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CAPITOLO VI L’ACTIO DE IN REM VERSO:UNA SECONDA FORMA DI RESPONSABILITÀ

III. Le opinioni espresse in dottrina

La maggior parte dei romanisti ha condiviso le opinioni del Solazzi. Si concorda principalmente sui seguenti aspetti: sembra che l’actio de peculio e de in rem verso fossero proposte nell’editto pretorio in un’unica formula e, in una prima fase, non esistendo l’actio de in rem verso ‘pura’ non si poteva invocare la responsabilità del

pater familias tramite l’utilizzo di tale azione nel caso in cui il peculio fosse mancato.

Successivamente sulla base di tale impostazione, la dottrina ha osservato l’elaborazione di tale azione in età tardo-classica ed ha posto in essere una comparazione con quella d’età tardo-repubblicana e classica (studiata, appunto, dal Solazzi)325.

325

S. SOLAZZI, Peculio e “in rem versio”nel diritto classico, cit., 255ss; S. SOLAZZI, Sul peculium

“nell’ a. de in rem verso”, cit., 6ss; A. DI PORTO, Impresa collettiva e schiavo ‘manager’ in Roma antica(II sec.a.c.-IIsec.d.c.)[M].Milano: Dott.A.Giuffrè Editore, 1984.44. nt.24; B. ALBANESE, Le persone nel diritto

Solazzi sostiene che i frammenti D.15.3.19 e D.15.2.1.10 provano la possibilità e l’esistenza di un’actio de peculio ‘pura’, ma che da questo non si possa dedurre che fosse lecito intentare parimenti l’actio de in rem verso senza la clausola de peculio e sottolinea che il passo D.15.3.1.1, che è stato precedentemente analizzato, non provi l’ammissibilità di un’actio de in rem verso ‘pura’326. Secondo tale Autore, dunque, la

conclusione da trarre è che il diritto classico non riconosceva come responsabile il

pater familias per la ‘cosa versata’ nel caso in cui il sottoposto fosse stato privo i

peculio. La clausola de in rem verso non era, dunque, scindibile da quella de peculio, scoprendosi, con ciò, contemporaneamente, anche il motivo dell’unione delle due clausole in una sola formula327.

Non tutti gli autori sono, tuttavia, concordi in particolare sull’analisi di alcune fonti. Ad esempio, vi è discussione con riferimento a D.15.3.16 (Alfenus 2

dig)Quidam fundum colendum servo suo locavit et boves ei dederat: cum hi boves non essent idonei, iusserat eos venire et his nummis qui recepti essent alios reparari: servus boves vendiderat, alios redemerat, nummos venditori non solverat, postea conturbaverat: qui boves vendiderat nummos a domino petebat actione de peculio aut quod in rem domini versum esset, cum boves pro quibus pecunia peteretur penes dominum essent. respondit non videri peculii quicquam esse, nisi si quid deducto eo, quod servus domino debuisset, reliquum fieret: illud sibi videri boves quidem in rem domini versos esse, sed pro ea re solvisse tantum, quanti priores boves venissent: si quo amplioris pecuniae posteriores boves essent, eius oportere dominum condemnari.

Gay J.L., ritiene che tale passo dimostri la possibilità dell’esistenza dell’actio de

in rem verso a prescindere dal peculio328. Waston, invece, ha sostenuto che da

D.15.3.16 si possa dedurre l’esistenza di un qualche precedente rapporto economico fra il dominus e lo schiavo, e cioè che lo schiavo debbe essere preventivamente dotato di peculio329. Anche Aubert sottolinea che nell’età classica, il pretore affermava il

rimedio dell’actio de in rem verso subordinatamente all’esercizio dell’actio de peculio,

privato romano, cit., 155-156, nt.681; M. MICELI, Sulla struttura formulare delle ‘actiones adiecticiae qualitatis’ ,

296, 299.

326

S. SOLAZZI, Peculio e “in rem versio”nel diritto classico, cit., 252,256.

327

S. SOLAZZI, Peculio e “in rem versio”nel diritto classico, cit., 248,249.

328

J.L.GAY, L’in rem versum à l’époque classique, in Varia.études de droit romain II, Paris, 1956, 155.

329

e dunque soltanto nel caso in cui il peculio non fosse sufficiente a pagare interamente il debito, si sarebbe potuta applicare l’actio de in rem verso. Secondo tale autore, sembra che ciò sia dovuto al fatto che per il pretore il determinare l’esistenza dell’arricchimento sarebbe stato più difficile che quella del peculio330. La risposta ai

dubbi, espressa dal Solazzi sessanta anni dopo, in un nuovo lavoro, è che qualora si rinvenga qualche passo in cui l’actio de in rem verso sia stata promossa senza la clausola relativa alla condanna de peculio, resterebbe comunque salva la precedente impostazione, perché i concetti di actio de in rem verso separata da quella de peculio e di actio de in rem verso indipendente dall’esistenza del peculio non s’identificano331.

Di Porto sulla base di tale idea sottolineava che v’è un legame inscindibile fra clausola de in rem verso e de peculio332.

Lo sviluppo del rapporto fra le due azioni ha mostrato l’importanza del ruolo dei giuristi romani nell’elaborazione del diritto. Nell’età classica, l’actio de in rem verso, compresa di fatto nell’actio de peculio, non era dotata di alcuna indipendenza: il

peculio è il presupposto dell’actio de in rem verso. Nell’età tardo-classica, il rigore di

tale nesso si attenua nel Digesto: l’actio utilis de in rem verso ha reso invalido il principio per cui l’actio de in rem verso non poteva sussistere in modo indipendentemente. Peraltro, lo sviluppo del rapporto, dalla dipendenza all’indipendenza dell’actio de in rem verso, mostra l’estensione della responsabilità limitata nella società romana: i giuristi romani, per soddisfare le esigenze pratiche della responsabilità derivante dalle attività di gestione poste in essere dall’alieni iuris, costruiscono un tipo di responsabilità limitata fondata su beni determinati.

330

J. J. AUBERT, Business managers in ancient rome: a social and economic study of institores, 200

B.C.-A.D. 250, cit., 65. 331

S. SOLAZZI, Sul peculium “nell’ a. de in rem verso”, cit., 1-6.

332

A. DI PORTO, Impresa collettiva e schiavo ‘manager’ in Roma antica(II sec.a.c.-IIsec.d.c.), cit., 44, nt.24; M. MICELI, Sulla struttura formulare delle ‘actiones adiecticiae qualitatis’, cit., 299, nt.159.

Capitolo VII L’actio tributoria: