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3.2 La confisca “tradizionale”:

3.2.2. La nozione di profitto confiscabile :

a) Premessa : Analizzando le diverse figure di ablazione patrimoniale

previste all’interno del nostro ordinamento, si è già tentato di dare una definizione chiara ed univoca circa la nozione di profitto. Tuttavia, ci si è imbattuti in un concetto giuridico dai confini incerti, la cui indeterminatezza rende, oggi, problematica la sua applicazione all’ atto pratico da parte dei giudici di merito persino nei “casi semplici”. Infatti, la giurisprudenza si è limitata a definire confiscabile il profitto che risponda sostanzialmente a due condizioni: da un lato, che sia qualificabile come

vantaggio patrimoniale prodottosi in capo all’autore di un reato e,

dall’altro, che sia di immediata derivazione causale rispetto al reato stesso; tale secondo presupposto è stato, peraltro, elaborato con riferimento a tutte le categorie di res confiscabili. Nessuna, indicazione, tuttavia, viene fornita con riferimento al quantum confiscabile né, per altro verso, vengono indicati i criteri da seguire in relazione alle spese sostenute per commettere il reato. Le ragioni di tale sostanziale disinteresse sono molteplici e non tutte di agevole individuazione; certo è che, nella formulazione di cui all’art. 240 c.p., il profitto è accostato a categorie di res confiscabili concettualmente contigue che, spesso sovrapponendosi, sono ad esso fungibili; non stupisce, dunque, che la giurisprudenza di legittimità, rifuggendo da ogni velleità definitoria, si sia per anni trincerata dietro il solo principio della derivazione causale del bene rispetto al reato (per l’accertamento del quale poteva contare sui ben noti strumenti della causalità) ed abbia, conseguentemente, relegato il profitto ai margini della disciplina in tema di confisca (ed evitato, così, di utilizzare concetti

180 In questo senso, A. MELCHIONDA, Disorientamento giurisprudenziale

in tema di confisca, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1977,

107 puramente economici). A ciò si aggiunga che, prescindendo dalle differenze tra confisca obbligatoria e facoltativa, l’art. 240 c.p. (fino a non molto tempo fa, unica figura di confisca) consentiva, nella sostanza, la confiscabilità di ogni cosa che, a qualsiasi titolo, fosse entrata in rapporto con la vicenda criminosa, sia dal punto di vista dell’esecuzione (gli

instrumenta sceleris) sia da quello delle conseguenze (i producta sceleris),

cosicché unico effettivo onere del giudice era quello di accertare in che termini tale relazione si fosse esplicata; in questo senso, peraltro, il principio di immediata strumentalità o di immediata derivazione della res dal reato serviva pienamente allo scopo. L’introduzione di nuove figure speciali di confisca e, soprattutto, della confisca di valore, hanno, tuttavia, imposto una rinnovata riflessione in tema di profitto confiscabile, rivelando appieno l’insufficienza dei criteri individuati in sede giurisprudenziale.

b) La giurisprudenza formatasi in tema di profitto confiscabile : La ricerca

di una definizione di profitto confiscabile appare complessa a causa della duplice difficoltà di distinguerla dal prezzo e di farvi rientrare o meno beni che non trovano immediato collegamento con il reato o che coinvolgano

addirittura fattori leciti o successivi181. Come già accennato in precedenza,

partendo da una definizione generale, per profitto deve intendersi il complesso dei vantaggi economici tratti dal reato e a questo strettamente

connessi182. Invero, si è passati da una definizione economica di profitto

secondo cui esso coincideva con la differenza tra il prezzo d’ acquisto e quello di vendita, a una nozione propria del diritto penale, più ampia e generica. Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ripercorre sia l’orientamento più restrittivo, secondo cui è necessaria una stretta affinità tra bene e oggetto del reato, sia quello estensivo che riconduce al profitto

181 Così L.FORNARI, Criminalità, cit. p.39.

182 Ex multis, Cass., Sez. Un., 25 ottobre 2007, n. 10280, in CED Cass.,

238700; Cass., Sez.I, 21 dicembre 2010, n. 2737, in CED Cass., 249178; Cass. Sez. VI, 15 febbraio 2011, n. 17064, in Dir. pen. imp., 2011, p. 138, con nota di A.DI AMATO.

