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Significati: isotopia della vista ed elementi ricorrenti

CAPITOLO 3 – Romanzi a confronto

3.6 Significati: isotopia della vista ed elementi ricorrenti

Molina si serve di strumenti cinematografici propri del film noir per ottenere lo stesso effetto tramite linguaggio letterario. Oltre all’ubicazione spazio- temporale imprecisa e alle descrizioni caratterizzate dalla tecnica del “chiaroscuro”, lo scrittore utilizza immagini e giochi di luce che richiamano questo genere. Nell’ambiguità del titolo Beltenebros abbiamo già rilevato la presenza di una tradizione letteraria, che difatti si unisce all’importanza di un elemento ricorrente all’interno dell’opera, quello della luce. Contrapposta all’oscurità e alle tenebre in cui vive costantemente il demiurgo del romanzo, Ugarte/Valdivia, essa diviene la chiave risolutiva del racconto. Nel finale dell’opera, è Rebeca Osorio l’eroina che riesce ad accecare Valdivia per mezzo di una lanterna, facendolo precipitare dal tetto dell’Universal Cinema. “Se tapó los ojos con las manos, sin soltar la pistola, pero la luz seguía fija en él y se tambaleaba y hacía gestos extraños moviendo la cabeza, como si huyera de un hierro candente que ya estaba quemándolo”, ricordandoci il leggendario timore dei vampiri nei confronti della luce, assumendo lo stesso atteggiamento di Dracula di fronte ad una croce: “hostigado por la luz y cruzaba ante ella sus dedos extendidos como en actitud de vade retro.”197 Il destino del commissario Ugarte si cela nel suo nome in codice, Beltenebros, che rivela l’impossibilità di una coesistenza tra luce e oscurità. “Yo nunca he vivido en el mismo mundo que tú, porque sólo puedo ver con claridad cuando vosotros estáis ciegos, yo oigo lo que vosotros no podéis oír y sé lo que ingnoráis [...]”198 Questa sua condizione di nictàlope può esser stata ispirata sia dalla cecità che colpisce l’autore Jorge Luis Borges199, stimato profondamente da Muñoz Molina, sia dalla figura del commissario di polizia franchista Roberto Conesa, il cui tratto fisico emblematico erano appunto gli occhi “desvaídos […], grises o pardos, que acentuaban el

197 A. Muñoz Molina, Beltenebros, Madrid, Cátedra, 2013, pp. 294-295. 198

Op. cit., p. 292.

199 Jorge Luis Borges eredita dal padre la retinite pigmentosa (malattia genetica dell’occhio che

causa la riduzione della vista e la cecità notturna), che unita alla forte miopia di cui soffre fin da piccolo, peggiora le sue condizioni e lo porta alla completa cecità negli anni ’60.

90 cansancio aparente de su figura”200

. Oltre agli elementi citati, Muñoz Molina pone l’accento su una particolarità fondamentale dei suoi personaggi, lo sguardo. Il lettore, difatti, si trova obbligato ad immaginare attraverso “la mirada” di Darman, che si converte in un apparecchio da ripresa cinematografica soggettiva:

Como narrador retrospectivo en primera persona, Darman es literalmente invisible para los lectores, quienes solamente pueden “ver” a través de él y “oír” su voz. [...] Es por esos medios por los que la imitación de la retórica del cine, particularmente del film noir, se hace evidente y los procesos de visualización mental reciben mayor impulso.”201

Anche nel romanzo El invierno en Lisboa, in assenza di un narratore onnisciente, lo sguardo ricopre un ruolo fondamentale per arrivare a conoscere i vari personaggi e i loro atteggiamenti:

Me acerqué a él y aparté ligeramente la cortina para mirar a la calle. En la otra acera, inmóvil y más alto que quienes pasaban a su lado, Toussaint Morton miraba y sonreía como aprobándolo todo: la noche de Madrid, el frío, las mujeres quietas que fumaban cerca de él [...]202

divenendo, inoltre, uno strumento di connessione e complicità tra i due amanti, Biralbo e Lucrecia, che “al mirarse se pertenecían, igual que uno sabe quién es cuando se mira en un espejo”; “Lucrecia lo miró como ahora estaba mirándolo: muy fija, atenta a cada uno de los pormenores de su presencia, casi sobrecogida por la intensidad de su propia mirada [...]”203

.

Allo stesso modo, in Beltenebros, l’elemento degli occhi e l’azione da essi compiuta si dimostrano da un lato la tecnica utilizzata da Molina per mettere a fuoco determinate scene

200 Semprún J., Autobiografía de Federico Sánchez, Barcelona, Planeta, 1977, p. 64. 201

J. Aguilera García, Novela policíaca y cine negro en la obra de Muñoz Molina, Universidad de Málaga, 2006, p. 236.

202 A. Muñoz Molina, El invierno en Lisboa, Barcelona, Seix Barral, 2013, p. 72. 203 Ibidem, p. 36; p.182.

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Miraba ahora, desde arriba, una ciudad que no parecía española. (Cap. I, p.120) 204

Esperé un rato, mirando por un ventanal hacia la noche, oyendo a mi espalda un rumor de voces italianas. Una vez hace años, en un cine donde yo era el único espectador, había escuchado voces parecidas, casi borradas por las de la pantalla. (Cap. I, p. 123)

e dall’altro il mezzo di connessione tra i principali personaggi del romanzo, i quali molto spesso si palesano intimiditi e cercano di allontare lo sguardo altrui, atteggiamento consonso a chi vuole rimanere nell’ombra. È il caso di Andrade con Rebeca Osorio, il quale le chiede di non voltarsi (“no trates nunca de mirarme”205

), o della paura di Darman di riconoscersi nello sguardo di un altro, fuggendo da qualcuno che “tal vez, andaba tras mis pasos, pero no me importaba mucho, casi lo prefería, porque en la mirada y en la imaginación de quien estuviera persiguiéndome mis actos cristalizarían en un propósito ilusorio”206 e dalla “mirada” del nemico Andrade, indubbiamente la più sconcertante.

