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L’organizzazione e la struttura delle Forze aeronavali cinesi

La distribuzione dei cinque comandi interforze di teatro sul territorio della Repubblica Popolare Cinese, di cui con connotazioni marittime. A Qingdao, Ningbo e Zanjiang si trovano i comandi delle tre flotte in cui sono suddivise le Forze

aeronavali della Marina cinese (US DoD).

65 Novembre 2021

A

ll’inizio del XXI secolo, i leader di Pechino erano consapevoli che la confluenza di alcuni fattori avrebbe vantag-giosamente orientato una veloce espansione e un altrettanto veloce sviluppo delle Forze armate cinesi. Tali fattori erano l’incremento degli interessi politici ed economici globali della Repubblica Popolare Cinese, i mu-tamenti rapidamente indotti dalla tecnologia nella guerra moderna e la percezione che le minacce esterne di natura stra-tegica, incluse quelle a danno degli interessi marittimi, stessero aumentando. I leader cinesi dell’epoca intuirono che stesse per iniziare un periodo di cosiddetta «opportunità strategica», protratto fino ad almeno il 2020, durante il quale la Repubblica Popolare Cinese non sarebbe stata coinvolta in un conflitto di ampie proporzioni, dando perciò il tempo al paese di consolidare e proseguire lo sviluppo economico e militare. Di conseguenza, si diede il via a una serie di per-corsi finalizzata a modernizzare le Forze armate nazionali, per farne un efficiente ed efficace strumento bellico: per ac-celerare questo vasto e ambizioso processo e orientarsi inizialmente sulle carenze capacitive esistenti, Pechino ha aumentato i fondi destinati alle Forze armate di circa il 10% all’anno, dal 2000 al 2016, e ha creato un apposito dipar-timento per razionalizzare la modernizzazione degli equipaggiamenti e i processi di procurement: allo stesso modo, sono stati avviati diversi programmi tecnico-scientifici per consolidare e potenziare il complesso militare-industriale e per ri-durre la dipendenza dall’acquisizione di mezzi e sistemi di produzione estera. Attenzione è stata devoluta anche ai pro-grammi addestrativi, con le tutte le Forze armate impegnate a pianificare e a prepararsi più realisticamente a un confronto militare, enfatizzando le esercitazioni mirate al raggiungimento di specifici obiettivi, le operazioni interforze, la mobilità, un miglior esercizio del comando e controllo (C2) (23) e il potenziamento della logistica: un aspetto comune a queste direttrici di sviluppo ha riguardato l’applicazione di metodi per informatizzare un conflitto, primo fra tutti la creazione di un’architettura networkcentrica di C2 operante in tempo reale.

Prima di procedere con un esame complessivo dell’organizzazione militare governata da Pechino, è opportuno spendere qualche riga e considerazione sul bilancio militare della Repubblica Popolare Cinese. Secondo quanto appurato da una serie di fonti specifiche sull’argomento, nel 2021 il bilancio ufficiale delle Forze armate — comunicato alle Nazioni unite

— ammonta a poco più di 209 miliardi di dollari, pari a poco meno di un terzo rispetto a quello degli Stati Uniti, che ne raggiunge 750. Dev’essere tuttavia ricordato che le cifre comunicate da Pechino non possono essere soggette a verifica, come avviene in altre nazioni: è quindi verosimile che ai predetti 209 miliardi di dollari vadano aggiunte somme di bilancio «nascoste» agli analisti occidentali, soprattutto quelle relative al vasto processo di ricerca, sviluppo e sperimen-tazione condotto a cura di diverse università, istituti e centri di ricerca specializzati in sistemi dual-use e quelle necessarie alla gestione delle organizzazioni paramilitari, di per sé quantitativamente rilevanti, all’opera nella Repubblica Popolare Cinese. È altresì vero che il modello di sviluppo socio-economico della Cina è caratterizzato da costi nettamente inferiori rispetto alle nazioni occidentali, oltre che ad alcune economie asiatiche di primo livello (Giappone, Corea del Sud,

Tai-wan, Singapore), implicando ciò un onere complessivo inferiore per l’acquisizione, la manutenzione e l’impiego dei mezzi e sistemi militari cinesi. In altri termini, il budget dichiarato da Pechino rimane probabilmente sottovalutato rispetto alle spese realmente sostenute.

