• Non ci sono risultati.

Participation and opposition: l'Unione Europea e il pensiero di Robert

CAPITOLO II – IL “DEFICIT DEMOCRATICO” DELL’UNIONE

2. Il demos europeo: Jurgen Habermas e Dieter Grimm

2.1. Participation and opposition: l'Unione Europea e il pensiero di Robert

Il contributo di Robert Dahl al tema della democrazia (o poliarchia) è un’evoluzione naturale del pensiero dell’economista Joseph Schumpeter. Quest’ultimo, discutendo la classica teoria della democrazia – sistema di governo che consiste nella realizzazione del bene comune per mezzo della volontà generale del popolo – nell’opera “Capitalism, Socialism and

Democracy”, pose le basi per una concezione più moderna e precisa del

sistema democratico. Secondo l’economista:

Democracy is a political method, that is to say, a certain type of institutional arrangement for arriving at political—legislative and administrative—decisions and hence incapable of being an end in itself, irrespective of what decisions it will produce under given historical conditions. And this must be the starting point of any attempt at

defining it121.

Pertanto, è facile comprendere come, nella visione di Schumpeter, la democrazia rappresenti un metodo per prendere decisioni politiche e come, attraverso questo metodo, l’individuo acquisisca il potere di decidere mediante la perenne lotta competitiva per i voti degli elettori. In altre parole, la democrazia non è una meta, un fine morale, ma solo uno strumento, un metodo per scegliere e legittimare governi attraverso la continua competizione delle élite per l’appoggio elettorale in elezioni periodiche.

121 Schumpeter J., Capitalism, Socialism and Democracy. Routledge London and New York,

66

Robert Dahl, partendo dal lavoro di Schumpeter, andò oltre, raffinando ulteriormente la sua teoria. Secondo Giovanni Santori, Dahl, pur difendendo la teoria competitiva, pose un’enfasi molto differente da quella di Schumpeter, nel cominciare dove quest’ultimo si era arrestato; egli, cioè, ricercò una diffusione e un rafforzamento pluralista nella società come un tutto, a partire dalla competizione tra élite122. Dahl non si limitò a cercare di

comprendere e spiegare il sistema democratico, pretese promuoverlo. Inserendo il concetto di pluralismo nella discussione sul sistema democratico, la tesi di Dahl prese le distanze dalle innumerevoli teorie elitiste della democrazia. Infatti, il politologo affermò l’impossibilità della prova empirica del Ruling Elite Model123, poiché:

A hipótese da existência de uma elite dirigente pode ser estritamente testada somente se: 1) A elite dirigente hipotética é um grupo bem definido. 2) Há uma quantidade razoável de casos envolvendo decisões políticas fundamentais nos quais as preferências da elite dirigente hipotética se chocam com as preferências de qualquer outro grupo provável que possa ser sugerido. 3) Em tais casos, as preferências da

elite regularmente prevalecem124.

In tal modo, Dahl sosteneva che, a causa dell’impossibilità nel provare – mediante l’osservazione diretta della realtà politico-istituzionale di un dato Paese – che le preferenze politiche prevalgono sempre con il trascorrere del

122 Sartori G., A Teoria da Democracia Revisitada: o debate contemporâneo. Editora Ática, São

Paulo, Brasile, p. 211.

123 Dahl R., Uma Crítica do Modelo de Elite Dirigente. Zahar Editores, Rio de Janeiro, Brasile,

1970, p. 95.

124 Ibid., p. 96, in italiano “l’ipotesi dell’esistenza di un’élite dirigente può essere

adeguatamente testata solo se: 1) l’élite dirigente ipotetica è un gruppo ben definito; 2) Vi è una considerevole quantità di casi che riguardano decisioni politiche fondamentali nei quali le preferenze dell’élite dirigente ipotetica si scontrano con le preferenze di qualsiasi altro gruppo possibile che possa essere suggerito; 3) in tali casi, le preferenze dell’élite prevalgono regolarmente”.

67

tempo, non ci dovrebbe essere un’unica élite governante e dominante in una democrazia moderna.

Così, le democrazie moderne, direbbe il politologo, risulterebbero formate da varie minoranze politiche che concorrerebbero tra loro nel dibattito di idee e, in generale, ciascuna di queste minoranze sarebbe solita detenere un determinato grado d’influenza sulle questioni di cui s’interessa. Tale idea rafforza il forte pluralismo della concezione dahlsiana.

Norberto Bobbio affermò l’essenza pluralistica delle idee di Dahl, sostenendo che questi fosse uno dei più convinti teorici e ideologi del pluralismo125. Secondo l’esperto italiano, il pluralismo democratico

promosso da Dahl, naturalmente, non negava l’esistenza delle élite politiche, ma, ciononostante, insisteva nel porre in risalto un punto fondamentale: la perenne concorrenza tra queste differenti élite. Pertanto, secondo la teoria dahlsiana, “l’assioma fondamentale di un sistema pluralista consiste nel fatto che, invece che un unico centro di potere sovrano, è necessario che vi siano molti centri, dei quali nessuno possa essere interamente sovrano”126.

Cristina Buarque de Hollanda ha espresso un’opinione simile, affermando che “l’autore non aderisce, dunque, alla tendenza elitista di affermare l’indifferenza tra i regimi politici – destinati, in fin dei conti, al governo delle minoranze”127. Ciò perché, a partire dalla sua concezione

pluralista, Dahl attribuì un nuovo significato alla democrazia come competizione tra élite che non attingono l’egemonia e devono sempre lottare

125 Bobbio N., Democracia, in Bobbio N., Matteucci N., Pasquino G., Dicionário de Política.

Editora Universidade de Brasília, Brasília (DF), Brasile, 2007.

126 Ibid., p. 931.

127 Hollanda Cristina B., Teoria das Elites. Zahar Editores, Rio de Janeiro (RJ), Brasile, 2011,

68

per vedere prevalere le proprie idee – non solo in elezioni periodiche, ma anche nell’intervallo tra queste.

Nella sua opera Polyarchy, Dahl illustrava i diversi fattori indispensabili per il mantenimento e il consolidamento democratico in uno Stato-Nazione, quali la partecipazione effettiva, l’uguaglianza di voto, un livello minimo d’istruzione di base, la capacità d’influenzare l’agenda politica e il criterio d’inclusione, ma fu in due diversi articoli – uno pubblicato nel 1994128 e

l’altro nel 1999129 – che egli diede una risposta ai quesiti che ci interessano

ai fini di questa Tesi: le organizzazioni internazionali possono essere democratiche? La democrazia potrebbe mettere radici e svilupparsi di fatto solamente all’interno degli Stati Nazionali?

Nei due articoli, Dahl sviluppò un’idea che egli stesso definiva “scettica” rispetto alle possibilità di costruzione democratica al di fuori dello spazio domestico degli Stati. Nel primo, il politologo analizzò con maggior precisione le conseguenze del Trattato di Maastricht per la formazione dell’Unione Europea. Egli riconobbe la crescente interdipendenza economica e politica nel contesto internazionale, la cosiddetta globalizzazione, e affermò che l’insieme sempre più profondo di influenze esterne imposto da regimi e organizzazioni non è altro che la conseguenza di scelte deliberate all’interno degli Stati nazionali.

Di fronte a tale cambiamento di paradigma e “scala”, Dahl cominciò a considerare l’esistenza di una “terza fase” della trasformazione storica della democrazia, che denominò “transnational democracy”. La prima fase si sarebbe verificata nell’Antica Grecia delle poleis, ripresentandosi più tardi

128 Dahl R., A Democratic Dilemma: System Effectiveness versus Citizen Participation. Political

Science Quarterly, 109, 1994.

129 Dahl R., Can International Organizations be Democratic? A Skeptic’s View, in Shapiro I.,

69

nelle città-Stato dell’Italia rinascimentale, come Firenze e Venezia. La seconda fase, invece, fu caratterizzata da un grande “change of scale”, dal momento che la democrazia uscì dalla ristretta orbita delle città-Stato e inizio a svilupparsi nel contesto dello Stato-Nazione: vi fu dunque il

passaggio dalla democrazia diretta ateniese alla democrazia

rappresentativa di matrice moderna.

Le diverse istituzioni e pratiche che permisero tale evoluzione si mantennero vitali fino alla fine del XX secolo, quando cominciò a verificarsi un nuovo “change of scale”, questa volta dovuto alla nascita e allo sviluppo di istituzioni e sistemi politici transnazionali, come l’Unione Europea – benché, in maggiore o minor misura, tale cambiamento di scala si sia verificato in diversi Paesi del globo.

Codesta transizione da sistemi politici nazionali a sistemi politici transnazionali generò, nell’ottica di Dahl, due conseguenze evidenti: a) la perdita della capacità da parte dei cittadini di esercitare un effettivo controllo democratico sulle decisioni politiche; b) la riduzione della capacità del sistema politico di rispondere in maniera adeguata al volere dei suoi cittadini130. E, naturalmente, sarebbe stato questo il motivo per cui si sarebbe

verificata una pressante necessità di nuove forme istituzionali in grado di far fronte al cambiamento di scala della democrazia.

In sintesi, Dahl si mostrava profondamente scettico in relazione alla capacità di un’architettura istituzionale sovranazionale di consentire un’effettiva partecipazione dei cittadini nella determinazione delle policies. L’internazionalizzazione della democrazia avrebbe finito con l’accentuare i dissesti già verificatisi nei Paesi federali, ossia, si sarebbe manifestato un

130 DAHL, Robert. A Democratic Dilemma: System Effectiveness versus Citizen

70

aggravamento delle violazioni e distorsioni della rappresentanza. Inoltre, il distanziamento dei cittadini dal locus delle decisioni politiche (che, nel caso dell’Unione Europea, è la lontana Bruxelles) sarebbe aumentato, evento che avrebbe resto quali impraticabile, se non addirittura impossibile, un’efficiente accountability dei policy makers (in particolare nelle istituzioni dalla forte valenza tecnocratica).

La logica di Dahl è cristallina: uno Stato federale già incontra difficoltà per il superamento di questi ostacoli, in più, con l’aumento della scala ad un livello (quasi) continentale, una democrazia transnazionale troverebbe barriere intrasponibili.

Bisogna sottolineare, tuttavia, che la logica di Dahl si basa sul concetto di

ceteris paribus, come egli stesso afferma nel sostenere che le istituzioni attuali

non sarebbero influenzate da tale “increase of scale” – così come le istituzioni dell’Atene Classica o della Firenze del XIV non furono inficiate dal ”increase

of scale” che portò alla formazione dello Stato-Nazione. Fu necessario un

mutamento completo nell’architettura istituzionale fino a raggiungere l’attuale modello di democrazia rappresentativa.

In conclusione, se la premessa fosse il mantenimento dell’edificio comunitario (e non alla sua demolizione, con conseguente ritorno allo Stato- Nazione), la misura migliore sarebbe la ricerca di perfezionamenti istituzionali necessari alla formazione di un sistema politico che sia dotato di input e output legitimacy. In altre parole, l’ideale sarebbe dotare l’attuale sistema dei mezzi che gli permettano di affrontare questa trasformazione continentale della scala, sia per risolvere, nella misura del possibile, le falle più evidenti che concorrono al mantenimento dello status di deficit democratico in Europa, sia per prevenire il verificarsi di shock simmetrici

71

come quelli presentatisi nel post-2008. L’Europa potrebbe non riuscire a sopravvivere a un nuovo impatto.