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Il Piano Paesaggistico è l’uso che se ne fa

Il paesaggio come occasione per rinnovare lo statuto epistemologico

3. Il Piano Paesaggistico è l’uso che se ne fa

È proprio questa la sfida che rende faticoso l’uso del Piano come dispositivo di governo del territorio, ma che al contempo ne rafforza lo statuto epistemologico e normativo. Ed è questa la sfida che il Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di Pia- no Paesaggistico della Regione Toscana abbraccia pienamente, costruendo risposte interessanti a proposito delle potenzialità di utilizzo dello strumento e delle implicazioni multi-scalari dei suoi indirizzi, delle prescrizioni e delle direttive.

All’uso che del Piano si fa (non solo ai suoi contenuti), è però affidata la sua efficacia come strumento strategico di go- verno della dialettica tra cambiamento e tutela, tra regola ed eccezione, tra tempi lunghi dei processi di territorializzazione (e di civilizzazione) e tempi, brevi e discontinui, delle trasfor- mazioni urbane. Queste ultime guidate da logiche di mercato, da meccanismi di auto-organizzazione sociale o individuale, ma anche da esigenze molto concrete di miglioramento della qua- lità della vita che imporrebbero la rivisitazione del rapporto tra uso e vincolo.

Ripartirei da qui per affermare (forse contro-intuitivamen- te con riferimento a un Piano Paesaggistico) la grande valenza progettuale (non ancora espressa nelle pratiche di attuazione e utilizzo del Piano) di un Piano Paesaggistico, come quello della Regione Toscana, che deriva proprio dalla sua ambizione rego- lativa (non solo vincolistica) di processi transcalari e dinamici,

agita attraverso strumenti morfo-tipologici che strutturano un linguaggio e una dimensione cognitivo-epistemologica molto nuova per la pianificazione italiana e forse più in generale per quella dell’Europa meridionale.

Questa nuova natura fa apparire il Piano (strumento, ne- onato, quindi non ancora pienamente espresso nelle sue po- tenzialità) al tempo stesso agile (strumento, potente e snello, di riconoscimento di sistemi, opportunità e relazioni per il progetto di territorio) ed elefantiaco (vittima delle sue plura- li dimensioni analitiche e delle esplorazioni normative multi- scalari). Da un lato lo strumento appare adatto a governarne la complessità dei processi di trasformazione del territorio. Dall’altro, rischia di mostrarsi imbrigliante e contenitivo, per via del composito rapporto tra invarianti, indirizzi, prescrizio- ni, direttive, strumenti normativo/progettuali (come quello dei morfo-tipi).

È evidente che tale natura diventi una condizione strategica nel caso in cui si pensi di utilizzare il Piano come strumento di

buon governo del cambiamento, piuttosto (o non solo) che come

tutore delle qualità paesaggistiche del territorio.

Ed è forse proprio in questo slittamento dell’uso che si fa (o che si potrebbe fare) del Piano, da strumento di valorizzazio- ne e tutela del paesaggio a strumento di progetto multiscalare di territorio, che sta la grande innovazione epistemologica del Piano Paesaggistico della Toscana, che in questo senso potrebbe considerarsi uno strumento innovatore della pianificazione pae- saggistica e della riflessione sul paesaggio come atto di governo del territorio.

I piani paesistici (prima stagione legata alla legge Galasso) e i piani paesaggistici (seconda stagione), nascono prevalentemen- te per tutelare, conservare, proteggere e valorizzare il paesaggio e l’ambiente. Immaginare un Piano Paesaggistico come uno stru- mento di progettazione attiva del territorio attraverso un sistema di invarianti e di regole, agganciato ai morfo-tipi territoriali, è sicuramente un balzo cognitivo importante che il Piano Paesag- gistico della Toscana è riuscito a compiere, in modo più o meno esplicito e consapevole. Per quale ragione dunque, uno strumento così dotato e articolato, stenta a mostrare le sue potenzialità (al- meno per quanto emerge dal contesto toscano)?

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La ragione sta forse nel fatto che questo intercetta un momento particolare della nostra civilizzazione, che si configura come una fase di vera e propria transizione dei processi di urbanizzazione ver-

so quelle che il geografo Edward Soja4 descrive come tendenze alla

regionalizzazione dell’urbano. Stiamo assistendo alla riformulazio- ne della questione urbana e delle categorie storicamente associate all’idea di città (basate su un rapporto di dipendenza gerarchica tra città centrale e territori contermini) e di ciò che consideriamo i ca- ratteri propri dell’urbano. Un cambiamento che ha profonde ed evidenti implicazioni sul concetto stesso di paesaggio come sintesi tra le molte componenti del territorio. Sono infatti entrate in ten- sione le categorie costituite: paesaggio, città, territorio, regione.