La trasformazione che subisce il protagonista non avviene tramite un percorso lineare ed è costantemente ostacolata da insidie e contraddizioni che conferiscono al personaggio un certo spessore umano. L’evoluzione di Darman può essere monitorata in base alla mutazione dello sguardo: inzialmente cataloga gli altri come automi, limitandosi ad acquisire i tratti caratteristici di ogni volto:

En otro tiempo esas cosas no me sucedían. Veía una cara al azar durante unos segundos y al cabo de un año era capaz de reconocerlo con inmediata precisión y de saber dónde la ví. Ahora los rostros y los lugares se modificaban cada minuto en mi imaginación arrastrados por el agua, y mi memoria era a veces un trémulo sistema de espejos comunicantes. (Cap. III, p. 142)207 204 Op. cit. 205 Op. cit., p. 230. 206 Op. cit., p. 249. 207

Op. cit. A proposito di questo passo di Beltenebros, vale la pena menzionare un simbolo, lo specchio, leitmotiv del romanzo legato alla tradizione borgesiana, approfondito nell’analisi del quarto capitolo.

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Successivamente, si interessa a cosa possa nascondersi dietro lo sguardo del presunto delatore senza soffermarsi sul motivo dell’esecuzione, scoprendosi attratto dalla persona piuttoso che dall’obiettivo professionale:

[…] fui inmediatamente poseído por el deseo de saber qué ocultaba esa mirada, no las razones de la traición, que no me importaban nada, aunque hubiera aceptado la obligación de matarlo, sino las del desconsuelo, porque era la mirada de un hombre extraviado para siempre en la melancolía, intoxicado por ella, ajeno a todo [...]. (Cap. VII, p. 178)208

L’analisi culmina con uno dei momenti critici del romanzo, esattamente quando Darman si rivede nella sua vittima, Andrade.

In merito al valore attribuito agli occhi, si può aggiungere che essi sono l’immagine corporea che distinguono Ugarte dagli altri personaggi, poiché “no parecía tener ojos, sino dos cicatrices recosidas en los párpados”209; quando la lantera gli provoca dolore e lo disorienta, egli apre gli occhi in un momento soltanto, sufficiente a Darman per vedere “sus pupilas incoloras y húmedas” e capire ciò che si è sempre rifiutato di accettare: “que ese hombre, el comisario Ugarte, Beltenebros, no había usurpado la identidad de alguien que yo conocí y que estaba muerto, porque yo podía haber olvidado su cara o su voz, pero no la mirada que casi siempre escondía Valdivia al otro lado de las gafas.”210

Dunque, l’isotopia della vista permette al lettore di entrare in contatto con la voce del narratore, il quale si serve di questo strumento allacciandolo alle varie voci verbali che concernono ipotesi ed immaginazione. Avendo analizzato la presenza di simili congetture in Los adioses di Onetti, è importante evidenziare come questo romanzo, analogamente a Beltenebros, si basi sulla ricorrenza dell’elemento dello sguardo. A tal proposito, si può notare che la mirada viene utilizzata dal narratore di Los adioses con lo stesso intento dei personaggi di Molina, in particolar modo di Darman, ovvero nella sua accezione di “observar las

208 Op. cit.

209 Op. cit., p. 295. 210 Ibidem.

93 acciones de alguien”211

, come strumento per conoscere gli altri. Già l’incipit dell’opera fa immedesimare il lettore nell’io narrante mentre osserva attentamente il protagonista: “quisiera no haber visto del hombre […] nada más que las manos”; non solo, durante tutto il racconto il narratore utilizza il verbo “mirar”, come azione indispensabile e sufficiente.

Los miro, nada más, a veces los escucho [...] Lo volví a mirar mientras tomaba la cerveza [...]

Yo lo imaginaba, solitario y perezoso, mirando la iglesia como miraba la sierra desde el almacén [...]212

Il contatto con il personaggio avviene esclusivamente attraverso lo sguardo che diviene una vera e propria ossessione del narratore, in modo tale da percepire l’ex giocatore (protagonista) come suo possibile alter ego, nel quale probabilmente rivede il suo passato, oppure proietta la vita che avrebbe voluto:

[...] yo estaba descubriendo-al parecer a través del jugador- la invariada desdicha de mis quince años en el pueblo, el arrepentimiento de haber pagado como precio la soledad, el almacén, esta manera de no sernada. Yo era minúsculo, sin significado, muerto.213

211

Uno dei significati indicati dal dizionario Real Academia Española, http://lema.rae.es/drae/?val=mirar.

212 J. C. Onetti, “Los adioses” en Obras Completas, México, Aguilar Editor, 1970. 213 Ibidem.

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CAPITOLO 4 - Echi di Jorge Luis Borges: