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I nuovi interpelli tributari: la revisione della disciplina in attuazione della legge delega n. 23 del 2014

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INDICE

INTRODUZIONE 6

CAPITOLO PRIMO: LA NORMATIVA SUGLI INTERPELLI ANTE

RIFORMA 11

Premessa 11

1. L’evoluzione storica dell’interpello tributario 15 1.1 La Legge n. 241 del 1990 nel diritto tributario 20

1.2 Lo Statuto dei diritti del contribuente 23

1.3 I rapporti tra Fisco e contribuente: collaborazione e legittimo affidamento 29

2. Gli interpelli tributari ante riforma 34

2.1 L’interpello ordinario 34

2.1.1 La presentazione dell’istanza 37

2.1.2 I requisiti dell’istanza 38

2.1.3 La risposta da parte dell’Agenzia 40

2.1.3.1 La natura della risposta 42

2.1.4 Effetti dell’interpello 43 2.1.5 La tutela giurisdizionale 45 2.2 L’interpello antielusivo 46 2.2.1 Ambito di applicazione 48 2.2.2 La preventività 49 2.2.3 Il procedimento 52 2.2.3.1 L’attività istruttoria 53

2.2.4 L’improcedibilità e l’inammissibilità delle istanze 55

2.2.5 Il parere: natura ed efficacia 57

2.2.6 La tutela giurisdizionale 62

2.3 L’interpello disapplicativo 65

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2.3.2 Inammissibilità dell’istanza 67

2.3.3 Oggetto dell’istanza 68

2.3.4 La documentazione 71

2.3.5 La risposta da parte del Direttore regionale 72 2.3.5.1 La natura della risposta 76 2.4 Interpello disapplicativo sulle società di comodo 77 2.4.1 Cenni alla disciplina delle società di comodo 77 2.4.2 La disapplicazione automatica della disciplina 79

2.4.3 L’interpello disapplicativo applicato alla disciplina delle società di comodo 82 3. La non impugnabilità delle risposte agli interpelli 84 CAPITOLO SECONDO: LE NUOVE FORME DI INTERPELLO 91 Premesse 91 1. La riforma fiscale 93

2. Il Decreto Legislativo n. 156 del 2015 98

2.1 La revisione della disciplina degli interpelli 100

3. Tipologie di istanze 101

3.1 Interpello ordinario 102

3.2 Interpello qualificatorio 104

3.3 Interpello probatorio 105

3.3.1 Interventi sugli interpelli spuri 106

3.3.2 Istanze presentate dagli enti creditizi 108

3.3.3 Istanza per la continuazione del consolidato 109

3.3.4 Istanza per la continuazione del consolidato mondiale 110

3.3.5 Istanze di interpello relative alle CFC 111

3.3.6 Istanza per le società di comodo 113

3.3.7 Istanza per il riconoscimento del beneficio ACE 114

3.4 Interpello antiabuso 116

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3.4.2 Problemi interpretativi 125

3.5 Interpello disapplicativo 128

4. Disciplina comune degli interpelli 128

4.1 La presentazione delle istanze 131

4.2 La predisposizione e l’invio delle istanze 132

4.3 Le istanze di interpello 133

4.3.1 Requisiti di natura estrinseca 135

4.3.2 Requisiti di natura intrinseca 136

5. Il procedimento di istruttoria dell’interpello e la regolarizzazione dell’istanza 139 5.1 La presentazione di documentazione integrativa spontanea e rinuncia 139

6. La risposta dell’amministrazione 140

6.1 Le risposte ad istanze inammissibili 144

6.2 La rettifica della risposta 145

6.3 La pubblicità delle risposte 146

6.4 Effetti della risposta 149

6.5 Effetti sul contenzioso della risposta all’interpello 154

6.5.1 L’impugnabilità della risposta all’interpello disapplicativo 156

6.5.2 L’impugnabilità del silenzio del soggetto interpellato 157

6.6 Profili sanzionatori 157

CONCLUSIONI 162

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INTRODUZIONE

Con il termine ‘interpello’ si intende un’istanza che il contribuente rivolge all’Agenzia delle Entrate, prima di attuare un comportamento fiscalmente rilevante, per ottenere chiarimenti in relazione a un caso concreto e personale in merito all’interpretazione, all’applicazione o alla disapplicazione di norme di legge di varia natura relative a tributi erariali.

L’interpello ha acquisito crescente fortuna nel corso degli anni successivi alla sua introduzione grazie anche, e soprattutto, alla sua attitudine a rimuovere

preventivamente le possibili cause interpretative di opposizione tra contribuenti e Fisco. Tale strumento riveste infatti il doppio ruolo di ‘aiuto’ sia per il contribuente, aiutandolo a muoversi all’interno della materia tributaria, spesso poco chiara e ricca di tecnicismi ai più poco comprensibili, sia per la stessa Amministrazione finanziaria, la quale vede ridursi il numero di controversie e ottiene così un notevole risparmio in termini di tempo e risorse impiegati nell’attività istruttoria e di accertamento.

Ovviamente non si tratta di uno strumento idoneo a togliere di mezzo la totalità delle controversie tra Fisco e contribuenti ma sicuramente l’effetto immediato è quello di evitare problemi derivanti da possibili errori interpretativi, ovvero da un disaccordo tra la lettura della norma fornita dal Fisco e quella portata avanti dal contribuente.

In generale, il comportamento prospettato dal contribuente sulla base della sua personale interpretazione risulta vantaggioso sotto il profilo sostanziale, compresi i vari adempimenti tributari ad esso correlati, e proprio in relazione a tale

interpretazione, lo stesso chiede un parere preventivo all’Amministrazione finanziaria: in caso di risposta favorevole, gli uffici non potranno accertare né sanzionare il

contribuente interpellante contestandone il comportamento posto in essere. Quanto detto fino ad ora risulta esser vero soprattutto per l’interpello ordinario,

individuato nell’articolo 11 della Legge 27 luglio 2000, n. 212, mentre le altre forme di dialogo tra contribuenti e Fisco hanno invece finalità riguardanti la disapplicazione di disposizioni normative sfavorevoli, laddove vi siano i presupposti normativamente previsti per farlo.

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L’interpello è nato in Italia come procedura speciale in tema di contrasto all’elusione fiscale ed è stato poi generalizzato con la suddetta Legge n. 212 del 2000, meglio nota come Statuto dei diritti del contribuente.

In particolare, in epoca anteriore alla riforma fiscale del 2014/2015, era possibile suddividere gli interpelli in quattro tipologie generali:

-

interpello ordinario, volto all’interpretazione di disposizioni giuridiche tributarie;

-

interpello antielusivo, finalizzato ad escludere il carattere elusivo di atti, fatti e operazioni;

-

interpello probatorio, orientato a comprovare determinate fattispecie al fine di escludere l’applicazione di norme di sfavore;

-

interpello disapplicativo, finalizzato ad ottenere la disapplicazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, di norme antielusive specifiche.

Attraverso la legge delega 11 marzo 2014, n. 23, il Legislatore ha inteso attuare un’importante riforma del sistema tributario, riforma orientata ad assicurare la tendenziale uniformità della disciplina riguardante le obbligazioni tributarie, il coordinamento delle discipline riguardanti gli obblighi contabili e dichiarativi e la coerenza e uniformità dei poteri di accertamento, pur assicurando la stabilità del gettito fiscale.

Tra le varie disposizioni contenute nella legge delega, l’articolo 5 ha in particolare previsto la revisione delle disposizioni antielusive con il fine di armonizzarle con il più generale divieto di abuso del diritto, sulla base dei seguenti principi:

-

definizione di condotta abusiva, intesa come “uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d’imposta, ancorchè tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione”;

-

garanzia della libertà di scelta del contribuente tra le diverse operazioni da cui può derivare anche un diverso carico fiscale, considerando abusiva l’operazione

effettuata con l’intento prevalente di ottenere indebiti vantaggi fiscali e, di conseguenza, non abusiva l’operazione giustificata da ragioni extrafiscali non marginali, quali le esigenze di natura organizzativa o di miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda, anche in assenza di una redditività immediata;

(8)

-

inopponibilità della condotta abusiva dell’Amministrazione finanziaria che può disconoscere il relativo risparmio d’imposta;

-

disciplina del regime della prova in base al quale il Fisco ha l’onere di provare il disegno abusivo e le modalità di manipolazione e alterazione degli strumenti giuridici utilizzati e la loro non conformità ad una normale logica di mercato, mentre il contribuente ha l’onere di dimostrare l’esistenza delle valide ragioni extrafiscali che hanno giustificato il suo comportamento;

-

individuazione formale e puntuale della condotta abusiva nella motivazione dell’accertamento, a pena di nullità dello stesso;

-

previsione di specifiche regole procedimentali per garantire un efficace

contraddittorio con l’Amministrazione e la salvaguardia del diritto di difesa in ogni fase dell’accertamento.

Questa riformulazione del concetto di elusività si riflette sulla disciplina degli interpelli, coinvolgendo sia l’interpello antielusivo, sia quello disapplicativo, sia le altre tipologie di interpello.

Inoltre, l’articolo 6, comma 6, della legge delega ha previsto l’introduzione di disposizioni per la revisione generale della disciplina degli interpelli, al fine di garantirne una maggiore omogeneità e, di conseguenza, una migliore tutela

giurisdizionale, oltre ad una maggiore tempestività nella redazione dei pareri, anche grazie all’eliminazione delle forme di interpello obbligatorio non produttive di benefici ma comportanti solo aggravi per l’Amministrazione finanziaria e per i contribuenti stessi.

Sono perciò individuabili cinque diverse tipologie di interpelli:

-

interpello ordinario, volto ad ottenere un parere nel caso in cui sussistano obiettive condizioni di incertezza interpretativa in relazione all’applicazione delle norme a casi concreti e personali;

-

interpello qualificatorio, al fine di ottenere un parere sulla corretta qualificazione delle fattispecie in presenza di obiettive condizioni di incertezza alla luce delle disposizioni tributarie applicabili;

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-

interpello probatorio, volto ad ottenere un parere sulla sussistenza delle condizioni o sulla idoneità degli elementi probatori offerti dal contribuente ai fini dell’adozione di un determinato regime fiscale;

-

interpello antiabuso, volto ad ottenere un parere sul carattere abusivo/elusivo [ ] di 1

un determinato comportamento;

-

interpello disapplicativo, al fine di ottenere un parere in ordine alla sussistenza delle condizioni che legittimano la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive del soggetto passivo.

Esistono inoltre ulteriori tipologie di interpello, subordinate a quelle ‘principali’ di cui alcune già presenti nell’ordinamento, ad esempio gli interpelli in materia di società non operative [ ] e alcune di nuova introduzione, come l’interpello sui nuovi 2

investimenti, previsto dal decreto internazionalizzazione.

Questa breve e sintetica premessa serve ad introdurre e meglio comprendere lo scopo di questo elaborato, che consiste essenzialmente nell’analisi della riforma dell’istituto dell’interpello tributario anche attraverso un confronto con la disciplina previgente, al fine di meglio capirne la portata, quali aspetti sono stati migliorati e quali invece devono ancora esser oggetto di un ulteriore intervento da parte del legislatore.. Nel primo capitolo verranno infatti analizzate le forme di interpello antecedenti alla riforma, compresi alcuni cenni storici che risalgono alla metà degli anni ’80, periodo in cui si è iniziato a parlare nel nostro Paese delle prime forme di ‘ruling’. Solo

attraverso una chiara comprensione di ciò da cui si è partiti è possibile capire il motivo per cui il legislatore ha sentito la necessità di intervenire in questa materia.

La riforma si occupa anche di ridefinire il concetto di elusione paragonandola non più ad una

1

‘sottocategoria’ del fenomeno evasivo ma ‘declassandola’ ad ipotesi di abuso del diritto. Tale

intervento da parte del legislatore riformante verrà analizzato più nel dettaglio nel secondo capitolo di questo elaborato.

Tipologia che, a seguito della riforma, transita dall’ambito antielusivo a quello probatorio.

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Il secondo capitolo, che rappresenta il cuore dell’elaborato, proporrà invece un’accurata analisi del rinnovato istituto soffermandosi su alcuni concetti basilari, fornendo un’ampia visione di come si sia data attuazione alla riforma voluta dal legislatore.

Lo scopo ultimo è quello di andare a capire come il legislatore riformante ha voluto porre rimedio alle criticità della disciplina degli interpelli e quali risultati egli abbia ottenuto. Ciò ci permetterà anche di poter dare un giudizio alla riforma messa in atto e evidenziare quei punti critici che ancora necessitano di un intervento normativo.

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CAPITOLO PRIMO

LA NORMATIVA SUGLI INTERPELLI ANTE RIFORMA Premessa

I principi generali del sistema tributario italiano sono contenuti in due disposizioni, gli articoli 23 e 53 della Costituzione, dalla cui lettura è possibile individuare 4 principi fondamentali. Il primo riguarda la legalità dell’imposta: nel nostro ordinamento, infatti, l’imposizione fiscale può esser istituita solamente per legge [ ] nel rispetto del 3

principio generale della certezza del tributo, per il quale un’imposta non può esser introdotta in modo arbitrario. Il secondo principio può esser definito ‘universalità dell’imposizione’, essendo ciascun cittadino tenuto a contribuire alle spese pubbliche nel rispetto del terzo principio di ‘equità del carico fiscale’, ossia del fatto che la contribuzione alle spese pubbliche debba esser rapportata in funzione della capacità contributiva di ciascun contribuente. Il quarto principio riguarda la proporzionalità dell’imposta consistente nel far crescere in maniera proporzionale l’imposizione fiscale all’aumentare della capacità contributiva del contribuente.

A conferma di quanto detto, l’articolo 53 della Costituzione dispone che “tutti i cittadini sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e che “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. Questo articolo non a caso è inserito tra il dovere di difendere la Patria (articolo 52) e il dovere di fedeltà alla Repubblica (articolo 54): il dovere di concorrere alle spese pubbliche rappresenta perciò uno dei “doveri inderogabili di solidarietà politica,

L’art. 23 della Costituzione asserisce che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere

3

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economica e sociale” sanciti dall’articolo 2 della Costituzione. Ne deriva, quindi, che l’evasione fiscale rappresenta una grave patologia di questo vincolo di lealtà che lega tra loro i cittadini e comporta la violazione dello stesso articolo 2, una violazione dei doveri in esso sanciti sui quali si fonda una convivenza civile basata sui valori di libertà individuale e giustizia sociale. [ ] 4

Fuoriuscendo da una lettura strettamente letterale delle norme, da quanto detto è possibile ricavare uno dei capisaldi del nostro sistema tributario secondo il quale il singolo è tenuto a contribuire alle spese pubbliche non tanto relativamente a quanto ricevuto in cambio dallo Stato ma quanto alla propria capacità contributiva. Ciò significa che il tributo richiesto dallo Stato non ha meramente fini fiscali ma, al contrario, la sua funzione si estende al di fuori della cosiddetta ‘finanza neutrale’: il tributo diventa un mezzo di attuazione del principio di solidarietà ed è lo strumento principale attraverso il quale lo Stato può adempiere e finanziare quei fini sociali che la Costituzione assegna alla Repubblica come doveri primari.

Tra questi adempimenti, infatti, non c’è la sola garanzia del libero svolgimento della vita economica e sociale ma è previsto che lo Stato debba “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” [ ] oltre alla rimozione 5

di “ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica” .[ ] 6

Le funzioni del tributo, quindi, passano dal campo fiscale a quello extra fiscale, come ad esempio è possibile individuare una funzione redistributiva, in solidarietà di

categorie e zone svantaggiate; finalità di tipo incentivo, o disincentivo, di attività economiche o di particolare consumi ecc. La struttura ordinaria del tributo viene così modificata in vista dello scopo politico che si vuole raggiungere: la funzione di disincentivo è impiegata perlopiù per scoraggiare determinati consumi e determinate importazioni senza vietarle del tutto e viene realizzata in concreto con un inasprimento della tassazione; la funzione di incentivo è applicabile a numerosi settori economici o

Corte Costituzionale, 18 febbraio 1992, n. 51

4

Articolo 3, Costituzione della Repubblica Italiana

5

Articolo 117, Costituzione della Repubblica Italiana

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a categorie di soggetti che si intendono favorire e può essere realizzata in vari modi, attraverso agevolazioni, esenzioni o regimi sostitutivi. Anche l’imposizione extra fiscale deve comunque rispettare il principio di capacità contributiva, in quanto, pur essendo predisposta al conseguimento di scopi non tributari, essa deve assumere come presupposto un fatto economicamente rilevante.