Questa transizione è stata a fondo esplorata da una ricerca

Prin Postmetropoli, finanziata dal MIUR.5

I risultati, peraltro raccolti in vari volumi,6 ritraggono un pro- cesso di cambiamento articolato e denso che si esprime attraverso alcune dinamiche emergenti che sfidano l’efficacia della pianifica- zione, e il concetto di paesaggio per il governo del territorio. Ne so- no esempio: una densità insediativa convergente, a scala regionale, spazializzata attraverso modelli e strutture insediative che sfuggono alle categorie del novecento; una crescente differenziazione cultura- le, funzionale, sociale del territorio suburbano ed ex-periferico (ter- ritorio che ha costituito una prospettiva privilegiata dello sguardo del paesaggista per secoli); una progressiva erosione dei confini tra urbano e suburbano, tra centro e periferia, tra città e campagna; 4 E. Soja, “Regional Urbanization and the End of the Metropolis Era”, in G.

Bridge, S. Watson (a cura di), New Companion to the City, Wiley-Blackwell, Ox- ford and Chichester, 2011.

5 La Ricerca PRIN intitolata Territori post-metropolitani come forme emergenti: le sfide della sostenibilità, abitabilità e governabilità, è stata coordinata dal prof. Alessandro Balducci del Politecnico di Milano. L’unità di ricerca dell’Università di Firenze coordinata dai proff. Giancarlo Paba e Camilla Perrone, era compo- sta dai proff. Fabio Lucchesi e Iacopo Zetti, e dai ricercatori Chiara Belingardi, Antonella Granatiero, Manuel Marin, Anna Lisa Pecoriello, Maddalena Rossi.

6 A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci (a cura di), Post-Metropolitan Territories: Look- ing for A New Urbanity. Routledge, New York, 2017; A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci (a cura di), Oltre la metropoli. L’urbanizzazione regionale in Italia, Guerini e Associati, Milano, 2017; A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci (a cura di), Ripensare la questione urbana. Regionalizzazione dell’urbano in Italia e scenari di innovazio- ne, Guerini e Associati, Milano, 2017.

il traballamento del rapporto tra confini, istituzioni e territori; l’intensificarsi di processi di rescaling delle capacità istituzionali per intercettare le dinamiche di riorganizzazione della società e

della cittadinanza;7 le recenti tendenze verso modalità di coopera-

zione istituzionale di natura tran-scalare, reticolare e orizzontale,

orientata da dinamiche politico-istituzionali o partenariali,8 che

travalicano i confini amministrativi e ridisegnano le relazioni tra territori e poteri,9 tra attori che agiscono pratiche di territorialità mobile e attori che decidono le trasformazioni.

Le stesse categorie di dentro e fuori sembrano essere messe in discussione a favore di nuove dinamiche combinate di decentra- mento e ri-centralizzazione a direzione invertita rispetto al pre- gresso, capaci di ridefinire i ruoli dei territori in una dimensione regionale.

Dalla ricerca emerge dunque il configurarsi una nuova epo- ca urbana regionale da indagare, comprendere e governare anche attraverso strumenti di pianificazione che lavorino sulle relazioni tra tipi di territori diversi, attraverso scale multiple e con regole generali (codici figurati), volte ad orientare possibili esiti paesag- gistici, senza bloccare il progetto di territorio dentro configura- zioni stabili e insostenibili nel tempo lungo delle trasformazioni economiche e sociali del territorio.

È evidente quindi come questo cambiamento aggiunga dif- ficoltà ai meccanismi di attuazione di uno strumento di gover- no del territorio e di pianificazione del paesaggio come quello della Toscana, che ha molte implicazioni sulla pianificazione a scala locale e sui processi di economici e sociali del territorio regionale.

7 V. Fedeli, C. Perrone, C. Rossignolo, “Oltre i confini, in un’ottica di governan-

ce transcalare”, in A. Balducci, V. Fedeli, F. Curci (a cura di), Ripensare la que- stione urbana. Regionalizzazione dell’urbano in Italia e scenari di innovazione, cit.. 8 P. Allmendinger, G. Haughton, “Soft spaces, fuzzy boundaries, and metagov-

ernance: the new spatial planning in the Thames Gateway”, Environment and Planning A, vol. 41, n. 3, 2009, pp. 617-633; P. Allmendinger, G. Haughton, G., J. Knieling, F. Othengrafen, Soft Spaces of Governance in Europe: A Compara- tive Perspective, London, Routledge, 2015; G. Haughton, P. Allmendinger, “Soft Spaces in Local Economic Development”, Local Economy, vol. 23, n. 2, 2008, pp.138-148; G. De Roo, G. Porter (a cura di), Fuzzy Planning: The Role of Ac- tors in a Fuzzy Governance Environment, Ashgate, Farnham, 2007.

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Nonostante questo, e in virtù della forza del Piano, il paesag- gio (e l’uso che si farà degli strumenti per governarlo) potrebbe diventare una chiave epistemologica strategica per affrontare la transizione in corso (che richiama la dimensione del paesaggio come oggetto in movimento), orientare le trasformazioni attraver- so regole generali di trasformazione (piuttosto che configurazioni spaziali fisse e predeterminate), indicare un ambito di rinascita della pianificazione ordinaria.

4. Il paesaggio relazionale (il nuovo oggetto di sfida del Piano):