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Le opportunità dell’economia circolare: il recupero degli scarti di lavorazione degli agrumi Masotti P 1 , Tilola C 1 , Campisi B 2 , Bogoni P

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Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Economia e Management, via Inama 5, 38122 Trento. E-mail: paola.masotti@unitn.it

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Università degli Studi di Trieste, DEAMS- Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali, Matematiche e Statistiche “Bruno de Finetti”, via Valerio 6, 34127 Trieste.

E-mail: barbara.campisi@units.it paolo.bogoni@deams.units.it

Abstract

The need to overcome the traditional linear economic model, summarised in the “take-make-dispose” formula, and to adopt a circular model in which the production of waste is substituted by goods that are included in the economic cycle, is by now universally recognized by different sectors such as production and finance, as well as by policy makers.

This study aims at showing how the crisis of the linear model is pushing the exploitation of natural resources to the limit and how the circular economy can answer the need to reverse this trend, by reducing consumption and avoiding the use of virgin materials. This would allow the regeneration of earthly resources which will remain available for future generations.

At the same time, the attempt to apply the concepts of circular economy to some production sectors has pointed out the problems this approach implies, for instance those related to geographical dispersion, as well as to the materials’ complexity and proliferation. However, difficulties are not solely related to technical and organization matters: legislative and financial matters are also playing a strategic role in the success of those enterprises which are willing to develop a project of circular economy. This study, focusing on the case study of a start-up called Orange Fiber, based in Catania but with operational premises in Trentino Region, is not limited to the analysis of the innovative process of producing yarns and textiles from the so-called pastazzo, which is the citrus fruits’ processing waste. It focuses also on the search of other motivations contributing to the success of two young entrepreneurs from Sicily. The result is an overall situation in which, together with Schumpeter innovation, the local context plays a similar significant role, in particular with regards to the contribution of Business Angels and the European Fund of Regional Development in Trentino Region, which demonstrates the importance of the policy makers’ role in identifying and supporting innovative ideas.

L’Economia Circolare

Durante tutta la sua storia, l’economia industriale non si è mai scostata da quel modello iniziale che ha avviato l’industrializzazione: un modello lineare di consumo delle risorse “prendi-usa-getta” (take-make-

dispose) (EMF, 2013). Le società raccolgono ed estraggono materiali, li utilizzano per la fabbricazione dei

prodotti che dopo essere stati venduti ai consumatori vengono gettati da questi ultimi quando non sono più necessari. Inoltre, la massima efficienza economica raggiunta dalla Rivoluzione Industriale si è realizzata con l’utilizzo intensivo delle risorse (specialmente energetiche) a fronte di una riduzione del fattore lavoro e dei suoi costi. Questo è ciò che succede da più di un secolo e quasi nulla è cambiato. Tale modello di produzione lineare comporta, inevitabilmente, una perdita di risorse che si manifesta in diversi modi:

● Scarti durante la catena di produzione. Nella produzione di beni, volumi significativi di materiali sono comunemente persi. L’Istituto Europeo per la Ricerca Sostenibile (SERI), stima che, ogni anno, nei processi industriali più di 21 miliardi di tonnellate di materiali consumati non siano fisicamente incorporati nei prodotti stessi, si tratta di materiali che non entreranno mai nel sistema economico (come scarti di legname, materiali superflui derivanti dagli scavi minerari) (EMF, 2013);

● Rifiuti da prodotti a fine vita. Per la maggior parte dei materiali il tasso di raccolta al termine della prima vita è abbastanza basso rispetto al tasso di entrata nel processo produttivo. In termini di volume, circa 65 miliardi di tonnellate di materie prime sono entrate nel sistema economico nel 2010 e ci si aspetta che crescano a 82 miliardi di tonnellate nel 2020. In Europa, sono stati generati 2,5 miliardi di tonnellate di rifiuti nel 2014, ma solo il 55% è stato riutilizzato, riciclato o compostato (Eurostat, 2017). Con riferimento ai singoli flussi di rifiuto, emerge una netta considerazione: gli attuali tassi di

riciclaggio sono significativi solo per poche categorie di rifiuti, soprattutto quelli prodotti in grandi volumi ma in forme abbastanza omogenee.

