• Non ci sono risultati.

LA MISURAZIONE DELLA SALUTE FINANZIARIA DEI COMUN

3. La finanza pubblica locale in Italia

3.1. Il Patto Interno di Stabilità

La finanza locale rappresenta una componente importante dei conti pubblici nazionali. L’andamento del comparto degli enti locale ha un’influenza sempre maggiore sulle performance dello Stato italiano nel settore della finanza pubblica, nella sostenibilità del debito nel medio e lungo periodo e, di conseguenza, del suo

rating nei mercati finanziari. Inoltre, tale peso è aumentato, e si

decentramento amministrativo delle funzione delle amministrazioni centrali alle amministrazioni locali.

A tal proposito, si segnala che il debito complessivo del comparto degli enti territoriali (Regioni, Province, Comuni, Comunità montane ed altri enti dell’Amministrazione locale) è pari, nel 2006. A 108.173 milioni di euro, che rappresenta il 7,3% del prodotto interno lordo. In particolare per quanto riguarda i comuni il debito registrato nel 2006 è pari a 8.686 milioni di euro (Banca d’Italia e Dexia-Crediop, 2007).

Con l’obiettivo di coinvolgere le amministrazione locali nel raggiungimento di obiettivi di risanamento della finanza pubblica, è stato introdotto il Patto di Stabilità Interno con la Legge 23 dicembre 1998, n. 448 (legge finanziaria per il 1999). In questo modo lo Stato ha coinvolto gli enti locali nel percorso necessario per il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica che derivano all’Italia a seguito dell’adesione al Patto di Stabilità e Crescita, adottato dal Consiglio europeo di Amsterdam nel giugno del 1997.

Il Patto di Stabilità e Crescita è un accordo tra gli stati membri dell’Unione Europea a rispettare l’obiettivo di una progressiva riduzione del finanziamento in disavanzo delle proprie spese e nella diminuzione del rapporto debito/prodotto interno lordo. Più precisamente, sono stati stabiliti i seguenti valori di riferimento: il rapporto tra disavanzo e Pil non deve superare il 3% e il rapporto tre debito pubblico e Pil non deve essere maggiore al 60%.

Le norme del Patto di stabilità interno hanno determinato la necessità per gli enti locali di modalità di programmazione finanziaria e di bilancio finalizzate a contribuire alla realizzazione degli obiettivi generali di finanza pubblica, individuando, in alcuni casi, indicazioni operative e proponendo delle azioni mediante le quali raggiungere i risultati prefissati in sede centrale.

In particolare, con l’art. 28 della legge 448/1998 è stato richiesto agli enti locali, e soprattutto ai comuni, di:

- ridurre i debiti (obiettivo derivato);

- abbattere i costi di gestione (obiettivo primario); - migliorare il flusso delle entrate (obiettivo primario).

Questi sono stati i primi obiettivi del Patto. Il Patto ha poi avuto una progressiva e sostanziale evoluzione che ha riguardato sia la sua configurazione tipica e la platea dei soggetti obbligati, sia il suo grado di obbligatorietà nell’ambito delle regole di formazione del bilancio dell’ente locale, sia il profilo premiale o punitivo per il suo rispetto o mancato rispetto da parte del singole ente45.

Si precisa che il Patto di stabilità interno non è stato, finora, uno strumento di monitoraggio e prevenzione delle crisi finanziarie, in quanto il formale rispetto del patto non garantisce che l’ente sia in condizioni di reale solidità finanziaria. Per converso, il mancato rispetto del patto non indica che l’ente necessariamente sia in una condizione di difficoltà strutturale e non congiunturale. Non

45 Per approfondimenti sul Patto interno di stabilità si veda Cimbolini e

rappresenta, quindi, non strumento di certificazione della salute finanziaria degli enti (Cimbolini e Moriconi, 2009).

Ai fini delle tematiche trattate nel presente lavoro, interessante è trattare il delicato equilibrio tra le politiche di esternalizzazione e il rispetto del Patto di Stabilità Interno da parte degli enti.

A tal proposito la magistratura contabile e la letteratura ( si vedano tra gli altri Farneti, 2008; Astegiano, 2009) hanno più volte segnalato come i comuni hanno esternalizzato i servizi pubblici allo scopo di non conteggiare nei propri bilancio i debiti e i costi dei servizi, in primis quelli del personale, eludendo così le regole del patto di stabilità.

La Corte dei Conti ha però ripetutamente censurato questo tipo di manovre, osservando che “la mancata considerazione dei risultati delle società partecipate totalmente o maggioritariamente insieme con quelle dell’Ente pubblico di riferimento comporta la possibilità che si creino situazioni occulte di debito che, prima o poi, finiscono col gravare sulla collettività pubblica e sul mancato rispetto degli impegni che lo Stato (…) ha assunto nei confronti dell’Unione europea e degli Stati europei”.

Ne consegue che “anche in presenza di una esternalizzazione sostanziale di un’attività o di un servizio nei confronti di un ente effettivamente privato, qualora l’ente territoriale insieme all’attività o al servizio eroghi somme di denaro a qualsivoglia titolo, detti importi debbono essere calcolati al fine del rispetto dei limiti di spesa stabiliti dalla normativa sul patto di stabilità interno” (Corte

dei conti, sez. regionale di controllo Lombardia, parere 30 ottobre 2006, n. 17)

Questa materia è stata in seguito oggetto di numerosi interventi da parte del giudice contabile, il quale ha più volte ricordato agli enti locali che l’intento del legislatore “è evidentemente quello, da un lato, di ridurre l’incidenza delle spese di personale nell’amministrazione pubblica con riferimento al patto di stabilità interno, dall’altro di impedire che lo schema organizzativo delle cosiddette “esternalizzazioni” venga utilizzato dagli enti sostanzialmente per eludere i vincoli di finanza pubblica, anziché per perseguire obiettivi di maggiore efficienza, efficacia ed economicità nella gestione dei servizi pubblici”. (Corte dei conti, sez. controllo Lombardia, parere n. 79 del 22 ottobre 2008).

E’ stato pure sottolineato che “l’esternalizzazione non può in alcun modo costituire la risposta per aggirare un divieto o una sanzione legislativa, in quanto costituisce una scelta gestionale (…) subordinata al preventivo accertamento da parte dell’ente dei costi e dei benefici da essa derivanti, giustificabile solo nella misura in cui risulti la soluzione preferibile in termini di efficienza, efficacia ed economicità rispetto alla gestione diretta del servizio (c.d. valutazione make or buy), anche con riferimento alle ricadute sui cittadini in un’ottica di lungo periodo.

La mancanza o la superficialità di tali complesse analisi preventive può costituire un sintomo dell’intento elusivo, oltre che possibile causa di danno per l’ente” (Corte dei Conti, sez. controllo Veneto, parere n. 52 dell’11 maggio 2009).

Alla luce di questi richiami della Corte dei conti, dal 2006 si è assistito a numerosi interventi normativi volti a ridurre la possibilità di costituire società partecipate come si dirà nel capitolo successivo in tema di evoluzione normativa sui servizi pubblici locali.