• Non ci sono risultati.

4.4 Periodi ed orari di lavoro

I lavoratori immigrati sono impiegati solitamente con contratti a termine e spesso legati alla stagionalità delle produzioni agricole. Questa elevata flessibilità è richiesta dagli stessi lavoratori che preferiscono mantenere un buon grado di mobilità che consente loro di spostarsi facilmente su tutto il territorio, non solo regionale e nazionale, in funzione delle offerte di lavoro ma anche delle esigenze familiari.

La flessibilità non riguarda però l’orario di lavoro che è prevalentemente full-time in quanto i lavoratori stranieri frequentemente non risiedono nel luogo di lavoro per cui pre- feriscono contenere gli spostamenti ed i relativi costi. La scelta di non risiedere nel luogo di lavoro è spesso dettata dalla volontà di abitare in comunità formate dalla stessa etnia.

Un fenomeno che appare in crescita ma ancora difficilmente quantificabile e che sfugge alle competenze dei sindacati, è quello dell’utilizzo dei voucher per la manodopera agricola non specializzata. Anche il ricorso del lavoro interinale da parte delle imprese agroindustriali risulta in deciso aumento.

4.5 Contratti e retribuzioni

L’incidenza di immigrati contrattualizzati nel comparto agroalimentare regionale è abbastanza elevata, in quanto il fenomeno della clandestinità è poco rilevante almeno nel settore agricolo. Occorre considerare infatti che l’orientamento produttivo prevalente re- gionale è quello cerealicolo per cui è basso l’utilizzo di manodopera.

In questi ultimi anni si assiste comunque ad un ritorno in agricoltura anche di la- voratori italiani espulsi dagli altri settori economici, in seguito alla crisi. Questa situazione sta creando una certa competizione, per cui gli immigrati trovano maggiori difficoltà di impiego.

I contratti sono generalmente a tempo determinato con retribuzioni leggermente più elevate nel settore zootecnico e della lavorazioni delle carni dove è richiesta una maggiore specializzazione professionale.

Dal punto di vista organizzativo vengono segnalate forme di aggregazione dei lavo- ratori immigrati in cooperative che svolgono la funzione di intermediarie tra l’offerta e la domanda di lavoro. Si tratta di esperienze interessanti che accrescono il potere contrattua- le dei lavoratori e sfavoriscono l’infiltrazione di organizzazioni poco trasparenti come, ad esempio, il caporalato in realtà non segnalate nelle Marche. Queste cooperative potrebbero però sottoremunerare i soci per cui pongono qualche preoccupazione per il rispetto dei diritti sindacali del lavoratore.

Forme non evidenti di sfruttamento del lavoro possono però essere presenti anche nei rapporti di lavoro contrattualizzati con la richiesta di un orario di lavoro superiore a quello formalizzato.

4.6 Alcuni elementi qualitativi

La presenza significativa di lavoratori immigrati nelle Marche, non solo impiegati in agricoltura, ha creato una domanda di servizi che non sempre viene soddisfatta dalle or- ganizzazione pubbliche e private. Ad esempio per gli immigrati non è facile trovare alloggi adeguati per qualità e prezzo, specie nelle aree più urbanizzate.

C’è una certa tendenza a risiedere in aree dove sono già presenti connazionali e que- sto ostacola a volta l’integrazione delle donne e degli anziani, mentre per i bambini, specie in età scolare, è più facile integrarsi, anzi, spesso svolgono il ruolo di collegamento tra gli adulti e le strutture pubbliche.

Nelle aree interne della regione, specie in quelle montane, il tasso di spopolamento si è attenuato grazie alla presenza degli immigrati, in un contesto però di tendenziale di- minuzione dei servizi alla popolazione. In queste aree a bassa densità abitativa è più facile l’integrazione grazie anche al fatto che la popolazione autoctona è mediamente anziana per cui conta anche sui servizi offerti dagli immigrati la cui età media è decisamente inferiore. Per questo motivo non si segnalano particolari episodi di intolleranza, sebbene la scarsa apertura di alcune comunità, quali ad esempio quella cinese, crea una certa diffidenza soprattutto tra i più anziani.