● Energia usata. Nel sistema lineare, i prodotti a fine vita vengono mandati in discarica, ciò significa mandar persa l’energia residuale intrinseca. L’incenerimento o il riciclo recuperano solamente una parte di questa energia, mentre spesso il riuso sarebbe più vantaggioso. Inoltre l’energia utilizzata è spesso eccessiva, come lo è la prevalente dipendenza dai combustibili fossili, che non possono essere rimpiazzati entro un ragionevole lasso temporale e che comportano emissioni di gas effetto serra.

● Erosione dei servizi ecosistemici. Cioè quei benefici derivanti dagli ecosistemi, che sostengono e migliorano il benessere umano, come le foreste (che assorbono diossido di carbonio, emettono ossigeno, regolano le falde acquifere, arricchiscono il suolo di carbonio e molti altri benefici). L’umanità consuma più di quanto gli ecosistemi terresti possono produrre. Non si sta semplicemente vivendo oltre la produttività della Terra ma si sta distruggendo il capitale naturale.

Oltre alla perdita di risorse, che implica una progressiva scarsità delle risorse stesse, il modello di economia lineare è responsabile del cambiamento climatico e del degrado ambientale (Lacy et al.,, 2016).

Per far fronte a questi problemi già nel 1972 la comunità internazionale organizzò a Stoccolma la prima grande Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano avviando l’epoca della gestione sovranazionale e transfrontaliera dei problemi ambientali e avviando così il grande dibattito sulla sostenibilità dei modelli di sviluppo socioeconomico. A questa conferenza sono succeduti molti altri incontri internazionali (conferenze ONU di Stoccolma del 1987, di Rio de Janeiro del 1992, Kyoto del 1997, di Johannesburg del 2002 e di Rio de Janeiro del 2012 solo per citare le conferenze delle Nazioni Unite) in cui si è riconosciuta la necessità di intervenire per limitare gli impatti ambientali e sociali dello sviluppo economico attuale ma in cui si sono scontrati, e hanno prevalso, interessi nazionali che hanno limitato, o addirittura vanificato, la possibilità di agire a livello internazionale, basti pensare alle difficoltà incontrate nell’ implementazione del protocollo di Kyoto per ridurre le emissioni di gas serra.

Nel complesso, in questi decenni il mondo produttivo ha proposto come intervento accettabile per rispondere ai problemi ambientali e di disponibilità di risorse due strategie: l’eco-efficienza dei processi di produzione e il disaccoppiamento (decoupling) tra input di materiali e energia, e risultato economico dell’impresa; significa, cioè, essere più efficienti lungo tutta la filiera del prodotto. Questo approccio ai problemi implica che l’economia possa continuare a espandersi senza scontrarsi con limiti ecologici o esaurire le risorse a disposizione (Jackson T., 2011). Le industrie di tutto il mondo considerano l’eco- efficienza la strategia del cambiamento per eccellenza, tuttavia la riduzione di input e output ambientali non impedisce il degrado e la distruzione, ma si limita solo a rallentarli e posticiparli. Pertanto, da sola, non rappresenta una strategia di successo nel lungo periodo perché non affronta i problemi in modo strutturale, operando all’interno dello stesso sistema che li ha causati. L’eco-efficienza funziona solo se è in grado di rendere il vecchio sistema un po’ meno distruttivo (McDonough, W. and Braungart, M., 2003).

Da qui nasce l’esigenza di individuare un modello economico che risponda ai problemi in modo completamente diverso, un modello che sia eco-efficace, capace cioè di ripensare le modalità di utilizzo e di recupero dei prodotti, dei componenti e dei fattori produttivi intrinsechi quali energia, lavoro ed elementi preziosi, a partire dall’ideazione e dalla progettazione dei beni.

