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strategici cinesi nei mari e negli oceani

Un’immagine satellitare scattata a dicembre 2019 mostra il molo realizzato nella base militare cinese a Gibuti, primo caposaldo strategico realizzato da Pechino in acque lontane dalla Repubblica Popolare Cinese: il molo — pier, nell’immagine — ha una lunghezza di 320 metri ed è impiegabile su due lati. A destra di questo molo, s’intravede un’altra

struttura similare, situata in una zona con fondali più bassi: è possibile che sia in corso la costruzione di un secondo e più corto molo, previo dragaggio della zona e da adibire all’ormeggio di unità minori (Google Earth).

49 Novembre 2021

N

ella letteratura ufficiale del Partito Comunista Cinese è stato coniato il concetto di caposaldo strategico che, applicato all’obiettivo di raggiungere lo status di potenza marittima globale, si trasforma in un caposaldo stra-tegico d’oltremare. Sebbene non esista una formale definizione di questo concetto, esso è usato dai funzionari e dagli analisti politico-militari della Repubblica Popolare Cinese, per descrivere quei porti situati all’estero aventi un valore strategico ed economico perché sede d’infrastrutture e attività commerciali gestite da compagnie cinesi. L’attua-zione di questo concetto, incardinato nella via marittima della seta, ha dato origine a diversi porti con queste caratteri-stiche, situati lungo le coste dell’oceano Indiano. Gli elementi caratteristici determinanti per la scelta di una località rispetto a un’altra sono sostanzialmente tre: la posizione strategica, lungo le principali linee di comunicazione marittima e i relativi passaggi obbligati; la natura olistica degli investimenti, che necessitano il coordinamento fra enti governativi e aziende commerciali per realizzare infrastrutture portuali, strade, ferrovie e oleodotti/gasdotti e promuovere attività commerciali, industriali ed estrattive nell’hinterland; e l’impiego per scopi civili e militari.

Gibuti e il Corno d’Africa

La posizione di Gibuti, a cavallo delle linee di comunicazione marittima fra il Mediterraneo/Mar Rosso e l’oceano Indiano, ne conferma un’importanza strategica da associare alla sua prossimità sia con le aree conflittuali nel Medio Oriente, sia con la presenza d’infrastrutture e Forze militari statunitensi, europee e nipponiche, un aspetto quest’ultimo che ha certamente motivato la scelta di Pechino. Inoltre, la decisione di costruire una base militare oltremare segna una rottura decisiva con una tradizione pluridecennale di veementi sconfessioni ufficiali per tali iniziative, peraltro in linea con i principi di politica estera stabiliti da Deng Xiaoping relativi al mantenimento di un basso profilo, anch’essi dunque ritenuti non più applicabili.

Le funzioni della base cinese a Gibuti diventano sempre più chiari man mano che passa il tempo, anche se Pechino insiste nel confermare che essa serve per supportare le unità navali e i reparti dispiegati nel Golfo di Aden, per le operazioni anti-pirateria e non è finalizzata per ulteriori proiezioni di potenza. Fonti ufficiali della Repubblica Popolare Cinese hanno tuttavia affermato che la base serve per la condotta di missioni aggiuntive, quali la scorta, il supporto umanitario e il mante-nimento della pace in Africa e nell’Asia occidentale, la cooperazione militare, le esercitazioni congiunte, l’evacuazione e protezione di cittadini all’estero e il generico contributo alla sicurezza di vie di comunicazione marittima strategicamente importanti. Una graduale scoperta della piena portata del ruolo della base potrebbe ridurre l’impatto immediato di un siffatto cambiamento strategico nel pensiero militare cinese, ma come dichiarato nel 2016 dall’ammiraglio Shengli, all’epoca al vertice della PLAN, la base sarà chiaramente un elemento abilitante per consentire alle Forze militari cinesi, e in primo luogo alla Marina, di «svolgere missioni su larga scala in aree più ampie».

