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Un Piano Paesaggistico, da solo, è sufficiente?

La struttura del paesaggio: una nuova cultura del territorio per la costruzione

3. Un Piano Paesaggistico, da solo, è sufficiente?

è sufficiente disporre di un Piano Paesaggistico per avere politiche pubbliche di qualità? Politiche empatiche rispetto al- le relazioni che qualificano il territorio e il paesaggio, capaci di farsi carico di trattarne i conflitti con gli altri obiettivi d’azione? Ovviamente no.

Anche prescindendo dalla posizione di coloro che non ricono- scono nei piani territoriali delle vere e proprie politiche pubbliche, è certo che si tratta di strumenti che per esprimere pienamente la loro efficacia progettuale richiedono una serie di azioni pubbliche coerenti con essi.

Il Piano Paesaggistico, per sua natura, in questo caso giuri- dica, è chiamato a concludersi con la redazione di un sistema di norme, ancorché di tipo molto differenziato tra loro. Da un lato c’è la grande famiglia dei vincoli statali pre-vigenti rispetto al Piano, rispetto ai quali al Piano è richiesto di ridurre inde- terminatezze e ambiguità attraverso la cosiddetta vestizione dei

vincoli che comprende sia una approfondita descrizione dei pa-

esaggi oggetto di tutela che la codificazione di norme; dall’altro ci sono le regole che riguardano il governo delle trasformazioni che avvengono su tutto il territorio, da redigere ex novo. Si tratta di due famiglie di norme che hanno esigenze gestionali molto diverse. Relativamente ai vincoli sarà sufficiente, grazie anche al lavoro compiuto dal Piano, un controllo di conformità del pro- getto rispetto alla perimetrazione del vincolo e alle prescrizioni, oppure la verifica che il Piano sviluppi coerentemente le diretti- ve e gli indirizzi specifici. L’attuazione del Piano si fa invece più complessa per le regole che riguardano l’intero territorio, e agi- scono per garantire la qualità paesaggistica delle trasformazioni nel rispetto dei valori del patrimonio territoriale. Queste regole dovrebbero essere infatti interpretate da ciascuna collettività lo- cale come materia viva, da interrogare e integrare per migliorare le trasformazioni che interessano il territorio, e sono invece as- sentite spesso da un solo tecnico comunale, in molti casi nem- meno adeguatamente qualificato, o oggetto di un banale copia e incolla nel caso delle varianti urbanistiche di adeguamento dei piani comunali al Piano regionale.

C’è poi la questione delle politiche attive per il paesaggio. Un Pia- no Paesaggistico approvato, se tutte le politiche di settore che incido- no sulla trasformazione del territorio e che sono prodotte da quella stessa istituzione che ha promosso il Piano Paesaggistico vanno in altre direzioni, ovvero non contemplano politiche attive per il pae- saggio e non si sforzano di integrare il paesaggio nelle altre politiche, avrà necessariamente vita stentata. Come potrà infatti quel Piano Paesaggistico, coerentemente con il dettato dell’art. 145 del Codice

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(che attribuisce cogenza del Piano Paesaggistico rispetto ai piani e programmi di settore), pretendere di modificare la cultura con cui gli altri enti costruiscono le loro politiche pubbliche di tra- sformazione del territorio se la Regione che l’ha promosso non è impegnata a migliorare la propria?

Ovviamente fra le diverse politiche pubbliche quelle che alloca- no finanziamenti, e definiscono le regole condizionanti la loro ero- gazione, rivestono un ruolo particolarmente rilevante. Qualcuno forse ricorderà il conflitto che ci fu, in relazione alla approvazione del Piano Paesaggistico, sulla questione delle regole per le trasfor- mazioni indotte dagli impianti vitivinicoli di grande estensione. In qualche modo fummo precursori, perché ciò che sta accadendo ora nel Veneto, con l’estensione della DOC del Prosecco a un ter- ritorio molto ampio nel quale i nuovi impianti avanzano incon- trando forti conflitti ambientali e sociali, ricorda paradossalmente in forma ancora più conflittuale ciò che avvenne qui in Toscana nei mesi finali della legislatura in cui si approvò il Piano. Le tra- sformazioni di grande estensione per l’impianto o il reimpianto di vigneti erano infatti destinatarie di ingenti finanziamenti pub- blici, e poiché la procedura di erogazione di quei finanziamenti non poneva condizioni agli esiti prodotti dalle trasformazioni sul paesaggio, i soggetti interessati fecero di tutto per contrastare le regole (sulle conseguenze idrogeomorfologiche, ecologiche e pae- saggistiche degli interventi) che il Piano Paesaggistico prevedeva al riguardo. La stampa si prestò in molti casi a riportare, senza diritto di smentita, accuse ridicole contro il Piano, come quella di voler espiantare vigneti per restituire terreni al pascolo delle pecore.

La parziale sconfitta cui andammo incontro in questo caso co- me redattori del Piano Paesaggistico, troppo deboli rispetto alla potenza mediatica messa in campo dalle multinazionali del vino per poter proporre un negoziato di livello sufficientemente alto con questi soggetti, rende con grande evidenza la forza e la deli- catezza delle poste in gioco relative ai criteri e alle condizioni di erogazione dei finanziamenti pubblici.

Infatti, se è chiaro che ogni politica pubblica è oggetto di ne- goziazioni, nelle quali tendono a prevalere le coalizioni più forti, la questione è riuscire comunque a mantenere i termini del confronto a un livello sufficientemente alto, garantendo esiti che rispettino gli interessi collettivi dei quali l’ente pubblico dovrebbe essere garante.

Rispetto alla debolezza delle garanzie, in primo luogo istituzio- nali, rispetto al fatto che le politiche pubbliche rispondano ef- fettivamente a interessi collettivi, la discussione sul fatto che i piani territoriali possano essere considerati politiche pubbliche, oppure qualcosa che per propria natura è altro, sembra abbastan- za retorica.

Appare invece davvero urgente e utile interrogarsi su quale cultura del territorio ci sia oggi alla base delle politiche pubbliche, e sull’apporto che a questa cultura può essere dato da un percorso collettivo come quello fatto qui in Toscana per la redazione e ap- provazione di questo Piano.

Devo dire che, riconsiderando, a distanza di tempo e di luo- ghi, perché oggi trascorro meno tempo in Toscana, quanto abbia- mo avuto modo di fare in questa regione nella scorsa legislatura, i risultati sono stati abbastanza straordinari.

Come ricorderete, la Regione Toscana si è dotata dalla fine del 2014 di una legge di Governo del territorio che tratta (che trattava? Le modifiche parziali apportate da allora sono state molte e ripetute) il consumo di suolo mantenendo la natura pubblica delle decisioni, e gli impegni assunti nei confronti del- le collettività attraverso i piani, come riferimento fondamentale anche per l’intervento nei tessuti già urbanizzati, senza barattare i dispositivi di contrasto all’ulteriore consumo di suolo con la liberalizzazione dell’intervento in aree già costruite. Se consi- deriamo ciò che si va facendo altrove, come la nuova legge in corso di approvazione in Emilia-Romagna che prevede un Pia- no urbanistico unico (eliminando la distinzione fra parte strut- turale e operativa del Piano), privo di dimensionamento, e la determinazione delle grandi trasformazioni attraverso la nego- ziazione con gli attori privati al di fuori del Piano, dal punto di vista culturale i dispositivi di cui si è invece dotata la Regione Toscana definiscono un quadro abbastanza straordinario rispet- to al contesto italiano.

Legge di Governo del territorio e Piano Paesaggistico sono da questo punto di vista due strumenti che lavorano congiun- tamente, producendo un effetto di combinato-disposto fra di- sposizioni di natura prevalentemente procedurale (la legge) e disposizioni di carattere maggiormente sostantivo (il Piano Paesaggistico).

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L’esito di questo lavoro congiunto dipende ovviamente in larga parte da come la loro attuazione viene quotidianamente gestita e accompagnata, da quale è l’indirizzo complessivo e operativo condiviso dagli uomini e dalle donne chiamate ad applicarli. Ri- spetto a tutto ciò, rispetto alla possibilità di costruire degli indi- rizzi condivisi, di manutenerli giorno per giorno, la congiuntura attuale non è delle più favorevoli, nel senso che le competenze in materia di governo del territorio delle Pubblica Amministrazioni sono esercitate, nei diversi territori della nazione, da un numero di funzionari sempre più ridotto, per non parlare delle provincie di fatto distrutte, e dei comuni minori dove, se c’è un geometra che segue a tempo pieno questa materia, è già gran cosa. In molti casi, sia in Toscana che altrove, questi funzionari pubblici appa- iono nel migliore dei casi lasciati a sé stessi (con l’eccezione, in Toscana, del corso di aggiornamento sul Piano Paesaggistico pro- mosso dalla Regione per più di mille funzionari e professionisti), con il loro apporto tendenzialmente ridotto, per rapporti di forza in essere e assenza di mezzi, al mero controllo burocratico dovuto. Una diversa cultura di governo delle trasformazioni del territorio e del paesaggio richiede risorse adeguate anche e soprattutto nella sua attuazione. A maggior ragione se la cultura in questione è cri- tica e riflessiva, anziché deterministica.

Figura 2. Paesaggio dei campi chiusi di montagna nei pressi del Passo della Cisa (Fon-