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Paternità in detenzione

CAPITOLO TERZO

3.2 Genitori detenut

3.2.3 Paternità in detenzione

Il problema della detenzione delle madri non viene trattato allo stesso modo di quella dei detenuti padri che non sono ugualmente tutelati dalla legge. Infatti se la questione delle detenute madri è stata analizzata fin dalla legge istitutiva del sistema penitenziario del 1975 e poi dalla legge avente come oggetto le misure alternative alla detenzione88, la stessa

87 Studio condotto da Tischer e Tucci. 88 L. n. 40/2001.

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problematica esaminata dal lato paterno presenta un deficit d’attenzione che non è giustificato rispetto alle dinamiche implicate sia per la tutela dei minori che per gli stessi detenuti.

Nonostante in Italia circa il 95% dei detenuti sia costituito da uomini, tutto ciò che riguarda la reclusione in quanto padri e le conseguenze che questo ha sul rapporto con i figli e sulla loro crescita risulta ancora poco conosciuto e studiato.

Come riportato nella tabella89 di cui sopra, al 31 dicembre 2018, in Italia sono più di 26.000 i genitori con almeno un figlio e più di 60.000 i figli separati dal genitore a causa della detenzione; a questi dati aggiungiamo quello del rischio di criminalità intergenerazionale che in Italia corrisponde al 30%90.

Tra le difficoltà emerse nel gestire il ruolo paterno in carcere la più immediata è sicuramente quella dovuta all’interruzione dei rapporti quotidiani con i figli, dunque con il ruolo di educatore e guida più sentito da chi ha figli giovani adulti o adolescenti. I detenuti padri temono di perdere il proprio ruolo in famiglia, di non essere più riconosciuti come figura autorevole e di sentirsi estranei per non poter partecipare alla vita dei propri figli: l’arresto mette in crisi la loro identità e allo stesso tempo destabilizza il bambino che perde un riferimento stabile nella sua vita. Altre difficoltà riguardano il modo in cui possono essere mantenuti i rapporti in base all’organizzazione penitenziaria, ad esempio i detenuti si trovano a sperimentare nuove modalità di contatto come la corrispondenza epistolare.

89Ivi pag. 9.

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Inoltre di fondamentale importanza è l’atteggiamento che la madre dei bambini ha nei confronti del padre, se di sostegno attivo del proprio compagno o, al contrario, di interruzione totale dei rapporti: questa condizione coinvolge i figli e indirizza le possibilità di mantenere dei rapporti significativi. In questo caso i servizi sociali devono sempre sostenere gli sforzi delle madri e farsi carico dei loro bisogni, non solo intervenendo con sussidi economici laddove ce ne fosse bisogno, ma soprattutto offrendo un adeguato sostegno e supporto per affrontare la crescita e i bisogni dei figli.

Queste difficoltà sono simili indipendentemente dall’età dei padri e dei figli: il padre di figli giovani adulti può avere la stessa necessità di aiuto di un padre che si distacca dai figli molto piccoli.

Per molti padri la separazione forzata può significare addirittura una vera e propria sparizione dalla vita dei propri figli a causa del non poter più stabilire quando e che tipo di contatti avere con loro e per questo motivo a volte il padre detenuto evidenzia un attaccamento esagerato al figlio nel proprio immaginario, non potendo vivere questo rapporto nella realtà. Più il padre non vede il proprio figlio, maggiormente questi è portato ad idealizzarlo e la stessa cosa può avvenire da parte del figlio. Il problema si presenta, quanto meno per il bambino, quando intervengono terze persone a condizionare con il loro giudizio tale percezione ideale, giudizi in base ai quali il padre venga visto come un delinquente da evitare e non come punto di riferimento.

Inoltre poi, il padre è pervaso dalla paura che il figlio vedendolo o anche solo sapendolo in carcere possa essere “contagiato” dal suo essere delinquente, “la prigionia trasforma i colpevoli in vittime: invece di

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favorire la nascita del sentimento di responsabilità la pena favorisce il convalidarsi delle esperienze di irresponsabilità. Le condizioni stesse della detenzione in cui tutto è programmato, in cui il detenuto è ridotto a fanciullo, stroncano lo sviluppo della funzione di padre. È necessario dunque intervenire per poter sostenere questi uomini nel processo di consapevolezza della propria situazione, di accettazione del proprio passato e di riappropriazione del ruolo di genitore”91.