Da alcuni anni tale modello innovativo è stato individuato nei principi dell’economia circolare. Teorizzata e formalizzata dalla Ellen McArthur Foundation (EMF, 2013) l’economia circolare si rifà a diverse scuole di pensiero e propone un sistema industriale rigenerativo basato sul recupero e la rigenerazione dei prodotti e dei materiali e su nuovi modelli di business. Va oltre, dunque, le fasi di produzione e consumo per includere la sostituzione di combustibili fossili con fonti rinnovabili di energia, l’eliminazione di sostanze chimiche tossiche e l’eliminazione, in generale, dei rifiuti sia dal punto di vista fisico sia dal punto di vista concettuale. Inoltre identifica una netta distinzione tra consumo e uso dei materiali sostenendo la necessità di un modello di business di “servizio funzionale” (Stahel, 2010), in cui produttori o dettaglianti mantengono la proprietà dei beni e, quando possibile, agiscono come fornitori di servizi, vendendo l’uso del prodotto e sviluppando, al contempo, un sistema di ritiro efficace ed efficiente. Tale approccio ha implicazioni indirette sui modelli di produzione che forniscono prodotti più durevoli e modulari che possono, di conseguenza, essere facilmente disassemblati e riparati (Mendoza et al., 2017). L’economia circolare può quindi essere vista come un sistema economico che sostituisce il concetto di fine vita dei prodotti attraverso la riduzione, il riuso, il riciclo e il recupero dei materiali nei processi di produzione, di distribuzione e di consumo (Kirchherr J. et al., 2017).

Il passaggio da un'economia basata sul modello lineare ad una circolare è una sfida non solo per il sistema imprenditoriale, ma anche per coloro che lo governano e finanziano. In questa fase, i decisori pubblici

ricoprono un ruolo importante regolamentando la transizione ed eliminando gli ostacoli alla scalabilità delle imprese. Ci sono due strategie per le decisioni politiche che possono accelerarne l’adozione: la prima è quella di concentrarsi sui fallimenti del mercato e legislativi e porvi rimedio; la seconda è di stimolare le attività sul mercato, ad esempio fissando standard ambientali, cambiando la politica degli appalti pubblici, creando piattaforme collaborative e fornendo supporto tecnico e finanziario alle imprese (EMF, 2015). L’esempio principe è rappresentato della legislazione sui rifiuti: attualmente ci si scontra con notevoli, sia come quantità che come complessità, barriere legali che limitano o aggravano l’utilizzo dei rifiuti come input produttivi e in tal modo ostacolano lo sviluppo dell’economia circolare. Le politiche, approvate primariamente a livello di governo nazionale andrebbero largamente applicate dai governi municipali e regionali a stretto contatto con le realtà imprenditoriali locali.

Sul piano finanziario si riscontrano problemi legati alla valutazione del rischio delle imprese che vogliono implementare un modello circolare sia nel caso di start-ups sia nel caso di piccole e medie imprese. Il problema principale è legato al rischio associato alla transizione: la mancanza di conoscenza ed esperienza del modello circolare induce gli istituti finanziari a considerare le nuove imprese non sufficientemente affidabili, dimostrando di non essere ancora pronti ad adottare una visione di lungo periodo, come richiede il modello circolare. Ad esempio, dal momento che la vendita di un prodotto durevole viene sostituita con l’offerta del servizio di uso, il consumatore non paga il prezzo al momento dell’acquisto, ma per tutta la vita del prodotto paga un canone, il produttore dilaziona nel tempo l’introito, e di conseguenza deve cercare strumenti, come il factoring e il finanziamento di filiera per risolvere il problema del prefinanziamento. È evidente l’influenza sul rapporto banca-impresa. I flussi di cassa e le tempistiche diventano più importanti rispetto al valore di base di un'attività; i contratti diventano cruciali per proteggersi da inconvenienti, così come il merito di credito dei clienti. Per quanto più delicato e rischioso possa essere in teoria il rapporto, ora ci sono prove che dimostrano che i clienti che operano nell’ottica della sostenibilità sono più innovativi, mostrano performance finanziarie migliori e ottengono migliori rating di credito (Hieminga, 2015). Nei business circolari, le implicazioni finanziarie possono essere molteplici, non c'è un unico modello di soluzione e richiedono un approccio finanziario integrato. Le banche dovrebbero agire come partner fidati delle nuove attività, e non come semplici finanziatori, adeguando le modalità di finanziamento in una prospettiva di collaborazione per sostenere la transizione al nuovo modello di business (Hieminga, 2015). Per verificare tutti gli aspetti sin qui considerati viene preso in esame il caso studio di una start-up catanese, Orange Fiber, con sede operativa in Trentino e un mercato di riferimento nazionale.

Il caso studio Orange Fiber

DALL’IDEA AL PRODOTTO. Orange Fiber è un progetto nato per trasformare gli scarti degli agrumi - ovvero

tutto quello che resta dopo il processo di spremitura - in un tessuto sostenibile.

