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5.4 – La “sanatoria” e le vicende della posizione tributaria nei riflessi sul sequestro

Partendo dal presupposto che, ai sensi dell’ art. 321 comma 3 c.p.p., così come modificato dal d. lgs n. 12/1991, viene attribuito al p.m., nella fase delle indagini preliminari, il potere di revocare immediatamente e direttamente il sequestro, con proprio decreto motivato, ove risultino mancanti (in via originaria o sopravvenuta) i presupposti legittimanti la misura, del tutto peculiare è invece la situazione dei reati tributari, essendo

358 F. MUCCIARELLI – C.E. PALIERO, Le sezioni unite e il profitto

confiscabile: forzature semantiche e distorsioni ermeneutiche, in Riv.trim.dir.pen.cont., aprile ’15, p. 246 ss.

183 le condotte che li fondano rilevanti non esclusivamente in ambito penale, ma anche per la giustizia tributaria. Dinnanzi ai giudici si pone un quesito rilevante, ovvero: qualora il reo decida di “sanare” la propria posizione tributaria, servendosi del mezzo dell’accertamento con adesione, quali sono gli effetti che tale sanatoria produce sul sequestro preventivo disposto per il relativo reato? Sul punto sono intervenute le Sezioni Unite che, nella

sentenza Gubert359, si sono trovate ad affrontare il problema, cui hanno

risposto affermando che “le ragioni del sequestro possono venire meno

solo con il completamento del pagamento […] concordato”, riferendosi,

nello specifico, al reato di omesso versamento IVA, rispetto al quale l’imputato aveva concordato un rientro con pagamento rateale del debito, come accresciuto da interessi e sanzioni. I giudici hanno qui ritenuto di aderire a quell’orientamento interpretativo per il quale, fermo restando che i procedimenti penale e tributario sono autonomi, il profitto del reato e la

pretesa erariale sono fra loro sovrapponibili360; ed è così che, partendo da

un simile assunto, nel momento in cui viene meno il debito tributario, vengono meno anche i presupposti giustificanti il sequestro.

Di recente, si è assistito in giurisprudenza alla formazione di un nuovo orientamento del tutto peculiare e significativo.

In particolare, il Tribunale di merito aveva disposto, con ordinanza, la misura ablativa in presenza di una decisione non definitiva della Commissione Tributaria, che aveva invece dichiarato l’insussistenza del debito tributario a carico dell’imputato.

Partendo dal presupposto che, come accennato in precedenza, il profitto del reato tributario (ovvero il profitto confiscabile) è costituito dal

risparmio di spesa pari all’imposta non versata361, nel caso che qui ci

occupa, essendo stata dichiarata dalla giustizia tributaria l’inesistenza del

359 Cass., Sez. Un., 30 gennaio 2014, n. 10651, in Cass. pen., 2014, p.

2809

360 Cfr. Cass., Sez. III, 23 novembre 2012, n. 45847 e Cass., Sez. III, 8

gennaio 2014, Cavatorta.

361

184 debito, è stato escluso l’oggetto del reato consumato, facendo quindi venir meno i presupposti applicativi del sequestro preventivo.

Sul punto è intervenuta la Suprema Corte, la quale, accogliendo la tesi dei ricorrenti, ha di fatto disposto l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio a nuovo esame, imponendo al giudice di primo grado di valutare, per la nuova decisione, l’incidenza della sentenza

pronunciata dalla Commissione Tributaria362. Attraverso tale decisione, la

Cassazione non solo ha colto l’opportunità di ribadire e consolidare un proprio recente orientamento in materia di reati fiscali, ovvero quello secondo cui: “ In tema di reati tributari, il profitto, confiscabile anche per

equivalente, del delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, va individuato nel valore dei beni idonei a fungere da garanzia nei confronti dell’ Amministrazione finanziaria che agisce per il recupero delle somme evase, con la conseguenza che lo stesso non è configurabile, e non è quindi possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale all’ ablazione, in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria, con sentenza anche non definitiva, e di correlato provvedimento di “sgravio” da parte dell’ Amministrazione finanziaria”363

; a parere di chi scrive, la Suprema Corte ha anche assunto una posizione decisiva ed emblematica alla luce dell’attuale crisi del “doppio binario”, sempre più protagonista nello scenario internazionale ed europeo, propendendo per una riqualificazione dell’incidenza che il procedimento tributario può avere all’interno del procedimento penale. L’ indirizzo assunto dalla Corte di Cassazione nel regolare i rapporti tra i due procedimenti in applicazione del vincolo cautelare, ci pone nuovamente dinanzi agli occhi la questione sul fumus commissi delicti relativo al sequestro finalizzato alla confisca ed in particolare il rapporto con la confisca per equivalente.

