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CAPITOLO 1. Introduzione

1.3 Trattamento della malattia resecabile e localmente avanzata

1.3.4 Terapia della malattia localmente avanzata non resecabile

I pazienti con carcinoma pancreatico localmente avanzato (LAPC) hanno evidenza di malattia primitiva non resecabile (stadio III) e nessuna evidenza clinica / radiologica di metastasi a distanza167. La progressione locale può diventare sintomatica (con ostruzione biliare, dolore, ipertensione portale e ostruzione gastrica) e avere un impatto significativo sulla qualità di vita del paziente.

La malattia localmente avanzata non resecabile presenta una prognosi sfavorevole, con una sopravvivenza globale mediana di 9-11 mesi168. Diversi fattori specifici del paziente sono stati associati alla prognosi in questo contesto di malattia, tra cui anemia, scarso performance status, CA 19-9 elevato e punteggio di comorbidità di Charlson elevato. Inoltre, la risposta alla chemioterapia sistemica, prima della chemioradioterapia, sembra condizionare favorevolmente la sopravvivenza169. Gli obiettivi del trattamento della malattia LAPC sono: (1) Migliorare la qualità della vita raggiungendo il controllo locoregionale, e (2) prolungare la sopravvivenza impedendo lo sviluppo di malattia metastatica a distanza e progressione locale. La chemioterapia sistemica di combinazione è raccomandata in prima battuta per la maggior parte dei pazienti, dato che il 30-50% dei pazienti con LAPC sviluppa metastasi a distanza entro 3 mesi170. I regimi chemioterapici sviluppati per la malattia metastatica sono diventati la terapia di prima linea per il tumore del pancreas non

resecabile non metastatico, selezionati in base alle caratteristiche del paziente. Inoltre, mancano dati attendibili riguardo all’uso della terapia neoadiuvante nel tumore del pancreas localmente avanzato non resecabile. Rimangono tuttavia delle controversie circa il trattamento ottimale e l’associazione tra chemioterapia e radioterapia nel trattamento del cancro del pancreas localmente avanzato. La chemioradioterapia o la sola chemioterapia sono ad oggi i trattamenti utilizzati nei pazienti LAPC, anche se ancora non è stato definito uno standard terapeutico. Non si hanno infatti al momento dati definitivi relativi alla sopravvivenza media in tale sottogruppo di pazienti: infatti, in letteratura vengono solitamente considerate popolazioni comprendenti sia pazienti con LAPC sia con malattia metastatica, e gli studi clinici che hanno dimostrato l’efficacia della terapia con la combinazione di Gemcitabina e nab-paclitaxel o con FOLFIRINOX hanno incluso soltanto pazienti con malattia metastatica. Tuttavia, il diverso comportamento biologico della LAPC e la diversa prognosi dei pazienti affetti suggeriscono che tale sottogruppo debba essere analizzato separatamente e non solo attraverso report retrospettivi.

Comunque, la strategia terapeutica maggiormente utilizzata oggi nei pazienti affetti da LAPC prevede l’utilizzo di una CT di induzione per un periodo minimo di tre-sei mesi171⁠ e, in caso di mancata progressione di malattia comprovata con esami radiologici e di laboratorio, successivo trattamento con RT172. Il trattamento

radiochemioterapico non è invece consigliabile come primo approccio terapeutico, ma viene riservato a quei pazienti che continuano ad essere liberi da metastasi dopo il trattamento chemioterapico iniziale.

Nel caso in cui il paziente affetto da LAPC presenti caratteristiche cliniche che lo rendano non qualificabile al successivo trattamento CRT (scarso performance status, multiple comorbidità o avanzato stadio di malattia), la CT sistemica diventa il trattamento di scelta.

Secondo le linee guida NCCN del 2017, il trattamento della malattia localmente avanzata prevede quindi:

in caso di buon performance status (definito da uno score ECOG 0-1 in un paziente con stent biliare e adeguatamente nutrito), si raccomanda o un trattamento polichemioterapico sistemico con FOLFIRINOX o con Gemcitabina plus Nab- paclitaxel2,173⁠ o una chemioterapia di induzione seguita da chemioradiazione174⁠ o la sola chemioradiazione (con Gemcitabina o preferibilmente con Capecitabina175).

Se viene mantenuto un buon performance status nonostante la malattia in progressione, è possibile proseguire con una terapia di seconda linea basata su agenti chemioterapici diversi da quelli usati in prima linea. Tale trattamento viene protratto fino a nuova progressione di malattia, in assenza di tossicità e con buon performance status170. ⁠

In caso di peggioramento del performance status, invece, il paziente deve essere affidato alle cure palliative.