A valle degli accordi stipulati fra il governo di Pechino e quello di Gibuti, la costruzione della base è iniziata a febbraio 2016 ed è stata formalmente e solennemente inaugurata il 1o agosto 2017. Le prime due navi militari a visitare la base sono state l’unità d’assalto anfibio Jinggangshan e quella ausiliaria semisommergibile Donghaidao, impiegate per il tra-sporto del primo contingente di militari in servizio a Gibuti: le unità, appartenenti alla 27a missione antipirateria, sono state le prime a beneficiare del supporto di una base navale cinese oltremare, anche se quest’attività veniva svolta rego-larmente già dall’inizio del 2010 (19). La piena operatività della base ha consentito di valutare che la sua collocazione

— in prossimità del terminale portuale di Doraleh — può incrementarne le capacità ricettive, perché i moli commerciali possono essere utilizzati da quasi tutte le unità maggiori della PLAN: inoltre, le infrastrutture militari ivi presenti possono, da sole, supportare un’ampia gamma di operazioni militari più impegnativa del mero supporto logistico. Le immagini satellitari mostrano edifici per lo stoccaggio di combustibile, armamenti e munizioni, oltre che officine di manutenzione per unità navali e velivoli: nella base non vi sono bacini fissi o galleggianti, ma la zona a sud del molo principale appare sufficientemente ampia per questo scopo, così come la presenza di altre aree edificabili, suggerisce che la base potrebbe ospitare fino a 10.000 militari, quindi molti di più rispetto ai 4.000 statunitensi di stanza a Camp Lemonnier, la più grande delle sette basi di altrettante nazioni ospitate a Gibuti.

La sorveglianza satellitare e diversi elementi grafici provenienti da fonti cinesi non classificate consentono di raccogliere alcune informazioni importanti sulle capacità e sulle potenzialità di Gibuti, come per esempio depositi sotterranei di combustibile e munizionamento, una pista lunga 400 metri, diversi hangar e una torre di controllo, una decina di edifici adibiti ad alloggi, due vie d’accesso alla base e un perimetro di sicurezza multiplo, confermando altresì ufficialmente la presenza di un reparto della PLAN appositamente dedicato alla gestione dei depositi di combustibili e lubrificanti. Uno sviluppo cruciale delle capacità di supporto navale riguarda la costruzione di una banchina lunga 330 metri, in grado perciò di consentire l’ormeggio anche di una portaerei: nonostante questa possibilità non sia stata esclusa da fonti ufficiali cinesi, la scarsa profondità dei fondali costituisce forse il maggior vincolo sulla tipologia di unità navali cinesi ormeggiate a Gibuti. Ma ricordando l’operato delle unità speciali per dragare i fondali attorno agli atolli del Mar Cinese Meridionale per trasformarli in isole, una lunghezza totale delle banchine disponibili pari a 660 metri fornisce spazio a sufficienza per l’ormeggio di unità maggiori combattenti, soprattutto se disposte a pacchetto, mentre nell’adiacente complesso por-tuale di Doraleh, la profondità dei fondali (15 metri) non è stata un problema per ormeggiarvi unità d’assalto anfibio

«Type 071».

La sicurezza della base militare cinese di Gibuti è assicurata da un battaglione della fanteria di Marina, comprendente tre compagnie di fanteria meccanizzata, supportate da veicoli da combattimento ruotati; non è stata finora riscontrata la presenza di altre pedine di supporto tattico quali batterie d’artiglieria e reparti aeroportati, ma è chiaro che la disponibilità di elicotteri amplierebbe la mobilità e l’ampiezza di manovra del battaglione. A Gibuti è presente anche un distaccamento di Forze speciali, inquadrato nella fanteria di Marina e ufficialmente destinato all’abbordaggio di mercantili sospetti, al contrasto della pirateria marittima e al salvataggio di ostaggi: peraltro, questo reparto è stato osservato in esercitazioni anche nelle difficili condizioni ambientali del deserto gibutino, secondo uno schema tipico per gli interventi di reazione rapida contro minacce esterne al personale e alle infrastrutture della base, anche se non è da escluderne un impiego al suo esterno.

Come già accennato, la funzione primaria della base di Gibuti è il supporto ai Gruppi navali della PLAN che da oltre dieci anni sono dispiegati nel Golfo di Aden per operazioni di contrasto alla pirateria marittima. Affinando e consolidando una procedura già in essere da un decennio, lo schema operativo delle tre unità normalmente assegnate al Gruppo navale (due combattenti e una ausiliaria) prevede normalmente che una di esse effettui una sosta di cinque giorni per riforni-mento, manutenzione e riposo, mentre le altre due proseguono le operazioni di scorta ai mercantili. Secondo fonti della PLAN, la turnazione a Gibuti consente di allungare i periodi di dispiegamento dei Gruppi navali, i cui equipaggi possono peraltro disporre di strutture di supporto medico, logistico e ricreativo a terra prima ridotte o non esistenti; infatti,

seb-51 Novembre 2021

bene il clima di Gibuti non sia un luogo ideale per una breve licenza, le strutture della base sono certamente più ospitali degli spazi disponibili a bordo delle unità di superficie, soprattutto delle fregate. Le attività di manutenzione intraprese già alcuni mesi dopo l’apertura della base evidenziano le capacità, di quest’ultima, per lo stoccaggio e il preposiziona-mento di una cospicua aliquota di materiali per supportare tempestivamente non solo le operazioni dei Gruppi navali antipirateria, ma anche operazioni di naviglio cinese comunque condotte a grande distanza dalle basi nazionali. Inoltre, Gibuti è idealmente posizionata per fornire supporto ai reparti cinesi impegnati in operazioni di peacekeeping nel con-tinente africano (circa 2.000 militari, di cui 1.400 circa in Africa orientale).

La protezione degli interessi cinesi oltremare fa affidamento a buone capacità di prevenzione e risposta alle crisi poten-ziali, in cui l’intelligence, a cura di capisaldi strategici come Gibuti, è un aspetto cruciale. Pertanto, la base cinese è il luogo ideale per raccogliere informazioni sulle attività militari in corso a Gibuti a cura degli altri contingenti internazionali ivi basati, primo fra tutti quello statunitense di Camp Lemonnier, da lungo tempo hub principale per le operazioni militari di Washington in Africa. Inoltre, la posizione della base a ridosso dello stretto di Bab el-Mandeb contribuisce in maniera significativa alle funzioni d’intelligence, grazie alla possibilità di osservare e monitorare i traffici militari commerciali in transito lungo quell’importante e strategico passaggio obbligato. Non secondario è l’impiego della base di Gibuti per missioni di diplomazia navale e applicazione del soft power, ambiti nei quali l’ospedale e il personale medico cinese svol-gono un ruolo di primo piano, testato anche in alcune esercitazioni con unità navali di altre nazioni operanti nell’area:

inoltre, l’assistenza medica a favore della popolazione gibutina rappresenta un altro strumento per accrescere il livello di cooperazione politica fra la Repubblica Popolare Cinese e il governo locale e rafforzare dunque la posizione di Pechino nel Corno d’Africa. Oltre ai vantaggi di natura politica, diplomatica e commerciale, il completamento e l’utilizzazione di questo caposaldo strategico accrescono il livello di presenza, il prestigio e il peso di Pechino nella regione. Realizzata secondo il metodo cinese (prima gli investimenti economici e poi gli accordi militari), la base di Gibuti è perciò diventata essenziale sia per la proiezione di potenza in ambito regionale, sia nell’applicazione di nuovo modello di supporto logi-stico alle operazioni navali in acque lontane della madrepatria e rientra in un nuovo criterio per valutare la crescente presenza di Forze militari cinesi oltremare.

La valenza militare di Gibuti può essere analizzata considerando anche altri elementi. È presumibile che la realizzazione di questo primo caposaldo strategico oltremare della Cina non sia stata pianificata e attuata come un fatto isolato, perché la base è di per sé vulnerabile nel caso di conflitto fra la Repubblica Popolare Cinese e un’altra potenza militare di primo livello. Dunque, secondo una prospettiva militare, Gibuti non può essere l’unica base cinese a ovest degli arcipelaghi militarizzati del Mar Cinese Meridionale, implicando ciò la possibilità che altri capisaldi strategici possano essere rea-lizzati in oceano Indiano, per garantire forme di supporto reciproco in caso di operazioni militari fuori area. In sostanza, il valore strategico militare di Gibuti va considerato nell’ambito di una rete di basi d’importanza strategica distribuite lungo gli arcipelaghi e le coste dell’oceano Indiano, per sostenere investimenti e commerci in costante crescita e per consentire alle Forze armate cinesi di proteggere meglio l’ampia gamma d’interessi oltremare.

Gwadar e la dimensione pakistana

Affacciata sulla costa del Pakistan, Gwadar rappresenta un caposaldo strategico in fieri, impiegabile, in prospettiva, come la piattaforma principale per le interazioni economiche, diplomatiche e militari di Pechino lungo l’arco settentrionale dell’oceano Indiano. Al momento (autunno 2021), Gwadar non è una base militare delle Forze armate cinesi, ma piut-tosto un porto commerciale sottosviluppato e poco utilizzato, comunque gestito da aziende statali cinesi asservite al rag-giungimento degli obiettivi di politica interna, commerciale ed estera di Pechino.