Il rischio sarebbe altrimenti quello di favorire determinati soggetti a danno di altri contribuenti. Per questo è giusto stabilire che il sistema tributario italiano, seppur costituito da una serie di norme contenute in varie fonti tra loro talvolta in disaccordo, debba seguire come linea guida fondamentale il suddetto principio contenuto

all’articolo 53 della Costituzione.

È infatti importante affermare come il diritto tributario, inteso come quel complesso di norme che regolano la ripartizione delle spese dello Stato in modo tale da garantire quegli adempimenti già sopra evidenziati, faccia sì che l’imposizione in capo al contribuente avvenga in maniera corretta e rispettosa dei propri diritti e doveri. Se da una parte il cittadino è tutelato dai principi sanciti nella Costituzione, dall’altro lato è importante precisare che il sistema impositivo italiano si basa

sull’autodichiarazione o, detto in maniera più chiara e meno sintetica, il modello seguito per l’attuazione delle leggi d’imposta è un modello standard affidato in prima battuta al contribuente stesso che ha obblighi di contabilità, liquidazione, versamento e dichiarazione del tributo. Lo schema di attuazione delle leggi tributarie si basa quindi su un modello che non prevede l’intervento dell’Amministrazione Finanziaria se non in una eventuale fase successiva, avendo infatti il compito di accertare il tributo non dichiarato e riscuotere le somme non versate.

Sta di fatto che ogni cittadino, avendone la possibilità e il diritto, cerchi di ridurre al minimo il proprio carico fiscale scegliendo il regime fiscale a lui più vantaggioso, diritto che non diventa più tale nel momento in cui il comportamento adottato va contro la legge e non rispetta i principi di base costituzionalmente garantiti. Questi comportamenti non del tutto corretti costringono il legislatore tributario a tenersi costantemente aggiornato introducendo norme che impediscono al contribuente di

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porre in essere comportamenti evasivi ed elusivi. [ ] Queste norme permettono di 7

ridurre le possibilità che un contribuente riesca ad aggirare le disposizioni che impongono in capo allo stesso una obbligazione tributaria o, allo stesso modo, permettano al soggetto di dedurre componenti negativi al solo fine di ottenere un risparmio fiscale. L’azione del legislatore finalizzata a contrastare l’evasione e

l’elusione fiscale deve però esser perfettamente centellinata e mirata al fine di evitare che la lotta ai fenomeni elusivi ed evasivi incida sul principio di equità contributiva sopra richiamato, provocando ai contribuenti ‘in bonis’ un danno uguale, se non maggiore, rispetto a quello che da loro sarebbe sostenuto in caso di evasione da parte di alcuni soggetti ‘in mala fede’.

Allo stesso modo, il medesimo problema riguardante la violazione di equità si ha in presenza di norme di favore, intese come norme che derogano al regime ordinario e derivano da scelte legislative discrezionali. Il legislatore, così come riduce la

possibilità del contribuente di scegliere il regime fiscale a lui più favorevole, può

Con il termine "evasione fiscale" indichiamo tutti quei comportamenti messi in atto con l'obiettivo di

7

non pagare una parte delle tasse o di evitare completamente di pagarle. Si tratta di azioni concrete che mirano a evitare, del tutto o in parte, il prelievo fiscale e contributivo da parte dello Stato. Questo tipo di comportamenti avvengono in violazione della legge, in quanto volti a evitare il prelievo fiscale dello Stato, indispensabile per fornire servizi efficienti ai cittadini. L'evasione fiscale, infatti, aumenta l'indebitamento pubblico e causa un maggiore pressione fiscale sui cittadini che pagano normalmente le tasse.

Si ha invece “elusione fiscale” quando il contribuente, al fine di perseguire i medesimo obiettivi realizzabili evadendo l’obbligazione tributaria, sfrutta le lacune della disciplina relativa ad una determinata fattispecie ottenendo, di conseguenza, vantaggi fiscali altrimenti non dovuti.

È bene precisare che l’elusione avviene comunque all’interno dello schema legale, non comportando una violazione della disciplina ma un suo abuso. Tant’è che con la riforma che si è avuta nel 2015, le fattispecie di elusione fiscale contenute all’articolo 37 bis del D.P.R. n. 600 del 1973 sono state traslate nel nuovo articolo 10 bis della Legge n. 212 del 2000 unificandole così con la disciplina dell’abuso del diritto.

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anche concedergli agevolazioni, se ciò risponde a scopi costituzionalmente garantiti. [ ] 8

Al fine di evitare che le norme introdotte dal legislatore per colpire e disincentivare i comportamenti di ‘mala fede’ danneggino i soggetti in ‘buona fede’ è previsto dal nostro ordinamento uno strumento a favore del contribuente che permetta a

quest’ultimo di consultare l’Amministrazione finanziaria ogni volta in cui sorga un dubbio circa l’applicazione di una determinata norma ad una fattispecie che lo stesso contribuente è ha intenzione di porre in essere.

Questo strumento è l’interpello.

1. L’EVOLUZIONE STORICA DELL’INTERPELLO TRIBUTARIO

Con il termine ‘ruling’, di derivazione anglosassone, si intendono 2 tipi di procedimenti: il primo è volto a consentire al contribuente di ottenere, in via

preventiva, il parere dell’organo fiscale circa fattispecie non facilmente qualificabili dal punto di vista impositivo o su norme di non facile interpretazione in relazione a determinati casi concreti; il secondo consiste nell’individuazione di una soluzione, condivisa tra il contribuente ed il fisco, riguardo l’attuazione di rapporti tributari al fine di prevenire eventuali future controversie.

Si pensi ad esempio ad agevolazioni fiscali per quei territori colpiti da calamità naturali o al ricorso

8

allo strumento del condono fiscale.

Nel primo caso, infatti, la deroga al principio di capacità contributiva è giustificata dallo stato di emergenza e il fine preposto è quello di evitare di gravare con determinate imposte su soggetti che non hanno momentaneamente la possibilità di adempiere alle proprie obbligazioni tributarie (sempre rispettando il principio costituzionalmente garantito di solidarietà).

Nel secondo caso, seppur più controverso e non da tutti accettato, la giustificazione alla deroga è stata rinvenuta nell’effetto immediato che si ottiene con il condono. Si pensa infatti che a livello di

ripercussioni, dal punto di vista del prelievo, sulla massa dei contribuenti, sia meglio riscuotere anche una minima parte di quanto un soggetto in mala fede deve allo Stato piuttosto che aprire un

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Un primo esempio di ‘ruling’ è stato introdotto nel nostro ordinamento con la Legge 30 dicembre 1991, n. 413, la quale ha aiutato ad integrare alcuni meccanismi di

partecipazione dei cittadini all’azione amministrativa e permettere loro di accedere agli atti emanati dall’Amministrazione finanziaria.

La partecipazione di un soggetto al procedimento amministrativo garantisce il perseguimento di determinati obiettivi, come ad esempio:

-

attuazione del principio di democratizzazione dell’attività amministrativa;

-

consentire alla Pubblica Amministrazione di tenere presenti, nell’esercizi dei suoi poteri, elementi che prima non avrebbe considerato;

-

limitare il contenzioso giurisdizionale mediante l’attività propositiva e di collaborazione dei partecipanti;

-

realizzare il principio della trasparenza amministrativa; [ ] 9

-

possibilità per il cittadino di far valere le proprie ragioni a tutela e preventiva garanzia di interessi legittimi e diritti soggettivi.

Tale legge, anche se in prima battuta escludeva l’applicazione ai procedimenti tributari delle disposizioni relative alla partecipazione dei cittadini al procedimento

amministrativo, ha dato comunque impulso all’estensione dei principi di trasparenza, diritto all’informazione, tutela dell’affidamento e buona fede anche al settore fiscale, con la finalità di risanare la crisi della fiscalità italiana. La fase conclusiva di questo iter si avrà con l’introduzione della Legge 27 luglio 2000, n.212 meglio nota come Statuto dei diritti del contribuente, la quale riesce a realizzare un nuovo equilibrio tra la posizione dell’ente impositore e quella del soggetto passivo, mediante la previsione di un’ampia regolamentazione dell’istituto dell’interpello ordinario, basato sul ‘tax ruling’ anglosassone.

Il principio di trasparenza è stato formalizzato nel nostro ordinamento con la Legge n. 15 del 2005 la

9

quale stabilisce l’obbligo per tutte le Pubbliche Amministrazioni di rendere visibile e controllabile all’esterno il proprio operato. Inoltre, oltre a questo onere di conoscibilità dell’azione amministrativa si aggiunge un ulteriore obbligo, seppur indiretto, di motivazione del provvedimento amministrativo. La trasparenza di concretizza con alcuni istituti giuridici tipici del diritto amministrativo come il responsabile del procedimento, gli uffici di relazione con il pubblico e la comunicazione dell’avvio del procedimento e del provvedimento amministrativo.

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Ad ogni modo, la data di riferimento dalla quale si è iniziato a parlare di ‘ruling’ in Italia è il 1991.

In particolare, l’istituto individuato all’articolo 21 della Legge n. 413 del 1991 è stato un primo esempio di ‘ruling’, inteso come procedimento diretto a far conseguire al contribuente un parere qualificato dell’Amministrazione finanziaria. L’articolo 21 fu diretta espressione della volontà del legislatore di permettere al contribuente di conoscere il parere dell’Amministrazione finanziaria in relazione al determinate vicende al fine di agire serenamente, nel caso in cui il parere sia positivo, oppure, in caso di parere negativo, per evitare di subire contestazioni.

La ragione che ha portato all’inserimento di una normativa di ‘ruling’ all’interno del nostro ordinamento, oltre a quelle già riportate, è individuata nella precedente

introduzione di una disciplina antielusiva [ ]. Il ‘ruling’ rappresentava quindi uno 10

strumento di reazione a tale normativa, una contromisura con la quale il contribuente poteva contrastare la portata della disciplina antielusiva, ottenendo così una certezza sui risvolti tributari delle operazioni societarie effettuate. Inoltre, con la stessa Legge n. 413 del 1991 è stato previsto il divieto, a fini antielusivi, di deduzione dei costi

addebitati alle imprese italiane da soggetti residenti in Stati a fiscalità privilegiata che li controllavano o da esse erano controllati.

Con questo tipo di interpello al contribuente era data infatti la possibilità di richiedere “la corretta qualificazione di atti, fatti e negozi che potrebbero comportare

l’applicazione dell’articolo 37 bis, comma 3, del D.P.R. n. 600 del 1973; la corretta qualificazione di costi in materia di pubblicità, propaganda e di rappresentanza; di disapplicare la norma sui costi Black List di cui all’articolo 110 del TUIR,

dimostrando la sussistenza di elementi che non fanno rientrare il contribuente all’interno della fattispecie impositiva”.

In poche parole e alla luce di quanto detto, è chiaro come il ‘ruling’ non sia stato introdotto come conseguenza della riforma del procedimento amministrativo e a

L’articolo 10 della Legge 29 dicembre 1990, n. 408, ha permesso all’Amministrazione finanziaria di

10

disconoscere gli effetti derivanti da operazioni societarie ben individuate (come ad esempio la fusione) poste in essere “senza valide ragioni economiche e allo scopo di ottenere fraudolentemente un

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garanzia della partecipazione del cittadino all’azione amministrativa ma

semplicemente come strumento fiscale di contrasto ad una disciplina antielusiva ben precisa. [ ] 11

In questo primo strumento di ‘ruling’ è pero individuabile una matrice che ha guidato e permesso la nascita delle forme di interpello oggi esistenti e fruibili dal contribuente. Nelle fasi immediatamente successive alla sua introduzione, infatti, si è assistito ad un ampliamento della sfera di operatività, come sintomo di una necessità sempre più impellente di tutelare ed esaltare i principi di trasparenza e affidamento che rappresentano il fondamento di tale istituto e dalla consapevolezza che oltre a

rappresentare un aiuto per il contribuente, l’interpello possa agevolare anche l’azione dell’Amministrazione finanziaria.

Il Fisco ha infatti notato che la lotta all’evasione non doveva essere attuata con norme restrittive e vincolanti per il contribuente anche perché risulterebbe sempre più difficile per il legislatore tenere il passo del continuo proliferare di fenomeni evasivi ed elusivi. Per agevolare quindi l’attività amministrativa si è ritenuto corretto e funzionale, anche sulla scia dei vari istituti presenti negli ordinamenti stranieri, puntare sulla

collaborazione e fedeltà tra Amministrazione finanziaria e contribuente proprio per rendere il prelievo fiscale più agevole e dotare il soggetto passivo dell’obbligazione di una propria coscienza e conoscenza all’interno dell’azione eseguita dal Fisco.

Da questa prima scintilla si è arrivati alla Legge n. 212 del 2000, la quale affonda le sue radici proprio nell’articolo 21 della Legge n. 413 del 1991: è nello Statuto dei diritti del contribuente che si usa per la prima volta il termine ‘interpello’ [ ]. 12

A partire dallo stesso periodo sono stati introdotti altri istituti come l’autotutela, la conciliazione

11

giudiziale, l’accertamento con adesione e il ravvedimento operoso

Il termine ‘interpello’ sarà poi utilizzato per qualificare anche le istanze presentate ai sensi dello

12

stesso articolo 21 della Legge n. 413 del 1991 e dell’articolo 37 bis, comma 8, del D.P.R. n. 600 del 1973, distinguendoli rispettivamente come interpello ‘speciale’ e interpello ‘disapplicativo’. Lo stesso articolo 11 dello Statuto, al comma 6, pone la distinzione tra l’interpello speciale e quello ordinario prevedendo il fatto che “resta fermo quanto previsto dall'articolo 21 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, relativo all'interpello della amministrazione finanziaria da parte dei contribuenti” facendo intuire il carattere distinto delle due discipline.

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In verità occorre precisare che già un primo esempio di partecipazione all’operato dell’Amministrazione finanziaria da parte del contribuente in contraddittorio, è rinvenibile nell’articolo 2 della Legge n. 17 del 1985, il quale articolo prevede

l’obbligo per l’Amministrazione di inviare una richiesta di chiarimenti al contribuente prima dell’emanazione dell’atto di accertamento, a pena di illegittimità di

quest’ultimo. Si tratta niente meno che di una possibilità per il contribuente di intervenire in via difensiva e consentire un contraddittorio utile ad evitare

un’imposizione basata esclusivamente su indici di ricchezza presunta. Tale obbligo di richiesta di chiarimenti era infatti previsto esclusivamente se l’accertamento si fosse basato su coefficienti calcolati presuntivamente.[ ] 13

Altro tipo di tutela per il contribuente è quello previsto all’articolo 36 bis, comma 3, e all’articolo 36 ter, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, ove è previsto l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di comunicare al contribuente, o al sostituto d’imposta, l’esito della liquidazione o del controllo formale, se risultano diversi da quelli

dichiarati, attribuendo loro la facoltà di fornite i chiarimenti necessari entro 30 giorni successivi al ricevimento della comunicazione. Si tratta di una facoltà attribuita al contribuente a garanzia dei principi garantiti dagli articoli 24, 53 e 111 della

Costituzione, e non di obblighi, in quanto, se fosse tali, si verrebbero a delineare delle prestazioni personali limitative della libera determinazione dell’imposta da parte del soggetto e sicuramente non coerenti con la finalità ultima del principio del

contraddittorio.

Da quanto detto è possibile affermare che nel corso del tempo abbiamo assistito ad un deciso ampliamento, nel campo del diritto tributario, degli strumenti di tutela messi a disposizione del contribuente. Questi strumenti si caratterizzano sia per la maggior partecipazione concessa al contribuente nella fase dell’attuazione del rapporto d’imposta, sia per la piena realizzazione del principio del contraddittorio.

Così come previsto nella circolare n. 101/E del 1999 contenente disposizioni circa l’attuazione

13

(20)

Per meglio capire come si è arrivati all’introduzione nel nostro ordinamento tributario dello Statuto dei diritti del contribuente occorre fare un passo indietro e fornire una breve panoramica su come il rapporto tra Pubblica amministrazione e cittadino fosse regolato anteriormente all’introduzione di suddetta legge.

1.1 LA LEGGE N. 241 DEL 1990 NEL DIRITTO TRIBUTARIO

Con l’espressione ‘procedimento amministrativo’ si intende l’insieme di atti, fatti ed attività, collegati tra loro, che concorrono allo scopo comune di emanazione di un provvedimento amministrativo.

