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Nel documento DIS NZErOy UNIVERSITY OF ILLINOIS AT (pagine 48-51)

la si prenda, come rappresentazione di lotta tra un an- tico e un nuovo amore per donna, o di quello tra l’amore per la vita religiosa e l’amore per la filosofia, la canzone appare fiacca, perché la lotta, il secondo amore che cerca soppiantare il primo, e il rimorso che ne segue, non sono messi in azione, ma intellettualizzati ed esposti in modo riflesso, e avvolti poi nelle forme convenzionali della li- rica stilnovistica. E l’altra: Amor che nella mente mi ra- giona, si affatica ad accumulare mirabilia intorno alla donna celebrata, e dice che Amore gliene dice cose che egli non può ridire, e che il sole non vede niente di più gentile di lei, e che ogni intelligenza celeste la mira, e Dio le infonde la sua virtù, e la divina virtù splende in lei e fa innamo- rare la gente, fa la gentilezza e bellezza di ogni donna, e che le sue leggiadrie provenienti dal cielo sono indicibili, ed essa ispira umiltà, doma la cattiveria, e fu pensata da Dio quando ereò il mondo, e simili; ma non trova una pa- rola viva, un’immagine concreta per esprimere la commo- zione sia per la donna sublime sia per la filosofia. Allego- rico non è da considerare nemmeno qualche sonetto come Due donne in cima della mente mia, delle due donne che sono la Bellezza e la Virtù, e che disputano intorno al diverso amore che esse muovono e decidono che l’una si può amare per diletto e l’altra per «alto oprare»; perché si ha in questo caso nient’altro che la rappresentazione di una con- dizione d’animò, tirata da due diversi affetti, e in ultimo fermata in un pensiero di eclettica conciliazione.

Da tener distinto dagli altri è, invece, il gruppo dei componimenti didascalici, che Dante stesso circoscrisse net- tamente quando, componendo la più nota delle sue canzoni didascaliche, dichiarò di abbandonare le « dolci rime d’amore » ch’egli « solia», l’ «usato parlare», «lo soave stile», e di appigliarsi alla «rima aspra e sottile », che gli rendeva buon ufficio a discutere e a confutare, a « riprovare

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il giudizio falso e vile » dei suoi avversarî. Sono esse vera prosa in verso, dove il verso sta come mezzo esornativo e mnemonico. Per esempio: « Chi definisce: Uomo è legno ani- mato, Prima dice non vero, E, dopo, il falso parla non in- tero...»; 0 più oltre: « Dico ch’ogni virtù principalmente Vien da una radice, Virtude intendo che fa l’uom felice In sua operazione... ». In altre di queste canzoni, la didascalica pende verso l’oratoria e la satira, come in quella Poscia ch’amor, sulla vera e la falsa leggiadria, e nell’altra Doglia mi reca, contro l’avarizia che rende indegni dell'amore di donna gentile: « Dimmi, che hai tu fatto, Cieco avaro di- sfatto? Rispondimi, se puoi altro che nulla. Maledetta tua culla, Che lusingò cotanti sogni invano!... ».

Alla poesia riconducono i componimenti che sogliono contrassegnarsi come rime della «Pietra»: a una poesia d’amore colorata assai diversamente da quella per la donna ideale, poesia tutta piena di ardore e furore sensuale. La passione tiranneggiante vi è ritratta con modi efficaci:

«Io non posso fuggir ch’ella non vegna Nell'immagine mia, Se non come il pensier che la vi mena. L’anima folle, che al suo mal s’ingegna, Com’ella è bella e ria Cosi dipinge e forma la sua pena. Poi la riguarda...». Par- ticolarmente energica è la canzone Così nel mio parlar, dove lo stesso sentimento di non potersi liberare dall’im- magine affascinante e tormentosa e pur bella, è espresso mirabilmente: <«... come fior di fronda, Così della mia mente tien la cima»; e si entra a vaneggiare di un im- provviso innamoramento della donna ritrosa per lui, che alfine l’avrebbe tutta in sua balia e se ne sazierebbe, e le renderebbe «con amor pace ». Ma neanche in questi componimenti la forma è pura e schietta, e il poetico loro spunto è in parte reso superficiale e in parte tur- bato dal virtuosismo delle immagini e delle rime, tanto che essi sono potuti parere ad alcuni filologi nient’altro che

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esercitazioni stilistiche e metriche, sul gusto provenzale.

I giuochi delle rime regnano nella canzone Amor, tu vedi den, e nella sestina Al poco giorno; e contrapposti e para- goni e metafore lambiccate e tirate in lungo nell’altra can- zone Io son venuto al punto della rota, e nella già citata, che s’apre con l’annunzio di voler essere « aspro » nel par- lare «com’è negli atti» la bella « Pietra», e si attiene a siffatto stilistico o rettorico proposito, ed è piena di figura- zioni guerresche, saette, faretre, spade, scudi, scherane mi- cidiali e ladre. Nondimeno, anche nella sestina artificiosis- sima spira la poesia, come si vede nei tre versi iniziali, ritraenti lo scolorirsi di un paesaggio al sopravvenire del- l'inverno: « Al poco giorno ed al gran cerchio d’ombra Son giunto, lasso, ed al bianchir dei colli, Quando si perde . lo color nell’erba...»; e in questi altri, che offrono lo spet- tacolo contrario, del risorgere primaverile: « Il dolce tempo che riscalda i colli, E che gli fa tornar di bianco in verde, Perché gli copre di fioretti e d’erba»; e in certe imma- gini e detti leggiadri: «Quand’ella ha in testa una ghir- landa d’erba, Trae dalla mente nostra ogni altra donna;

Perché si mischia il crespo giallo e ’1 verde Si bel, ch’ Amor

vi viene a star all’ombra...». »

Come in queste rime della Pietra si passa dall’atteggia- mento in prevalenza rettorico dello stil nuovo a una certa commozione e passione umana, cosi in alcune altre il sen- timento etico del poeta si discioglie dalle abitudini della rettorica e insieme abbandona la nudità della didascalica.

Un bel sonetto (Se vedi li occhi miei), che a lui si attribuisce e del quale variamente si congettura l’occasione storica, è un anelito alla giustizia: tutto pieno di fremente orrore pel male che si vede attorno e per la paura che esso incute ai cuori fedeli, il poeta s’innalza a una preghiera perché giu- stizia sia fatta: « Ma tu, fuoco d’amor, lume del cielo, Questa virtù che nuda e fredda giace, Levala su vestita

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