per espresso ordine impartito dall’infanta Teresa d’Entença (moglie dell'Infante Alfonso) divenne responsabile della zecca andando così a ricoprire l’incarico che fino al quel momento era stato svolto da Mastro Putxo. Tuttavia l’Urgelles svolse quell’ufficio per breve tempo poiché il 19 luglio 1324 fu sostituito dal barcellonese Nicholos Ros al quale il suo predecessore si affiancò nelle ritrovate vesti di scrivano della moneta con un aumento di salario che, infatti, passò dalle 50 lire assegnategli in occasione della prima nomina alle 60 lire barcellonesi532. Il suo incarico durò fino al 24 ottobre del 1324 quando, l’ufficio di scrivano affidato dal re a Pere Folquet, prese ad esser svolto di fatto da un suo sostituto Ponç (o Pons) Gavarra (o Guevara) che lo ricoprì fino al 16 giugno 1326533 per passare poi a Guglielmo di Blanes, designato dallo stesso Folquet534. Alla morte del Blanes, ottobre del 1326535, fu richiamato il Gavarra che tenne la scrivania fino al dicembre di quello stesso anno lasciandola poi a Giacomo Samora (Jaime ça Mora) che rimase in carica un anno, al termine del quale egli assunse il ruolo di maestro della moneta 1327- 1328, ma fu successivamente e nuovamente scrivano della zecca e in seguito anche camerlengo536. Dopo di lui, nel ruolo di scrivano, Alfonso IV nominò, il 6 giugno 1328, il barcellonese Bartomeu de Puig, con conferimento vitalizio. Dodici anni dopo Bartomeu lasciò di sua volontà la carica, ottenendo, però, dal nuovo sovrano che questa venisse concessa a Simone de Molendinis (o Molins), cosa che avvenne il 20 febbraio 1342.

Alcuni anni dopo un nuovo privilegio, concesso a Simone, sancì l’ereditarietà dell’ufficio. Alla sua morte il re, in data 9 maggio 1348, procedeva a nominare scrivano della zecca il barcellonese Ferrer de Lauro (Des-Llor), ma Clara, figlia di Simone, presentò ricorso contro questa nomina ed il suo appello dovette esser accolto giacché il 19 gennaio 1349 il re riconobbe alla donna la titolarità dell'ufficio dichiarando pubblicamente di aver commesso un errore con la precedente nomina537. Per di lei conto e nelle vesti di reggente la scrivania della zecca troviamo attivi prima, tra il 1348-53

prima del 1356 a 60 lire. M.M. Costa, Ufficiali di Pietro il Cerimonioso a Villa di Chiesa, cit., p. 205; M. Tangheroni, La città dell’argento, Napoli 1985, p. 427

531 ACA, Real patrimonio, Maestro razionale, vol. 2059, cc. 16v e segg. 532 ACA, Real patrimonio, Maestro razionale, vol. 2059, cc. 42v e segg

533 ACA, Real patrimonio, Maestro razionale, vol. 2025, fasc. 5, vol. 2059, c. 16. 534 ACA, Real patrimonio, Maestro razionale, vol. 2109, t. 3, c. 48.

535 ACA, Real patrimonio, Maestro razionale, vol. 2109, t. 3, c. 67.

536 ACA, Cancelleria, vol. 1006, c. 99; Real patrimonio, Maestro razionale, vol. 2026, fasc. 6; vol. 2027, fasc. 1; vol. 2113; vol. 2118, fass. 3, fc. 17; vol. 2119; vol. 2120, fasc. 1, c. 7; F. Udina, Un aspecto, cit, pp. 651 ss.

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circa538, il fonditore Bonanato Arbosset e poi, intorno al 1355, Pere ça Roca che doveva versare a Clara 30 lire di alfonsini minuti l'anno539.

Questi diversi scrivani che si sono susseguiti nel corso del tempo durante il periodo di effettiva attività della scrivania hanno preso nota e registrato diligentemente in appositi ‘libri’ tutte le operazioni che si svolgevano nella zecca o per la zecca, dal momento in cui si prendeva in carico l’argento semilavorato da avviare ai forni, fino a quando il metallo monetato veniva consegnato ai camerlenghi540. La documentazione da loro prodotta veniva inviata a Barcellona per essere sottoposta a controllo finanziario dall’organo a questo preposto e cioè il Maestro razionale. Questa prassi amministrativa ha molto probabilmente contribuito a far giungere fino a noi 31 volumi, suddivisi in 86 tomi, che vanno dal 1324 al 1358 che costituiscono la serie archivistica Séca de villa de Iglesias del fondo Real Patrimonio, Maestro Racional, dell’Archivio della Corona d’Aragona. I registi hanno un formato prevalente compreso fra i 23/25 cm e i 30/32 cm e si suddividono in:

a) Libres de rebudes d’argent (carico dell’argento fino)

Sono i registri che contengono le annotazioni relative alla presa in carica dell’argento che i camerlenghi compravano dai guelchi (responsabili della conduzione dei forni adibiti alla fusione del minerale) e consegnavano poi al maestro della moneta. È necessario osservare che, in questa fase, l’argento, normalmente ridotto in piastre, ma a volte anche in formato più ridotto (trossets) era pesato in libbre sardesche, mentre per le operazioni successive si ricorreva al marco barcellonese e ciò richiedeva grande perizia e dimestichezza con i diversi sistemi di peso.

b) Libres de alear (composizione della lega)

In questi registri sono descritte le operazione volte ad ottenere la lega da impiegare nella coniazione. Sono annotati il numero dei crogioli utilizzati giornalmente e, crogiolo per crogiolo, le quantità degli elementi che concorrevano alla formazione della lega: argento fine (argent fi), rame (copre) e ritagli (sisala).

c) Libres de fundicio (fusione della lega)

I libri di questo tipo descrivono quella fase della lavorazione in cui l’argento, già mescolato con il rame e con i ritagli, veniva versato in altri crogioli per esser fuso in verghe dette riels.

538 ACA, Cancelleria, vol. 1025, c. 96v; reg. 1027, c. 9; reg. 2122, cc. 10v, 27, 50v, 71v; Real

patrimonio, Maestro razionale, vol. 2041, c. 75; vol. 2043, fasc. 4; vol. 2046, fasc. 6, 7; vol. 2047, c. 19.

539 ACA, Cancelleria, vol. 207, c. 214; reg. 210, f. 25v; reg. 1007, f. 159v; reg. 1011, c. 156v; reg. 1013, f. 147; reg. 1017, f. 165v; reg. 1020, ff. 5v, 7; vol. 1025, c. 96v; 1027, c. 9; L. D’Arienzo, Gli scrivani, cit., p. 154.

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d) Libres de obres (lavorazione delle verghe e taglio dei pezzi)

È descritto il procedimento durante il quale le barre di metallo riels venivano ridotte in piastre che, di nuovo sottoposte al calore dei fornels, venivano poi stirate e assottigliate fino ad essere ridotte in lamine dello spessore voluto. Dalle lamine venivano ritagliati grossolanamente, per mezzo i grandi cesoie o scalpelli, i singoli pezzi detti tondelli. Il loro taglio comportava, com'è facilmente intuibile, una grossa quantità di metallo di scarto; infatti, proprio questa risulta essere la fase in cui c'era maggiore differenza tra il peso del metallo registrato prima della lavorazione e il peso dell’obra feta ottenuta. I ritagli di metallo (sisala) venivano però recuperati, come già abbiamo visto, in fusioni successive e la perdita non era pertanto definitiva, ma incideva solamente sulla singola operazione.

e) Libres de emblanquicio (rifinitura e ripulitura dei tondelli)

