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Quadro normativo di riferimento

Quando la pena detentiva viene espiata da una persona che sia genitore di un figlio minore oppure da una donna in stato di gravidanza, l’esecuzione della pena avrà delle conseguenze oltre che sulla vita del condannato,

30 Tale comma esige per la configurabilità del reato la c.d. suitas, ovvero la coscienza

e volontà della condotta. Viene quindi richiesta l’esistenza di un nesso psichico tra l’agente ed il fatto, il quale si viene a creare tutte le volte in cui la condotta è posta in essere volontariamente e quando, anche se non sussisteva tale esplicita volontà, con uno sforo del volere la condotta integrante il reato poteva essere evitata dal soggetto. Ci si riferisce qui agli atti automatici od abituali e ai fatti compiuti in stato emotivo, salvi i casi in cui può essere esclusa l’imputabilità (art.46 C.P), mentre non vi rientrano gli atti istintivi o riflessi, in quanto propri del mondo meccanico ed indipendenti dalla volontà. www.brocardi.it .

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anche su quella del coniuge, dei figli e dei familiari in senso più ampio. Questo provoca degli inevitabili cambiamenti nella vita familiare ma anche nei legami veri e propri, per tutta la durata della detenzione e, a volte, le conseguenze persistono anche nel successivo periodo.

In questa cornice il rischio reale di incrinazione o addirittura la rottura dei rapporti familiari, può portare a profondi traumi psicologici e problemi di adattamento, se non di emarginazione sociale, nelle persone strettamente legate al detenuto31. La carcerazione di un genitore può far sorgere dunque numerose problematiche che si ripercuotono sullo sviluppo dei figli anche dopo molto tempo: crisi d’identità che possono determinare comportamenti trasgressivi o depressivi, difficoltà nel progettare il futuro ed essere padroni della propria vita.

Nascono quindi due diverse esigenze quando si ha a che fare con genitori detenuti: da una parte tutelare la relazione con i familiari, in particolare con i figli, per evitare danni e conseguenze traumatiche, dall’altra vi è però la necessità di contenere la pericolosità sociale di chi ha commesso il reato per prevenire in primis il rischio di recidiva a beneficio sia della collettività che delle persone offese dal reato.

Proprio per bilanciare queste due esigenze, entrambe costituzionalmente protette e apparentemente inconciliabili, sono previste ex lege specifiche

31 Al riguardo, Anzani G. “la pena del carcere non è un laser che seleziona il suo obiettivo e lascia indenne il resto; è una specie di proiettile che ferisce l’intera prossimità del reo. Per esempio i suoi familiari che non hanno commesso alcun male. Anche per loro c’è dolore e vergogna. Con la carcerazione le dinamiche familiari si impoveriscono e sono sconvolte, le relazioni affettive retrocedono… Aggiungete lo stigma sociale di ‘famiglia di qualcuno che sta in galera’”. L’isola dei reclusi, in FAMIGLIA OGGI.

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misure alternative o modalità di espiazione, per così dire, “morbide” della pena detentiva32.

L’esecuzione della pena detentiva è disciplinata dalla Costituzione e va quindi ad intrecciarsi con la tutela dei diritti inviolabili e fondamentali della persona.

• Il primato della persona. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità (art. 2 Cost). Da ciò ne segue che lo Stato quando esercita la potestà punitiva nei confronti del reo nell’istituto penitenziario, deve vigilare affinché la pena inflitta deve sempre porre la dignità della persona condannata al centro del trattamento e degli interventi a lui rivolti, non potendo dunque calpestare in alcun modo i diritti inviolabili, non potendo adottare modalità brutali o disumane ma, anzi, sostenendo e agevolando i rapporti familiari per favorire un’adeguata reintegrazione sociale e affettiva in seguito alle dimissioni dall’istituzione carceraria. • La solidarietà nei rapporti con familiari e conviventi. Ancora

l’art. 2 della Costituzione sancisce che la comunità deve adempiere ai doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale al fine di promuovere e tutelare i diritti inviolabili dell’uomo e lo sviluppo integrale della sua personalità. La solidarietà è uno dei valori basilari all’interno di ogni famiglia: l’intreccio di vite e di rapporti affettivi, sentimentali e materiali mira a realizzare quella piena comunione di vita che rappresenta il collante della famiglia e

32Mastropasqua G Esecuzione della pena detentiva e tutela dei rapporti familiari e di

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dell’unità familiare, valore tutelato costituzionalmente33. Sotto questa ottica, la potestà punitiva nei confronti della persona condannata deve essere esercitata facendo comunque sì che i rapporti solidali citati possano essere mantenuti, prevedendo incontri, colloqui e interventi a beneficio dei familiari.

• La sussidiarietà. Il principio di sussidiarietà in questo caso indica che la formazione sociale famiglia soddisfi le aspettative dei propri componenti fino a che questi non siano in grado di provvedervi da soli ovvero fino a quando il beneficiario non riacquisti autonomia e indipendenza. Questo principio impone allo Stato di assicurare e agevolare tutto quegli interventi che sostengano il reo e le persone a lui legate che versino in stato di bisogno morale o materiale ed in più presuppone particolari forme di espiazione della pena detentiva per permettere alla persona condannata di poter mantenere le relazioni affettive durante la carcerazione e ricevere dai familiari il sostegno adeguato per integrarsi e reintegrarsi in ambito familiare, affettivo e sociale.

La realizzazione di tutto ciò avviene attraverso il c.d. “progetto trattamentale” creato appositamente per il condannato dalla Magistratura di Sorveglianza, dagli operatori penitenziari e dal personale dell’UEPE (Ufficio Esecuzione Penale Esterna), coinvolgendo i suoi familiari. Questo progetto da un lato garantisce la sicurezza sociale e contiene la pericolosità sociale del reo, d’altro canto però la creazione di percorsi che stimolano nella persona condannata la riflessione rispetto al reato commesso, e che lavorino

33 Art. 29 Costituzione: La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società

naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

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sulle risorse ritrovabili nel contesto familiare e sociale del soggetto in questione al fine di ridimensionare o eliminare le cause reali del reato, operano avendo come obiettivo il reinserimento finale del reo a seguito delle dimissioni.

• La risorsa dei legami familiari e affettivi. Le relazioni familiari sono tutelate costituzionalmente dagli articoli 2, 29, 30 e 31, i quali prevedono che lo Stato deve assicurare protezione a tutti i componenti della famiglia. A questo proposito quindi la carcerazione non deve spezzare questi importanti legami, per cui devono essere previsti spazi appositi per gli incontri che favoriscono la vicinanza e il sostegno dei familiari al soggetto detenuto. Le strutture carcerarie devono quindi prevedere la possibilità che i bisogni e le esigenze dei componenti della famiglia vengano soddisfatti, la creazione di fondi economici finalizzati ad evitare la condizione di isolamento, povertà ed emarginazione in cui spesso ci si ritrova. Inoltre deve essere garantita al genitore detenuto la possibilità di coltivare le relazioni con i propri figli. I figli hanno bisogno della presenza costante dei genitori soprattutto nelle prime fasi di vita e nell’adolescenza, altrimenti come abbiamo già visto, il rischio di esperienze negative e traumatiche è molto alto.

Di conseguenza la normativa penitenziaria deve tutelare i rapporti genitori-figli e, nello specifico, il rapporto esclusivo madre-figlio, privilegiando la madre nell’accesso a determinati benefici previsti dalla legge a tutela del figlio: differimento dell’esecuzione della pena, assistenza all’esterno, detenzione domiciliare.

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• La finalità rieducativa della pena. L’art. 27 Cost34 dispone il divieto di praticare trattamenti contrari al senso di umanità e che la finalità rieducativa della pena per la rieducazione della persona non può essere perseguita se la pena stessa viene condotta in condizioni brutali e lesive della dignità dell’uomo. Perciò lo Stato deve progettare degli interventi che riescano a risolvere tutte quelle difficoltà che hanno indotto il soggetto detenuto a compiere quel determinato reato: povertà, dipendenza patologica, emarginazione e bisogno.

Se lo Stato riuscisse a proteggere e sostenere non solo il reo ma l’intera sua famiglia, questo favorirebbe l’inclusione sociale e soprattutto l’allontanamento dalle condotte illecite. Il principio della finalità rieducativa della pena ci rimanda ad un’immagine del carcere non segregante o di natura esclusivamente custodiale, ma finalizzata a stimolare e sostenere il cambiamento nel soggetto detenuto, aiutandolo a rivalutare criticamente gli illeciti commessi e avviare un percorso di inclusione sociale basata sui principi di correttezza e legalità, sostenuto in questo importante percorso dai familiari. La rieducazione dell’adulto in termini di legalità, consente non solo di riconsegnare alla società un individuo consapevole dei propri errori, aspetto che diminuisce il rischio di recidiva, ma significa anche restituire ai figli un genitore consapevole del proprio ruolo e delle proprie responsabilità.35

34Art. 27 Costituzione: La responsabilità penale è personale. L’imputato non è

considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.

35Mastropasqua G. Esecuzione della pena detentiva e tutela dei rapporti familiari e di

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