Bisogna ricordare loro che mantenere rapporti con la propria famiglia, specie con i figli, ha degli effetti positivi; infatti secondo studi effettuati da Bouregba un detenuto che abbia conservato rapporti continuativi e stabili con la propria famiglia, è soggetto ad un rischio di recidività di tre volte inferiore rispetto a chi non li abbia mantenuti ed altri studi hanno dimostrato come questi rapporti diminuiscano la probabilità di criminalità intergenerazionale e, dunque, la tendenza dei figli di detenuti a delinquere a loro volta92.

Come già detto, i padri detenuti non hanno la stessa tutela giuridica che hanno le madri, avendo solo diritto ai colloqui e a particolari benefici come i permessi in circostanze particolari. La stessa detenzione domiciliare può essere richiesta dal padre come misura alternativa alla detenzione solo a condizione che la madre del minore sia deceduta o assolutamente impossibilitata a prendersene cura e non vi siano altre persone a cui affidare il bambino.

91 Bouregba A. L’affettività e le relazioni famigliari nella vita delle persone detenute.

Le difficoltà di assumere ruoli e funzioni familiari per i padri detenuti. Maggio 2002,

consultabile al link

http://www.ristretti.it/convegni/affettivita/documenti/bouregba.htm .

92Pampalon R. Intervista ad Alain Bouregba: separazione tra genitori detenuti e figli,

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Di conseguenza un modo per poter aiutare i padri detenuti a prevenire gli effetti di esclusione sociale prodotti dallo stato di detenzione, consiste nel far sì che recuperino le risorse necessarie per attivare un vero cambiamento, rivedendo in modo critico il proprio trascorso, i comportamenti delinquenziali avuti e capire le conseguenze che questi hanno avuto sulla vita dei loro figli; assumere responsabilmente il proprio ruolo paterno, comprendendo le esigenze affettive ed educative dei figli per potersi attivare positivamente con le risorse personali e materiali che si hanno a disposizione.

L’istituzione carceraria, d’accordo con gli Enti Locali93 è tenuta a sostenere e promuovere le relazioni parentali e rendere più incisivi gli interventi centrati sulla rivalutazione o ricostruzione del rapporto tra detenuto e famiglia. Ciò richiede un intervento integrato tra i servizi dell’Amministrazione penitenziaria, i Servizi sociali del territorio, la Magistratura di Sorveglianza ed il Terzo Settore, dato che il tema della paternità in detenzione colpisce il detenuto ma anche la sua famiglia e i suoi figli: assistenza post-penitenziaria, assistenza economica alle famiglie dei detenuti, programmazione integrata dei servizi sociali. I bambini rimangono meno traumatizzati dall’esperienza della detenzione del genitore quando mantengono con questi un rapporto continuativo, così come i genitori detenuti sono più preparati e disposti a crescere i figli nel lungo periodo se hanno mantenuto una relazione costante con loro, se sono sostenuti e ricevono aiuto nel reinserimento sociale.

93 D.P.R. n. 616/1977 Attuazione della delega di cui all’art.1 della L. n.328/1975; L. n.328/2000 Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e

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Per questo è importante reinventare gli spazi per i colloqui ma anche le modalità organizzative per tutelare il rapporto genitore-figlio, ad esempio ci si chiede del perché le telefonate sono disponibili fino alle 16:00 se molti bambini frequentano la scuola fino alle 16:30?, oppure occorre porsi il problema della lunga attesa dei bambini prima dei colloqui94.