Il maggior grado di integrazione nelle aree interne della regione è testimoniato anche dalla presenza sempre più frequente dei rappresentanti degli immigrati in ruoli ammini- strativi, quali ad esempio i consigli comunali. In effetti il livello culturale dei lavoratori immigrati è da considerarsi medio-alto specie in rapporto a quello degli agricoltori italiani, che essendo prevalentemente anziani, hanno un tasso di scolarizzazione più basso. Gli immigrati hanno frequentemente un titolo di studio medio-superiore ma solitamente non hanno esperienze professionali specifiche per il settore agricolo.

4.7 Prospettive per il 2013

La presenza dei lavoratori immigrati è una componente essenziale di alcune attività del settore agroalimentare regionale. Per l’immediato futuro quindi non sembrano esser- ci rilevanti modificazioni sebbene la crisi abbia prodotto una consistente fuoriuscita di lavoratori nei settori extragricoli che in parte ora competono con gli immigrati. Rispetto al passato infatti si segnala che certe mansioni, considerate faticose o squalificanti, non vengono più rifiutate dai lavoratori italiani.

Questa situazione di incertezza socio-economica potrebbe quindi determinare un peggioramento delle condizioni lavorative generali, non solo degli immigrati, e favorire fenomeni di occupazione irregolare per livello retributivo e orario di lavoro.

Ciononostante il ruolo anticiclico che ha il settore agroalimentare può invece favorire una crescita occupazionale capace almeno in parte di assorbire la manodopera in eccesso.

4.8 Imprenditoria agricola straniera

Il fenomeno delle imprese agricole condotte da stranieri nelle Marche è molto conte- nuto, ed ancor più lo è per il comparto agroindustriale.

Marche

Le imprese iscritte nei registri camerali, che svolgono attività agricola e che sono condotte da stranieri sono nelle Marche 523 alla fine del 2012, di queste, 388 sono imprese individuali (76%)8. La quota di imprenditoria agricola sul totale di quella straniera regio- nale è pari al 3%, e risulta in crescita di 13 unità rispetto al 2011, aumento che però non riguarda le ditte individuali ma le altre forme giuridiche.

I titolari di impresa agricola extracomunitari nel 2012 sono 177, ma nel complesso sono 288 coloro che hanno una carica sociale all’interno delle aziende agricole più strut- turate. Di questi la metà hanno una età compresa tra i 30 ed i 50 anni, il 43% hanno più di 50 anni e solo il 6% meno di 30 anni. Gli imprenditori stranieri sono presenti anche nel comparto silvicolo (9 unità) e in quello delle industrie alimentari (16 unità) dove sono ben 109 le persone di provenienza extra UE che hanno una carica sociale.

Il Censimento agricolo del 2010 indica che nelle Marche sono 158 i capiazienda stra- nieri di cui 119 comunitari e 39 extraUE. Rapportati ai quasi 45.000 capiazienda totali si evidenzia la modesta rilevanza del fenomeno (0,35%) che assume però una quota superiore alla media nazionale (0,23%). Quasi i due terzi dei capoazienda extracomunitari operano nelle province di Pesaro-Urbino ed Ancona.

I numeri quindi quantificano una situazione ancora molto circoscritta che non può che crescere nei prossimi anni, anche se le difficoltà per l’avvio di nuove iniziative impren- ditoriali, specie in agricoltura, esistono indipendentemente dalla nazionalità del soggetto interessato. In effetti se nel settore artigianale o commerciale è possibile l’avvio di una atti- vità economica anche con risorse finanziarie relativamente contenute, questo non è ormai fattibile in agricoltura se si intende operare per il mercato e non solo per l’autosufficienza alimentare.

L’elevato costo della terra, dei capitali tecnici, le competenze necessarie per la ge- stione tecnica ed economica, sono un ostacolo quasi insormontabile per chi non ha mezzi propri, specie in un periodo come questo dove è molto difficile l’accesso al credito.

lazIo