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Nel documento DIS NZErOy UNIVERSITY OF ILLINOIS AT (pagine 85-88)

lo svolgimento stesso della scena: è la tensione che si prova tra le difficoltà e gli ostacoli, la fiducia che si avvicenda con la sfiducia e pur la vince, nella lotta del giusto con- tro l’ingiusto, della virtù contro l’iniquità, del diritto contro .la forza; ed è il sopravvenire del soccorso (di fuori? o non più tosto dentro dei nostri petti stessi?), della potenza su- periore, dell’autorità, che sostiene i buoni sforzi, cosi sicura di sé e vittoriosa con la sola presenza come il solenne messo del cielo, che procede senza guardarsi attorno e appena ha bisogno di rimuovere da sé, con lieve gesto di mano, l’«aer grasso». Quella potenza, adempiuto il suo ufficio, recato il soccorso, torna donde si era dipartita, all’altezza n'cui dimora, e non fa motto a coloro che ha aiutati, come gran personaggio la cui mente spazia in ampia cer- chia, e altra cura lo stringe che quella dei piccoli uomini che gli sono davanti.

L’anima di Dante si riempie, in questo momento del suo ideale viaggio, delle immagini degli uomini, dei casi, delle lotte della sua città. Ma la fantasia ora non più gli atteggia immagini odiate: il nuovo sentimento che gli solleva il petto è l'ammirazione pei forti e grandi di Firenze, la quale non è più, ora, la sentina di ‘ogni vizio, vituperata da Ciacco, ma la «nobil patria», di cui è gioia e vanto esser natio, la patria che si bestemmia e si ama, per cui si soffre e s’inorgoglisce, e che sta realmente alla cima dell’anima, cosa sacra. Farinata si erge come la figura in cui si esprime questa elevazione poetica; Farinata, il magnanimo, che, vero eroe da epopea, è tutto e soltanto il guerriero, il combattente: combattente per la sua parte, pel suo ideale politico, per la città alla quale egli appartiene e che.

perciò gli appartiene. Ogni altro affetto gli è estraneo: ai mali del presente si fa superiore, alto col petto e con la fronte come avendo l’inferno in gran dispitto; degli amori e dolori umani non cura, né degna di attenzione Cavalcante, che

gli è presso, e punto non si commuove alla sollecitudine e all’affanno paterno di lui. La prima sua domanda è da uomo di parte e di-guerra, che squadra chi gli viene innanzi per sapere se debba collocarlo tra gli amici o tra i nemici, tra i seguaci o tra gli avversarî; la sua prima esclamazione, un ricordo di aspra lotta e di duplice trionfo; la sua ango- scia, che il frutto della sua vittoria sia andato perduto per colpa dei successori; la sua malinconia, malinconia da guerriero, che non gioisce già della strage e del grande scempio e del sangue versato, ma si sente strumento della necessità; .la sua unica giustificazione, che, sopra ogni suo odio, sta l’amore, quel magnanimo amore, che gli fece difendere a viso aperto, contro i compagni e alleati di tempra meno eletta, la vinta Firenze e salvarla all’avve- nire. Dante è, verso lui, compreso di reverenza e di am- mirazione, e pur avversario, combattente con combattente;

sarebbe stato contro lui, se fosse vissuto ai suoi tempi, e ne rintuzza qualche più acerbo detto, ma gli lascia l’ultima ‘ parola e lo colloca sopra un piedistallo di gloria.

Alla poesia eroica s’ intreccia quella che si potrebbe dire dell’amicizia, il canto di tristezza per l’amicizia che fu già fraterna e poi è stata corrosa, se non infranta, dal corso degli avvenimenti e dal diverso atteggiarsi dei tempera- menti e caratteri. Guido Cavalcanti sarebbe dovuto trovarsi compagno a Dante nel viaggio di fatica e di onore: lui e non altri, ma lui per diritto, lui il primo dei suoi amici, lui pari nell’altezza dell'ingegno. Perché non è con Dante?

Quell’unione dei due era così naturale, e il distacco è cosi sorprendente, che il vecchio Cavalcante, nello scorgere Dante, cerca con gli occhi il figliuolo, e, non vedendolo, alle prime parole che vogliono spiegare perché non si trova colà, crede d’intendere e fraintende, e pensa che egli sia morto, e non aspetta la risposta che tien certa, e cade spro- fondando nell’angoscia. Ma il vero pathos forse non è in

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questo scoppio di affetto paterno, quanto in quel « Guido vostro »: quel ‘Guido, che non è più di Dante, che Dante restituisce al padre, il quale ancora cosi fppassionatamente, così terribilmente lo ama.

Ciò che tien dietro, la celebre esposizione del sistema punitivo dell’Inferno, ossia la graduatoria e caratteristica delle colpe umane secondo la filosofia delle scuole, è det- tato da ragioni strutturali, e, benché abbia pur sempre il pregio della dizione concisa e pregnante, non ha quell’in- tima vita che si sente in altri luoghi dottrinali della Com- media. L’autore doveva pagare un debito ai lettori del ro- manzo teologico-etico, e lo paga alla prima occasione, tutto in una volta, per non averci più a pensare. Con artifizio anche qui ingenuo, la dissertazione è introdotta come un discorso fatto per passare in modo utile il tempo in un breve riposo nella discesa; e si cerca di renderla qua e là mossa con opportune interruzioni dell’ascoltante: « Assai chiara procede La tua ragione ed assai ben distingue...»;

«Non men che saper, dubbiar m’aggrata...».

Si riprende il viaggio di discesa per un burrone che risveglia nel poeta l’immagine di un luogo del paesaggio italiano, della rovina di qua da Trento, ed è da lui spie- gato come una traccia del terremoto, che scosse la terra.

alla morte di Cristo. Sulla punta della roccia scoscesa s’ in- contra un’altra conoscenza del mondo classico, il Minotauro, anch’esso ravvicinato per virtù di fantasia realistica e mo- strato nella sua furia, simile a toro che ha ricevuto il colpo mortale e rompe i lacci e si trascina e saltella in qua e in là.

Alla vista della riviera di sangue bollente, par di giungere a un accampamento militare. I due pellegrini ricevono intima- zioni e minacce dagli ufficiali di guardia, i Centauri, che sono insieme gli aguzzini di quei dannati. Disciplina, vi- gilanza, rigore, destrezza, sicuro imperio si sentono qui regnare. La salda forza dell’esecutore di giustizia ha do-

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