362

Cass., Sez. III, 31 maggio 2017, n. 37167

363

185 Come già precedentemente esposto, quest’ ultima rappresenta infatti l’esempio più chiaro di confisca-sanzione, poiché assolve ad una funzione prettamente ripristinatoria della situazione economica modificata dal reo attraverso la consumazione del reato, imponendogli un sacrificio patrimoniale di valore equivalente alle utilità che egli stesso ha conseguito. Ed è proprio per il suo carattere “anticipatorio” della sanzione penale che, ai fini dell’ adozione della relativa misura ablatoria, il solo accertamento sulla pericolosità oggettiva del bene vincolato non risulta essere più sufficiente, come avviene nell’ ipotesi di confisca-misura di sicurezza, bensì sarà necessaria in tal caso una valutazione prognostica circa la responsabilità dell’ autore del reato, con la conseguenza che il fumus coincide con l’ inequivocabile riscontro di gravi indizi di colpevolezza.

Le conclusioni a cui giunge la Suprema Corte si pongono nel solco tracciato da tale ragionamento. Nel caso di specie, se da un lato è vero che a seguito del reato tributario il mancato decremento patrimoniale può configurarsi come indice di grave indizio di colpevolezza, dall’ altro, l’ eventuale accrescimento patrimoniale è sì il riflesso di un assente depauperamento, però, secondo la Corte, questo non si traduce automaticamente in un elemento concreto di colpevolezza, materialmente apprensibile. Ed è allora che, l’ eventuale annullamento della cartella esattoriale, disposto dalla commissione tributaria anche con sentenza non definitiva e lo sgravio da parte dell’ Agenzia delle Entrate, assumono dunque rilievo nella misura in cui essi manifestano palesemente l’ assenza di pretese erariali, rendendo dunque illegittimo il sequestro funzionale alla confisca per equivalente di un profitto ritenuto, allo stato degli atti, del tutto inesistente.

186

5.4.1 – (segue) La confisca “sospensivamente condizionata”

L’ elemento di maggior novità della riforma è costituito dal comma 2 dell’ art. 12-bis, il quale stabilisce che la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’ erario, specificando, però, che la misura ablatoria è sempre disposta laddove il contribuente ometta il versamento. Tale previsione esprime e positivizza ciò che era già in precedenza desumibile dal diritto vivente in ordine ai limiti oggettivi della misura ablatoria. La giurisprudenza ammetteva, difatti, l’ impossibilità di procedere all’ apprensione della somma corrispondente al profitto dei reati tributari quando il contribuente avesse estinto il proprio debito con il fisco, muovendo dal presupposto che, in caso contrario, si sarebbe assistito ad un’

inammissibile duplicazione sanzionatoria364. L’intervento del legislatore

del 2015 si pone nel solco tracciato da tale considerazione. Occorre però evidenziare che, secondo la dottrina, la disposizione non può essere letta nel senso dell’ impossibilità di applicare la misura ablatoria, ed il relativo provvedimento di sequestro, solo a fronte del mero impegno a versare assunto dal contribuente. Ciò spiega come tale conclusione vanificherebbe la particolare funzione che l’ istituto assolve nel settore degli illeciti tributari, ovvero l’apprensione delle somme evase in vista del

soddisfacimento delle ragioni dell’ Erario365. Ove il solo impegno del

contribuente, pur assunto in maniera formale o all’ esito delle speciali procedure conciliative previste dalla legislazione tributaria, fosse sufficiente a escludere la confisca, verrebbe meno anche la possibilità di disporre il sequestro preventivo “disfacendosi” dei suoi beni, potrebbe agevolmente eludere quanto disposto nella seconda parte del comma 2, art. 12-bis, ovvero “la confisca è sempre ordinata nel caso di mancato

versamento”. A ciò si aggiunga la perdita dell’ efficacia deterrente della

misura. Sembra difficile configurare un’ipotesi in cui un contribuente, il

364

Cass., Sez. III, 1 dicembre 2010, n. 10120, in Cass.pen., 2011, p. 2323

365 In tal senso L. PERRONE, Confisca a carico della persona giuridica e

reati tributari alla luce della riforma del 2015, in Cass. pen., 2017, p.

187 quale non ha versato l’imposta dovuta nonostante fosse consapevole del possibile avvio di un procedimento penale a suo carico, tenga fede all’ impegno assunto con l’ amministrazione finanziaria una volta intervenuta la sentenza di condanna. Di recente è intervenuta la Suprema Corte, la quale ha ammesso che “l’ assunzione dell’ impegno, nei soli termini

riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore, è di per sé sufficiente ad impedire la confisca dei beni che ne sarebbero oggetto perché ritenuta comunque satisfattiva dell’ interesse al recupero delle somme evase che dovrebbero essere ugualmente ottenute dall’esproprio dei beni del contribuente, o dell’ imputato, se diverso”366. Conclusione poco coerente con le citate premesse. Non vi è dubbio alcuno che l’ impegno di cui all’ art. 12-bis debba tradursi in una formale istanza presentata all’ Amministrazione finanziaria con la quale l’ interessato richiede l’ accesso alle speciali procedure conciliative e di adesione all’ accertamento previsto dalle norme tributarie. Occorre, però, soffermarsi sugli effetti dell’ impegno nel procedimento penale. Proprio allo scopo di evitare che l’ istituto in parola perda ogni rilevanza pratica, gran parte della dottrina ritiene più opportuno interpretare l’ art. 12-bis restrittivamente, anche per il fatto che la norma dispone che la misura ablatoria “non opera” per la parte che il contribuente si impegna a versare, tuttavia essa “è sempre

ordinata nel caso di mancato versamento”. Si deve, dunque, ritenere che il

legislatore abbia delineato una particolare tipologia di confisca la cui operatività è “sospensivamente condizionata” all’ inadempimento dell’ impegno a versare. In altri termini, nonostante l’ assunzione dell’ impegno a pagare il debito tributario, la confisca deve essere comunque ordinata dal giudice di cognizione nella sentenza di condanna; diviene effettiva, però, solo nel caso di mancato adempimento dell’ accordo, ovvero di mancato

versamento367. In definitiva, a fronte dell’ impegno formale, qualora il

contribuente abbia già eseguito, anche solo in parte, il pagamento del

366 Cass., Sez. Un., 2017, n. 43819

367 In tal senso S. FINOCCHIARO, L’ impegno a pagare il debito tributario

188 debito tributario, l’ autorità giudiziaria terrà conto di quanto versato nella determinazione dell’ oggetto della confisca e del corrispondente sequestro preventivo, riducendone l’ oggetto per la parte effettivamente corrisposta. Inoltre, muovendo dal presupposto che il mero impegno non vanifica l’ esecutività del sequestro già in atto, il reo potrebbe attivarsi per ottenere una progressiva riduzione dell’ oggetto del provvedimento cautelare in forza del graduale pagamento delle rate. Deve, altresì, ammettersi che le somme sequestrate possano divenire oggetto di restituzione vincolata alla restituzione all’ erario a titolo di pagamento totale o parziale dell’ imposta

evasa, degli interessi e delle sanzioni368. A ben vedere, pare riproporsi uno

dei profili di maggior criticità dell’ intero sistema di sanzionatorio tributario. In forza dell’ indipendenza che, almeno in linea teorica connota i due procedimenti sanzionatori (penale e amministrativo), sovente accade che il quantum oggetto di evasione accertato in sede penale risulti di ammontare differente a quello determinato in sede amministrativa. Se si rapporta quest’ aporia del sistema al nuovo regime della confisca

sembrerebbe che la definizione del quantum da parte dell’

Amministrazione finanziaria non sia sufficiente a legittimare una riduzione della confisca in sede penale. Ne conseguirebbe che, nonostante la definizione del rapporto sul piano amministrativo, permarrebbe la confisca dei beni per un valore pari al maggiore importo di evasione definito nel

processo penale369.

368 Così A. INGRASSIA, Ragione fiscale vs” illecito penale personale”. Il

sistema penale tributario dopo il d lgs. n.158/2015, Maggioli Editore,

2016, p. 163.

369 Cfr. A. PERINI, Confisca per equivalente e disponibilità dei beni in capo

189

5.5 – La confisca a carico dell’ ente: il rapporto tra la misura

ablatoria e la responsabilità del rappresentante dell’ ente

Giunti a questo punto, occorre soffermarsi su un ulteriore aspetto di interesse affrontato più volte dalla Suprema Corte, ovvero l’impossibilità di disporre la confisca nei confronti della persona fisica del rappresentante dell’ente, senza prima aver effettuato un accertamento preliminare sulla sussistenza, all’ interno del patrimonio aziendale, di denaro o altri beni fungibili direttamente riconducibili al profitto di reato. Secondo la dottrina, quest’ ultima considerazione viene giudicata coerente a livello di giustizia sostanziale, ma non è del tutto scontata se la si rapporta ai paradigmi del diritto penale. Le perplessità in ordine all’ apprensione dei beni dell’ ente derivano dalla circostanza che la persona giuridica è un soggetto formalmente distinto dall’ autore materiale del reato e, come tale, non può essere destinataria della misura ablatoria in assenza di una specifica previsione che fondi la responsabilità della persona giuridica. Tuttavia, non vi è chi non veda come le risorse liquide della società costituiscano, inevitabilmente il profitto del reato tributario, anche ove lo si intenda nel senso più ampio di risparmio di spesa. Pertanto il denaro non versato all’ erario diviene oggetto di confisca diretta quale profitto del reato. Trovandosi, tale denaro, nelle casse della società, la misura ablatoria diretta non può che essere disposta in capo a quest’ ultima, con la conseguenza che la misura ablatoria per equivalente, che abbia ad oggetto i beni del legale rappresentante, avrà luogo solamente a fronte dell’ impossibilità di apprendere il profitto del reato. Argomentando in tal senso si ammette la confiscabilità del patrimonio dell’ ente pur in assenza di un’ esplicita previsione legislativa relativa al settore penale-tributario, coerentemente con quanto affermato dalle Sezioni Unite nella sentenza “Gubert”. In quell’ occasione la Suprema Corte, oltre a specificare che l’ apprensione del denaro costituisce sempre confisca diretta, ha ammesso che la misura ablatoria a carico dell’ ente possa essere disposta anche rispetto ai reati tributari commessi dagli organi della persona giuridica. Il presupposto

190 argomentativo risiede in una lettura estensiva nell’ art. 6, comma 5, del d.lgs. n.231/2001, il quale prevede che “è comunque disposta la confisca

del profitto che l’ ente ha tratto dal reato, anche nella forma per equivalente”; la norma è stata intesa infatti alla stregua di un principio

valido anche rispetto a ipotesi di reato (quali gli illeciti penal-tributari) che non rientrano fra i reati presupposto della responsabilità dell’ ente ai sensi

del d.lgs. n. 231/2001. A riguardo, parte della dottrina370 ha manifestato

dubbi nel trarre un principio di carattere generale da una norma inserita in un settore a sé stante, come quello delineato dal d.lgs. n.231/2001. Ciò nonostante, l’ ammissibilità della confisca diretta nei confronti della persona giuridica è opinione oramai sostanzialmente condivisa. Ed infatti, anche la citata dottrina è giunta a riconoscere la possibilità di apprendere i beni della società, muovendo dalla diversa premessa che la persona giuridica, traendo profitto dalla commissione dell’ illecito tributario, non possa essere un soggetto estraneo al reato. Non altrettanto può dirsi per la configurabilità della confisca per equivalente in capo all’ ente. Sul punto, la sentenza “Gubert” specifica come la confisca di valore abbia ad oggetto unicamente i beni nella disponibilità del reo, potendosi configurare solo quando la società sia, essa stessa, responsabile del reato, ovvero rispetto ai reati presupposto del d.lgs. n. 231/2001. Assumendo una prospettiva di tipo oggettivo, si è invece ritenuto che il profitto del reato e i beni ad esso equivalenti debbano essere posti sullo stesso piano. Se la confisca diretta può avere ad oggetto il denaro dell’ ente, quale profitto del reato anche sotto forma di risparmio di spesa appare difficile negare l’ apprensione di altri beni facenti parte dello stesso patrimonio dell’ ente, per un valore pari al profitto stesso, quando la confisca diretta sia impossibile. La considerazione muove dal presupposto che l’ ente, beneficiando dei relativi vantaggi, non possa essere considerato un soggetto estraneo al reato. Ciò consentirebbe di ritenere configurabile anche la confisca per equivalente dei beni della società. Secondo questa tesi, nella stessa direzione

370 Cfr. M. ROMANO, Confisca, responsabilità degli enti, reati tributari, in

191 sembrerebbe porsi lo stesso art. 12-bis del d.lgs. n. 74/2000. Nonostante la prima parte della disposizione si riferisca al reo quale destinatario della misura ablatoria, al comma 2, individua il contribuente, quindi non più il reo, nel soggetto legittimato ad impegnarsi formalmente con l’ Erario. Qualora il contribuente fosse una persona giuridica, ad essa si dovrebbe riferire anche la prima parte della disposizione.