Fino alla fine del secolo scorso tale espressione mancava di una sua concretizzazione attraverso una legge ad hoc che lo disciplinasse in ogni particolare ma, più in generale, la disciplina contenente le modalità di svolgimento del procedimento stesso rimaneva pura teoria rilasciata alla prassi amministrativa. Infatti, secondo la dottrina prevalente, il procedimento amministrativo doveva seguire varie fasi cronologicamente suddivise tra loro:

-

fase di iniziativa, in cui il procedimento amministrativo viene avviato, d’ufficio o su istanza di parte;

-

fase istruttoria, nella quale l’organo interessato della Pubblica amministrazione raccoglie tutti gli elementi necessari ai fini di poter emettere una decisione circa la questione che ha avviato il procedimento;

-

fase decisoria, in cui l’Amministrazione redige il provvedimento conclusivo sulla base degli elementi ottenuti nella fase precedente;

-

fase integrativa dell’efficacia, nella quale vengono svolte le attività necessarie a far sì che il provvedimento emesso diventi efficace, cioè capace di produrre gli effetti giuridici per i quali è stato redatto.

Si è sentita la necessità di formulare una legge che regolasse per iscritto le varie fasi sopra elencate anche, e soprattutto, per tutelare il soggetto privato e renderlo

(21)

possa relazionarsi con essa. Questo perché il procedimento amministrativo ha lo scopo di soddisfare alcune esigenze come:

-

rendere evidenti le modalità decisionali della Pubblica amministrazione per perseguire l’interesse pubblico;

-

individuare in maniera chiara quali sono i passaggi che portano alla decisione finale al fine di agevolare anche l’eventuale decisione da parte del giudice amministrativo, il quale potrà, oltre a valutare in maniera oggettiva il provvedimento finale,

comparare l’intero iter seguito nello specifico caso con quello che la Pubblica amministrazione segue per tutti gli altri atti;

-

palesare le norme giuridiche alle quali è soggetta l’amministrazione nello svolgimento delle proprie attività;

-

configurare il procedimento in modo tale da permettere di far luce sugli elementi discrezionali sui quali si è basata la decisione della Pubblica amministrazione così anche da rendere partecipe il soggetto passivo dell’atto e permettere allo stesso di avere chiarimenti a riguardo.

È qua che si inserisce l’intervento del legislatore che, con la Legge n. 241 del 1990, tenta, e in buona parte riesce, a colmare la lacuna normativa che fino a quel periodo colpiva il procedimento amministrativo.

La legge in esame si ispira ai principi contenuti nell’articolo 97 della Costituzione [ ] 14

fissando e applicando gli stessi direttamente al procedimento, in particolare:

-

principio del giusto procedimento;

-

principio di trasparenza;

-

principio di semplificazione.

Gli ultimi due principi elencati sono quelli che, al fine dell’elaborato, più ci

interessano in quanto il primo obbliga l’amministrazione a motivare gli atti che emana, oltre a consentire l’accesso ai documenti oggetto del procedimento; il secondo, invece, come riflesso del principio di buona amministrazione contenuto nell’articolo 97 della

L’articolo 97 della Costituzione dispone che “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni

14

di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.”

(22)

Costituzione, introduce e concretizza alcuni istituti come ad esempio quello del silenzio-assenso.

I principi introdotti con la Legge n. 241 del 1990 sono i fondamenti sui quali vengono poi stabilite le regole generali di svolgimento del procedimento amministrativo. Il procedimento deve infatti seguire le regole di economicità, efficacia, pubblicità e trasparenza (posti all’articolo 1 della legge) secondo le quali l’azione amministrativa deve essere svolta ponderando i poteri in base al rapporto mezzi/fine per evitare un’eccessivo spreco di risorse (economicità ed efficacia) e creando un rapporto di correttezza, rispetto e fiducia con il soggetto privato per ridurre il contenzioso (pubblicità e trasparenza).

La legge in questione ha quindi disposto in maniera inequivocabile il principio fondamentale di partecipazione del privato al procedimento amministrativo e,

scendendo nell’ambito del diritto tributario, lo stesso principio coinvolge determinate situazioni ben specificate, quindi perdendo la sua caratteristica di generalità. [ ] 15

È chiaro come in questa fase iniziale la forma di partecipazione del cittadino all’azione amministrativa si limitasse solamente alla difesa della propria posizione giuridica, in quanto l’unica forma di comunicazione tra privato e Pubblica amministrazione consisteva nella richiesta di chiarimenti circa l’operato di quest’ultima, assumendo quindi le caratteristiche di un canale di comunicazione univoco nel quale

l’amministrazione si limitava solamente a rispondere se interpellata da contribuente. [ ] Solo con l’introduzione dello Statuto dei diritti del contribuente si avrà 16

L’articolo 13 della Legge n. 241 del 1990 esclude espressamente che in materia tributaria si

15

applichino le norme in tema di partecipazione del privato al procedimento e le norme in tema di accesso. Restano applicabili invece le norme in tema di motivazione degli atti, di durata del

procedimento e di individuazione del responsabile del procedimento, così come prevede lo Statuto dei diritti del contribuente.

La precedente Legge n. 17 del 1985, la c.d. Visentini ter, aveva introdotto, all’articolo 2, l’obbligo

16

per l’Amministrazione finanziaria di richiedere chiarimenti circa determinati comportamenti posti in essere dal contribuente prima di procedere con un accertamento induttivo. In questo caso è l’ufficio pubblico ad attivarsi ma comunque l’oggetto del ‘dialogo’ con il contribuente è limitato alla esibizione di prove circa un comportamento di quest’ultimo.

(23)

un’evoluzione positiva dei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria arricchendo la normativa già presente nella Legge n. 241 del 1990 di principi fondamentali applicabili direttamente alla materia tributaria i quali, per la troppa specificità della materia, la legge sul procedimento amministrativo non era riuscita a consolidare.

A titolo esemplificativo e per rendere chiara quale sia stata la portata di questo processo evolutivo, è bene richiamare alcune norme che, anche se successivamente meglio trattate, hanno influito su tale cambio di tendenza.

Gli articoli 5 e 6 dello Statuto introducono infatti i principi di informazione, trasparenza, effettiva conoscenza degli atti e semplificazione del procedimento stabilendo così un obbligo per l’Amministrazione finanziaria sia di informazione del contribuente, sia di garantire la conoscenza di quest’ultimo degli atti impositivi e di determinati fatti o circostanze a lui utili, con il fine ultimo di cercare di equiparare le posizioni dei due soggetti in un eventuale contraddittorio.

L’articolo 7, richiamando l’articolo 3 della Legge n. 241 del 1990, introduce invece l’obbligo di motivazione degli atti escludendolo però le risultanze dell’attività istruttoria. [ ] 17

Inoltre l’articolo 10 prevede i fondamentali principi di collaborazione e buona fede.

1.2 LO STATUTO DEI DIRITTI DEL CONTRIBUENTE

La Legge 27 luglio 2000, n. 212, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 31 luglio 2000, n. 177, ha sancito i principi su cui si devono basare i rapporti tra contribuente e

Amministrazione finanziaria, oltre alle norma fondamentali che il legislatore dovrà tener presente in materia fiscale. Tra i diritti fondamentali riconosciuti dalla Legge sono individuabili il diritto all’informazione e all’assistenza, alla chiarezza delle norme tributarie, alla semplificazione degli adempimenti, alla tutela dell’affidamento,

Tale esclusione è giustificata, come buona parte della dottrina riconosce, dalla natura differente e

17

vincolata dell’atto impositivo, il quale non necessita di un’attività istruttoria in senso tecnico così come intesa nella Legge n. 241 del 1990.

(24)

all’equità e ragionevolezza delle sanzioni, all’equo regolare svolgimento delle procedure di accertamento.

In sintesi, i punti salienti sui quali lo Statuto ha inteso focalizzarsi sono:

-

irretroattività delle norme tributarie;

-

obbligo dell’Amministrazione finanziaria di informare il contribuente del diritto ad essere difesi nelle verifiche fiscali;

-

durata delle verifiche fiscali non superiore a 30 giorni (prorogabili per altri 30);

-

certezza e improrogabilità dei termini delle norme tributarie;

-

obbligo di emettere un avviso bonario, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di pagamento prima di ogni azione esecutiva;

-

creazione della figura del Garante del contribuente;

-

diritto del contribuente a conoscere le conseguenze delle proprie azioni nell’applicazione delle norme fiscali attraverso lo strumento dell’interpello.