Per comprendere la portata della condizione che si vuole descrivere si ritiene utile riportare la testimonianza95 di un padre detenuto, allo scopo di comprendere come la paternità viene vissuta in detenzione e quali sono i veri sentimenti e le conseguenze che essa comporta per i figli e per lo stesso genitore:

“Sono trascorsi quindici anni ma ho ancora impresse nella memoria, come fosse ieri, le prime volte in cui i miei familiari sono entrati in carcere. Altro che stanze dell’affettività: io dalla parte di un bancone di marmo largo quasi un metro, e loro dall’altra, separati da un ulteriore vetro divisorio di circa 30 centimetri. Non potrò mai dimenticare i tanti pianti di mia madre e di mio padre, che avrei voluto almeno abbracciare e consolare; non potrò mai dimenticare le manine delle mie figlie di tre e sei anni che a fatica riuscivano a sfiorare le mie dita, e quando qualche agente fingeva di “distrarsi” loro riuscivano a cogliere al volo, e con un tempismo invidiabile, quella opportunità per saltare dalla mia parte. Nonostante ci provassi (anche se in realtà era il mio desiderio più remoto, ma d’altronde non potevo infrangere a lungo il regolamento), non riuscivo più a staccarmele di dosso, e allora erano pianti e urla a non finire. La più grande aveva addirittura adottato uno stratagemma, e pochi

94 Il caso dei detenuti padri: problematiche e possibili interventi Autonomi locali e servizi sociali. Fascicolo 2. Agosto 2005.

95Affetti negati in Ristretti Orizzonti, Rivista anno 12, Numero 1, gennaio-febbraio 2010, p.24.

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secondi dopo essermi piombata tra le braccia chiudeva gli occhi e cadeva in un sonno improvviso. Era l’unico modo che ci consentiva di unire per qualche istante i nostri cuori e il nostro respiro, di sentire il calore dei nostri corpi, di scambiarci tante furtive carezze e interminabili baci. Questo accadeva nel 1994, e nonostante dal 2000 io mi trovi in un carcere, dove il muro e il vetro divisorio non esistono più, dove le sale colloqui sono diventate più accoglienti, le mie figlie non sono mai riuscite a superare il trauma del distacco totale, non sono riuscite ad affievolire neppure il doloroso ricordo dei primi e disperati struggenti incontri, una sofferenza che si sarebbe potuta evitare – almeno a loro, che non avevano fatto assolutamente niente di male – se ci fossero state le stanze dell’affettività, un luogo dove vivere qualche momento di “normalità”. Le mie figlie sono diventate delle ragazze di 18 e 21 anni, ma ad ogni colloquio vengono assalite dal panico al punto che più di una volta, arrivate davanti al carcere, hanno ripercorso a ritroso i 150 chilometri di viaggio senza nemmeno entrare.”

- Il caso di padre detenuto non affidatario

Con il Decreto 23 agosto 2013 il Tribunale dei Minori di Trieste affronta una questione di grande rilevanza sociale a proposito di un genitore non affidatario che in condizione carceraria ha comunque diritto a continuare a svolgere il ruolo paterno e quindi di incontrare il figlio in carcere ed essere costantemente aggiornato sulla vita del minore da parte della madre affidataria96.

96Nota di commento Tribunale dei Minori Trieste, decreto 23 agosto 2013 Restare

padre dietro le sbarre: il diritto del figlio e del padre detenuto alla reciproca frequentazione.

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La finalità di detto intervento giurisprudenziale riguarda la tutela del diritto paterno alla frequentazione con i propri figli ma ciò non toglie che in questo modo si protegge anche il diritto del figlio a “mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi (i genitori) di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi”97.

Inoltre, poi, per ragioni socio-culturali le madri sono quasi sempre scelte come conviventi dei propri figli e quindi il diritto del genitore non affidatario ad avere rapporti con i figli diventa una vera e propria “questione di genere”.

Come affermato dunque dal citato Tribunale dei Minori se il genitore non affidatario in passato si sia occupato del figlio, i contatti padre-figlio, nonostante l’ambiente carcerario e l’eventuale viaggio che il minore deve affrontare per recarsi a colloquio, non pregiudicano il minore più di quanto possa fare l’interruzione dello stesso rapporto: di conseguenza viene salvaguardato il supremo interesse del minore e la sua tutela a richiedere il mantenimento della relazione genitoriale.

Tale situazione è tutelata dalla Convenzione Onu sui diritti del Minore al mantenimento del legame con i genitori nonostante la separazione da questi nei casi di divorzio della coppia genitoriale o di detenzione di uno dei due o di entrambi98; ma è tutelata anche dalla CEDU (Corte Europea dei Diritti dell’Uomo) che ribadisce l’esigenza di protezione della vita familiare delle persone detenute, e quindi anche i contatti che ne conseguono, salvo il limite di tutela dell’interesse dei figli99.

97 Art. 155, 1° comma, cod. civ.

98 Art. 9 della Convenzione sui Diritti dell’infanzia.

99 Art. 8 Convenzione europea sui Diritti dell’Uomo, Diritto al rispetto alla vita

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Tra l’altro la stessa Corte Europea dei Diritti dell’uomo ha ripetutamente condannato l’Italia per non aver tutelato in maniera adeguata il diritto paterno di visita nei casi di comportamento ostacolante da parte della madre affidataria100.

C’è da dire che stiamo analizzando un caso di detenzione del padre che non assume rilevanza nel quadro di un procedimento giudiziale de potestate, infatti caso diverso è ovviamente quello in cui il genitore incorre in sede penale per una condanna che comporta la decadenza della potestà genitoriale (art. 34 cod. pen.): in questa ipotesi vi è una presunzione assoluta di inidoneità all’esercizio del ruolo genitoriale101.

100 CEDU 30 giugno 2005 Bove c. Italia; CEDU 2 novembre 2010 Piazzi c. Italia; CEDU 29 gennaio 2013 Lombardo c. Italia.

101 Nota di commento decreto 23 agosto 2013 Tribunale dei Minori di Trieste Restare

padre dietro le sbarre: il diritto del figlio e del padre detenuto alla reciproca frequentazione.

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Conclusione

L’obiettivo del presente lavoro è stato quello di comprendere l’importanza che la famiglia ricopre per ogni soggetto e nello specifico per chi si trovi in stato di reclusione carceraria. Dalle difficoltà e problematicità che sono state analizzate, uno dei principali punti su cui ci si è soffermarti ha riguardato la necessità di favorire in termini pratici le relazioni familiari all’interno della struttura penitenziaria, ancor di più allorché nella vita del detenuto/a è presente un figlio minore: occorre in questi casi cercare di capire quali sono gli strumenti da utilizzare per aiutare questi soggetti a poter continuare ad essere genitori “in carcere” anche alla luce degli istituti giuridici a ciò predisposti dal nostro Ordinamento.

In questa ottica, il primo elemento concreto da rivedere è sicuramente la riconsiderazione degli spazi fisici d’incontro previsti per i colloqui tra genitori e figli. Troppo spesso infatti questi avvengono in ambienti angusti e scioccanti per un bambino molto piccolo che si trova costretto ad incontrare il proprio genitore, ambienti che influenzano anche il comportamento del genitore stesso, aumentando i suoi sensi di colpa dovuti al fatto di sentirsi l’unica causa della presenza del proprio figlio in una struttura carceraria.

Per prevenire gli effetti desocializzanti del carcere, le Istituzioni e gli operatori penitenziari devono operare congiuntamente per aiutare i detenuti a recuperare le risorse necessarie per produrre un reale cambiamento, attraverso progetti attivi di sostegno alla genitorialità in detenzione: gruppi di scambio, gruppi di sostegno, strumenti che possono permettere ad ogni individuo di poter ricostruire la propria storia ed in questo modo riuscire a vederla con occhio esterno e di conseguenza avere

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la “chance” di poter prendere le distanze dalla vita delinquenziale. In questo modo le Istituzioni e gli operatori preposti possono effettivamente aiutare il genitore detenuto non solo a migliorare la sua condizione di vita nel carcere, ma altresì a capire l’impatto negativo che il suo precedente stile di vita ha avuto sui propri figli.