L’idea di Adriana Santocito nasce durante la preparazione della sua tesi in Fashion Design e Materiali Innovativi all’AFOL Moda di Milano. Attraverso i suoi studi viene a conoscenza dell’importanza crescente, nel settore della moda, di disporre di tessuti sostenibili e innovativi. Al contempo, conosce la difficoltà, per alcuni produttori di agrumi della sua terra, la Sicilia, di collocare sul mercato tutta la produzione. Partendo da queste informazioni sviluppa l’idea di utilizzare gli agrumi per produrre un tessuto innovativo e dare secondo valore agli agrumi. Successivamente, prende in considerazione in modo specifico gli scarti della produzione nella filiera agrumicola, puntando l’attenzione sul pastazzo la cui gestione risulta essere particolarmente onerosa.

Il pastazzo è lo scarto umido che residua al termine della produzione industriale di succo di agrumi e rappresenta circa il 50% del peso della frutta processata, solo in Italia, il pastazzo residuo si stima in circa 1 milione di tonnellate all’anno, fino ad ora ha rappresentato un grosso problema per la filiera agrumicola a causa dei suoi elevati costi di smaltimento. Diverse strade sono state intraprese per riciclare tale scarto: utilizzo come fertilizzante, come mangime per animali, come additivo per l’alimentazione umana o come compost (Orange Fiber, 2015) ma nessuna di queste soluzioni tuttavia è in grado di assorbire l’ingente quantitativo prodotto annualmente. Solo nel 2013, con l’art. 41- quater del “decreto del fare” (DL 69/2013), poi convertito in legge (con legge 98/2013, pubblicata in G.U. n. 184 del 20 agosto 2013) è stata introdotta la “disciplina dell’utilizzo del pastazzo di agrumi“, questo cambio di legislazione riclassifica il pastazzo da scarto a sottoprodotto agrumicolo; da problema a risorsa, il pastazzo è stato individuato come componente nella produzione di biogas, dando vita ad un circolo virtuoso di recupero degli scarti che, oltre a generare un ritorno economico, contribuisce a generare energia elettrica e termica rinnovabile.

Tuttavia Santocito ha visto l’opportunità di ricavare dal pastazzo qualcosa di nuovo che potesse accrescere il valore intrinseco del sottoprodotto: realizzare filati e tessuti con cellulosa ottenuta dal pastazzo.

Nel 2013, dallo studio di fattibilità condotto con il Politecnico di Milano si sviluppa il brevetto, che viene depositato in Italia ed esteso a PCT internazionale.

Nel 2014, a febbraio, viene costituita Orange Fiber con sede legale a Catania e sede operativa a Rovereto. A settembre dello stesso anno viene presentato il primo tessuto da agrumi composto da acetato da agrumi e seta in raso tinta unita e pizzo.

Nel 2015 è stato progettato ed avviato l’impianto pilota della portata di 1 tonnellata dal quale si parte per l’ottimizzazione del processo di produzione industriale. L’obiettivo era di essere sul mercato entro metà 2016, attraverso le collezioni di brand dell’alta moda italiana, che condividono i valori etici del prodotto. Gli abiti sono marchiati secondo la casa di moda, mentre il marchio Orange Fiber compare come produttore del tessuto.

IL PROCESSO INDUSTRIALE. Il processo industriale di estrazione della cellulosa dal pastazzo è stato messo a

punto grazie alla collaborazione avviata con il Laboratorio di Chimica dei Materiali presso il Politecnico di Milano che ha svolto i test di fattibilità per ottenere cellulosa filabile per fini tessili e test sul filato preindustriali. Tale collaborazione è stata resa possibile grazie al coinvolgimento della professoressa Elena Vismara, insegnate dell’AFOL e del Politecnico.

Il processo di estrazione della cellulosa è basato su procedimenti di chimica verde, per cui il pastazzo una volta raccolto dai trasformatori agrumicoli, senza necessità di trattamenti preparatori, viene sottoposto all’azione di additivi per mezzo dei quali è possibile la separazione della cellulosa che alla fine del processo si presenta sotto forma di polvere. Il trattamento del pastazzo deve essere eseguito in un lasso di tempo molto breve, per scongiurarne la marcitura, inoltre il residuo del processo di estrazione della cellulosa risulta più trattabile rispetto al pastazzo per la produzione di biogas. Gli additivi utilizzati sono recuperati e riutilizzati più volte per tale fase del processo (Arena E., 2016) e, a fine vita, sono smaltiti senza impatti ambientali. Il processo ha una resa di produzione che varia dal 10 al 20% rispetto al peso del pastazzo lavorato. La cellulosa così estratta viene sottoposta al processo di filatura, fase in cui è possibile intervenire per regolare lo spessore del filato ottenendo consistenze diverse. Il tessuto realizzabile con tale filato ha caratteristiche simili all’acetato per quanto riguarda resistenza ai lavaggi e agli strappi, mentre per la stampa e la sensazione al tatto sono più simili alle caratteristiche della seta (Arena E., 2016). Il filato può anche essere tramato con altri filati. La fase della filatura è gestita esternamente, tramite un azienda spagnola, mentre la tessitura è gestita da partner comaschi, secondo le indicazione del brand finale.