L’era di Xi

L’evoluzione delle Forze armate, maturata sin dall’avvento al potere di Xi Jinping (2012), è proseguita secondo le di-rettive politico-strategico formulate dal suo predecessore Hu Jintao, ma con un mutamento significativo: l’accorpamento nella persona di Xi delle responsabilità di vertice nel partito, nelle Forze armate e nello Stato, permettendogli — durante la fase iniziale del suo mandato — di incidere decisamente sul percorso evolutivo dello strumento militare cinese. Xi si è concentrato sul rafforzamento di quest’ultimo, soffermandosi su temi quali la supremazia del partito sulle Forze armate, il miglioramento delle loro capacità e il potenziamento della professionalità militare; ha inoltre ampliato l’ambito e le ambizioni della modernizzazione militare, enfatizzando il ruolo delle Forze armate oltremare e costruendo la cornice istituzionale, per consentire una sostanziosa crescita qualitativa proiettata ben oltre le minacce alla sicurezza tradizio-nalmente percepite nella Repubblica Popolare Cinese.

Alla fine del 2015, Xi Jinping ha reso noto l’insieme delle riforme militari più significative degli ultimi 30 anni della storia cinese, aventi l’obiettivo di creare uno strumento militare più snello ma più capace e in grado di svolgere le missioni interforze ritenute necessarie per poter competere con altre potenze globali, Stati Uniti sempre in primo luogo. La ri-forma ha riguardato la riorganizzazione interna della potente Commissione Militare Centrale, capeggiata da Xi, nonché la ristrutturazione dei comandi territoriali periferici, ma gli aspetti maggiormente rilevanti sono quattro: l’assunzione per l’Esercito di un ruolo paritario, anziché sovraordinato com’era in precedenza, rispetto alla Marina e all’Aeronautica;

la creazione di una Forza missilistica anch’essa equiparata alle altre tre Forze armate «tradizionali»; l’unificazione degli assetti e delle capacità spaziali e cibernetiche in una Strategic Support Force; e la creazione di una Joint Logistics Support Force per potenziare il supporto logistico a uno strumento militare decisamente orientato verso le operazioni interforze e idoneo a facilitare il processo di transizione dallo stato di pace a quello di guerra.

Secondo una recente edizione del Military Balance, edito dal prestigioso International Institute for Strategic Studies di Londra, il totale delle Forze armate cinesi ammontava, qualche anno fa, a circa 2.300.000 uomini e donne, ma le riforme propugnate da Xi e avvallate dalla Commissione Militare Centrale riguardano una contrazione di circa 300.000 militari, da conseguire entro il 2020 attraverso una razionalizzazione da attuare soprattutto fra i reparti non combattenti; da ri-cordare comunque che oltre alle tre Forze armate tradizionali, alla Forza missilistica e alle due organizzazioni interforze citate in precedenza, Pechino dispone di due organizzazioni paramilitari, la Polizia popolare e la Milizia, entrambi com-prendenti un’articolazione spiccatamente marittima di una certa consistenza e discussa nella parte sesta del Supplemento.

I vertici delle Forze armate cinesi hanno una certa influenza nella definizione della politica estera e militare, perché come braccio armato del Partito Comunista Cinese ne sposano totalmente i concetti e i criteri organizzativi. Ovviamente, la stragrande maggioranza degli ufficiali in servizio permanente è iscritta al Partito e in tutte le unità elementari (a livello di compagnia, a bordo delle unità navali e in ogni gruppo di volo) vi è un commissario politico responsabile per la disci-plina del personale, la propaganda e la sicurezza interna/controspionaggio, e anche di assicurare che gli ordini del Partito siano fedelmente seguiti.