Il percorso di sostegno alla genitorialità sopra delineato per linee essenziali, è fondamentale perché aiuta i genitori detenuti ad assumere maggiore consapevolezza riguardo la propria vita; la riflessione ed il riesame del proprio trascorso costituisce lo stimolo per elaborare il proprio cambiamento in qualità di genitore: infatti il sentimento di maternità o di paternità in molti casi rappresenta occasione di recupero, maturazione e pentimento rispetto a quanto successo.

Le difficoltà rispetto alla genitorialità vissuta in detenzione riguardano allo stesso modo madre e padre, che tuttavia non vengono tutelate dal nostro Ordinamento allo stesso modo: al padre infatti non sono garantiti gli stessi diritti prioritari previsti per le figure genitoriali materne, nonostante sia ormai stata confermata e ribadita l’importanza della figura paterna nella vita e nella crescita di ogni bambino.

Ma anche a tale proposito emerge una incongruenza: la relazione madre- figlio viene tutelata in quanto ritenuta fondamentale per lo sviluppo del bambino fino al punto da prevedere per le madri di poter tenere con sé i propri figli in carcere; ma l’importanza di questa relazione viene presa in considerazione dalla legge italiana solo fino al terzo anno di vita del bambino! Dopo di che l’unica soluzione risulta essere l’affidamento a terzi del minore, consentendosi di fatto ex lege l’allontanamento dall’unica figura genitoriale avuta fino a quel momento.

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È di tutta evidenza rilevare che tali due situazioni, a cui la legge fa riferimento, siano in contrasto tra di loro e diano risposte diverse rispetto all’unico bene che le stesse in linea di principio dovrebbero tutelare: che è e rimane “il supremo interesse del minore”.

Inoltre pare che il legislatore non abbia attribuito alla tutela dell’infanzia una posizione di assoluta preminenza anche nel caso di madri condannate per uno dei reati ostativi elencati dall’art.4 bis O.P. o nel caso di padri detenuti.

Un ulteriore problema riguarda infatti proprio i detenuti padri e le detenute madri i cui figli, ormai troppo grandi, sono stati separati da esse.

La soluzione del problema, a parere di chi scrive, consiste nel calibrare l’intensità della pretesa punitiva dello Stato tenendo conto dei diversi bisogni che costituiscono ogni periodo di crescita di un bambino fin dall’infanzia e del ruolo fondamentale svolto dal rapporto con le figure genitoriali. Risulta infatti rilevante il principio della “bigenitorialità”, ovvero il diritto di ogni bambino a mantenere rapporti significativi e continuativi con entrambi i propri genitori.

Nell’attesa di una normativa che regoli in maniera dettagliata la tutela della genitorialità durante il periodo di detenzione carceraria, c’è da dire che allo stato, grazie alle opere messe in atto da diverse associazioni sorte nel corso degli anni a tutela dei diritti dei detenuti o dei loro familiari, si tende sempre di più a garantire e favorire il mantenimento dei rapporti genitori-figli, rispetto al recente passato.

Il lavoro svolto da queste associazioni ha consentito anche di fare in modo che la società abbia potuto conoscere l’istituzione carceraria, i diritti dei detenuti e le problematiche connesse, grazie ad esse risolvendo, o aiutando

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a risolvere, uno dei più grossi problemi in questo ambito, ovvero il pregiudizio negativo che la società civile ha nei confronti di chiunque abbia commesso un reato e di chi in conseguenza di esso si trovi in carcere. A fronte delle considerazioni che precedono, questa analisi propone in maniera prioritaria che lo Stato ponga maggiore attenzione verso la finalità della tutela dei minori, obiettivo che può (e deve) essere concretamente raggiunto attraverso la rieducazione del genitore detenuto. Ciò in quanto tale rieducazione permette non solo di restituire alla società una persona consapevole dei propri errori, così attuandosi il principio generale della funzione rieducativa della pena detentiva e pertanto dell’elemento essenziale per evitare il rischio della recidiva, ma anche per restituire ai figli un genitore che sia sempre consapevole del proprio ruolo e come tale in grado di rispondere delle proprie responsabilità, anche in regime di costrizione carceraria.

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Bibliografia

• Affetti negati in Ristretti Orizzonti, Anno 12, numero 1. Gennaio- febbraio 2010.

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