A conclusione della collaborazione con il politecnico di Milano è arrivato il brevetto per il processo di estrazione della cellulosa, per l’esclusiva titolarità a nome di Adriana Santocito.

IL CONTESTO ECONOMICO E TERRITORIALE. Trasformare un’idea in un progetto imprenditoriale non è

semplice, e per un progetto industriale sperimentale le complessità non mancano. Probabilmente il più grande scoglio è sempre stato reperire i fondi sufficienti per mantenere in vita e far progredire il progetto. In questi anni le due fondatrici sono riuscite a superare questo scoglio con un mix di agevolazioni statali, capitale di rischio di Business Angel e il supporto ricevuto da acceleratori e incubatori.

In particolare, i primi prototipi di tessuti sono stati realizzati grazie all’ingresso in società di alcuni imprenditori siciliani e al finanziamento del bando Seed Money di Trentino Sviluppo (programma operativo FESR 2007-2013 della Provincia autonoma di Trento con il contributo del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale). A dicembre 2015, grazie al contributo del bando di finanziamento Smart&Start di Invitalia (Ministero Sviluppo Economico), sono riuscite a far nascere il primo impianto pilota per l’estrazione della cellulosa da agrumi atta alla filatura. Di recente, infine, grazie alla vittoria del Global Change Award 2015 – l’iniziativa lanciata dall’organizzazione no-profit H&M Foundation nel 2015 con l’obiettivo di ricercare idee innovative capaci di chiudere il cerchio nell’industria della moda per salvaguardare il nostro pianeta – le due imprenditrici hanno potuto investito il grant (borsa di studio) ricevuto in ricerca e sviluppo e hanno beneficiato di una consulenza e accelerazione personalizzata offerta da Accenture e dal KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma per far crescere e consolidare il progetto e l’azienda (Arena E., 2016).

In ultimo “abbiamo deciso di ricorrere al debito bancario grazie al rapporto consolidato con Unicredit e alla possibilità per start-up innovative di accedere al Fondo di Garanzia del ministero dello Sviluppo Economico. Ognuna di queste esperienze ci ha dato la possibilità di affinare la nostra idea d’impresa, confrontandoci con professionisti e creare una rete di supporto al progetto” (Arena E., 2016).

L’aspetto del finanziamento è centrale; nella fase iniziale si sono spese molte risorse in ricerca e sviluppo e nell’acquisto di materiali e componenti, nella progettazione e nella realizzazione degli impianti. Si tratta di investimenti che hanno movimentato ingenti quantitativi di denaro (nell’ordine di milioni di €). Orange Fiber ha avuto l’opportunità e la bravura di partecipare anche a bandi che però per la maggior parte delle volte si sono basati sulla rendicontazione, sistema che prevede l’anticipo delle spese che vengono rimborsate in una fase successiva. I bandi quindi non hanno risolto adeguatamente la necessità di risorse per finanziare il

progetto. A tal fine sono stati davvero determinanti i fonti elargiti dai Business Angel e quelli raccolti facendo ricorso alle banche (Arena E., 2016). Infine, va menzionato l’aspetto burocratico che ha rappresentato un problema bloccando, a volte, risorse finanziarie importanti: tetti e sovrapposizione di sovvenzioni hanno comportato il ridimensionamento dei fondi a disposizione, e crediti Iva di migliaia di decine di euro ha generato l’immobilizzazione di risorse che sarebbero state destinate ad altre ricerche e sviluppi, ritardando l’entrata sul mercato.

Oggi, Orange Fiber fa parte del portfolio del Fashion Tech Lab – FTL Ventures, il fondo internazionale di