In caso di scarso performance status, si raccomanda o un trattamento chemioterapico basato su una monoterapia a base di Gemcitabina176 o la radioterapia di palliazione o altre terapie palliative. In caso di controindicazione alla Gemcitabina, viene consigliato il trattamento con fluoropirimidine.

Uno studio che ha approfondito il dibattito sulla raccomandazione o meno del trattamento chemoradioterapico nei tumori del pancreas localmente avanzati è stato quello condotto da Huguet et al. nel 2009: effettuando una revisione qualitativa sistematica della letteratura di tipo comparativo su 21 studi, sono stati considerati complessivamente 1854 pazienti affetti da adenocarcinoma del pancreas localmente avanzato, ed il ruolo della radioterapia è stato confrontato con altri diversi possibili trattamenti (radiochemioterapia vs best supportive care, radiochemioterapia vs radioterapia esclusiva, radiochemioterapia vs chemioterapia, chemioterapia di induzione seguita da radiochemioterapia vs radioterapia esclusiva, radiochemioterapia vs chemioterapia, chemioterapia di induzione seguita da radiochemioterapia vs radiochemioterapia vs chemioterapia). Questo studio ha dunque evidenziato come la radiochemioterapia concomitante sia superiore alla migliore terapia di supporto in termini di sopravvivenza globale (OS 13,2 mesi vs 6,4 mesi, p<0,001) e in qualità di vita (p<0,001); inoltre, la radiochemioterapia concomitante è stata capace di migliorare la sopravvivenza rispetto alla sola radioterapia (HR = 0,69; 95% Cl, 0,51-0,94). La sopravvivenza globale invece non si è dimostrata significativamente diversa dopo radiochemioterapia o sola chemioterapia (HR = 0,79; 95% Cl, 0,32-1,95). Infine, la chemioterapia di induzione seguita dalla radiochemioterapia è stata associata ad un aumento della sopravvivenza rispetto alla radiochemioterapia esclusiva o alla sola chemioterapia177.

Più recentemente, è stato condotto un altro studio clinico randomizzato (trial LAP07 pubblicato nel 2016) da Hammel et al., in cui sono stati presi in considerazione 442 pazienti affetti da tumore localmente avanzato del pancreas. Questi pazienti sono stati trattati in una prima randomizzazione con chemioterapia

con gemcitabina in monoterapia o associata ad erlotinib protratta per 4 mesi178. Successivamente, 269 pazienti (61%) con quadro di malattia controllata sono stati ulteriormente trattati in seconda randomizzazione con radiochemioterapia o con due mesi della stessa chemioterapia. Il follow-up mediano è stato di 36,7 mesi (95% Cl, 27,6-44,2 mesi). Le conclusioni di questo studio hanno dimostrato come non vi sia stata nessuna differenza in termini né di sopravvivenza globale (13,6 mesi vs 11,9 mesi) né in sopravvivenza libera da progressione nei due bracci trattati in prima randomizzazione con gemcitabina da sola o con gemcitabina associata ad erlotinib; allo stesso modo, anche nella seconda randomizzazione (chemioradioterapia vs chemioterapia) non è stata riscontrata alcuna differenza né in termini di sopravvivenza globale mediana (15,2 mesi vs 16,5 mesi) né in termini di sopravvivenza libera da progressione (9,9 mesi vs 8,4 mesi) tra i due bracci trattati. Addirittura, è stata riscontrata una sopravvivenza globale minore nei pazienti trattati in seconda randomizzazione con chemioterapia con gemcitabina ed erlotinib rispetto ai pazienti trattai con sola gemcitabina (14,5 mesi vs 17,1), a fronte inoltre di un’aumentata tossicità. Tra tutti i pazienti considerati nello studio, l’87% ha presentato una malattia in progressione (23% locoregionale, soprattutto per il braccio trattato con sola chemioterapia in seconda randomizzazione; 54% sistemica, soprattutto per il braccio trattato con radiochemioterapia in seconda randomizzazione).

Attraverso questi due studi, è stato quindi dimostrato come la chemioradioterapia abbia portato ad un aumento abbastanza rilevante della sopravvivenza libera da progressione, ad un miglior controllo locale e ad un ritardo significativo dell’inizio della successiva terapia. Ovviamente, tale studio dovrebbe essere revisionato in

funzione dell’avvento delle nuove strategie chemioterapiche a base di FOLFIRINOX e Gemcitabina plus Nab-paclitaxel. In definitiva, le linee guida dell’AIOM raccomandano comunque che nei pazienti con malattia localmente avanzata non resecabile, liberi da progressione dopo chemioterapia sistemica170, venga presa in

considerazione la chemioradioterapia concomitante di consolidamento come opzione terapeutica di prima intenzione.

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