Lo Statuto dei diritti del contribuente costituisce perciò un punto di riferimento a cui il contribuente deve rifarsi ogni qual volta nascono dubbi sulla portata applicativa delle regole fiscali.

Tale principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza 17576 del 2002, la quale ha consentito di arrivare ad una decisione negativa circa l’applicazione

(25)

dell’autotutela negativa [ ] nel caso in cui il contribuente abbia agito secondo le 18

indicazioni del Fisco. Inoltre la sentenza afferma che se il contribuente ha posto in essere una sanatoria sulla base di istruzioni fornite dall’Amministrazione finanziaria, quest’ultima non può ripensarci ed emettere un atto impositivo o esecutivo. In poche parole, il Fisco non può annullare il precedente atto con cui veniva archiviata la

pendenza a seguito della sanatoria così operata, procedendo con un’autotutela a danno del contribuente.

Inoltre, la sentenza svolge un ruolo fondamentale nell’interpretazione dello Statuto, affermando che questo debba servire come guida per la ‘lettura’ non solo delle leggi successive ad esso ma anche, e soprattutto, per quelle antecedenti, nel rispetto dei principi sulla retroattività. Questo in quanto lo Statuto si ispira ad una serie di principi costituzionali in materia tributaria da ritenersi immanenti nell’ordinamento stesso già prima dell’entrata in vigore dello Statuto e quindi vincolanti per l’interprete in ragione del fondamentale canone della ‘interpretazione adeguatrice’ rispetto alla Costituzione. Non è però da tralasciare come lo Statuto dei diritti del contribuente trovi un limite, difficilmente superabile, radicato proprio nella forma con cui è stato emanato. Infatti, essendo stato approvato con legge ordinaria, lo Statuto si colloca nella gerarchia delle fonti come un atto subordinato ai precetti costituzionali essendo allo stesso livello delle altre leggi e degli atti aventi forza di legge. Questo limite viene però mitigato

L’istituto dell’autotutela è stato introdotto nel nostro ordinamento dall’articolo 68 del D.P.R. n. 287

18

del 1992 e attualmente disciplinato dal Decreto Legislativo n. 564 del 1994, convertito nella Legge n. 656 del 1994. L’autotutela consiste nel potere/dovere dell’Amministrazione finanziaria di correggere o annullare, su propria iniziativa o su richiesta del contribuente, tutti i propri atti che risultano illegittimi o infondati. Il potere spetta all’ufficio che ha emanato l’atto o che è competente per gli accertamenti di ufficio, oppure, in via residuale, alla Direzione Regionale dalla quale l’ufficio dipende. Esistono tre tipi di autotutela:

- annullamento: consiste nel ritiro con efficacia ex tunc dell’atto inficiato da un vizio di legittimità (ad esempio, violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere);

- revoca: ritiro di un atto inopportuno o infondato per una diversa valutazione delle esigenze che sono alla base dell’emanazione dell’atto. La revoca ha efficacia ex nunc nel caso in cui l’atto da

annullare sia di carattere generale o favorevole al contribuente; viceversa avrà efficacia ex tunc se l’atto è sfavorevole al contribuente;

(26)

dall’articolo 1 della stessa Legge n. 212 del 2000 il quale prescrive che “le disposizioni della presente legge, in attuazione degli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali”. Tale articolo contiene quindi due clausole di salvaguardia: la prima volta a vietare deroghe e

modifiche alle disposizioni dello Statuto se non espressamente sancite in una diversa forma; la seconda, invece, volta ad escludere che tali deroghe o modifiche possano essere attuate mediante il ricorso a leggi speciali.

Nello Statuto è possibile individuare due macro gruppi di norme:

-

un primo gruppo di norme fissa una serie di limiti e principi regolatori della funzione legislativa nella materia tributaria;

-

un secondo gruppo disciplina alcuni fondamentali aspetti del rapporto tra Fisco e contribuente nella loro fase attuativa.

Il secondo gruppo di norme è costituito dalle disposizioni contenute negli articoli da 5 a 12, i quali tutelano la posizione del contribuente nei confronti del’Amministrazione finanziaria.

L’articolo 5 contiene disposizioni tese ad assicurare al contribuente un’adeguata informazione in materia tributaria, affermando che l’Amministrazione finanziaria si debba organizzare al fine di consentire una completa e accessibile conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti. Tra queste forme di tutela suscita particolare interesse la sollecitazione, rivolta all’Amministrazione, a predisporre circolari che siano in armonia e in coordinamento con disposizioni normative e

risoluzioni e far sì che questi documenti siano accessibili per il contribuente. Il comma 2 rafforza ulteriormente quest’obbligo precisando che l’Amministrazione finanziaria, oltre che a rendere trasparenti i propri atti, è tenuta anche a portare a conoscenza dei contribuenti “tempestivamente e con mezzi idonei” tutte le circolari, le risoluzioni e

(27)

ogni altro atto o decreto relativo all’organizzazione, alle funzioni e ai procedimenti dell’Amministrazione stessa. [ ] 19

L’articolo 6 prevede, sempre con la finalità di garantire un rapporto equo e

democratico tra Fisco e contribuente, una disciplina vincolante per gli uffici tale da assicurare al contribuente la più ampia conoscenza possibile degli atti che lo

riguardano personalmente, così da permettergli di prevenire danni patrimoniali pregiudizievoli derivanti da sui comportamenti che, pur compiuti in buona fede, risultino tuttavia non conformi alla legge.

Con il successivo articolo 7 vengono ribaditi i principi, già contenuti nella Legge n. 241 del 1990, di motivazione degli atti, di individuazione dei responsabili del

procedimento e di comunicazione informativa al destinatario dei provvedimenti finali. [ ] 20

Altro principio fondamentale introdotto dall’articolo 7, comma 1, ultimo periodo, è quello che obbliga l’Amministrazione ad allegare gli atti espressamente richiamati nella motivazione.

L’articolo 8 introduce invece importanti novità riguardanti la disciplina dell’obbligazione tributaria, in particolare:

L’articolo 5 dello Statuto, rubricato ‘Informazione del contribuente’, così recita:

19

“L’Amministrazione finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria, anche curando la predisposizione di testi coordinati e mettendo gli stessi a disposizione dei contribuenti presso ogni ufficio impositore. L’Amministrazione finanziaria deve altresì assumere idonee iniziative di informazione elettronica, tale da consentire aggiornamenti in tempo reale, ponendola a

disposizione gratuita dei contribuenti.

L’Amministrazione finanziaria deve portare a conoscenza dei contribuenti tempestivamente e con mezzi idonei tutte le circolati e le risoluzioni da essa emanate, nonché ogni altro atto o decreto che dispone sulla organizzazione, sulle funzioni e sui procedimenti”.

Il primo comma dell’articolo 7 rimanda infatti espressamente all’articolo 3 della Legge n. 241 del

20

1990, disponendo che gli atti dell’Amministrazione finanziaria devono essere motivati indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’ufficio impositore.

(28)

-

al comma 1 prevede che l’obbligazione tributaria possa essere estinta anche mediante compensazione; [ ] 21

-

al comma 2 è prevista la possibilità che il debito d’imposta possa essere accollato da terzi senza la liberazione del contribuente (debitore) orginario;

-

al comma 3 è disposto che le disposizioni tributarie non possono stabilire né

prorogare i termini di prescrizione oltre il limite ordinario stabilito dal codice civile;

-

al comma 4 è contenuta una ulteriore garanzia a favore del contribuente consistente nell’obbligo, per l’Amministrazione finanziaria, di rimborsare il costo delle

fideiussioni che il contribuente ha dovuto sostenere, ai sensi di legge, per ottenere la sospensione del pagamento o la rateizzazione o il rimborso dei tributi, nei casi in cui sia stato definitivamente accertato che l’imposta non era dovuta (o era dovuta in misura inferiore);

-

al comma 5 è sancito un importante principio di carattere generale per cui l’obbligo di conservazione degli atti e dei documenti non può eccedere il termine di dieci anni dalla loro emanazione o formazione.

L’articolo 10 dispone che i rapporti tra Fisco e contribuente debbano esser improntati sul principio di collaborazione e di buona fede. Questo principio, innovativo per la materia tributaria, rientra nel termine, di derivazione anglosassone, ‘tax compliance’ il quale indica la necessità di operare per un rapporto fiscale semplice dal punto di vista attuativo, trasparente nelle procedure e ampiamente condiviso.

