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Ai sensi dell’articolo 37 bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, potevano formare oggetto di interpello disapplicativo tutte le norme tributarie che;

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prevedevano una limitata, assente o differita deducibilità di alcuni componenti negativi di reddito; [ ] 65

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non riconoscevano alcune detrazioni;

Si fa riferimento alle istanze concernenti il riporto delle perdite in caso di operazioni di fusione o

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non concedevano o limitavano l’utilizzo dei crediti d’imposta; [ ] 66

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non riconoscevano specifiche posizioni soggettive.

Lo scopo della normativa che limitata deduzioni e detrazioni era quello di evitare che il contribuente ponesse in essere determinati comportamenti che gli faccessero

conseguire vantaggi fiscali altrimenti indebiti (c.d. elusione).

Al contribuente era data quindi la facoltà di richiedere la disapplicazione di determinate norme e, allo stesso modo, l’istanza permetteva all’Amministrazione finanziaria di accertare e confermare che il comportamento posto in essere dall’istante fuoriuscisse dalla ratio delle disposizioni richiamate. Nell’istanza il contribuente doveva descrivere compitamente la fattispecie concreta per la quale riteneva non applicabili le disposizioni in oggetto, esponendo in modo chiaro ed esaustivo tutti gli elementi utili ad individuare le situazioni oggettive che giustificavano la

disapplicazione della norma elusiva. In sostanza, il contribuente doveva dimostrare che le sue operazioni non erano state poste in essere per ottenere un indebito vantaggio fiscale e con il solo scopo di aggirare le disposizioni antielusive.

Inoltre l’istanza, ai fini della sua ammissibilità, doveva contenere lo specifico riferimento della norma fiscale di cui il contribuente istante richiedeva la

disapplicazione in modo tale che l’Amministrazione finanziaria potesse circoscrivere il caso concreto prospettato dall’istante all’interno della ratio della norma antielusiva richiamata. Oltre a questo, era necessario che la norma richiamata avesse carattere fiscale (ovviamente con finalità antielusiva) e fosse finalizzata a conoscere il regime tributario da applicare al contribuente in relazione all’operazione che lui stesso avrebbe voluto porre in essere. [ ] 67

Ad esempio, la disciplina delle società di comodo prevede l’impossibilità di richiedere a rimborso il

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credito Iva risultante dalla dichiarazione annuale.

La circolare n. 98/E del 2000, richiamando la circolare n. 320/E del 1997, ha infatti previsto che “le

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disposizioni antielusive, previste dall’articolo 37 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, nei commi da 1 a 7, possono trovare applicazione soltanto con specifico riferimento al settore delle imposte sui redditi e sempre che sia stata effettuata una o più delle operazioni predeterminate, data la loro collocazione nell’ambito del D.P.R. n. 600 del 1973, contenente disposizioni in materia di accertamento delle imposte sui redditi”.

Da ciò se ne deduce che al contribuente non era data la facoltà di richiedere chiarimenti riguardanti il trattamento contabile, o l’inquadramento civilistico, di determinate questioni, a meno che tali chiarimenti non fossero necessari al fine di definire correttamente il regime fiscale da applicare, anche con riguardo alla risposta di interpello.

La circolare 98/E del 2000 però chiarì che “qualora una fattispecie costituisse oggetto di previsioni normative parallele, rispondenti alla stessa ratio antielusiva, quando sussista cioè una evidente e stretta connessione logica tra le norme tributarie diverse, il direttore regionale delle entrate, nel provvedere in ordine a istanze di

disapplicazione di norme riguardanti le imposte sui redditi, possa estendere l’esame anche ai fini tributari diversi”.

La circolare n. 14/E del 2007 affrontò invece l’ipotesi in cui il contribuente avesse presentato istanza di interpello disapplicativo che in realtà doveva essere qualificata come istanza di interpello ordinario ovvero come istanza di interpello antielusivo:

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nel caso in cui l’istanza dovesse essere qualificata come interpello ordinario e fosse stata spedita invece all’ufficio finanziario competente per l’accertamento e

indirizzata al direttore regionale (ai sensi del D.M. n. 259 del 1998), l’ufficio che riceveva l’istanza aveva l’onere di trattarla con la procedura appropriata

dell’interpello ordinario: l’istanza doveva esser inviata tempestivamente alla Direzione regionale e il termine di 120 giorni per la comunicazione della risposta sarebbe decorso dalla data di ricezione dell’istanza da parte dell’ufficio competente (trascorsi i 120 giorni senza che il contribuente abbia ricevuto risposta, si formerà il silenzio-assenso);

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nel caso in cui l’istanza avesse dovuto esser qualificata come interpello antielusivo, l’ufficio locale doveva inviare l’istanza stessa al direttore regionale e informare il contribuente che essa sarebbe stata trattata ai sensi della Legge n. 413 del 1991;

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in caso di errata qualificazione di interpello, sia esso ordinario o antielusivo, identificati come istanze di interpello ai sensi dell’articolo 37 bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e inviati al direttore regionale, le istanze venivano identificate secondo la loro corretta natura e trattate in base alle proprie specifiche procedure.

La medesima circolare previde inoltre ulteriori ipotesi di errata identificazione dell’istanza da parte del contribuente e, in particolare:

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se il contribuente spediva l’istanza di interpello disapplicativo, erroneamente considerata da lui come interpello ordinario, all’ufficio locale competente, sarebbe spettato allo stesso ufficio, una volta accertato l’errore, inviare l’istanza di interpello alla Direzione regionale. L’ufficio locale doveva informare il contribuente che tale istanza sarebbe stata trattata seguendo la procedura relativa all’interpello

disapplicativo per quanto riguarda l’esito della risposta e come istanza di interpello ordinario per quanto riguarda le condizioni di ammissibilità. La stessa situazione si sarebbe verificata qualora il contribuente avesse qualificato come antielusiva un’istanza di interpello a carattere invece disapplicativo (ai fini della trattazione veniva seguita la procedura relativa ex articolo 37 bis, per le condizioni di ammissibilità era invece trattata come istanza di interpello antielusivo);

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in caso di istanza di interpello, identificata come ordinaria o antielusiva, inviata al direttore regionale, essa sarebbe stata dichiarata inammissibile e, successivamente, spedita all’ufficio locale che avrebbe provveduto a redigere l’istruttoria di

competenza.

Sempre su questo tema, la circolare n. 32/E del 2010 affermò che, in mancanza di “identificazione del tipo di istanza (in particolare sei il contribuente richiede

espressamente una risposta all’interpello) e della specifica tipologia di interpello in relazione alla quale è richiesto il parere dell’Agenzia delle Entrate”, l’istanza doveva essere considerata inammissibile. Ad onor del vero, questa precisazione non chiariva se tale inammissibilità sarebbe stata sanata dall’ufficio locale o dalla Direzione regionale e se le procedure utilizzate per la trattazione fossero quelle competenti l’interpello disapplicativo, ordinario o antielusivo.