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Personaggi: duplicazione e fatalità

CAPITOLO 3 – Romanzi a confronto

3.4 Personaggi: duplicazione e fatalità

Nel saggio Morfologia della fiaba154, Vladimir Propp considera il personaggio come sfera d’azione, ruolo o agente intorno al quale si sviluppa l’intreccio del romanzo. Volendo descrivere gli aspetti che lo caratterizzano, si può partire dallo studio della fenomenologia, in base a quattro distinte isotopie: l’essere, ovvero le qualità che lo contraddistinguono, il fare, cioè la sfera pragmatica in cui è chiamato in causa, il vedere ed infine il parlare, che comprende gli atti linguistici che lo riguardano. Non solo, ciascun personaggio è dotato di un suo statuto anagrafico inclusivo di nome, età, sesso, fisionomia. Secondo il parere di Segre, il valore di un personaggio non è mai riconducibile ad un semplice ruolo logico, tanto che:

un’azione interessa nella misura in cui essa riflette l’indole e la volontà di un personaggio. Anzi, il personaggio che per lo più ha nome e cognome, ed è iscritto ad un’anagrafe si pur fittizia, costituisce un fascio di attitudini e di tratti caratteriali che, sia egli un individuo atipico oppure un tipo tradizionale o una “maschera”, costituisce ipso facto la spiegazione dei suoi moventi e contiene la possibilità di sviluppi ulteriori. Il personaggio, infine, attua l’unificazione delle funzioni, che hanno senso perché attuate da lui, diramantisi da lui.155

Un altro contributo lo offre Chatman, il quale delinea il personaggio come un “paradigma di tratti psicologici […] ricostruito dal pubblico per mezzo di tracce esplicite o implicite, organizzate in un costrutto originale.”156 Nel modello classico della narrativa il personaggio è di solito presentato da un narratore extradiegetico che lo caratterizza fin da subito per una sua particolare funzione, senza possibilità di cambiamento. In alternativa alla visione extradiegetica, con presenza di narratore onnisciente, esiste l’introduzione del personaggio tramite focalizzazione esterna, secondo una pura registrazione di ciò che avviene di fronte agli occhi di chi narra. In alcuni casi, il personaggio può presentarsi da solo,

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Morfologia della fiaba è un saggio di V. Propp pubblicato in Italia da Einaudi a cura di G. L. Bravo, nell’anno 1966.

155 C. Segre, Le strutture e il tempo, Torino, Einaudi, 1974, pp. 45-46. 156 S. Chatman, Storia e discorso, Parma, Il saggiatore tascabili, 1981, p. 117.

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tramite un autoritratto, ricorrendo alla sua stessa voce e prospettiva, talvolta utilizzando un monologo interiore o mediante stream of consciousness.

Beltenebros è un romanzo il cui racconto è impostato sulla focalizzazione interna, ciò significa che è il narratore a introdurre se stesso e gli altri personaggi ricorrendo, in caso di mancanza di informazione, alla testimonianza di altre figure presenti nel testo. Dunque, non assistiamo ad una vera e propria tecnica della rotazione dei punti di vista, che comporta una visione sia dall’interno che dall’esterno, in quanto il narratore è uno solo ed è attraverso di lui che vengono filtrati i racconti degli altri personaggi. Per quanto concerne uno dei livelli antropologici, ovvero quello dello statuto anagrafico, il personaggio principale del romanzo di Molina non ha un corrispettivo per ciascuna delle sue categorie.

Sappiamo solamente che egli si chiama Darman (Dark-man), nome che rivela un certo aspetto del suo carattere e che fa pensare immediatamente ad un personaggio oscuro e misterioso, come l’atmosfera in cui è avvolta l’intera opera. Non solo, visti i rimandi al romanzo cervantino presenti in tutto il testo, si può analizzare il profilo di Darman in parallelo a quello del cavaliere Amadigi di Don Quijote. “El intertexto sirve, entonces, para ser deconstruido, invertido no paródica sino trágicamente.”157 Il tratto distintivo che caratterizza questo personaggio, come suggerisce il suo stesso nome, è il profondo sentimentalismo, la devozione che egli dimostra nei confronti della sua donna, per la quale intraprende tutte le avventure ed è disposto a vivere come eremita per riconquistarla. Se si aggiunge la lealtà che manifesta verso il suo re, Amadigi diviene il perfetto cavaliere da cui prendere esempio. Al contrario, Darman è un uomo violento, ossessionato da una femme fatale con la quale non intraprende nessuna relazione degna dell’eroe cavalleresco e della sua dama:

Di un paso hacia ella y de una sola befetada la derribé sobre la cama. Cayó de costado y se quedó tan inmóvil como si un golpe de mar la hubiera abatido contra los guijarros. Me tendí junto a ella, le limpié los labios, llamándola, repitiendo su nombre, queriendo imaginar que cuando le apartara el pelo vería la cara de la otra. [...] Con una borrosa y vengativa premura retardada

157 M. B. Ferrari, “Tradición literaria y cinematográfica en Beltenebros de Antonio Muñoz

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por mi propia torpeza, que me enredaba los dedos en la hebilla del cinturón y en los faldones de la camisa, la abrí [...] (Cap. XII, p. 242)158

Vive di tradimento, circondato da un ambiente in cui regna l’illusione e la menzogna. Per questo motivo si può definire una controfigura di Amadigi e allo stesso tempo anche di don Quijote, che a sua volta decide di mettere a rischio la sua vita per Dulcinea e per i suoi valori. D’altro canto, Darman, come il folle cavaliere di Cervantes, è ancorato ad un passato che non può ripresentarsi e trova pace e serenità solo nella letteratura, essendo proprietario di una libreria a Brighton. Essa rappresenta la sua valvola di sfogo, il distacco da una realtà che detesta e che dalla quale si vuole allontanare.

[…] seguiría ocupándome de mi tienda de libros y grabados antiguos, un negocio tranquilo y relativamente próspero que tenía la virtud de otorgarme una serenidad más bien sonánbula, un sentimiento de inmersión en la lejanía de otros mundos y de un tiempo que no era del todo el de los vivos. (Cap. I, p. 120)159

È nel finale dell’opera Beltenebros che si riscontra un’analogia con il romanzo cavalleresco, poiché Darman, spinto dai sentimenti e dalla curiosità, cambia atteggiamento e prende l’iniziativa; difatti, la conclusione dell’opera prevede un finale che si può definire felice e che sottintende la conquista della verità, allo stesso modo di Amadigi, che raggiunge e il suo scopo e può coronare il suo amore con le nozze.

Muñoz Molina conferisce notevole importanza all’atto del nominare, alla scelta dell’apposito nome da attribuire ai suoi personaggi. Questi, nella raccolta di saggi Pura Alegría, affronta l’argomento e dichiara:

Mezclando rasgos de personas distintas en esa especie de caldo alquímico que es la ficción se perfila una criatura singular cuyo único reino posible es el relato: para algunos aprovechamos a un solo modelo real, pero lo más frecuente es que en las mejores aleaciones intervengan trazas de muchos modelos, cuyo origen dispar se equilibra en la veracidad del personaje. Pero en este precipitado falta aún añadir una sustancia sin la cual todo el

158 Op. Cit.

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experimento fracasaría: el nombre. Siempre digo que el nombre importa tanto porque es la cara que ve el lector del personaje. El nombre ha de contenerlo y definirlo, de tal modo que lo primero que nos molesta en las novelas son los nombres de sus protagonistas, y en tal medida que al escribir, mientras no tengamos el nombre, no podemos decir que tenemos el personaje. El nombre, al menos el del protagonista, ha de sonarnos como quería don Quijote de que sonara Dulcinea: músico y peregrino. [...] Nombrar es un acto mágico, como creían los antiguos y siguen creyendo los primitivos. Mediante el nombre se transmite al recién nacido el alma de un antepasado: el nombre es el núcleo y la cifra de la identidad, y el novelista sabe que si da un nombre equivocado a un personaje le otorgará una identidad falsa que le impedirà existir plenamente.160

Può capitare che l’idea di un personaggio nasca contemporaneamente alla storia del romanzo, che egli vi si inserisca successivamente sconvolgendo i piani dell’autore, o addirittura che esista già da tempo nella mente dello scrittore e venga poi inserito in un contesto preciso che si addice alle sue qualità. È il caso di Floro Bloom, personaggio secondario del romanzo El invierno en Lisboa, il quale, ispirato ad un caro amico di Molina, ha transitato molti anni nell’immaginazione dell’autore prima di trovare il suo posto nel romanzo. Diversamente da Billy Swann, il trombettista che ricorda Chet Baker, il quale ha modificato il racconto una volta terminata la sua stesura. “Nombrar es contarlo todo con una sola palabra”161

, fenomeno che si converte in un tratto distintivo di molti personaggi maschili di Muñoz Molina; difatti, come si può osservare nei suoi romanzi, la maggior parte di essi non possiede un nome di battesimo, ma un cognome (Darman, Andrade, Bernal, Minaya, Utrera, Medina, Guzmán).