I registri con questa denominazione ci consentono di conoscere e seguire la successiva fase di rifinitura a cui erano sottoposti i tondelli grezzi che venivano consegnati all’emblanquidor e da questi perfezionati e resi quanto più possibile regolari con l’uso cesoie di piccole dimensioni, poi lavati con una soluzione di sale e tartrato potassico e infine lustrati.

f) Libres de moneders (battitura della moneta)

Sono i registri nei quali troviamo le annotazioni relative alla battitura delle monete. Essi riportano il peso dei tondelli consegnati ai battitori, il peso del metallo monetato (diners monedats) e il calo subito durante la lavorazione. Risulta anche il numero dei denari utilizzati per l’asaig. Con questa ultima operazione il lavoro di produzione vero e proprio si poteva considerare concluso e le monete, perfettamente coniate, erano pronte a lasciare la zecca.

g) Libres de deliurançes (scarico delle monete coniate)

Questi libri costituiscono il minuzioso resoconto delle operazioni di scarico monete. Le registrazioni ci informano circa la data di consegna degli alfonsini d'argento fatta dal maestro della zecca ai camerlenghi di Iglesias, in presenza di testimoni; questi erano spesso l’asagador e il fonedor della stessa zecca, i cui nomi, insieme a quelli di tutti i partecipanti all’operazione, sono di solito, espressamente indicati. In questi libri venivano poi annotati il peso degli alfonsini, il numero di monete corrispondenti in base al taglio stabilito di 72 pezzi per marco, le monete trovate difettose (febles) e il numero di alfonsini trattenuti per le spese della zecca, cioè per il pagamento degli obrers e dei moneders e per altre mecions necessarie all'attività lavorativa. Viene specificato, infine, il titolo della lega d'argento.

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h) Libres de messions o mecions (spese generali della zecca)

Questa serie di registrazioni enumera tutte le spese della zecca. Si tratta, com'è facile intendere, di annotazioni contabili molto interessanti che ci permettono di conoscere nel dettaglio l’importo dei salari, delle spese per i materiali necessari alla lavorazione, del costo e della natura degli attrezzi. Essi consentono, pertanto, di seguire il funzionamento della zecca non soltanto sotto l'aspetto della produzione monetaria, ma anche in tutti i più minuti dettagli.

Come suggerisce la titolazione dei registri e come è del resto logico aspettarci da scrivani che sembrerebbero quasi tutti originari della Catalogna la lingua usata nella maggioranza dei casi è il catalano per quanto tuttavia, non manchino alcuni tomi compilati in volgare italiano e in latino ed è da segnalare il fatto che questi si riferiscano quasi esclusivamente al periodo compreso tra il 1326 ed il 1327 quando la zecca di Villa di Chiesa, strumenti e personale, parrebbe esser stata trasferita nel borgo di Bonaria sotto la supervisione dei maestri reggenti Puccio Nicolaj e Pietro Castello che ebbero al loro servizio lo scrivano Pons Guevara541. Questi stessi registri si pongono in una posizione particolare rispetto a tutti gli altri anche in merito al sistema di datazione adottando non già lo stile dell’incarnazione fiorentino542, in uso comunemente nei territori della Corona

d’Aragona fino al 1350 quando, per volere di Pietro III, fu sostituito da quello della natività543, bensì, come ha fatto anche notare in suo saggio Gabriella Olla Repetto544, lo stile dell’incarnazione pisano545 che, del resto, seppur spesso affiancato all’uso cronologico catalano, continuò ad esser largamente e comunemente impiegato in Villa di Chiesa almeno fino al 1348546.

In alcuni registri della zecca redatti prima di questa data alcuni scrivani hanno ritenuto utile – forse per consentire più agevolmente a chi avrebbe dovuto controllare le

541 ACA, Real patrimonio, Maestro razionale, vol. 2056, tt. 1-6.

542 L’inizio dell’anno è posto al momento in cui il Cristo sarebbe stato concepito e cioè il 25 marzo e dunque ha circa tre mesi di ritardo rispetto allo stile moderno. Cfr., A. Pratesi, Genesi e forme del