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CAPITOLO 1. Introduzione

1.4 Terapia medica della malattia metastatica

1.4.2 Opzioni di chemioterapia di seconda linea

Attualmente, grazie alla disponibilità sempre maggiore di farmaci attivi contro il carcinoma pancreatico, i pazienti possono avvalersi di diverse opzioni di seconda linea dopo il fallimento di una terapia di prima linea. Pertanto, è fondamentale il monitoraggio dei pazienti in terapia, in modo da rilevare precocemente il fallimento dello schema terapeutico e i segni di progressione della malattia. La risposta al trattamento viene valutata attraverso studi di imaging (TC o MRI), tenendo conto dei criteri di valutazione della risposta nei tumori solidi (RECIST). È importante inoltre il monitoraggio dei livelli di CA 19-9: un livello di CA 19-9 in calo a seguito del trattamento è associato ad una migliore sopravvivenza, e a decrementi maggiori corrispondono migliori risultati197,198.⁠ CEA e CA-125 non sono marcatori approvati dalla FDA per l’adenocarcinoma pancreatico, e hanno un'accuratezza molto inferiore rispetto al CA 19-9; tuttavia, possono essere comunque utili per monitorare la

risposta alla terapia, soprattutto nei pazienti che non esprimono CA 19-9 a causa della variabilità del polimorfismo dell'antigene di Lewis.

A seguito dell'innalzamento dei markers tumorali e dell’evidenza di progressione tumorale, bisogna definire il performance status del paziente, poiché se possiede uno status ECOG pari o superiore a 2 la sopravvivenza attesa si attesta intorno ai 2 mesi e tali pazienti non sono suscettibili di ulteriori trattamenti chemioterapici199–201.

La scelta della terapia di seconda linea è largamente guidata dal precedente regime di trattamento effettuato, dagli effetti collaterali e dal performance status del paziente.

Gli studi maggiormente rilevanti riguardo agli schemi terapeutici da utilizzare come seconda linea di terapia sono uno studio multicentrico di fase III199 e due revisioni sistematiche della letteratura200,201⁠ .

Lo studio multicentrico di fase III condotto da Pelzer et al., comprendente 46 pazienti con malattia avanzata e KPS 70-100% in progressione durante il trattamento con gemcitabina, ha confrontato la best supportive care (BSC) con il regime OFF (Oxaliplatino/Fluorouracile/Acido folinico): è stato quindi dimostrato come la OS sia risultata decisamente migliore (mediana 4,82 mesi, 95% CI: 4.29-5.35) per il gruppo sottoposto a trattamento attivo con regime OFF rispetto al gruppo di BSC (mediana 2,30 mesi, 95% CI: 1.76-2.83), con un’HR di 0,45 (95% CI: 0.24-0.83), p=0,008.

Le due revisioni della letteratura condotte da Rahma et al. e da Nagrial et al. hanno considerato invece un campione molto più numeroso di pazienti (rispettivamente 1503 e 3112) affetti da carcinoma pancreatico localmente avanzato o metastatico in progressione dopo chemioterapia di prima linea, ed hanno confrontato i bracci includenti sola BSC o terapia attiva a scelta dell’investigatore in termini di overall

survival mediana. Quest’ultima, anche in questo caso, si è dimostrata

significativamente migliore per il gruppo sottoposto a trattamento attivo rispetto al gruppo assegnato al best supportive care (6 vs 2,8 mesi, p=0,013 nel primo studio; 4,6 vs 2,5 mesi, p=0,02 nel secondo studio).

La conclusione di tutti e tre questi trials, con le dovute limitazioni metodologiche, ha fornito un incentivo al trattamento sistemico di II linea in pazienti in grado di sopportare la chemioterapia, con vantaggi in termini di OS. Tuttavia, non sono ancora disponibili i dati cruciali relativi alla qualità di vita (QoL) dei pazienti sottoposti al trattamento attivo di seconda linea.

Per la scelta del miglior schema terapeutico da utilizzare, sono stati condotti in particolare due studi multicentrici randomizzati di fase III⁠ .

Il primo studio, denominato CONKO-3202⁠ , ha messo a confronto il regime OFF (oxaliplatino 85 mg / m2 + fluorouracile 2000 mg / m2 + acido folinico 200 mg / m2) con un regime di 5-fluorouracile e acido folinico da soli (FF) in un campione di 165 pazienti affetti da carcinoma pancreatico avanzato in progressione dopo una monoterapia con gemcitabina di prima linea. Tale studio ha dimostrato un vantaggio in termini di OS per il trattamento di combinazione rispetto al regime FF (5,9 mesi versus 3,3 mesi; 95%), anche se a fronte di una maggior incidenza di neuropatia periferica.

Il secondo studio, denominato NAPOLI-1203⁠ , ha invece confrontato, in 266

pazienti in progressione dopo trattamenti contenenti gemcitabina, un regime di irinotecan nanoliposomiale (nal-IRI, che possiede una biodistribuzione e una farmacocinetica migliore rispetto all’Irinotecan)/fluorouracile/acido folinico con un

regime a base di 5-fluorouracile e acido folinico (FF) da soli. Anche in questo caso, è stato dimostrato un impatto positivo in termini di OS per il trattamento di combinazione rispetto al regime FF (6,1 mesi versus 4,2 mesi; 95%), anche se a fronte di una maggior incidenza di neutropenia, diarrea, vomito e astenia.

A seguito di questo studio, le linee guida dell’AIOM hanno dunque preso in considerazione il trattamento chemioterapico di seconda linea a base di Oxaliplatino/5-FU/acido folinico o di nal-IRI/5-FU/acido folinico a seguito di una prima linea di trattamento sistemico con regimi contenenti Gemcitabina e con

performance status conservato.

I regimi terapeutici di seconda linea basati su Gemcitabina per pazienti che hanno ricevuto FOLFIRINOX in prima linea non sono stati invece studiati rigorosamente.

In generale, come approccio di seconda linea, le linee guida NCCN e AIOM⁠ raccomandano:

(1) o la partecipazione a trial clinici,

(2) o una chemioterapia di seconda linea basata su fluoropirimidine nei pazienti trattati precedentemente con regimi a base di Gemcitabina,

(3) o una terapia di seconda linea basata su Gemcitabina per i pazienti precedentemente trattati con fluoropirimidine.

L’individuazione di fattori prognostici predittivi del successo del trattamento potrebbero essere utili per identificare i pazienti che beneficerebbero maggiormente

della terapia.

Sebbene il prolungamento della sopravvivenza sia un obiettivo primario nei pazienti con PDA, la palliazione dei sintomi è ugualmente importante e in quanto tale essa

richiede un approccio multidisciplinare. Le raccomandazioni terapeutiche si basano fondamentalmente sull'eziologia dei sintomi, che può essere multifattoriale: i fattori che contribuiscono all’insorgenza dei sintomi includono infatti il carico metabolico del tumore, la tossicità del trattamento e l'ostruzione meccanica determinata dalla massa tumorale.

In primo luogo, è fondamentale ottimizzare la nutrizione del paziente, che potrebbe essere severamente compromessa a causa della cachessia e dell'insufficienza pancreatica.

La gestione aggressiva del dolore spesso richiede interventi minimamente invasivi come la neurolisi del plesso celiaco (endoscopica o percutanea), oltre alla narcolessia sistemica.

La sorveglianza attiva e il trattamento tempestivo degli eventi tromboembolici, dell'ostruzione biliare e dell'ostruzione dello svuotamento gastrico sono fondamentali.

Spesso, l’incremento dei sintomi e il deterioramento del performance status precludono un’ulteriore terapia antitumorale.

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