La Commissione Militare Centrale (CMC) è l’organo decisionale di massimo livello delle Forze armate cinesi ed è tec-nicamente sia un organo del Partito subordinato al Comitato centrale, sia un ente governativo nominato dal Congresso del Popolo, ed è composto quasi esclusivamente da personale militare o ex-militare. La CMC è presieduta da un civile, che normalmente ricopre anche la carica di Segretario generale del Partito e Presidente della Repubblica Popolare

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Cinese, come sta appunto accadendo per Xi Jinping. Fino a qualche anno fa, la CMC comprendeva anche due vicepre-sidenti militari (al contempo membri del Politburo del Partito), il ministro della Difesa, i comandanti delle Forze armate e altri quattro personaggi militari di rango elevato. Come già accennato, nel 2017 la CMC è stata riformata per snellirne il vertice, perché ai comandanti delle Forze armate e ai quattro predetti personaggi, sono subentrati i responsabili del dipartimento di pianificazione e condotta operativa interforze (24), di quello incaricato del controllo politico e del di-partimento responsabile della lotta alla corruzione, evidenziando dunque l’importanza degli aspetti operativi interforze, della lealtà al Partito e della disciplina generale rispetto agli interessi delle singole Forze armate (25). La CMC ha una sua organizzazione interna che coordina diverse macroentità: cinque comandanti di teatro, sei organizzazioni militari (le tre Forze armate, la Forza missilistica, la Joint Logistics Support Force e la Strategic Support Force), gli istituti di for-mazione militare e le organizzazioni paramilitari.

Sotto il profilo operativo, la precedente organizzazione territoriale, che rifletteva la predominanza dell’Esercito sulle altre Forze armate e comprendeva sette regioni militari, è stata riarticolata secondo i cinque predetti comandi di teatro (orientale, occidentale, settentrionale, meridionale (26) e centrale), orientati a una maggior mobilità e a un dispiega-mento coordinato di reparti terrestri, unità navali e assetti aerei, nonché alla percezione delle minacce provenienti del-l’esterno. Dei cinque comandi di teatro, quello meridionale, si affaccia sul Mar Cinese Meridionale e, assieme a quello orientale, affacciato sull’omonimo Mar Cinese, è responsabile delle attività marittime e delle operazioni aeronavali mirate a Vietnam, Filippine, Taiwan e Giappone; al comando del teatro settentrionale, affacciato sul Mar Giallo e sui mari costieri del Pacifico, è devoluta la responsabilità di azioni che dovessero coinvolgere la Corea del Sud. Ovviamente, questi tre teatri sarebbero quelli maggiormente attivi in qualunque caso di crisi, confronto o conflitto da gestire in tutto il Pacifico occidentale, con o senza il coinvolgimento degli Stati Uniti.

Le riforme hanno inoltre modificato sensibilmente le aree di responsabilità, perché piuttosto che avere il comando dei propri reparti, le singole Forze armate sono adesso principalmente responsabili del loro equipaggiamento e della loro manutenzione, mentre l’autorità di comando è diventata una funzione dei comandanti di teatro, uno scenario che do-vrebbe teoricamente facilitare l’attuazione di operazioni a cura di pacchetti formati da Forze terrestri, reparti aerei e unità navali. La condotta delle operazioni era in precedenza affidata ai responsabili delle preesistenti regioni militari, tutte guidate da ufficiali dell’Esercito: questo costrutto avrebbe obbligato le Forze armate cinesi a una transizione da una configurazione del tempo di pace orientata secondo criteri di Forza armata a una configurazione operativa interforze da eseguire in tempi molto rapidi e quindi difficilmente praticabile senza intoppi più o meno gravi. Pertanto, il processo di riforme approvato da Xi è stato certamente propugnato da generali e ammiragli da qualche tempo intenti a seguire e analizzare analoghi processi già implementati in Occidente: il risultato è stata la creazione di un sistema di comando e controllo in cui le decisioni assunte dalla CMC vengono rapidamente trasferite ai comandi di teatro e da questi ai pacchetti operativi e messe in atto mediante strutture di C2 già esistenti e non create appositamente come avveniva in precedenza;

una filosofia che conferisce dunque alla Cina, almeno in teoria, la capacità di gestire senza traumi il passaggio da una scenario del tempo di pace a una contingenza di natura bellica.

