• Non ci sono risultati.

5. IL CRISIS MANAGEMENT

5.3 Il piano di crisi

“I piloti si dividono in due categorie: quelli che hanno già fatto un atterrag-

gio di emergenza e quelli che lo devono ancora fare”: la citazione, di Geoffrey

Nightingale, CEO di Synergetics (Norsa, 2009) rappresenta pienamente il signi- ficato di preparazione alla crisi.

Quando si discute di crisi si è portati a pensare a qualcosa di tanto im- provviso che non possa essere possibile, né pensabile, predisporre un piano di crisi che sarebbe, per comparazione dei termini, incompatibile. Proprio perché la crisi è per definizione un evento a bassa probabilità di accadimento è invece opportuno e indispensabile predisporre quello che viene definito il piano di crisi. Tale piano, premesso che non potrà essere predisposto una volta per tutte ma deve essere soggetto a continue revisioni data la dinamicità dell’epoca attuale, deve basarsi sull’analisi della situazione nella quale opera l’organizzazione, de- ve prevedere strumenti e procedure operative nonché la preparazione adeguata (e continua) del personale, sia di quello preposto ad adottare decisioni, sia di tutto il resto del personale operante all’interno dell’organizzazione.

~ 126 ~

Un piano di crisi non mira a prevenire la crisi ma è una base di partenza che mira ad attenuare gli impatti negativi della crisi e favorire un rapido ritorno alla normalità (Barton, 2004).

Così come per il Crisis Management anche nella predisposizione del pia- no di crisi si possono annoverare alcuni elementi fondamentali di seguito esa- minati.

1) Definizione dell’unità di pianificazione

Discutendo dell’identità sociale si è detto dell’importanza dei gruppi di lavoro. In tema di crisi il gruppo di lavoro, il team preposto alla gestione della crisi, assume la massima importanza. Dovrebbe essere composto da elementi esperti che possano coprire una vasta area di operatività nonché garantire una reperibilità continua con individuazione dei sosti- tuti in caso di assenza (ferie, malattia, ecc.).

Possono essere previsti dei comitati suddivisi su due livelli: al primo verranno collocati gli appartenenti al nucleo fisso; del secondo faranno parte gli elementi che verranno coinvolti solo su specifiche tipologie di crisi in quanto detentori di particolari competenze settoriali.

Come già affermato, il piano non può essere adottato una volta per tut- te. L’adeguamento del piano alle mutate condizioni socio-economiche interne ed esterne all’organizzazione è compito precipuo dell’unità di pianificazione che periodicamente dovrà riunire i propri membri e rivisi- tare il piano al fine di aggiornarlo con le possibili nuove minacce di crisi ed (eventualmente) eliminare quelle non più attuali.

2) Il Contenuto

Se è vero che una crisi, in base alla definizione che ne è stata data in precedenza, non può essere preventivata, altrettanto vero è che pur avendo una bassa probabilità di accadimento possono essere predi- sposte misure da attuare qualora si verifichi. Tali misure costituiscono il nucleo centrale di quello che viene definito il piano di crisi o contin- gency plan.

In primo luogo il piano deve riportare gli elementi facenti parte dell’unità di gestione della crisi, le modalità di funzionamento della

~ 127 ~

stessa unità, le regole, dall’individuazione di chi deve convocarla alle responsabilità di ognuno dei suoi membri, alla pianificazione dei flussi di comunicazione.

In altre parole chi deve fare cosa. Potranno (o sarebbe meglio dire do- vranno) essere predisposte delle checl-list che, considerando gli a- dempimenti da porre in atto al verificarsi della crisi, possano non solo essere d’aiuto in un momento in cui non si ha la capacità di ragionare ma soprattutto che consentano, avendo già un primo quadro compiuto e organico di compiti da espletare, di accelerare i tempi, evitare inutili preoccupazioni e possibilmente avere la possibilità di dedicarsi e/o concentrare tutti gli sforzi nella soluzione della crisi. Un esempio può forse chiarire meglio il concetto. Si può prendere a riferimento i comu- nicati stampa in una impresa chimica: in caso di perdite di prodotti che possono danneggiare sia l’organizzazione interna che l’ambiente e- sterno, non si ha il tempo di pensare a chi o come comunicare il fatto. Devono esservi, già predisposti, templates con spazi in bianco da ri- empire con i dati mancanti: data, luogo e ora del fatto, se vi sono o meno persone coinvolte, se si conoscono i danni e se vi possono esse- re danni o pericoli per l’ambiente circostante. Dovrà essere stabilito a priori chi deve essere responsabile della comunicazione, le eventuali linee dedicate ai contatti esterni, quali enti e strutture esterne contatta- re, l’anagrafica degli interlocutori chiave. In una impresa petrolifera, si- mulando un disastro, ci si rese conto che le linee telefoniche si sareb- bero bloccate alla prima notizia del fatto e non sarebbero state in grado di reggere il forte flusso di comunicazioni in entrata. Si decise così di separare le linee in entrata da quelle in uscita e di dotare il responsabi- le delle comunicazioni di un telefono che gli consentisse di restare in continuo contatto con gli altri membri del gruppo (il riferimento è ripor- tato in Burton, 2004).

3) Testare il piano

Quanto esposto è tanto affascinante quanto lettera morta se non ac- compagnato e supportato da una adeguata e costante preparazione da parte degli individui che operano nell’organizzazione (e qui verrebbe

~ 128 ~

da dire, anche fuori, anche se tuttora, in molte realtà, non vi è sinergia tra forze interne ed esterne).

Tutti i membri dell’unità devono essere “addestrati” ad affrontare la cri- si, le emergenze, addestramento che oltre all’aspetto teorico preveda una formazione pratica che contempli le più gravi conseguenze e sia il più realistica possibile, che possa ricreare, per quanto possibile, la stessa pressione emotiva che la realtà della crisi genererebbe in caso di accadimento. Ritornando all’esempio del punto precedente, il porta- voce, colui che è l’incaricato delle comunicazioni, che ha anche il com- pito di rilasciare interviste, deve seguire un precorso di preparazione molto serio che possa portarlo ad affrontare un uditorio ostile, ad appa- rire credibile (non si dimentichi che una delle prime regole di un crisis management è fornire dati reali e di non mentire), ad acquisire tecni- che che gli consentano di trasferire messaggi efficacemente fino quasi ad anticipare risposte alle possibili domande.

Oltre il team preposto alla gestione della crisi, anche il personale che opera all’interno dell’organizzazione deve essere preparato (in modo continuativo) ai fattori di crisi. Tipici esempi sono le esercitazioni antin- cendio e le simulazioni di evacuazioni ma anche la capacità di avverti- re (e di ascoltare) la presenza di un guasto tecnico o, ancora, di perdite finanziare che possano causare una crisi (nel caso della Enron, tanto per citarne uno, un dipendente cercò di avvertire il suo superiore di al- cune pratiche finanziare non corrette ma non fu ascoltato).

Il piano ha necessità di essere verificato prima della sua definitiva ap- provazione al fine di valutare soprattutto i punti deboli ed essere così rinforzato o modificato. Una volta approvato, come più volte ribadito, dovrà essere sottoposto a revisione periodica per adattarlo alle mutate condizioni esterne/interne all’organizzazione (incluso il cambio del per- sonale, spesso aspetto sottovalutato).

~ 129 ~