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Il notariato in epoca “comunale”

2. Il notariato in Sardegna

2.4. Il notariato in epoca “comunale”

Contemporaneamente proseguiva l’immissione di notai nei ranghi della pubblica amministrazione e particolarmente nelle curie civiche. Emblematico in questo senso è il caso della città di Sassari in cui, il 14 maggio del 1282, Leopardo de Laiano, figlio del defunto Benincasa, giudice e notaio per autorità imperiale, asserì di reggere la notaria del Comune sassarese per conto di Pisa102, cosa che fece poi anche Leopardo de Civinaria,

97 P. Canepa, Il notariato in Sardegna, cit., p. 11. 98 Ivi, p. 12.

99 Ivi, p. 15. 100 Ivi, p. 16.

101 O. Schena, Notaio e notariato nella Sardegna del tardo medioevo, cit., p. 328.

102 L. D’Arienzo, La “scribania” della curia podestarile di Sassari nel Basso Medioevo (Note

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figlio del defunto Gerardo103. Questa circostanza si deve agli accordi intercorsi tra il Comune dell’Arno e quello sassarese, patti secondo i quali Pisa avrebbe inviato annualmente a Sassari un podestà ed un notaio, eletti dagli Anziani del popolo pisano, durante i mesi di febbraio e marzo, con le stesse forme che regolavano l'elezione dei Castellani di Cagliari. Entrambi, alla fine del loro operato, sarebbero stati sottoposti a sindacatura come tutti gli altri ufficiali.

I notai già citati sono dunque pisani e i rogiti che estendono nelle loro vesti di scrivani pubblici rivelano nella struttura intrinseca e nel formulario strette analogie con i documenti comunali pisani. Ritroviamo qui, ad esempio, l’uso di verbalizzare in actis le decisioni prese dal podestà e dai giurati di giustizia, la consuetudine di poter estrarre dagli atti e redigere in mundum delle pubbliche scritture, ed ancora il costume di tenere le adunanze consiliari e le relative scritturazioni nei tipici luoghi pubblici in cui si svolse la vita politica comunale: sub porticu domus rengni de Saxari e sub loggia suprascripti Communis104.

L’opera di questi professionisti della scrittura fu essenziale al fine della corretta estensione degli atti di interesse pubblico come dimostrano gli stessi documenti nei quali la mancanza dell’uso del sigillo e delle eventuali formule di corroborazione rileva come fosse de tutto demandata agli stessi notai rogatari la funzione di autenticare i documenti redatti per conto del Comune105.

In seguito, con le convenzioni stipulate nel 1294, tra la città di Sassari e Genova, si stabilì che il notaio del podestà, dovesse essere genovese e che nel momento in cui andava ad assumere l’ufficio, giurasse sui Vangeli di essere fedele, di prestare servizio lealmente e di osservare gli ordinamenti in vigore nel territorio di Sassari, secondo la forma prevista dagli Statuti106.

Come notaio del Comune avrebbe dovuto quindi verbalizzare integralmente e inserire negli atti le delibere dei Consigli comunali, mantenendo su queste il più stretto riserbo. Avrebbe inoltre dovuto riportare negli stessi atti del Comune tutte le accuse e le denunce presentategli dai sassaresi, verbalmente o per iscritto, e investigare sulle stesse senza lasciarsi influenzare dall’odio, dal timore oppure dal danaro. Per lo svolgimento di queste mansioni, come per il rilascio di scritture che riguardavano il Comune, per le ricerche da effettuarsi nel codice degli Statuti o per gli eventuali chiarimenti che era tenuto a dare ai cittadini che ne avessero fatto richiesta, non avrebbe ricevuto alcun compenso. Il notaio del podestà avrebbe invece potuto richiedere una ricompensa fino a quattro denari genovini per esaminare i testimoni delle contese. Identica ricompensa gli era dovuta per le scritture relative alle liti e alle transazioni e per le ricerche dei documenti d’archivio. Poteva invece chiedere fino a dieci soldi per ogni atto relativo all'appalto degli

103 Ivi, pp. 158-159. 104 Ivi, pp. 160-161. 105 Ivi, p. 161. 106 Ibidem.

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incarichi107. Durante i Consigli comunali il notaio doveva inoltre leggere le deliberazioni prese dai consiglieri prima di poter passare alle successive delibere. Similmente accadeva nelle «corone»: il notaio doveva leggere la sentenza pronunciata dai giudici prima di poter dare inizio alle successive cause. Le sentenze e le delibere, come già detto, dovevano essere registrate negli atti del Comune, pena la nullità delle stesse108.

Al pari del podestà neppure il suo notaio, per tutto il periodo del suo mandato, poteva fare alcun tipo di commercio, né direttamente, né per interposta persona109; non poteva inoltre allontanarsi dal territorio di Sassari senza l’autorizzazione del podestà o del suo cavaliere, né poteva pernottare fuori dallo stesso territorio senza il consenso del Consiglio Maggiore. Se non avesse seguito le norme dello Statuto che riguardavano il suo ufficio sarebbe stato cacciato dall’incarico: era compito del podestà far sì che egli le osservasse110.

Oltre al notaio delle podestaria, chiamato anche secretariu dessu Cumone, esisteva il cosiddetto notaiu de Sassari che, avendo l’incarico di redigere le scritture relative alle entrate e alle uscite del Comune, doveva stare a disposizione del Consiglio Maggiore e dei sindaci della città. Egli veniva eletto annualmente dal Consiglio Maggiore nel mese di febbraio e doveva essere nativo di Sassari, oppure figlio sassaresi per parte materna o paterna. Il suo stipendio era di 35 lire di Genova111.

Con l’avvento della dominazione aragonese nell’isola, l’istituto del podestà di Sassari con la sua notaria subirono successive modifiche e limitazioni. In primo luogo i sovrani si riservarono l’elezione del podestà e del suo notaio affidando le cariche a sudditi della Corona aragonese. Era da poco tempo iniziata la campagna militare per la conquista dell'isola, quando il re Giacomo II, il 7 maggio del 1323, concesse vari privilegi a Sassari; uno di questi riguardava il notariato e prevedeva la ratifica delle rispettive notarie ai notai già esistenti ed operanti nella città, mentre per il futuro si disponeva che i nuovi notai avrebbero dovuto essere notai per autorità sovrana, cioè istituiti dal potere regio, e questo, s'intende, in evidente contrapposizione ai notai per autorità imperiale o pontificia che normalmente operavano nell'isola. Il re riservò, poi, per sé la scrivania della curia podestarile della città, per la quale avrebbe provveduto direttamente a nominare i notai. Nello stesso provvedimento promise la ratifica del Breve della città con le dovute correzioni discusse nel Consiglio regio112.

All’epoca di Alfonso il Benigno reggeva la scribania della curia podestarile di Sassari il notaio catalano Bernardo de Avergó, che aveva avuto l'incarico in concessione vitalizia il 6 novembre 1324, all’epoca del re Giacomo II, insieme al privilegio di

107 Ivi, p. 164. 108 Ivi, pp. 163-164. 109 Ibidem. 110 Ibidem. 111 Ibidem.

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custodire il sigillo dell’ufficio con i diritti pertinenti al suo uso, con facoltà di trasmetterla agli eredi113. Anche nella notaria si era dunque affermato l’uso tipicamente catalano di concedere a vita gli uffici pubblici, in remunerazione di particolari benemerenze acquisite presso la Corte, contravvenendo all’uso sancito negli Statuti del rinnovo annuale della carica114.

Di solito i notai beneficiari di tale privilegio erano autorizzati a non reggere personalmente le scribanie e a nominare, come sostituti, dei notai di loro fiducia; nella maggior parte dei casi a noi noti, infatti, i titolari delle scrivanie non presero ad esercitarne personalmente gli uffici connessi delegandoli ad altri notai ritenuti idonei115.

La principale qualifica per poter accedere alle scrivanie pubbliche, almeno a quelle della curia del podestà, del vicario e del baiulo, era il possesso del titolo di «notaio regio», ossia l’aver ricevuto la nomina di notaio direttamente dall’autorità sovrana. In Catalogna, infatti, esistevano a quell’epoca notai di diverse categorie e con differenti mansioni, la cui nomina non era necessariamente sovrana, ma poteva essere rilasciata da altre autorità delegate dal re. Ai cosiddetti «notai regi» era riservato il compito di redigere le scritture di tipo giudiziario, come processi, sentenze, multe ed in genere tutti i tipi di documenti legati all’attività dei tribunali. Già è stato rilevato in altra sede che gli scrivani di mandamento della Cancelleria sovrana erano tutti notai di nomina regia, dato che, oltre al carteggio di normale amministrazione, dovevano redigere anche le scritture che scaturivano dall'attività dell’Audiencia, cioè del tribunale della giustizia regia116. Anche

nei piccoli tribunali periferici, nelle cosiddette curie dei podestà, dei vicari e dei baiuli, le scrivanie venivano affidate a questa categoria di notai e, siccome la nomina aveva, come si è visto, un valore solo formale perché lo scopo principale era quello di remunerare qualche persona che aveva acquisito delle benemerenze a Corte, capitava spesso che i beneficiati fossero gli scrivani della cancelleria, uomini di cultura molto influenti negli ambienti palatini, i quali, solo raramente, prendevano possesso dell’ufficio117.

Non necessariamente dovevano esser notai e non lo fu probabilmente il sassarese Bartolomeo Canu, che, il 20 giugno del 1417, benché nominato scriba iamdicte scribanie ebbe contestualmente l’autorizzazione ad affidarla a idonei sostituti. Poiché, infatti, nella documentazione, al suo nome non si accompagna la qualifica di notaio è possibile che non lo fosse e quindi il suo compito dovette limitarsi allo scrivere i documenti del suo ufficio senza conferire loro publica fides che veniva comunque riconosciuta agli stessi scritti attraverso l’autorità regia118.

113 Bernardo de Averçó resse la notaria sassarese fino alla morte e lasciò per testamento la carica a suo figlio che, essendo ancora minore, non la poté ricoprire. Cfr. L. D’Arienzo, La “scribania” della curia

podestarile di Sassari nel Basso Medioevo, cit., p. 171, n. 53.

114 Ivi, p. 168. 115 Ibidem. 116 Ibidem. 117 Ibidem. 118 Ibidem.

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Dal 1421 si permise che i notai della corte del podestà di Sassari fossero sardi119 e tra questi vi fu Giovanni Barte, figlio di Bernardo, notaio per autorità imperiale, originario di Narbona, ma cittadino sassarese120. L’ufficio di notaio et scriba curie civitatis Sassari non gli impedì tuttavia di esercitare contemporaneamente anche la libera professione121. Per quanto concerne più nel dettaglio il funzionamento della scrivania podestarile sassarese e la ricostruzione dell’iter del documento curiale si segnala una fase iniziale consistente nella petitio ossia una supplica che raccolta dalla cancelleria veniva trasmessa al podestà al quale competeva impartire l’ordine iussio (iussus) al notaio-scrivano di precedere alla redazione dell’instrumentum. Una volta preparato il documento veniva sottoposto al controllo dello stesso podestà per la recognitio. Il momento finale era poi quello della sigillazione con la quale si dava piena autenticità al documento122.

L’autenticazione dei documenti era dunque data dalla presenza del sigillo del podestà che, come funzionario regio, rappresentava nel suo ufficio, il potere sovrano123. Pertanto quando il notaio redigeva gli atti per conto del podestà non aveva il compito di conferire publica fides ai documenti con il suo intervento avendo esclusivamente le funzioni di scriba e infatti nelle scritture redatte per conto della scrivania non è presente la sua sottoscrizione che invece non può mancare nelle carte da lui rogate come libero professionista124. Ed è, per questo motivo che, del resto, lo scrivano in servizio negli uffici di curia poteva anche non essere un notaio.

È comunque attestato un documento della curia podestarile di Sassari in cui è presente sia il sigillo e la recognitio del podestà, sia il signum tabellionis con una sottoscrizione che non ha comunque le forme tradizionali della completio avendo il valore di una ulteriore autenticazione conferita all’atto dal notaio125.

Oltre ai notai impiegati in funzioni pubbliche erano comunque presenti a Sassari anche i notai liberi professionisti per i quali gli Statuti cittadini nel capitolo L del III libro, fissavano una apposita norma per l’esercizio della libera professione che era condizionata al superamento di un esame apposito126. Per chi contravveniva a questa disposizione era prevista una ammenda di 25 libras de Janua, delle quali un quinto spettava a chi avrebbe accusato un notaio non in regola ed il rimanente al Comune127.

119 L. D’Arienzo, La “scribania” della curia podestarile di Sassari nel Basso, cit., p. 177. 120 Ivi, p. 178. 121 Ivi, p. 180. 122 Ivi, p. 183. 123 Ibidem. 124 Ibidem. 125 Ibidem.

126 Statuti Sassaresi, III, L: «… nessunu notaiu dessa terra, ovver d’attera parte, qui daue novu sa arte dessa notaria aet boler facher in Sassari, over su districtu, se recivat as ecussu offitiu dessa notaria facher: si innanti non est examinatu diligentemente in sa arte predicta, per savios clericos notaios et ladidos, clamatus per issa potestate et issos antianos daue cussos licentia aetaver ...».

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Si imponeva inoltre al notaio di ricevere tutti gli atti stendendone immediatamente l’apposito rogito conservando le minute in appositi quaderni. In caso non si fossero potuti attenere a queste formalità avrebbero dovuto dichiarare per iscritto di esserne stati impossibilitati da giusto ed evidente impedimento a pena di una multa di 40 soldi genovesi che sarebbe stata comminata loro dal Podestà128.

Gli Statuti di Sassari fissavano inoltre anche le tariffe notarili prevendo compensi variabili, ma generalmente compresi fra i 2 ed i 4 soldi, a seconda della tipologia del rogito da estendere129. Erano altresì poste delle limitazioni all’attività dei notai al quale si imponeva di rispettare il riposo stabilito per i giorni festivi130.

Nel caso un notaio fosse morto senza aver disposto della sua successione lo Statuto cittadino prevedeva che il Consiglio maggiore consegnasse tutti gli atti del defunto ad notaio di Sassari designato dal Podestà e dagli Anziani. Chi li riceveva era però tenuto a dare agli eredi del notaio scomparso la metà di quanto si fosse ricavato dagli stessi rogiti, trattenendo l’altra metà a titolo di suo compenso131.

Per il notaio reo di aver falsificato un atto era invece prevista le pena di morte e se si fosse reso contumace sarebbe stato bandito perpetuamente dalla città e i suoi beni confiscati in favore del Comune. Tali atti falsi e altri estesi dal notaio condannato in seguito alla sentenza sarebbero stati opportunamente cassati132.

Nessun valore era immediatamente ed automaticamente dato in Sassari neppure agli atti estesi nelle altre parti dell’Isola se prima non fossero stati sottoscritti da due notai appositamente delegati dal Consiglio Maggiore133.

Alla stregua del particolare contesto politico ed amministrativo rappresentato dalla città di Sassari anche altrove, nell’Isola, si dovette avvertire l’esigenza di fornire una apposita normativa di riferimento all’esercizio di quella fondamentale azione giuridica che presero a dispiegare i notai sia in ambito pubblico, sia in quello privato ed è per questa ragione che anche La Carta de Logu intervenne nel regolamentare e disciplinare l’istituto notarile che comunque faticava a diffondersi nel Giudicato d’Arborea. Alla carenza di notai si fa, del resto, esplicito riferimento nel capitolo LI quando si dispose che ai testamenti estesi in forme debite dal curati o dagli scrivani pubblici si riconoscesse lo stesso valore di quelli rogati dai notai.

In questo codice non si fa alcun cenno alla formazione professionale richiesta all’aspirante notaio o ai requisiti necessari per l’esercizio dell’arte della notaria e stando così le cose il Canepa ritiene che, data l’esistenza della cancelleria giudicale, fosse

128 Ibidem. 129 Ibidem. 130 Ibidem. 131 Ibidem. 132 Ibidem. 133 Ibidem.

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sufficiente avervi esercitato l’ufficio di scrivano, per ottenere dal giudice la qualifica di notaio134.

Si precisa invece che il notaio dovesse conservare copia degli atti da lui rogati in un apposito volume al fine di evitare che la dispersione e lo smarrimento dei rogiti causasse danni irreparabili. Era espressamente stabilito che il volume delle minute non avesse meno di quindici fogli e che il notaio vi scrivesse gli atti entro quindici giorni dalla loro ricezione, in caso contrario sarebbe incorso in una multa di cinque lire e avrebbe dovuto risarcire l’eventuale danno causato dalla mancata trascrizione135. Era inoltre vietata al notaio l’esercizio della professione di avvocato e di procuratore nella cause affidate alla sua amministrazione136. In caso il notaio avesse falsificato uno o più atti sarebbe stato punito con una multa di importo pari a cento lire che avrebbe dovuto pagare entro un mese trascorso il quale, se non avesse assolto questo obbligo, gli sarebbe stata tagliata la mano destra, inoltre gli veniva interdetta la professione e l’atto veniva annullato137.

Come ha rilevato il Canepa gli Statuti di Sassari, il codice legislativo di Iglesias, il Breve di Villa Chiesa, sul quale si tornerà oltre, e la Carta de Logu, sembrano ispirati agli stessi principi e pare dunque che l’istituto notarile venisse regolato in Sardegna da norme in parte comuni. Presente in tutte queste raccolte normative è per esempio la regola che riguarda l’obbligo dei notai di conservare le copie degli atti rogati e ciò ricalca la norma prevista nel capitolo LI dello Statuto di Pisa; così come pure la regola che vieta ai notai l’esercizio della professione di avvocato o di procuratore pare richiamarsi ad analogo divieto posto dall’ordinamento pisano che vietata la duplicità degli uffici e delle professioni138.

Gli Statuti di Sassari, il Breve di Villa di Chiesa e la Carta de Logu, dispiegarono i loro effetti non solo nel periodo e nel contesto comunale, i primi due, e in quello giudicale la seconda, ma anche nel periodo Catalano, quando il contesto politico, istituzionale e culturale sardo si aprì, suo malgrado, al mondo iberico. La creazione del regno di Sardegna, la sua infeudazione alla Corona catalana e il conseguente arrivo nell’isola dei Catalano-Aragonesi, nel 1323-1326, comportarono la progressiva creazione di nuove strutture burocratiche e di governo con l’immissione in ruolo di funzionari regi fedeli alla Corona. Non fu tuttavia precluso l’accesso a taluni impieghi pubblici o ad alcuni rami dell’amministrazione periferica a quei non catalani che non si erano rivelati ostili alla nuova situazione politica. Per gli altri, per i notai pisani e genovesi rimasti fedeli ai Comuni di origine non restava che l’allontanamento col conseguente depotenziamento dell’offerta dei servizi notarili sul territorio139.

134 P. Canepa, Il notariato in Sardegna, cit., p. 24. 135 Carta de Logu, Cap. CXXIII.

136 Carta de Logu, Cap. LXXIII. 137 Carta de Logu, Cap. XXV.

138 P. Canepa, Il notariato in Sardegna, cit., p. 26.

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Per arginare questa fuga e garantire una sufficiente presenza di notai sul territorio del Regno, Pietro IV, con patente del 14 febbraio del 1353, autorizzava i notai pisani che si trovavano nell’Isola e quelli che vi sarebbero venuti, ad esercitare le funzioni notarili, a condizione che indicassero nei loro rogiti di operare in virtù dell’autorità regia140. La Corona tuttavia al fine di implementare la presenza notarile nel Regno dovette in qualche modo favorirvi il trasferimento di professionisti dagli altri territori della confederazione, Del resto, sin dalla seconda metà del Trecento furono numerosi i notai catalani, valenzani, maiorchini, di nomina regia che, giunti nell’isola, presero a risiedervi stabilmente per far fronte alle molteplici esigenze dell’amministrazione regia e di quella cittadina141.

La loro presenza fu ancor più significativa e meglio documentata per il Quattrocento, quando una situazione politica ed economica particolarmente favorevole consentì loro di intraprendere nel regno di Sardegna carriere prestigiose, conquistando posti chiave negli uffici pubblici e raggiungendo posizioni sociali di alto livello, anche in virtù dell’esercizio della libera professione142. Poiché nel primo periodo del regno catalano di Sardegna non erano previsto il superamento di alcun esame, l’accesso all’esercizio della notaria si configurava come una regalia sovrana concessa, direttamente dal monarca o per intermediazione dei suoi luogotenenti143.

In quello stesso periodo nella produzione dei documenti si registra sovente l’intervento di rogatari che si definiscono scriba o escrivano. Già in passato i notai di origine peninsulare che operarono in Sardegna al servizio delle pseudo cancellerie giudicali e delle segreterie curiali urbane si definirono tali senza tuttavia mai omettere anche di qualificarsi come notai. La circostanza che in taluni casi venisse a mancare tale riferimento alla condizione notarile rileva la presenza di pubblici ufficiali, non necessariamente investiti dello status di notaio, posti alle dipendenze di una scribania ossia di un ufficio destinato a rilasciare copie autentiche di atti pubblici144. Ovviamente

la pubblica fede veniva in tal caso conferita al documento da questi confezionati non dalla