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Le Sezioni Unite della Cassazione prendono posizione in ordine alla legittimità dell’utilizzo del captatore informatico

IN TEMA DI CAPTATORE INFORMATICO

8. Le Sezioni Unite della Cassazione prendono posizione in ordine alla legittimità dell’utilizzo del captatore informatico

La questione ritorna all’attenzione della Corte di Cassazione82, l’anno successivo83, in seguito ad un caso con ad oggetto l’autorizzazione da parte del Tribunale del Riesame di Palermo, in un procedimento contro la criminalità organizzata, di un’operazione condotta su un dispositivo informatico attraverso l’istallazione di un trojan, con un’area di intercettabilità tale da poter seguire gli spostamenti dell’apparecchio e di effettuare intercettazioni fino a dieci metri. Con ordinanza in data 8 gennaio 2016, il Tribunale di Palermo, in funzione di giudice del riesame, va a confermare il provvedimento con cui il G.I.P. aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di S.L. in relazione alla partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata “cosa nostra” e ad un episodio di tentativo di estorsione                                                                                                                          

81 Cass., Sez. VI, 6.04.2016, Scurato, R.G.N. 6889/16.

82 W. NOCERINO, op. cit., p. 1, Al di là di posizioni più o meno critiche nei

confronti della decisione in commento, l’interprete può ritenersi soddisfatto di alcune innovate riflessioni di metodo, contenute nel ragionamento delle Sezioni unite.

aggravata84. I giudici del riesame hanno ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato sulla base di una serie di intercettazioni, anche ambientali, e di dichiarazioni accusatorie di due collaboratori di giustizia, C.F. e G.D., dalle quali era emerso che l’indagato, molto vicino a C.P. – divenuto reggente del mandamento di Porta Nuova dopo l’arresto di L.P.T. – si occupava della gestione delle estorsioni e del traffico di stupefacenti, spesso facendo da intermediario tra lo stesso C. e M.T., moglie di L.P. Per quanto riguarda l’altro reato, il Tribunale, dopo aver dichiarato l’inutilizzabilità delle intercettazioni effettuate mediante apparecchio body phone, perché in uso a persona diversa rispetto a quella indicata nel decreto, è andato a ritenere sussistenti gli elementi indiziari in merito al concorso dello S. nell’estorsione gestita dal coindagato G.F.P., giudicato separatamente. La difesa, quindi, propone ricorso in Cassazione, deducendo una serie di censure. L’ordinanza impugnata viene contestata per vizio di motivazione ed erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p. con riferimento alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato associativo, desunti in base ai risultati di intercettazioni telefoniche e ambientali, che non risulterebbero suffragati dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. In aggiunta, viene ipotizzata l’illegittimità del decreto85 con cui il G.I.P. ha autorizzato le operazioni di tipo ambientale tra presenti che avverranno nei luoghi in cui si trova il dispositivo elettronico utilizzato da L.P.T., nonché l’inutilizzabilità dei risultati relativi a tali captazioni avvenute in violazione dell’art. 15 Cost., 8 CEDU, art. 266 c.p.p., comma 2, e art. 271 c.p.p. Si va ad affermare l’avvenuta elusione del divieto posto dall’art. 266 c.p.p., comma 2, di effettuare Intercettazioni in abitazioni private, a meno che all’interno di esse non si stia svolgendo un’attività criminosa, dal momento che la captazione di conversazioni sarebbe avvenuta nell’abitazione di M.T.,                                                                                                                          

84 P. FELICIONI, Processo penale e giustizia, n.5, 2016, Torino, Giappichelli,

p. 100.