L’articolo 11 introduce invece una forma di interpello ‘generale’, o ordinario, che si affianca alle altre forme previste dalla Circolare n. 99/E del 2000.

Fino a questo momento, nell’ordinamento tributario l’Amministrazione finanziaria aveva sempre

21

avuto la possibilità di compensare i debiti con i crediti del contribuente ma non era invece consentito il contrario. Il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria doveva infatti attendere l’eventuale rimborso oppure, se la tipologia del tributo lo consente, ‘riportare a nuovo’ il credito d’imposta maturato.

(29)

1.3 I RAPPORTI TRA FISCO E CONTRIBUENTE: COLLABORAZIONE E LEGITTIMO AFFIDAMENTO

Sono proprio i citati articolo 5, 6, 7 e 10 della Legge n. 212 del 2000 ad essere oggetto di analisi di questo paragrafo in quanto contenenti i principi sui quali si fonda il nuovo concetto di rapporto tra contribuente e Fisco.

Il filo conduttore che collega questi 4 articoli è individuato nella buona fede e nella tutela dell’affidamento poiché lo stesso rapporto comunicativo tra i due soggetti costituenti il rapporto tributario deve basarsi su questi principi.

L’articolo 5 dello Statuto dei diritti del contribuente sancisce l’obbligo per

l’Amministrazione finanziaria di informare il contribuente al fine di agevolarne la completa conoscenza delle disposizioni normative ed amministrative, nonché procedurali, relativamente alla materia tributaria. In concreto, l’Amministrazione finanziaria si deve prodigare a rendere conoscibili al contribuente qualsiasi circolare, risoluzione o, più in generale, atto o decreto che la riguardano direttamente e

indirettamente. [ ] 22

Prima dell’entrata in vigore della Legge n. 212 del 2000, già il D.P.R. n. 287 del 1992 all’articolo 9

22

rubricato “Ufficio per lo sviluppo della coscienza civica e per l’informazione del contribuente”, prevedeva l’istituzione di questo organo il quale, a norma dello stesso articolo:

“a) elabora e gestisce strategie e programmi per l’informazione del contribuente, in termini di obiettivi, di contenuti e di mezzi di comunicazione da utilizzare;

b) elabora strategie e programmi di intervento per l’informazione finalizzati a sviluppare la coscienza civica ed a migliorare l’immagine dell’Amministrazione finanziaria nella società;

c) esercita il monitoraggio sistematico sugli effetti delle politiche fiscali e dell’attività

dell’Amministrazione finanziaria nei confronti dei contribuenti e della società nelle sue diverse articolazioni, al fine di salvaguardarne i diritti e di garantire loro una più corretta assistenza nel rapporto con il fisco;

d) elabora programmi per una tempestiva divulgazione ai contribuenti di informazioni di carattere normativo e giurisprudenziale in materia tributaria, avvalendosi anche del servizio di documentazione tributaria gestito dall’ufficio del coordinamento legislativo;

e) assicura il funzionamento degli organi collegiali preposti allo svolgimento delle attività relative al diritto di interpello dell’Amministrazione finanziaria da parte dei contribuenti, esercitando anche funzioni di assistenza, mediante un’apposita struttura di segreteria tecnica, del comitato di cui all’articolo 21, comma 1, della Legge 30 dicembre 1991, n. 413”.

(30)

Solo il combinato disposto degli articoli 5 e 10 dello Statuto permette di capire al meglio come questa legge sia voluta intervenire sul tema della collaborazione tra Fisco e cittadino. L’articolo 10, infatti, con la previsione di cui al comma 2, tutela il

contribuente che, adeguatosi all’indicazione del Fisco circa il comportamento da seguire al verificarsi di una determinata fattispecie, va ad incrementare,

completandolo, il disposto di cui all’articolo 5. L’articolo 5 obbliga l’Amministrazione finanziaria a fornire gli elementi sufficienti al contribuente per agire il più serenamente possibile nell’adempimento dei propri obblighi tributari; l’articolo 10 tutela lo stesso soggetto passivo dell’imposizione qualora abbia seguito, in buona fede, le

informazioni ricevute che si sono poi rilevate non veritiere o parzialmente corrette. Dopo che lo Statuto ha rilevato il dovere di informazione, con il successivo articolo 6, rubricato “Conoscenza degli atti e semplificazione”, il legislatore ritiene di

fondamentale importanza il fatto che il destinatario degli atti emanati

dall’Amministrazione finanziaria ne venga immediatamente a conoscenza. Non si potrebbe infatti immaginare un sistema nel quale il destinatario di un determinato atto non ne venga a conoscenza entro i termini in cui potrebbe esperire un’azione

contestatoria o comunque aprire un contraddittorio con il soggetto emanante; così come non avrebbe senso obbligare l’Amministrazione finanziaria a informare il contribuente se poi non vengono indicate in maniera precisa e puntuale quali siano le modalità con cui tale obbligo informativo si ritiene adempiuto.

Il primo comma dell’articolo 6 infatti individua modalità e mezzi attraverso i quali l’Amministrazione finanziaria deve garantire la conoscenza effettiva dei fatti e degli atti che possono riguardare il contribuente, comprendendo le esigenze di certezza e semplicità del sistema con il fine ultimo di fornire una maggiore garanzia al

contribuente.

La ‘conoscenza effettiva’ implica che l’atto che deve giungere al destinatario sia “qualificativamente conoscibile”, nel senso che egli debba prenderne coscienza. La dottrina ha commentato questa prima parte dell’articolo 6 specificando che “l’atto deve giungere effettivamente nella sfera di controllo del destinatario, in modo tale da esserne presumibile una successiva presa di conoscenza, qualora le condizioni di normale percepibilità possono ravvisarsi integrate; costituisce, pertanto, onere del

(31)

soggetto attivo della notificazione curare che esse abbiano nel caso di specie a realizzarsi, nei limiti della citata ordinaria diligenza”. [ ] 23

L’articolo 6 prosegue, al secondo comma, prevedendo che “l’Amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l’irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il

riconoscimento, seppur parziale, di un credito”. In poche parole, viene riconosciuta la tutela dell’integrità patrimoniale del contribuente.

Il legislatore ha ritenuto di individuare in maniera puntuale e precisa le modalità con le quali rendere conoscibili i documenti prodotti dall’Amministrazione finanziaria e riguardanti il rapporto tributario, sottolineando che i modelli di dichiarazioni, le istruzioni e ogni altra comunicazione a riguardo devono essere portati a conoscenza del contribuente in tempi utili e in modo che siano comprensibili anche ai contribuenti che non sono forniti di conoscenze in materia tributaria.

Questo al fine di consentire l’adempimento dell’obbligazione tributaria nelle forme meno costose e più agevoli, con un notevole risparmio di tempo e di risorse per entrambi i soggetti del rapporto tributario. La norma in questione si inserisce pertanto all’interno del sistema tributario in un’ottica di deflazione del contenzioso,

semplificando e rendendo il più trasparente possibile l’azione del Fisco nei confronti dei contribuenti.

Il successivo articolo 7 viene invece introdotto sulla scia dell’articolo 3 contenuto nella Legge n. 241 del 1990, il quale sanciva l’obbligo generale di motivazione dei

provvedimenti amministrativi. L’intento del Legislatore nell’inserire una norma similare anche nello Statuto dei diritti del contribuente può esser ravvisato nella

A. Fantozzi in “Statuto dei diritti del contribuente”, Giuffrè Editore, 2005.

(32)

realizzazione di informazione, chiarezza e conoscenza degli atti al fine di garantire in maniera totalitaria la posizione del contribuente. [ ] 24

La motivazione, ribadita nell’articolo 7 dello Statuto, infatti, oltre a rappresentare un utile strumento di difesa del contribuente, in quanto in sede di contenzioso il ricorrente potrà impugnare l’atto emanato sula base della errata motivazione che contiene,

sancisce anche un’importante regola di comportamento dei rapporti tra le parti: essi dovranno esser improntati sui principi di trasparenza e collaborazione.

Non basta però la sola analisi di questi articoli a far chiarezza sul come si sia evoluto il rapporto tra Amministrazione finanziaria e contribuente negli anni.