In termini pratici, i principali elementi del sistema nazionale C2 implementato con le riforme degli ultimi anni sono due:

il già citato dipartimento di pianificazione e condotta operativa interforze che agisce in seno alla CMC e la costituzione, a livello centrale e in ciascun comando di teatro, di Joint Operations Command Centres, JOCCs, costituito da personale delle tre Forze armate e dalle altre organizzazioni militari specialistiche. Il JOCC centrale, noto come CMC JOCC, co-ordina le azioni intraprese dai cinque comandanti di teatro per raggiungere gli obiettivi strategici prefissati in sede di pianificazione interforze, mentre i JOCC di teatro sono responsabili di tutte le funzioni nelle rispettive aree di compe-tenza, fra cui la sorveglianza continua, il mantenimento della situational awareness, la pianificazione e la condotta delle operazioni interforze: a queste funzioni si aggiunge la gestione di un canale di comunicazione per collegare i comandanti di teatro con i comandi dei reparti militari terrestri, navali e aerei dislocati in ciascuno teatro.

Oltre alle capacità militari tradizionali esprimibili dalle Forze armate e impiegabili grazie alla riforma complessiva del-l’architettura C2, Pechino ha investito risorse considerevoli in settori altrettanto importanti quali la guerra chimica e batteriologica, lo spazio e il cyberspazio, e gli armamenti nucleari; in quest’ultimo caso con l’obiettivo di mantenere attiva una quantità sì limitata di assetti nucleari, ma in grado di sopravvivere a un attacco e di garantire comunque im-portanti capacità di rappresaglia. In aderenza a quest’obiettivo, la Repubblica Popolare Cinese ha adottato e segue da lungo tempo una politica di no first use, NFU, cioè l’impiego di armi nucleari solo in risposta a un attacco dello stesso tipo contro obiettivi cinesi. Esistono tuttavia alcune ambiguità in merito alle condizioni di applicabilità della dottrina NFU perché alcuni vertici militari non hanno escluso un impiego preventivo di armi nucleari in caso di un attacco con-venzionale nemico che dovesse minacciare la sopravvivenza degli assetti nucleari cinesi o dello stesso regime al potere a Pechino. Non esistono peraltro chiare informazioni o indicazioni che la leadership politica possa accettare siffatte sfu-mature o peculiarità nell’interpretazione e nell’applicazione della dottrina NFU.

Sotto il profilo pratico, l’ammodernamento della Forza missilistica comprende anche lo sviluppo di una nuova genera-zione di ordigni mobili equipaggiati con testate multiple manovrabili, concepiti per assicurare credibili capacità al de-terrente strategico cinese a fronte dei continui progressi in tema di sorveglianza, ricognizione, attacco di precisione e difesa antimissili ottenuti dagli Stati Uniti e, in misura minore, dalla Russia. Si sta inoltre cercando di migliorare il livello di prontezza degli assetti nucleari in modo da garantire una maggior reattività per i missili basati a terra e per quelli im-barcati su naviglio subacqueo (discussi più avanti). Da qualche anno, anche all’Aeronautica è stata assegnata una «mis-sione nucleare», probabilmente legata allo sviluppo di un nuovo modello di bombardiere strategico e il cui successo potrebbe consentire alla Repubblica Popolare Cinese di schierare una triade nucleare di deterrenza strategica distribuita fra assetti terrestri, navali e aeronautici e associata a una moderna architettura C2, secondo un approccio considerato universalmente efficace sin dai tempi della Guerra fredda.

Le Forze aeronavali: generalità, organizzazione e schemi operativi

Sotto il profilo quantitativo, la Marina cinese è il più consistente strumento aeronavale dell’Asia, con un inventario di 370 unità conteggiabili nell’ordine di battaglia e suddivise fra unità combattenti di superficie, sottomarini, naviglio d’as-salto anfibio, ausiliario e per la guerra di mine, pattugliatori e unità specialistiche: il personale in servizio attivo ammonta, secondo stime affidabili, a 240.000 uomini e donne. Una prima considerazione in tal senso è che i numeri contano: in passato, si diceva che la quantità di portaerei, incrociatori, cacciatorpediniere, unità subacquee, ecc., o anche il loro di-slocamento complessivo, non era un indice su cui fare affidamento per misurare le capacità delle singole piattaforme in caso di confronto con unità della medesima categoria. Si argomentava inoltre che la tecnologia occidentale bastasse a controbilanciare, se non a surclassare, i numeri cinesi, due princìpi che al giorno d’oggi non appaiono più credibili. Da circa quindici anni è stato avviato un programma finalizzato alla rapida sostituzione delle unità concepite per un’unica funzione con piattaforme multiruolo, dimensionalmente più grandi ed equipaggiate con sistemi d’arma e sensori dedicati alle tre classiche forme di operazioni navali (contrasto antinave, difesa contraerei e lotta antisom). Sotto il profilo tecno-logico, diversi osservatori affermano che la PLAN sta rapidamente colmando il divario tecnologico al momento esistente con le Marine occidentali, l’US Navy in primo luogo, dimostrando notevoli progressi anche in materia di standard e ca-pacità produttive di naviglio di superficie e subacqueo: tuttavia, l’obiettivo prioritario della PLAN non sembra essere — almeno per il momento — il raggiungimento di capacità qualitativamente speculari a quelle dell’US Navy, quanto piuttosto quello di acquisire un determinato livello di efficacia per prevalere in particolari contesti geografici e operativi e infliggere il maggior danno possibile al nemico, qualunque esso sia. Ciò detto, la qualità dello strumento aeronavale cinese è tale da farlo ritenere già adesso una minaccia credibile in tutto il teatro indo-pacifico o Asia-Pacifico.

69 Novembre 2021

Al vertice della Marina della Repubblica Popolare Cinese vi è attualmente l’ammiraglio Dong Jun (27), in carica del settembre 2021, che controlla formalmente tutti gli assetti aeronavali cinesi (fra cui sette brigate anfibie) e gestisce quelli che in tre dei cinque comandi di teatro menzionati in precedenza — meridionale, orientale e settentrionale — conducono regolarmente attività operative e addestrative. Dal punto di vista organizzativo-territoriale, la PLAN comprende tre flotte:

— quella del «Mare Settentrionale», con quartier generale a Qingdao, responsabile del Mar di Bohai, del Mar Giallo e della porzione settentrionale del Mar Cinese Orientale, e inquadrata nell’area d’operazioni del comando del teatro settentrionale;

— la flotta del «Mare Orientale», con quartier generale a Ningbo, responsabile di gran parte del Mar Cinese Orientale e dello Stretto di Taiwan, inquadrata nell’area d’operazioni del comando del teatro orientale;

— la flotta del «Mare Meridionale», con quartier generale a Zhannijang, responsabile del Mar Cinese Meridionale e in-quadrata nell’area d’operazioni del teatro meridionale.

Il vice comandante di ciascuna delle tre flotte è il responsabile dei reparti dell’aviazione navale cinese — definita PLAN Air Force, PLANAF — basati nella rispettiva area di responsabilità.

