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4. LA CRISI D’IMPRESA

4.2 Il case study

20.12.2003: compare sui notiziari nazionali e mondiali la notizia del crack Parmalat.

Tra i tanti casi esaminati si è scelto di illustrare il crack Parmalat poiché riassume in sé molte delle problematiche esaminate nello studio dell’identità/identificazione e della crisi d’impresa. Per l’esame del case study si sono utilizzati dati secondari riportati su testi (Dalcò, Galdabini, 2004; Delsolda- to, Pini, 2005; Franzini, 2004), documenti, sitografia, e contatti personali con membri interni all’organizzazione. Gli stessi non hanno dato l’autorizzazione alla divulgazione dei nominativi nè delle qualifiche rivestite non tanto per tutela della privacy quanto perché l’attività giudiziaria al momento della stesura della pre- sente tesi è ancora in corso.

Le motivazioni che hanno indotto a scegliere come “caso” il crack Parma- lat sono diverse:

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- il caso ha suscitato il pubblico interesse e ha avuto rilevanza mondia- le (è infatti citato in diversi papers e testi della letteratura specializzata internazionale);

- è un fenomeno contemporaneo che sebbene venuto alla ribalta nel 2003 ancora non si è concluso;

- ha avuto (e suscita ancora) un grande impatto sociale per il numero di stakeholder coinvolti.

Il crack Parmalat è stato il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio mai perpetrato prima da una società privata in Europa.

La Parmalat nasce nel 1961, ad opera di Calisto Tanzi, con il nome di Die- talat srl (convertito in Parmalat l’anno successivo) a seguito del subentro di Ca- listo nell’impresa del padre che produceva salumi e conserve in Emilia, Liguria e Toscana. La conversione dell’attività verso la produzione e commercializza- zione del latte pastorizzato portò in breve tempo la Parmalat, attraverso l’adozione di una serie di innovazioni sia nei prodotti (Zymil, nato nel 1968; il metodo UHT per la lunga conservazione) e l’adozione di nuovi imballaggi (Te- trapak), a divenire leader nel settore a livello nazionale già nel 1973. A livello fi- nanziario i risultati non sono da meno: oltre 6 miliardi di lire di fatturato contro i 260 milioni del ’62, con incrementi che di anno in anno si aggiravano intorno al 30%.

Tra gli anni ’70 e ’80 la strategia adottata da Parmalat vede espandere gli investimenti e diversificarli geograficamente: Italia, Brasile, Sud America, Fran- cia, Germania, Venezuela, Ungheria, Cina. I prodotti spaziano dal latte e latticini alle passate di pomodoro, dai succhi di frutta ai prodotti da forno (Mister Day) ai prodotti dietetici (Punto Weight Watchers). Fino all’anno 2003 la Parmalat con- tinua la sua corsa all’espansione giungendo perfino in USA e in molti paesi su- damericani.

E’ l’ottavo gruppo industriale in Italia, un fatturato decuplicato nel giro di dieci anni, la presenza in gran parte dei Paesi commercialmente rilevanti.

Nello stabilimento di Collecchio (ma la situazione era simile anche negli al- tri stabilimenti) ogni dipendente era orgoglioso di lavorare per la Parmalat, il clima organizzativo era uno dei migliori, l’impegno e la professionalità venivano

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premiati. Si può affermare che vi fosse un clima quasi familiare (il titolare e la sua famiglia spesso partecipavano agli eventi familiari dei dipendenti come bat- tesimi, matrimoni, ecc.). La Parmalat, così come hanno raccontato molti dei di- pendenti, era come fosse la loro, oltremodo uniti in un clima di coesione. Vi era dunque una forte identificazione degli individui nell’organizzazione.

Nel dicembre 2002 cominciano a sorgere i primi sospetti sulla reale situa- zione finanziaria della impresa tanto che la stessa Consob, già nel marzo 2001 cerca di appurare attraverso una indagine riservata alla quale la Parmalat rie- sce a “dribblare” con motivazioni di ordine strategico in linea con i progetti e- spansionistici perseguiti in quello stesso periodo. Nel 2003, sotto pressione del- la Consob e di altri esponenti del mondo finanziario, il crack finanziario viene al- la luce e la vicenda Parmalat finisce su tutti i giornali.

Dall’esame successivo dei documenti e delle operazioni poste in atto dal gruppo si comprende come il dissesto sia da ricondurre a tre fattori principali, le politiche di sviluppo non controllate, una corporate governance poco presente e naturalmente comportamenti fraudolenti e distrazioni di fondi.

La crescita esponenziale degli anni precedenti era solo il tentativo di ma- scherare un passivo non più sostenibile nonché procrastinare nel tempo il suo manifestarsi. L’improvviso azzeramento del valore azionario rivela al pubblico una situazione a dir poco disperata: 36000 dipendenti che rischiano il posto di lavoro e migliaia di imprese fornitrici in tutto il mondo che rischiano la crisi (a cascata, dunque), migliaia di risparmiatori che vedono andare in fumo i loro ri- sparmi (sull’ordine di miliardi delle vecchie lire).

Senza entrare nel merito delle procedure seguite vengono adottati alcuni provvedimenti: da un lato, l’emanazione del decreto Marzano (D.L., 23.12.2003 n.347 convertito in L. 18.02.2004 n.39 ad integrazione del decreto Prodi bis in vigore dal 1999), nell’ottica di recuperare l’attività evitandone il fallimento, dall’altra, l’affidamento della gestione al Commissario Straordinario Bondi.

Il rischio del blocco dell’attività era molto alto (e lo rimase per molto tem- po). Il personale, oltre lo stress causato dalla crisi in atto e dalle innumerevoli notizie in cronaca, provava smarrimento e forte insicurezza. Si sentivano “tradi- ti”. L’azione congiunta del Commissario Straordinario Bondi e di tutto il persona- le hanno consentito il superamento dell’impasse (per usare un eufemismo): il

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clima di coesione all’interno dell’impresa, nonostante il momento estremamente difficile, non è mai cessato e tutto il personale ha lavorato a pieno regime senza un solo giorno di sciopero. Non era raro incontrare negli stabilimenti operai ed esponenti del gruppo sindacale lavorare unitamente ai manager per il recupero dell’attività.

L’attività del Bondi sul fronte del personale si concentrò soprattutto sulla ricostruzione del clima di fiducia e sulla motivazione, sul potenziamento dell’identità sociale dei dipendenti al fine della valorizzazione dell’identificazione degli stessi nell’impresa. Non meno importante a tal riguardo è stata l’intensa azione di concertazione con i rappresentanti delle parti sociali che ha portato a non licenziare i dipendenti nonostante fossero stati rilevati esuberi.

Sebbene il personale abbia riacquistato la fiducia nell’organizzazione e motivazione ad andare avanti, oggi trova ancora difficoltà a parlare del proprio stato d’animo in quei momenti, affermando “soffro ancora a pensarci” e non per il rischio della perdita del posto di lavoro estremamente elevata ma per l“affetto” che nutrivano (e nutrono) verso un gruppo così forte non solo economicamente ma anche dal punto di vista dell’immagine collettiva.

Oggi il gruppo conta circa 14 mila persone tra Europa, America, Asia e Australia con stabilimenti in 16 Paesi e con 10 accordi di licenza in altrettanti Paesi.

Nei successivi paragrafi si esporrà la definizione che di crisi è stata pro- posta dai vari ricercatori e studiosi per poi esaminarne alcune tipologie e com- prendere se esiste un fattore comune capace di dare impulso dalla risoluzione della crisi stessa.