coniuge di L.P.T. Sotto altro profilo, l’intercettazione del dispositivo elettronico portatile sarebbe stata autorizzata in violazione dell’art. 15 Cost. e 8 CEDU in quanto non siano stati indicati i luoghi in cui tale captazione doveva effettuarsi; anche in questo caso l’art. 266 c.p.p. risulterebbe aggirato se pensiamo che esso non legittima forme di intercettazioni in grado di seguire il soggetto ovunque si sposti, con la conseguente inutilizzabilità dei relativi risultati. In tal senso viene richiamata la citata sentenza del 201586, secondo cui l’intercettazione da remoto delle conversazioni tra presenti, tramite il c.d. captatore informatico, del microfono di un apparecchio telefonico smartphone, può ritenersi legittima solo se il decreto che ne da autorizzazione individui i luoghi in cui essa deve avvenire87. Nel caso da noi preso in parola, il citato decreto del 201488, oggetto delle censure da parte del ricorrente, è stato disposto nell’ambito del diverso procedimento89 a

carico di D.A. ed altri, per sospetto di appartenenza a “cosa nostra” e riguarda l’intercettazione di un dispositivo elettronico riferibile ad un personal computer, in uso a L.P.T.; dal provvedimento risultano autorizzate operazioni di intercettazioni di tipo ambientale delle conversazioni tra presenti che avverranno nei luoghi in cui si trova il                                                                                                                          

86 Cass., Sez. VI, 26 maggio 2015, n. 27100.

87 G. AMATO, Reati di criminalità organizzata: possibile intercettare

conversazioni o comunicazioni con un “captatore informatico”, Il Sole 24 Ore, 13/09/2016, n. 34/35, pag. 76-79., La questione era stata posta all’attenzione delle sezioni Unite dalla VI sezione, con l’ordinanza 10 marzo-6 aprile 2016 n. 12884, Scurato, che si era confrontata, non condividendone le conclusioni, con la sentenza 26 maggio 2015-26 giugno 2015 n. 27100, Musumeci, della stessa VI sezione, laddove il collegio si era espresso nel senso dell’illegittimità tout court di tale metodica investigativa […] secondo tale decisione, trattavisi di metodiche che, consentendo l’apprensione delle conversazioni senza limitazioni di luogo, contrastava, prima ancora che con la normativa codicistica, con il precetto costituzionale di cui all’articolo 15 della Costituzione, giacché l’unica opzione interpretativa compatibile con il richiamato dettato costituzionale doveva essere quella secondo cui l’intercettazione ambientale deve avvenire in luoghi ben circoscritti e individuati ab origine e non in qualunque luogo si trovi il soggetto.

88 Decreto n. 315/14.

dispositivo elettronico in uso a L.P.T. Attraverso l’istallazione da remoto di un captatore informatico è stata autorizzata una vera e propria intercettazione ambientale con il controllo occulto del microfono che si trasforma in una cimice informatica. Nessuna indicazione è stata fatta relativamente ai luoghi, ma solo un generico riferimento sul “dove” si sarebbe trovato il dispositivo elettronico. Per il ricorrente, in base a detta sentenza del 2015, la mancanza di ogni indicazione circa i luoghi interessati dall’intercettazione renderebbe illegittimo il decreto autorizzativo con la conseguente inutilizzabilità delle conversazioni captate. Inoltre, sotto altro aspetto, con detto ricorso si va a censurare un vizio di motivazione in riferimento al riconosciuto ruolo di intermediario dello S. tra Sc.Ag. e L.P.T., ricavato da intercettazioni telefoniche che sarebbero inidonee a giustificare la ricostruzione contenuta nell’ordinanza. Il ricorrente rileva, inoltre, la mancanza di elementi da cui desumere l’intraneità dello S. nell’associazione mafiosa, in relazione alle dichiarazioni dei due collaboratori C.F. e G.D. Sarebbero da considerarsi neutre anche le altre intercettazioni, non essendo in grado di giustificare la sussistenza dei gravi indizi in ordine alla partecipazione all’associazione; semmai consentirebbero di ipotizzare il meno grave reato di favoreggiamento personale. Con riguardo al reato di tentata estorsione aggravata, si va a contestare la motivazione dell’ordinanza che ha riconosciuto la presenza dei gravi indizi in ordine alla partecipazione dello S. solo per aver accompagnato G.F.P. in una trattativa riguardante il pagamento del pizzo. La Sesta Sezione penale, ritenendo di non poter condividere la sopra citata sentenza del 2015 e considerando la delicatezza della materia – legittimità delle intercettazioni disposte con l’istallazione di virus informatici attivati su computer o smartphone e limiti di utilizzabilità di tali modalità di captazione – ha ritenuto opportuno rimettere la questione alle Sezioni unite, evitando potenziali contrasti interpretativi.