Prima di analizzare le potenzialità di Gwadar quale base navale per la Marina, è necessaria una breve retrospettiva di

natura politica e commerciale. Grazie alle strette relazioni politiche fra Pechino e Islamabad e alla situazione geopolitica nel sub-continente indiano, la Repubblica Popolare Cinese è stata la principale promotrice, finanziatrice e operatrice del porto di Gwadar sin dal 2002. Nonostante le scarsità di traffici commerciali, fonti ufficiali pakistane e cinesi affermano che la località, per lo più dedita alla pesca e con 90.000 abitanti, diventerà una nuova metropoli con due milioni di cit-tadini e un prodotto interno lordo di 30 miliardi di dollari all’anno, capace di generare un milione di posti di lavoro. Al momento, questo scenario non appare verosimile e anche se diversi funzionari pakistani di livello elevato hanno chiesto alla Cina di realizzare una base navale a Gwadar, Pechino segue un approccio differente, basato sulla trasformazione della località quale hub internazionale dei trasporti marittimi e terrestri, oltre che perno di un ambizioso programma bi-laterale fondato sullo sviluppo economico in un’adeguata cornice di sicurezza. Non va, infatti, dimenticato che Gwadar si trova nel Belucistan, una regione pakistana politicamente instabile, dove risiedono organizzazioni politicamente ostili a Pechino, mentre rilevanti appaiono i problemi legati all’approvvigionamento energetico e alla realizzazione delle in-frastrutture necessarie a collegare la località con altre regioni del Pakistan e con la Cina occidentale.

Le attività della Repubblica Popolare Cinese a Gwadar sono gestite dalla China Overseas Port Holdings Company (COPHC), una holding controllata dal governo di Pechino, costituita proprio per scopi di questo tipo e collegata ad altre aziende governative specializzate nell’approvvigionamento di energia, nelle comunicazioni e nei trasporti, mentre alcune attività in loco, a basso impatto tecnologico, sono svolte da sub-contraenti pakistani.

Le informazioni sull’uso di Gwadar quale base navale o militare cinese sono contraddittorie, ma al momento non appare

Situato a 450 miglia dallo stretto di Hormuz e perciò a ridosso di linee di comunicazione marittima vitali per la sicurezza energetica della Repubblica Popolare Cinese, il porto pakistano di Gwadar possiede diverse potenzialità per

diventare un nuovo caposaldo a elevata valenza strategica (Afpaknews).

53 Novembre 2021

esservi una presenza permanente. Esistono divergenze su una o più soste, a Gwadar, di unità subacquee cinesi, impiegate in crociere di lunga durata nell’oceano Indiano, ma la posizione del porto — in prossimità dello sbocco del Golfo Persico nel Mar Arabico Settentrionale —, la sua scarsa utilizzazione per fini commerciali e gli stretti legami politici fra Pechino e Islamabad, ne fanno il candidato più accreditato per la realizzazione di un nuovo caposaldo strategico in regioni ma-rittime lontane dalla Repubblica Popolare Cinese. Sotto il profilo delle capacità ricettive e sospendendo i traffici com-merciali, il porto di Gwadar può essere prontamente riconfigurato per diventare un’infrastruttura militare: i fondali di 12,5 metri e la lunghezza delle banchine (poco di 600 metri) consentono di accogliere naviglio militare cinese dimen-sionalmente rilevante, fra cui le unità d’assalto anfibio «Type 075» e «Type 071», quelle ausiliarie «Type 901» e ovvia-mene le varie classi di unità maggiori d’altura. Anche le portaerei attualmente in linea nella PLAN — e probabilmente quelle in costruzione e in programma — potrebbero andare in banchina a Gwadar, ma determinate circostanze legate alle variazioni delle maree e dei venti dovrebbero richiederne la massima attenzione per evitare spiacevoli incagli: peraltro, periodiche attività di dragaggio dei fondali potrebbero ovviare a questi inconvenienti a rendere il porto di Gwadar ac-cessibile senza limitazioni a tutte le categoria di naviglio della PLAN.

Oltre alle banchine, Gwadar è caratterizzata da un’area molto ampia per la movimentazione di mezzi e materiali militari, nonché provvista di edifici da adibire a caserme e depositi. L’alimentazione elettrica per questo complesso d’infrastrutture e per le navi ormeggiate potrebbe essere assicurata da un complesso di turbogeneratori di cui è già prevista l’installazione per scopi commerciali, mentre lo stoccaggio e il rifornimento di combustibili, lubrificanti, acqua dolce e altre esigenze per unità navali, equipaggi e personale militare in genere, sarebbero a carico di uno dei sub-contraenti della COPHC, rendendo dunque regolare ed efficiente il supporto a Gruppi navali cinesi operanti in teatro anche senza creare grosse interferenze con i traffici commerciali comunque limitati.

Sebbene al momento non vi siano segnali concreti che indichino la volontà cinese di realizzare una base navale a Gwadar, esistono alcune ipotesi di natura operativa in tal senso. Unità navali della PLAN di stanza a Gwadar potrebbero operare all’interno e nelle adiacenze del Golfo Persico, o per scortare convogli commerciali in navigazione nell’oceano Indiano in periodi di crisi o conflitto. I problemi legati alla sicurezza e alla carenza di vie di comunicazione con il resto del terri-torio, sono i principali fattori che rallentano lo sviluppo commerciale di Gwadar, circostanze che viceversa ne favoriscono

un impiego più sicuro da un punta di vista militare; infatti, grazie a una ampie ed estese da controllare per la PLAN e — a parte Gibuti — non sono

Una nave portacontainer della compagnia cinese COSCO ormeggiata a Gwadar e sorvegliata da guardie armate. Oltre alle banchine, Gwadar è caratterizzata da

un’area molto ampia per la movimentazione di mezzi e materiali militari, nonché provvista di edifici da adibire a caserme e depositi (Afpaknews).

direttamente supportate da altre infrastrutture militari gestite da Pechino. Per raggiungere il Golfo Persico dal Mar Cinese Meridionale occorrono circa dieci giorni di navigazione, e ciò vale per qualsiasi tipo di missione affidata alla Marina cinese, rendendo in ogni caso abbastanza complesso il rifornimento di unità navali, soprattutto in situazioni con-tingenti e considerando che le navi militari non sempre hanno a bordo tutto ciò che serve per un operazione: dunque, un siffatto scenario renderebbe molto utili nuove opportunità di forme di supporto operativo e logistico nel Mar Arabico settentrionale. Il preposizionamento a Gwadar, anche limitato, di pezzi di rispetto, mezzi e materiali, sarebbe perciò un vantaggio, una misura da replicare eventualmente in altri siti costieri e insulari dell’oceano Indiano, politicamente affi-dabili per Pechino, mitigando così i rischi di contingenze improvvise e permettere, per esempio, ai Gruppi navali cinesi di ottimizzare le loro dotazioni per far fronte a immediati requisiti di missione. Anche un accordo per stoccare a Gwadar limitate quantità di materiali avrebbe effetti benefici sull’operatività delle Forze militari cinesi: due esperti del settore hanno recentemente suggerito una metodologia di preposizionamento oltremare, basata sulla flessibilità e comprendente accordi per l’affitto e/o la costruzione di depositi in porti e aeroporti commerciali situati oltremare, da utilizzare co-munque per fini militari. Inoltre, la conservazione di materiali di uso generale a Gwadar, liberebbe spazio nella base cinese a Gibuti e consentirebbe di impiegarla per lo stoccaggio di munizioni e materiali di natura più propriamente mi-litare. Una soluzione di questo tipo non implicherebbe soste a Gwadar, a cura di naviglio della PLAN, per approvvigionarsi dei materiali necessari, perché queste attività potrebbero essere svolte da unità mercantili di proprietà cinese apposita-mente noleggiati per questo scopo, anche per mantenere un basso profilo a livello internazionale: la COPHC o qualsiasi ente logistico militare cinese sarebbero probabilmente in grado di gestire i materiali preposizionati nei depositi recen-temente costruiti a Gwadar.

Anche il nuovo aeroporto internazionale di Gwadar ha una sua validità d’impiego militare, considerando pure l’ottimo collegamento terrestre esistente fra esso e il porto: la pista ha una lunghezza di circa 3.600 metri, è associata a strutture di controllo e supporto ed è situata entro il raggio d’azione dei velivoli da trasporto dell’Aeronautica cinese, basati nelle regioni occidentali della Repubblica Popolare Cinese. L’aeroporto si presta dunque quale terminale di un ponte aereo militare avente come scopo anche il trasporto di materiali e mezzi terrestri destinati a Gwadar, nonché come un nodo essenziale in un’architettura

finaliz-zata a espandere la presenza e a pro-iettare la potenza dello strumento dubbi che a Pechino gli studi e i pro-getti per una totale o parziale

finaliz-zata a espandere la presenza e a pro-iettare la potenza dello strumento dubbi che a Pechino gli studi e i pro-getti per una totale o parziale