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Oculi speculum mentis: l’interazione tra giudizio di analogia e movimenti ocular

Nicole Dalia Cilìa Roma La Sapienza nicole.cilia@uniroma1.it Domenico Guastella Università di Messina domenico.guastella@met aintelligenze.it

Edoardo Lombardi Vallauri Università Roma Tre lombardi@uniroma3.it

Tra i modelli teorici sul funzionamento della mente umana quello dell'embodied cognition ha ricevuto molto interesse da parte delle scienze cognitive negli ultimi decenni (per una disamina completa si veda Shapiro 2011). Il proliferare di teorie, spesso contrastanti tra loro, ha generato confusione sulle risposte ad alcune tra le domande fondamentali: (1) movimenti e percezioni sono in grado di influenzare gli output cognitivi umani o le performance che li producono? (2) se i modelli basati sull'embodied cognition si rivelassero attendibili, quali ricadute applicative potrebbero avere sulla psicologia moderna e sui vari approcci terapeutici? (Anderson 2003; Adams 2010)

All'interno di tale ampio framework, questo lavoro si concentra su una funzione cognitiva di grande interesse: il riconoscimento dell’identità percettiva e funzionale tra oggetti (Gentner 1983), in relazione al movimento oculare, da sempre riconosciuto parte fondamentale nell’elaborazione dell’informazione (O’Regan et al.. 2001a).

A partire da Kokinov et al. (2009), ad esempio, è emersa una correlazione tra movimenti oculari e riordino spaziale impiegato in un analogical making task. I ricercatori sono arrivati alla conclusione che le persone simulino mentalmente il riassetto spaziale degli stimoli durante il processo di mapping, e che questo possa essere facilitato o rallentato da pattern di movimenti oculari.

Sulla base di tali assunzioni, un ulteriore studio (Guastella, Cilia 2014) ha indagato on-line – avendo cioè accesso diretto ai fenomeni di interesse, attraverso l’impiego di un eye-tracker – la risoluzione di alcune analogie su enunciati linguistici. L’esperimento, il cui obiettivo era individuare la presenza di specifici pattern di movimenti oculari a sostegno delle ipotesi di Kokinov (et al. 2009), ha visto impiegati stimoli composti da due frasi presentate contemporaneamente a video una sopra l'altra; le frasi potevano mostrare gli ordini dei costituenti allineati o disallineati tra loro (rispettivamente proponendo entrambe le frasi in forma attiva, oppure una attiva e una passiva). Questo, si suppone, induceva a simulare un’inversione nell’ordine di soggetto e verbo per facilitarsi il compito di mapping, qualora

una delle due frasi fosse in forma passiva. Il compito era inoltre suddiviso in tre task: (a) trial baseline (b) trial orizzontali (c) trial verticali. I trial orizzontali e verticali si distinguevano per la presenza di un distrattore, un punto che si muoveva orizzontalmente o verticalmente lungo lo schermo. Se il punto in movimento rispettava la direzione del riordino della frase il trial era considerato congruo, in caso contrario il trial era considerato non

congruo.

Lo studio ha confermato l’ipotesi secondo la quale il punto, muovendosi in direzione non congrua all’operazione di riordino, influenza negativamente le prestazioni cognitive. Le sequence similarity delle traiettorie oculari suggeriscono inoltre che la simulazione di riordino, inizialmente necessaria, diviene con l’apprendimento una strategia di supporto opzionale.

Questi risultati, sebbene siano un passo avanti per comprendere la relazione tra movimenti oculari e riconoscimento di identità semantiche, lasciano delle questioni aperte. In particolare, l’effetto che il movimento del punto ha sulla performance cognitiva non è stato isolato da quello che ha sull’operazione di riordino. Cioè non si è potuto assegnare un peso a ciascuna di queste componenti presa singolarmente. Si può solo dire che (rispetto all’assenza del punto e al suo movimento congruo) il movimento non congruo disturba il giudizio sull’analogia; ma non se lo faccia indirettamente perché ostacola il riordino, o anche agendo proprio direttamente sul giudizio.Per rispondere a tali domande, l’esperimento ora proposto si avvale di due task: nel primo entrambi gli oggetti di cui giudicare l’analogia sono presentati integri, e non richiedono un riordino (vedi es. Fig.1). Nel secondo la risoluzione dell’analogia richiede prima il riordino spaziale dei frammenti di uno degli oggetti.

Entrambi i compiti prevedono la comparsa degli stimoli posizionati in rapporto verticale o orizzontale lungo l’asse centrale dello schermo, cui si aggiunge il punto in movimento congruo o non congruo rispetto alla direzione del riordino, e viceversa rispetto alla direzione dell’analogia. Gli stimoli sono interamente composti da immagini, e il riconoscimento dell’analogia o meno è determinato dalla risposta alla domanda: “I due

Figura 1. Esempi di stimoli: - in alto a sx intero, analogo, verticale;

- in alto a dx intero, non analogo, orizzontale;

- in basso a sx da riordinare, analogo, orizzontale;

- in basso a dx da riordinare, non analogo, verticale.

in basso a dx da riordinare,

oggetti presenti in figura sono esempi della stessa cosa, che si designa con la stessa parola italiana, oppure no?”. Inoltre, utilizzando delle immagini è stato possibile strutturare il compito in modo tale che il riordino dello stimolo fosse anche verticale. In questo modo sarà possibile definire una congruità del movimento del punto rispetto all’operazione di riordino ma anche rispetto alla direttrice su cui si pongono le immagini, e che dunque l’attenzione dei soggetti deve percorrere per giungere al giudizio di analogia. L’esperimento include il doppio dei trial, che saranno interamente randomizzati; la velocità del punto sarà accresciuta.

Sarà dunque possibile stabilire le diverse influenze delle varie componenti sul funzionamento cognitivo del riconoscimento dell’identità. In particolare, si potrà evidenziare separatamente l’effetto della congruità del movimento del punto sul riordino da un lato, e sul riconoscimento dell’analogia dall’altro. Il tutto per convalidare l’ipotesi che il mapping analogico – e non solo il riordino – sia correlato ad azioni fisiche come, ad esempio, i movimenti oculari, e per precisare in che modo. Tale risultato andrà nella direzione delle seguenti risposte alle domande centrali di cui sopra: (1) i movimenti e le percezioni sono effettivamente in grado di influenzare le performance per produrre gli output cognitivi umani; e (2) considerata la centralità delle funzioni indagate, le ricadute applicative potrebbero riguardare sia l’ambito clinico e riabilitativo, sia quello ingegneristico. Bibliografia

Adams F. (2010), “Embodied Cognition”, in Phenom Cogn Sci, 9, 619– 628.Anderson M. (2003)

Embodied Cognition: A field guide” in Artificial

Intelligence, 149, 1, 91–130.

Gentner D. (1983), “Structure-mapping: A theoretical framework for analogy”, in Cognitive Science, 7, 155-170.

Guastella D., Cilia N. D. (2014), “Il corpo come strumento per le scienze cognitive: il mapping analogico e i movimenti oculari”, in Neascience, 1, 5, 222-226.

Kokinov B., Feldman V., Vankov I. (2009) “Is Analogical Mapping Embodied?” in Kokinov, B., Holyoak, K., Gentner, D. (eds.), New Frontiers in Analogy Research, NBU Press, Sofia, 258-268.

O’Regan J. K., Nöe A. (2001a), “A sensorimotor account of vision and visual consciousness”, in Behavioral and Brain Sciences, 24, 939–1031.

Shapiro L. (2011), Embodied cognition, New Problems of Philosophy, Routledge, New York.

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