Preliminarmente si è andati a sottolineare, con riferimento alla tecnica90 dell’agente intrusore, quanto la pretesa di indicare con precisione e anticipatamente i luoghi interessati dall’attività captativa sia incompatibile con questo tipo di intercettazione: per ragioni tecniche prescinde dal riferimento al luogo, in quanto è collegata al dispositivo elettronico; l’attività di captazione, necessariamente, segue tutti gli spostamenti nello spazio dell’utilizzatore. Occorre, quindi, accertare se la disciplina sulle intercettazioni consente di poter prescindere dall’indicazione del luogo ovvero se l’omessa indicazione determina l’illegittimità del decreto o l’inutilizzabilità dei risultati dell’intercettazione. Questo tipo di captazione può essere ricompresa nell’ambito delle c.d. intercettazioni ambientali, sicché, riconosciuta la collocazione di tali tecniche nell’ambito della disciplina dell’art. 266 c.p.p., comma 2, per l’intercettazione tra presenti il riferimento al luogo acquista rilievo laddove l’operazione di captazione deve avvenire in abitazioni o in luoghi privati, per i quali l’appena citato articolo ne                                                                                                                          

90 W. NOCERINO, op. cit., p. 1, È apprezzabile l’attenzione posta sulle

‘caratteristiche tecniche ed informatiche del mezzo investigativo in argomento’. La suprema Corte coglie, infatti, l’importanza del dato tecnico ai fini della comprensione dei risultati giuridici che dall’utilizzo dello stesso possono derivare. Per troppo tempo il mondo del diritto ha peccato di miopia nel ritenere che l’analisi giuridica potesse prescindere dalla conoscenza tecnico-scientifica che permea molti mezzi di ricerca della prova. Ed infatti la motivazione chiarisce cosa è il c.d. ‘Trojan horse’ […]. Trattasi di software, istallato da remoto per il tramite di una mail, di un sms o di un’applicazione di aggiornamento (RCS: remote control systems), che si compone di due moduli principali; il primo (server) è un programma che ‘infetta’ la macchina bersaglio; il secondo (client) è l’applicativo che il virus usa per controllare detto dispositivo. La motivazione spiega […] che grazie all’utilizzo di tali ‘programmi spia, si possono condurre molteplici attività sulla ‘macchina bersaglio’, tali da permettere un controllo indiscriminato ed incondizionato dell’apparecchio su cui il malware viene incoulato. Va poi ad aggiungere che, le motivazioni della sentenza, contengono un elenco non completo delle possibili funzioni del captatore informatico. Contiene solo quelle inquadrabili nell’attività intercettiva, escludendo, ad esempio, quelle relative all’immissione di dati e di documenti all’interno della macchina bersaglio, che allontanerebbero il Trojan virus da ogni mezzo di ricerca della prova tipizzato dal codice di rito.

consente la captazione solo se vi è fondato motivo di ritenere che sia in atto attività criminosa. La giurisprudenza91 – peraltro – considera legittime le intercettazioni tra presenti, nei casi in cui intervenga una variazione dei luoghi in cui l’attività di captazione deve svolgersi, nel corso delle operazioni; in questi casi l’utilizzabilità delle conversazioni captate viene giustificata purché il luogo diverso rientri nella specificità dell’ambiente oggetto dell’intercettazione autorizzata. Nonostante sia evidente la forte invadenza di questa tipologia di intercettazioni, occorre evidenziare quanto il principio secondo cui il decreto deve individuare con precisione i luoghi in cui dovrà essere eseguita l’intercettazione delle comunicazioni tra presenti non risulti dalla legge o da affermazioni giurisprudenziali; inoltre, non sembra nemmeno costituire un requisito fondamentale e funzionale alla tutela dei diritti in gioco, ovvero all’artt. 14 e 15 Cost. e art. 8 CEDU, dal momento che la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non ne fa menzione92. Dunque, il problema del

c.d. captatore informatico riguarderebbe esclusivamente il domicilio e i luoghi di privata dimora considerati dall’art. 614 c. p., richiamato nell’art. 266 c.p.p., comma 2, in quanto, una volta istallato questo peculiare virus informatico, la captazione audio avviene seguendo tutti

                                                                                                                         

91 Così: Sez. VI, n. 15396 del 11/12/2007, Sitzia; Sez. V, n. 5956 del

06/10/2011, Ciancitto; Sez. II, n. 4178 del 15/12/2010, Fontana; Sez. II, n. 17894 del 8/04/2014, Alvaro.

92 G. NEGRI, Per la Cassazione possibile l’uso del “trojan horse”, Il Sole 24

Ore, Edizione del 9 aprile 2016, p. 21, La stessa Corte europea dei diritti dell’uomo non fa riferimento a un obbligo di indicazione del luogo di svolgimento dell’operazione, ma sostiene che le garanzie che le legislazioni nazionali devono predisporre in materia di intercettazioni riguardano la predeterminazione della tipologia delle comunicazioni interessate, la ricognizione dei reati che giustificano l’intrusione della privacy, l’attribuzione a un organo indipendente della competenza ad autorizzare le intercettazioni con la previsione del controllo del giudice, la durata, l’individuazione dei casi in cui le registrazioni devono essere distrutte. Allora il problema, puntualizza l’ordinanza, è circoscritto ai luoghi di privata dimora, visto che la natura itinerante dell’intercettazione può condurre all’acquisizione di conversazioni avvenute nel domicilio o in ambienti privati.

gli spostamenti del possessore del dispositivo elettronico93. Se si ammette la possibilità di usare l’intercettazione per mezzo di trojan, in mancanza della possibilità di sospensione o interruzione della registrazione, il controllo non potrà che essere successivo e riguardante il regime di inutilizzabilità delle conversazioni captate in uno dei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. Il giudice, d’ufficio o su indicazione delle parti, dovrebbe stralciare le registrazioni delle conversazioni avvenute nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p., trattandosi di intercettazioni non consentite e inutilizzabili; non devono riguardare colloqui effettuati nel domicilio. Al di fuori di questa fase di stralcio di cui all’art. 268 c.p.p., comma 6, sarebbe sempre possibile eccepire l’inutilizzabilità delle conversazioni intercettate in un luogo privato. Per quanto riguarda l’uso delle intercettazioni con virus informatico nel procedimento de libertate, soprattutto considerando che il giudice può pronunciarsi, sulla misura cautelare richiesta, in base al solo brogliaccio, si pongono le maggiori difficoltà. È difficile che da esso emerga che un’intercettazione sia avvenuta in un luogo privato, sicché sarà fondamentale che la difesa sia messa nelle condizioni di contraddire il punto; ed infatti viene consentito, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, che il difensore possa ottenere le registrazioni di conversazioni intercettate ed utilizzate per l’attribuzione della misura, anche se non depositate. La Sesta Sezione è andata a sottolineare, poi, che in presenza di intercettazioni relative a                                                                                                                          

93 W. NOCERINO, op. cit., p. 2, Nell’evidenziare l’importanza di tali strumenti

ai fini investigativi”, in quanto risulterebbero gli unici in grado di penetrare canali criminali di comunicazione o scambio di informazioni utilizzati per la commissione di gravissimi reati contro le persone, la Corte ne individua gli enormi rischi in punto di lesione di diritti. La motivazione sottolinea come il loro utilizzo potrebbe dar luogo ad una serie indefinita di intercettazioni ambientali domiciliari non autorizzate: il soggetto intercettato potrebbe […] recarsi nei luoghi di privata dimora di altre persone portando con sé il dispositivo su cui il trojan è stato inoculato e permettendo l’intercettazione di comunicazioni tra presenti nei confronti di una pluralità di soggetti non preventivamente determinabile, di fatto estranei al decreto autorizzativo.

procedimenti di criminalità organizzata, l’indicazione del luogo risulterebbe ancor più irrilevante, anche in relazione all’utilizzo della tecnica del captatore informatico. Non si pongono, in detti casi, problemi sull’intercettazione in questione. Ed ha, dunque, ravvisato l’opportunità di investire le Sezioni Unite, avuto riguardo dell’importanza della materia e per evitare contrasti di giurisprudenza, tenuto conto di quanto questo particolare tipo di captazione sia ormai di diffusa utilizzazione. Quindi, con decreto del 7 aprile 2016, il Primo Presidente va ad assegnare il ricorso in parola alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l’udienza camerale ai sensi dell’art. 127 c.p.p. Il quesito a lei posto ha ad oggetto l’illegittimità di intercettazioni effettuate con l’istallazione di un virus informatico, tranne che per i procedimenti relativi ai reati di criminalità organizzata. Sono stati anche depositati motivi nuovi e memoria difensiva, con argomentazioni caratterizzate da richiami di giurisprudenza e dottrina a sostegno della tesi seguita dalla Sesta Sezione con la sentenza del 201594 e contrastata

con l’ordinanza di rimessione, osservando che l’opzione interpretativa privilegiata dall’ordinanza di rimessione comporterebbe una non consentita applicazione analogica o estensiva in malam partem dell’art. 266 c.p.p, comma 2. Si vanno, peraltro, ad ipotizzare ulteriori profili di illegittimità delle intercettazioni, andando a contestare la continuazione, da parte della Procura, delle autorizzazioni circa le Intercettazioni in capo a soggetti che non avevano attinenza con il procedimento per il quale è stato autorizzato per la prima volta tale decreto. In definitiva quello che viene chiesto alle Sezioni Unite è se, anche nei luoghi di privata dimora ex art. 614 c.p., pure non singolarmente individuati e anche laddove non vi si stia svolgendo attività criminosa, sia consentita l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni tra presenti, mediante l’istallazione di un captatore informatico in dispositivi elettronici portatili, come ad esempio un personal computer o un tablet.                                                                                                                          

Andando adesso a porre la nostra attenzione sulle risposte della corte possiamo dire che, nel dettaglio, per quanto riguarda le doglianze dedotte a fondamento del ricorso proposto dallo S., il Collegio le ritiene censure prive di fondamento. In primo luogo, le argomentazioni addotte a sostegno dei motivi di ricorso risultano incentrate sulla questione della inutilizzabilità dell’intercettazione tra presenti a mezzo del dispositivo in uso a L.P.T., ma non viene spiegato per quale motivo l’inutilizzabilità di tali conversazioni avrebbe reso del tutto inconsistente l’ulteriore compendio indiziario valutato dal Tribunale (a titolo di esempio possiamo ricordare le frequentazioni con esponenti malavitosi). I ricorrenti sono andati ad argomentare il ricorso, inoltre, con argomenti di natura tecnico giuridica. Devono ritenersi, pertanto, legittimamente acquisite al compendio indiziario a carico dello S. gli esiti delle intercettazioni per mezzo del captatore informatico inoculato nel dispositivo portatile in uso a L.P.T. Non sono, peraltro, nemmeno ravvisabili le violazioni di legge che i difensori hanno ravvisato con le memorie. L’intercettazione sarebbe stata disposta nell’ambito di procedimenti concernenti i reati di criminalità organizzata ed il decreto autorizzativo (n. 315 del 19 febbraio 2014) risulta adeguatamente motivato. Le ulteriori doglianze oggetto di deduzione si risolvono in una censura sulla valutazione del quadro indiziario posto a fondamento del provvedimento de liberate che esula dai poteri di sindacato del giudice di legittimità, non palesandosi il relativo apprezzamento motivazionale né manifestamente illogico, né viziato dalla cattiva applicazione della normativa di settore. In aggiunta, viene sancita anche l’infondatezza della doglianza con la quale la difesa ha invocato la qualificazione del fatto a carico di S. non come reato associativo ma come favoreggiamento personale ex art. 378 c.p. Stessa cosa per quanto riguarda l’addebito di tentata estorsione aggravata, pure oggetto della misura cautelare disposta nei confronti dello S.

sussistenza di sufficienti elementi di gravità indiziaria, pur dopo aver dichiarato l’inutilizzabilità di conversazioni captate con dispositivo elettronico perché in azione in momenti in cui era usato da un soggetto diverso da quello indicato nel decreto che ne disponeva l’autorizzazione; detto Tribunale ha valorizzato le immagini di riprese effettuate da un impianto di videosorveglianza nelle quali si evince l’attività di spalleggiamento dello S., nonché la sua attiva partecipazione alla condotta finalizzata ad estorsione di denaro. Inoltre, anche per le contestazioni circa il reato di estorsione aggravata la censura del ricorrente non coglie, dunque, nel segno: non emergono nella decisione impugnata violazioni di norme di legge e, nel merito, le argomentazioni a supporto della ordinanza custodiale non sono sindacabili in questa sede, a fronte della rappresentazione, non manifestamente illogica, di un quadro indiziario senz’altro grave […] che consente, per la sua consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, sarà idoneo a dimostrare la responsabilità del prevenuto, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza.

Per ciò che concerne i problemi legati al peculiare strumento di indagine denominato captatore informatico, l’interrogativo posto alla Corte concerne, in sostanza, la legittimità del ricorso al virus trojan come strumento per condurre intercettazioni di comunicazioni tra presenti in luoghi di privata dimora, ex art. 614 c.p., pur non singolarmente individuati e al di fuori dei presupposti indicati dall’art. 266, comma 2, c.p.p. Il ventaglio delle situazioni percorribili sono tre: escludere in toto l’utilizzabilità dei risultati dell’attività condotta a mezzo di virus trojan in mancanza dei requisiti degli artt. 266 ss. c.p.p., scartare solo le captazioni effettuate nei luoghi di privata dimora, ovvero ammetterle esclusivamente in relazione ai delitti di criminalità organizzata. Le Sezioni Unite sciolgono l’enigma optando per la terza soluzione95,                                                                                                                          

95 W. NOCERINO, op. cit., p. 1, Per onestà intellettuale […] nessuno dei tre

quesiti sottoposti al vaglio delle Sezioni unite sembra convincere, né tantomeno la soluzione ‘residuale’ offerta dalle stesse: […] si ritiene di non

offrendo così una soluzione parziale al problema96: hanno reso possibile effettuare intercettazioni, in luoghi di privata dimora e senza la necessità di indicare nel decreto autorizzativo i luoghi di effettuazione, istallando “agenti intrusori” in dispositivi elettronici. Però, deve trattarsi di procedimenti relativi a delitti di criminalità organizzata97, anche terroristica, ex art. 51, co. 3-bis e co. 3-quater, c.p., nonché quegli facenti capo ad un’associazione per delinquere98, con esclusione del mero concorso di persone nel reato99 in cui mancherebbe proprio il

                                                                                                                         

condividere l’inclusione del c.d. captatore informatico nella categoria degli strumenti investigativi utilizzabili per condurre intercettazioni e, di