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anche i beni acquistati con l’impiego dello stesso183

. Proprio quest’ ultimo, secondo la Corte, appare il più fondato, anche alla luce delle finalità che il legislatore intende perseguire con le nuove forme di confisca: in tal modo “rientrano nella nozione di profitto non solo il denaro che risulti essere stato il vantaggio dell’attività illecita, ma anche i beni, di altra natura,

fungibili o infungibili, acquisiti per effetto dell’investimento di denaro”184

. Ne deriva che la giurisprudenza di legittimità preferisce una nozione ampia di profitto, di modo che anche i beni e le altre utilità acquistate o realizzate con denaro illecitamente percepito, e che costituiscono una conseguenza solo indiretta o mediata dell’attività criminosa, possono essere interpretati nel senso del profitto, allo stesso modo di quei beni e utilità che

costituiscono la diretta conseguenza della commissione del reato185.

Dunque anche il profitto indiretto e mediato può essere oggetto di confisca, ma è altresì necessario che sia riscontrabile un nesso causale rispetto alla

fattispecie posta in essere186.

c) (segue) Dal principio del lordo e del netto alla distinzione tra reato in contratto e reato contratto : Nel predisporre un provvedimento ablativo è

necessario, non solo individuare l’oggetto, ma ciò che risulta imprescindibile è la sua quantificazione. E’ proprio su questo punto che la giurisprudenza si è soffermata più volte, adottando soluzioni non sempre esenti da critiche. In particolare, ci si è chiesti se nel determinare il

quantum del profitto debba tenersi conto delle spese sostenute dal reo, ossia

degli oneri e dei costi sopportati con lo scopo di conseguire il profitto del reato, prendendo in considerazione il fatto che le differenze di una

183 Cass. Sez. VI, 12 marzo 2014, n. 11918, in CED Cass., 262613,

costituiscono profitto del reato anche gli impieghi redditizi del denaro di provenienza illecita e i beni in cui questo si è trasformato in quanto tali attività di impiego e di trasformazione non possono impedire che venga sottoposto ad ablazione ciò che rappresenta l’ obiettivo del reato posto in essere.

184 G.AMATO, Confiscabili anche investimenti e beni derivanti dalla

concussione in via indiretta. Rimosse le difficoltà operative in attesa di chiarimenti normativi, in Guida dir., 2008, n. 17.

185 Cass. Sez. II, 6 novembre 2008, n. 45389, in CED Cass., 241974. 186 Ex multis, Cass. Sez. Un., 25 giugno 2009, n. 38691, in CED Cass.,

109 valutazione al lordo ovvero al netto del profitto possono essere un diverso

fattore determinante187. Entrambe le ipotesi comportano delle critiche. Se

da un lato, infatti, si dovesse prediligere una nozione di profitto al netto delle spese, essa comporterebbe, non solo, un riconoscimento di un qualche valore al costo del reato, ma anche un onere da parte del giudice di procedere all’individuazione e allo scorporo di tali costi e oneri, che non

sempre è possibile188. Allo stesso tempo, operare una valutazione al lordo

del profitto significa attribuire ancor più all’ istituto della confisca una natura sanzionatoria e afflittiva, in virtù del fatto che saranno assoggettati alla misura anche beni per i quali non sussista alcun nesso eziologico con il

reato. Se la dottrina si è attestata prevalentemente su posizioni garantiste189,

la giurisprudenza nel tempo si è per lo più espressa a favore del vantaggio del lordo conseguito con la commissione del reato, seppure con dei temperamenti. Tuttavia, con l’ intento di ricercare soluzioni alternative, la giurisprudenza stessa ha introdotto in alcune pronunce una nuova distinzione tra profitto del reato-contratto e profitto del reato in contratto, che comunque non esula da ulteriori dubbi. Nel caso del reato-contratto

nulla quaestio, posto che l’ illecito coincide con il sinallagma e dunque la

confisca avrà ad oggetto il profitto lordo derivante dall’esecuzione di un accordo negoziale anch’ esso illecito. L’incertezza riguarda, invece, la determinazione del profitto nel reato in contratto, in cui il fatto criminoso può incidere sul momento formativo della volontà negoziale, ovvero sulla sua fase esecutiva, ma lascia intatto il negozio. Non tutto il profitto può essere, infatti, oggetto di confisca, dal momento che questo ben potrebbe essere rappresentato dal corrispettivo ottenuto per una prestazione del tutto lecita. Per questa ipotesi le Sezioni Unite avevano inizialmente rifiutato il parametro del netto, non coincidendo l’accezione penalistica con la nozione di profitto in termini aziendalistici. Piuttosto, si prediligeva una sorta di

187 Così A.PERINI, La nozione di profitto del reato quale oggetto della

confisca per equivalente, in A.BARGI-A.CISTERNA (a cura di), La giustizia patrimoniale penale, Utet, Torino, 2011, p.915.

188 In tal senso si veda M.MONTAGNA, Sequestro e confisca, cit. p.305. 189 A.ALESSANDRI, Criminalità, cit. p. 2155.

110 principio del lordo temperato, in cui il profitto è costituito dal vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato presupposto al netto dell’ effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato

nell’ambito del rapporto sinallagmatico190

. La scelta di calcolare il profitto di un reato in contratto al netto delle utilità, ma senza scorporare i costi sostenuti dal reo non è stata condivisa da tutta la giurisprudenza. Infatti, in alcune pronunce successive i parametri d’ azienda sono stati recuperati, ritenendo che il valore confiscabile coincida con il guadagno conseguito a seguito dell’ esecuzione del contratto di per sé lecito al netto dei costi

sostenuti per la presentazione dovuta191. In conclusione, la giurisprudenza

ha ritenuto di parametrare il profitto da confiscare sulla gravità dell’ illecito. Se quest’ ultimo investe il contratto in toto allora la misura ablativa sarà più ampia e colpirà il profitto al lordo; diversamente, volendo salvaguardare un atto comunque lecito, allora si guarderà al profitto netto.

d) La questione dei cd. risparmi di spesa : In relazione all’ipotesi di

confisca dei risparmi di spesa, la giurisprudenza non ha mai negato la

possibilità di annoverarla tra le voci del profitto confiscabile192. Tuttavia, si

è passati da un iniziale atteggiamento di cautela ad una piena ammissibilità, di contro al principio di determinatezza mancando un’ espressa previsione

normativa in tal senso193. In concreto, la questione concerne la possibilità

di considerare come profitto anche il mancato esborso di una certa somma

190 Cfr. Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008 n. 26654, in CED Cass., 239926.

In senso conforme Cass., Sez.VI, 27 gennaio 2015, n. 9988, ivi, 262794, secondo cui: “ il profitto confiscabile deve essere determinato, da un lato, assoggettando ad ablazione i vantaggi di natura economico-patrimoniale costituenti diretta derivazione causale dell’ illecito, così da aver riguardo esclusivamente dell’effettivo incremento del patrimonio dell’ agente derivante dalla sua condotta illecita, e, dall’ altro, escludendo i proventi eventualmente conseguiti per effetto di prestazioni lecite effettivamente svolte in favore del contraente nell’ambito del rapporto sinallagmatico, pari alla “utilitas” di cui si sia giovata la controparte”.

191 Cass., Sez.II, 20 dicembre 2011, n.11808 e Cass., Sez. II, 22 febbraio

2012, n. 20976.

192 Così anche M.ROMANO, Confisca, cit. p. 1685 e ss.

193 Sul punto si veda V.MONGILLO, Confisca (per equivalente) e risparmi

di spesa: dall’ incerto statuto alla violazione dei principi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2015, p. 748 e ss.

111 a seguito, per esempio, della mancata esecuzione di opere prescritte o del mancato versamento di tributi dovuti. Sin dall’ inizio, la Suprema Corte aveva ammesso la confiscabilità del risparmio di spesa ove questo coincidesse con un ricavo introitato, cui non siano stati decurtati i costi che si sarebbero dovuti sostenere. Una simile soluzione permette difatti di calare questa nuova ipotesi in una dimensione materiale che altrimenti non

avrebbe194. Dovendo il profitto costituire un vantaggio patrimoniale inteso

come accrescimento e non essendo sufficiente un mancato decremento, è necessario che si realizzi effettivamente una modificazione positiva della ricchezza del reo in seguito al mancato esborso. Ne discende un ulteriore passaggio, ovvero quello per cui il profitto, per essere considerato tale nel caso del risparmio di spesa deve essere maggiore a quanto si sarebbe realizzato se si fosse ottemperato agli obblighi di esborso. Pertanto, la misura ablativa ricadrà solo sull’ eccedenza tra l’incremento patrimoniale effettivamente maturato e quello che sarebbe stato conseguito senza l’

indebito risparmio di spesa195. Ad oggi la coincidenza tra profitto e

risparmio di spesa costituisce ormai un ipotesi acclarata, di modo che si ritiene possibile confiscare non solo il bene acquisito al patrimonio del reo grazie all’ esborso mancato, ma anche sic et simpliciter il risparmio di spesa stesso196.

194 Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 26654, in CED Cass., 239926 e

Cass., Sez. VI, 17 giugno 2010, n. 35748

195 Cfr. Cass., Sez. V, 28 novembre 2013, n.10256, in CED Cass., 258577,

secondo cui “ Il profitto, secondo la Corte, non poteva essere costituito dal mancato accantonamento di quote di capitale proporzionate al rischio insorto a seguito di alcune operazioni finanziarie, perché, nella specie, non vi era stata creazione di una nuova ricchezza ma la mera

destinazione di quella preesistente alla consumazione del reato al

soddisfacimento di scopi diversi da quelli che avrebbero dovuto essere perseguiti”.

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