È di fondamentale importanza capire quale sia stata la ratio che ha spinto il Legislatore a formulare l’articolo 10 il quale, a mio avviso, e non solo, esprime a pieno il

contenuto dell’articolo 97 della Costituzione.

La norma costituzionale citata parla di imparzialità dell’azione amministrativa e, in via derivativa, giustifica l’orientamento del Legislatore che basa il rapporto tra Fisco e contribuente sui principi di collaborazione e buona fede.

È proprio la Corte di Cassazione che rileva [ ] che il principio di tutela del legittimo 25

affidamento del cittadino, che in materia tributaria è contenuto nell’articolo 10 della Legge n. 212 del 2000, trova origine negli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione. Inoltre, continua la Corte, tale principio deve essere immanente in tutti i rapporti di diritto pubblico, a prescindere dalla materia in oggetto ed è tale da limitare l’attività legislativa ed amministrativa. Sul questo limite, la sentenza afferma che “la previsione dell’articolo 10, esplicitando principi generali, anche di rango costituzionale,

immanenti nell’ordinamento tributario, anche prima dello Statuto dei diritti del

In verità, il Legislatore non si limita a ribadire nell’articolo 7 il contenuto dell’articolo 3 della Legge

24

n. 241 del 1990 ma lo amplia. Infatti l’articolo 3 fa riferimento all’obbligo di motivazione dei provvedimenti mentre l’articolo 7 parla, più in generale, degli atti dell’Amministrazione finanziaria. La distinzione tra le due terminologie si fonda sul contenuto: ogni documento conclusivo di un procedimento è definito come provvedimento ma si parla di atto solo se il provvedimento è espressione della volontà dell’Amministrazione che lo ha emanato.

Si veda A. Fantozzi in “Il diritto tributario”, Utet giuridica, 2012.

Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 6 ottobre 2006, n. 21513.

(33)

contribuente, vincola l’interprete, in forza del canone ermeneutico dell’interpretazione adeguatrice della Costituzione”.

Il dovere, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di comportarsi secondo buona fede è diretta conseguenza dell’attuazione dei principi di solidarietà e di

collaborazione oltre che nei rapporti con il contribuente, anche nell’interpretazione delle norme tributarie. [ ] 26

Nel rispetto dei principi appena affermati il contribuente non deve in alcun modo ostacolare l’attività amministrativa e allo stesso modo si deve comportare

l’Amministrazione finanziaria.

L’articolo 10, mentre al primo comma disciplina il comportamento a cui sono tenute le parti nel rapporto d’imposta, al secondo comma dispone che “non sono irrogate

sanzioni né interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché

successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il

comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa”. Condizionando il

comportamento del contribuente attraverso la propria attività interpretativa,

l’Amministrazione finanziaria è quindi soggetta a vincoli al fine di evitare che errori e/ o omissioni incidano negativamente nella sfera giuridica del soggetto passivo.

Si riconosce quindi la tutela del contribuente di fronte a testi di legge oggettivamente incerti, individuando in tale incertezza e assenza di sistematicità un’esimente che rende non punibile, sotto il profilo sanzionatorio, la violazione commessa.

Questa breve premessa ci ha permesso di capire, almeno in parte, come si sia evoluto il rapporto tra Pubblica amministrazione e cittadino, rapporto basato su correttezza e trasparenza, buona fede e tutela dell’affidamento. Questo per far sì che il contribuente, nel momento in cui si relaziona con l’Amministrazione finanziaria, non si senta in una posizione di svantaggio ma, al contrario, si fidi del soggetto che ha di fronte ed instauri con esso un rapporto collaborativo. Il tutto va a vantaggio del gettito fiscale, in quanto

Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 2 maggio 2005, n. 9407.

(34)

un sistema tributario basato su un rapporto pacifico e rispettoso tra i soggetti

interessati dall’obbligazione tributaria rende il contribuente più sicuro e lo incentiva ad adempiere ai propri doveri nelle modalità previste dalla legge.

2. GLI INTERPELLI TRIBUTARI ANTE RIFORMA DEL 2015 2.1 L’INTERPELLO ORDINARIO

A seguito del suo inserimento nello Statuto dei diritti del contribuente, all’articolo 11, l’interpello diviene uno degli istituti fondamentali e caratterizzanti dell’ordinamento tributario, come conferma anche il numero elevatissimo di quesiti rivolti dai

contribuenti all’Amministrazione finanziaria, oltre alla loro varietà, fin dall’introduzione dello strumento.

L’importanza dell’interpello risiede fondamentalmente in due aspetti. Il primo è quello di consentire ai soggetti passivi dell’imposizione (i contribuenti) di ottenere certezze circa la correttezza delle proprie azioni poste in essere e far sì che queste siano orientate in modo tale da evitare di incorrere in illeciti tributari. Il secondo aspetto fondamentale consiste nel fatto che l’interpello obbliga l’Amministrazione finanziaria ad assumere una posizione sulla quale il contribuente può fondare il proprio

affidamento.

In sostanza, l’interpello ordinario offre un contributo decisivo nella soddisfazione, da parte del contribuente, di acquisire informazioni qualificate ed impegnative, per il Fisco, circa l’attuazione di determinate fattispecie, agevolandone così il corretto adempimento, prevenendo possibili contenziosi e permettendo una migliore

programmazione delle iniziative economiche. Inoltre, lo strumento valorizza il ruolo consultivo e interpretativo delle norme che è proprio dell’Amministrazione finanziaria, come ribadito anche dallo stesso articolo 5 dello Statuto.

Questa breve premessa ci permette già di poter affermare come l’interpello ordinario si sia posto con un intento ‘rivoluzionario’ rispetto alla normativa passata e in particolare rispetto all’omonimo istituto regolato all’articolo 21 della Legge n. 413 del 1991.

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Ne è conferma il presupposto dell’interpello ordinario al tempo contenuto al comma 1 dell’articolo 11, consistente nella “applicazione delle disposizioni tributarie a casi concreti e personali, qualora vi siano obiettive condizioni di incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni stesse”.

L’innovazione stava nel fatto che l’incertezza dovesse essere stabilita non soltanto in relazione alla portata generale della norma ma anche nell’applicazione a vicende circoscritte e puntuali. Deve trattarsi cioè di un dubbio che la disposizione fa sorgere nei confronti di una fattispecie concreta: la condizione di perplessità che permette la proposizione dell’istanza deve esser costituita dalla relazione tra norma astratta e fattispecie concreta. Il binomio norma-fatto concorre quindi alla costituzione dell’incertezza che consente al soggetto passivo dell’imposizione di proporre la domanda di interpello. Questo binomio è inscindibile, in quanto la norma potrebbe risultare di per sè chiara e comprensibile se intesa in un’ottica generale ma,

applicandola ad un determinato caso concreto, perde tutta la sua chiarezza.

Lo stesso articolo 11, comma 4, della Legge n. 212 del 2000 disponeva che “nel caso in cui l’istanza di interpello, formulata da un numero elevato di contribuenti, concerna la medesima questione o questioni analoghe fra loro, l’Amministrazione finanziaria può rispondere collettivamente attraverso una circolare o una risoluzione […]”. La vera chiave di volta rispetto al passato riguarda proprio questo aspetto. L’interpello ordinario offre un aiuto decisivo al contribuente [ ], aiutandolo ad ottenere indicazioni 27

qualificate e soprattutto impegnative circa l’adempimento dei propri obblighi tributari in presenza di un qualsiasi dubbio riguardante la portata o l’interpretazione di una particolare norma tributaria. Non solo, in quanto oltre ad agevolare il corretto

adempimento, lo strumento dell’interpello serve anche a prevenire future occasioni di contrasto permettendo da un lato una migliore programmazione delle iniziative

Secondo parte della dottrina, in particolare G. Marongiu in “Riflessioni sul diritto di interpello”, in

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Corriere Tributario, 2002, p. 1408 e ss. e, a conferma, F. Pistolesi in “Gli interpelli tributari”, Giuffrè Editore, 2007, p. 46, l’interpello ricopre un interesse trasversale, in quanto ad esso possono fare ricorso tanto i piccoli contribuenti quanto gli operatori economici di importanti dimensioni, oltre agli investitori stranieri. Non è quindi uno strumento riservato ad una determinata categoria di utenti ma è pensato per chiunque voglia instaurare un rapporto comunicativo con l’Amministrazione finanziaria circa una determinata questione fiscale.

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