Sono rari i casi in cui l’autore ci introduce un personaggio attraverso la sua identità completa, ribadendo l’importanza di ciò che non è detto esplicitamente. Tutto in letteratura funziona come nella realtà, sostiene Molina, dove si sa molto poco degli altri e talvolta anche di noi stessi. Per citare alcuni esempi si può far riferimento al personaggio femminile di El invierno en Lisboa, Lucrecia, il cui cognome non sarà mai pronunciato da uno dei personaggi o dallo stesso narratore

160 A. Muñoz Molina, Pura Alegría, Madrid, Alfaguara, 1998, pp. 48-49. 161 Ibidem, p. 50.

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testimone, a sua volta identità completamente sconosciuta, senza nome e senza volto. In Beltenebros esistono casi similari, ad esempio quando Darman si sforza di ricordare il cognome della vittima della prima missione, senza alcun esito:

No acertaba a recordar el apellido de Walter. (Cap. III, p. 140)162

L’appellativo che possiede il protagonista, Darman, gli viene assegnato dall’organizzazione clandestina e rappresenta un nome in codice con il quale può essere riconosciuto dagli altri membri. È un’identità fittizia, creata esclusivamente per rispondere agli ordini del capo Valdivia. La vita vera è quella che conduce in Inghilterra, ma non ci è concesso sapere altro che vive a Birghton con la sua famiglia, dove manda avanti una libreria; una volta richiamato all’ordine dall’organizzazione, si dimostra dubbioso e schivo verso coloro che un tempo serviva in nome dei suoi valori. Anche il protagonista di El invierno in Lisboa è costretto a crearsi un’identità falsa per poter sfuggire alla furia di Morton e dei suoi compagni, ma in questo caso Molina ci permette di conoscere entrambe le facce del personaggio, Santiago Biralbo e Giacomo Dolphin.

Darman non è l’unico a possedere uno statuto anagrafico inesistente, poiché tutti i membri possiedono un profilo falso costruito appositamente sulla loro funzione all’interno dell’organizzazione. Nella vita vera, quella reale, essi non esistono, appartengono ad un mondo che deve restare nell’ombra per essere in grado di operare. Questa loro condizione è presentata fin dalle prime righe del romanzo, attraverso le parole del protagonista-narratore:

Me dijeron su nombre, el auténtico, y también algunos de los nombres falsos que había usado a lo largo de su vida secreta, nombres en general irreales, como de novela, de cualquiera de esas novelas sentimentales [...] (Cap. I, p. 115)163

Nello specifico Darman si sta riferendo ad Andrade (un personaggio con lo stesso nome appare in Los Adioses di Onetti), il presunto traditore che deve giustiziare a sangue freddo poiché nessuno possiede la sua stessa tempra. Nel

162 Op. cit.

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momento in cui si rende conto che ucciderlo potrebbe voler dire ripercorrere lo stesso cammino del caso portato a termine venti anni prima, non sa come muoversi e dove cercarlo perché “yo ni siquiera sabía ya si aún buscaba a Andrade ni qué haría si llegaba a encontrarlo, porque era otro nombre tan falso […]”164

La protagonista femminile dell’opera, Rebeca Osorio figlia, a sua volta possiede un nome che rimanda alla dimensione cinematografica, all’interpretazione di Rita Hayworth in Gilda, ovvero un personaggio facente parte di un copione e non della realtà, con echi provenienti dal mondo del romanzo rosa:

En la boîte no me dijeron que tuviera que parecerme a alguien. Un día el dueño vino y me dijo que iba a hacer de mí una verdadera estrella. [...] Hasta me pusieron el apellido Osorio. -¿Rebeca es us nombre verdadero? –Sí. Lo odio. Suena a falso. A cine. –Es un nombre del cine. (Cap. XII, p. 239)165 Ése era un nombre de novela alquilada y pertenecía indisolublemente a auqel tiempo, no a este. (Cap. XII, p. 241)

Il cognome le viene assegnato in base alla madre, anche lei Rebeca Osorio, scrittrice di romanzi rosa, per ricostruire un ambiente speculare a quello del passato, di modo che le nuove identità vivano un’esistenza che è già stata scritta. Anche i corregionali di Darman sono presentati al lettore per mezzo del loro cognome, come Luque166, colui che si rivolge a Darman con il soprannome di Capitán.

-Capitán- dijo el hombre joven, sin entrar todavía. -Capitán Darman. [...] Al final hubo contraorden –me dijo-. Por eso no puede ir al aeropuerto, capitán. –No me llame capitán. –Todos hablan de usted. Los viejos, sobre todo. Quiero decir, los de antes. Nosotros somos recién llegados. (Cap. II, p. 131)167

164 Op. cit., p. 177.

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Op. cit.

166 Un personaggio con lo stesso cognome appare in Beatus Ille: José Manuel Luque, studente e

amico di Minaya, è colui che lo aiuta a intraprendere la ricerca su Jacinto Solana.

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Bernal è invece la voce che giunge dall’oscurità e ordina le missioni dal proprio ufficio, situato nella città di Firenze; è un’ entità senza volto e sconosciuta ai suoi uomini. Valdivia non è altro che il commissario Ugarte, la talpa dell’organizzazione che non esita a comandare omicidi pur di fare il proprio interesse. Il soprannome che gli viene assegnato è proprio Beltenebros, che difatti rimanda all’ambientazione tenebrosa in cui si svolgono le vicende ed indica il tema centrale dell’opera, ovvero una continua lotta tra due fazioni. Il nome stesso ci suggerisce una contrapposizione tra bene e male, dove i buoni dovrebbero essere coloro che sconfiggono il tradimento; ciò nonostante, leggendo l’opera capiamo che si tratta di un conflitto all’interno di un unico gruppo, in quanto Darman è inviato ad uccidere un’innocente, un suo compagno, che non ha commesso nessun passo falso, se non quello di trovarsi nel mirino di Valdivia.

La provenienza letteraria di Beltenebros ci ricollega nuovamente al Cavaliere Amadigi e al perché del suo nome nel romanzo cavalleresco Amadís de Gaula: “Yo vos quiero poner un nombre que será conforme a vuestra persona y angustia en que sois puesto, que vos sois mancebo y muy hermoso y vuestra vida está en grande amargura y en tinieblas; quiero que hayáis nombre Beltenebrós.”168 Muñoz Molina, difatti, è attratto dalla possibilità implicita di poter giocare con questo nome, attraverso i rimandi semantici che offre; un altro esempio può essere l’allusione a The prince of darkness (Signore del male), film statunitense diretto da John Carpenter nel 1987.

Per quanto riguarda il modello onettiano, esso si dimostra fondamentale per comprendere il metodo di formazione dei personaggi di Beltenebros. Prima di tutto l’utilizzo dei cognomi o addirittura dei soprannomi, è un espediente tipico nei vari romanzi La vida Breve, El astillero, Juntacadáveres, dove sia Larsen che Brausen possiedono un nome (rispettivamente Junta e Juan María) che viene omesso nella maggior parte dei casi. In maniera similare, si può notare l’accuratezza nello scegliere lo statuto anagrafico dei personaggi; Brausen, come Beltenebros, rimanda all’atmosfera in cui è ambientato il testo. Santa María, il cui

168 Citazione tratta dall’opera di Amadís de Gaula di Garci Rodríguez de Montalvo, ed. a cura di

Victoria Cirlot e José Enrique Ruiz Doménec, Barcelona, Planeta, 1991, Libro Secondo, cap. XVLIII.

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nome a sua volta contiene quello antico di Buenos Aires, è una città in cui l’aria scorre in ogni angolo e incrocio, proprio come nella capitale argentina. A tal proposito, la metafora dell’aria si ripresenta svariate volte, non solo in La vida Breve, ed è contenuta nel nome stesso del protagonista Brausen, “soffio di vento” in tedesco.

Nell’analisi di un personaggio non si deve dimenticare un fattore essenziale, che consiste nella modalità della veridizione: vale a dire che è necessario distinguere tra piano reale e fenomenico, tra essere e apparire. Queste due condizioni non sempre coincidono nell’azione, poiché può verificarsi il caso in cui un personaggio mistifica la realtà ed appare per ciò che non è, quindi menzogna, oppure può occultarsi, non apparendo per ciò che è veramente.169 Applicando questo concetto al protagonista di Beltenebros notiamo che la condizione di essere e apparire non coincide assolutamente nella narrazione, in quanto il personaggio agisce in un piano a metà fra reale e immaginario. “¿Qué hace un español en la Inglaterra de los 60 dedicándose al comercio bibliófilo? ¿Por qué ha renunciado a su nacionalidad, dice llamarse Darman y tiene el plan de cometer un asesinato semejante a otro que ya le encargaron?”170 Darman vive in un’eterna condizione di duplicazione, è allo stesso tempo il protagonista dell’opera di Muñoz Molina e del copione scritto dai dirigenti del partito. Non si mostra mai al lettore per chi è veramente, di modo che la vita che conduce a Brighton finisce per rivelarsi apparenza e il mondo fittizio dell’organizzazione e delle missioni prende il posto della realtà. Tutti gli individui che incontriamo nel testo sono ugualmente incatenati ad una duplicazione costante, mossi come pedine nella scacchiera del commissario Ugarte, che si rivela nel finale il vero demiurgo del romanzo.

In un’ottica di ciclicità temporale, la sua morte pone fine al racconto nel racconto, ovvero alla realtà parallela creata per appagare i desideri del creatore. Ciò nonostante, essa ha fatto parte della vita dei personaggi in modo tale da trasformarli esattamente secondo il profilo richiesto da Ugarte. A tal proposito,

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A. Marchese, L’officina del racconto. Semiotica della Narratività, Milano, Mondadori, 1983, p. 213.

170 J. Serna, Pasados ejemplares. Historia y narración en Antonio Muñoz Molina, Madrid,

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Molina conviene su far coincidere la sua scomparsa con quella del romanzo vero e proprio.

Ciascun personaggio, oltre all’identità fittizia che gli viene assegnata dall’organizzazione, possiede un suo alter ego: analizzando la simmetria evidente rilevata tra la missione posteriore alla guerra civile e quella che Darman si trova ad affrontare venti anni dopo, si può affermare che Andrade è indubbiamente lo specchio di Walter. Allo stesso modo, Luque rappresenta il giovane Darman degli anni ’40 e Rebeca Osorio figlia è la copia di sua madre, così come l’identità di Ugarte è riprodotta in Valdivia e Beltenebros. Per questo motivo anche le coppie si ripetono: Walter-Rebeca Osorio madre, Andrade-Rebeca Osorio figlia, dove la donna simulacro incarna l’illusione di eternità, attraverso la quale Uguarte crede di superare la barriera spazio-temporale. Lo stesso meccanismo è evidente anche nelle opere di Juan Carlos Onetti, dove i personaggi si muovono in una realtà immaginaria creata in questo caso dall’equivalente di Ugarte, ovvero il dio Brausen fondatore di Santa María. Egli è colui che decide la sorte degli abitanti che di conseguenza fanno parte di un copione, come in Beltenebros. Partendo dal presupposto che per Onetti il “yo” sempre si converte in “otro”, in La vida breve Brausen rappresenta il “yo real”, Arce il “yo falseado” e Díaz Grey il “yo imaginado”. Larsen, d’altro canto, in El astillero e Juntacadáveres, può esser visto come successore contrapposto a Brausen, difatti “the interlocking of their names is indicative of the continuity: bRAuSEn – ARCE- lARSEn.”171 Díaz Grey, inoltre, come proiezione di Brausen, mantiene una relazione con Elena Sala, ispirata a Gertrudis, moglie del dio creatore. Poiché i piani delle realtà finscono per confondersi, tanto che lo stesso Onetti si intrometterà nel giudizio finale prima della distruzione di Santa María, tutto il ciclo di opere diviene un’alternanza fra essere ed apparire.

Un ulteriore aspetto comune ai due autori, per quanto concerne sempre la