Si è accennato in precedenza al processo di modernizzazione dello strumento aeronavale iniziato circa quindici anni orsono, finalizzato a realizzare una struttura delle forze tecnologicamente avanzata e operativamente flessibile, e mantenendone co-stante la consistenza complessiva. Nelle fasi iniziali del suo ammodernamento, la PLAN si è concentrata sul potenziamento delle capacità nel settore del contrasto antinave, funzione affidata a naviglio di superficie e subacqueo e concettualmente ereditata dalla stretta collaborazione con la Marina ex-sovietica; successivamente, gli sforzi si sono focalizzati sul migliora-mento delle capacità di difesa aerea e, sebbene in misure minore, su quelle di contrasto antisommergibili. Ogni unità maggiore combattente della Marina cinese, vale a dire cacciatorpediniere e fregate, è equipaggiata con le sistemazioni aeronautiche per impiegare elicotteri e mezzi aerei a controllo remoto per la designazione dei bersagli oltre l’orizzonte, la caccia antisom-mergibili, e la ricerca e soccorso; da parte sua, la componente subacquea della PLAN è per lo più dedicata al contrasto anti-nave, con un aliquota di battelli a propulsione nucleare dedicata alla deterrenza strategica nucleare. L’aviazione navale sta espandendo la sua gamma di missioni attraverso l’ingresso in linea di moderni velivoli da combattimento multiruolo, associati a elicotteri, velivoli per missioni particolari e mezzi aerei a controllo remoto. Una dimostrazione dei progressi raggiunti nel processo di potenziamento e ammodernamento della Marina cinese è maturata, almeno dal punto di vista scenografico, dalla grande parata navale svoltasi nell’aprile 2018, nel Mar Cinese Meridionale, palcoscenico marittimo per un evento di pro-porzioni ineguagliate e mai condotto sin dai tempi dalla fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Alla parata navale hanno preso parte oltre 10.000 uomini e donne a bordo di circa 50 unità navali di superficie e subacquee e 80 velivoli, ed è stata presieduta da Xi Jinping (28), ben lieto di apparire di fronte alle numerosi emittenti televisive appositamente convocate per immortalare una dimostrazione di forza militare mirata a dimostrare le capacità della Marina cinese non solo in un teatro marittimo assai rilevante ai fini della strategia di sicurezza nazionale di Pechino, qual è il Mar Cinese Meridionale, ma anche per ribadire che gli interessi marittimi della Repubblica Popolare Cinese travalicano i confini di quel mare.

Prima di esaminare in dettaglio piattaforme e sistemi imbarcati della PLAN, è opportuna una rapida analisi dei suoi po-tenziali schemi operativi. Diversi osservatori occidentali condividono l’ipotesi che la Marina cinese sia stata modellata per impadronirsi di territori insulari, ipotesi peraltro avvalorata dalle continue e durature minacce esercitate soprattutto, ma non soltanto, su Taiwan: oltre al naviglio specializzato, un’operazione d’assalto anfibio sarebbe eseguita da una task force comprendente un certo numero di task groups formati da cacciatorpediniere lanciamissili e fregate, armati in modo da fa-vorire un’azione di fuoco che agevoli i reparti da sbarco. Queste unità hanno inoltre elevata velocità, buona autonomia e capacità di difesa aerea e antimissili, nel complesso, sufficienti a contrastare reazioni all’assalto anfibio a cura di Forze ae-ronavali statunitensi e alleate. Questo scenario è applicabile a operazioni sia contro Taiwan, sia contro l’arcipelago delle

Prima di esaminare in dettaglio piattaforme e sistemi imbarcati della PLAN, è opportuna una rapida analisi dei suoi po-tenziali schemi operativi. Diversi osservatori occidentali condividono l’ipotesi che la Marina cinese sia stata modellata per impadronirsi di territori insulari, ipotesi peraltro avvalorata dalle continue e durature minacce esercitate soprattutto, ma non soltanto, su Taiwan: oltre al naviglio specializzato, un’operazione d’assalto anfibio sarebbe eseguita da una task force comprendente un certo numero di task groups formati da cacciatorpediniere lanciamissili e fregate, armati in modo da fa-vorire un’azione di fuoco che agevoli i reparti da sbarco. Queste unità hanno inoltre elevata velocità, buona autonomia e capacità di difesa aerea e antimissili, nel complesso, sufficienti a contrastare reazioni all’assalto anfibio a cura di Forze ae-ronavali statunitensi e alleate. Questo scenario è applicabile a operazioni sia contro Taiwan, sia contro l’arcipelago delle