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Nel documento DIS NZErOy UNIVERSITY OF ILLINOIS AT (pagine 62-66)

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gatorio come un’altissima montagna sorgente in un’isoletta agli antipodi del monte Sion, distinta in una rocciosa base, ch’è l’antepurgatorio, in sette cornici e in una foresta che fu già il Paradiso terrestre; e il Paradiso figurò nei nove cieli, della Luna, di Mercurio, di Venere, del Sole, di Marte, di Giove, di Saturno, stellato, cristallino (o del primo Mo- bile) e nell’empireo, dov'è Dio, il motore immoto. In questi cerchi, cornici e cieli egli distribui per categorie dannati, purganti e beati: nell’ Inferno, gl’ infingardi nel vestibolo, i non redenti del peccato originale nel Limbo, e i propriamente dannati negli altri cerchi e nelle bolge secondo le tre dispo- sizioni peccaminose, incontinenza, violenza, e frode, ciascuna di queste suddivisa in modo che dai lussuriosi, golosi, avari si scende giù giù fino ai traditori; nel Purgatorio, assegnati alla base o antepurgatorio i contumaci e negligenti, tutti gli altri nelle cornici, secondo la divisione dei sette peccati o dei sette vizî capitali; e nel Paradiso, i beati, secondo i meriti e la correlativa beatitudine, secondo i gradi della carità o le virtà cardinali e teologali. E descrisse questo triplice regno fingendo sé viaggiatore e osservatore, dap- prima sotto la guida di Virgilio, poi, per un breve tratto, di Virgilio e di Stazio insieme, poi, dal paradiso terrestre all’ empireo, di Beatrice, e, nell’empireo, di san Bernardo.

Che cosa fece egli in siffatta rappresentazione, che certa- mente si trova nel libro della Commedia, e anzi sembra sorreggere tutto il resto?

Poesia propriamente no, già esclusa dalla dimostrazione che manca per essa il necessario motivo poetico genera- tore; ma nemmeno, come si suol dire, scienza, perchè la scienza, in tutte le forme in cui si prenda, o che elabori con- cetti o affermi fatti o classifichi o costruisca astrazioni, è sempre critica, e non ammette, e anzi discaccia e dissolve, le combinazioni dell’immaginazione. Qui invece l’ immagi- nazione interviene come demiurgo e compie un’opera af-

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fatto pratica, qual’ è quella di foggiare un oggetto che adom- bri a uso dell’immaginazione l’idea dell’altro mondo, dell’eterno. Si potrebbe forse acconciamente chiamare, que- sto lavoro compiuto da Dante, un «romanzo teologico », o « etico-politico-teologico », in analogia dei romanzi « scien- tifici» o «socialistici », che si sono scritti in tempi a noi vicini e si scrivono ancora, il fine dei quali è divulgare e rendere altrui accetto e desiderabile qualcosa che si crede o si desidera, presentandolo con l’aiuto dell’immaginazione, come sarebbero gli effetti che produrranno certe aspettate o invocate scoperte scientifiche, o le nuove condizioni di vita che nasceranno dall’attuazione di certi nuovi istituti sociali. Mutati i tempi e gl’interessi degli uomini, diventate le scienze naturali e le disquisizioni sociologiche ciò che un tempo furono la teologia e i problemi della salvazione dell’anima, romanzi teologici ora non se ne compongono più;

ma parecchi se ne composero nel corso del Medioevo (tra i quali sono in parte da annoverare le cosiddette « visioni »), e questo di Dante fu di gran lunga il più ricco di tutti, il più grandioso e meglio architettato, sebbene non l’ultimo.

Romanzo teologico che, per la natura della religione, al cui dominio nulla si sottrae, e per effetto degl’interessi etici e politici di Dante, si complicava, come si è accennato, di un’utopia politica ed etica.

Che Dante, propostosi questo fine, dovesse industriarsi a dare precisione e coerenza alle sue immaginazioni, e a farle, come si dice, verisimili, è cosa che s’intende, e, d’al- tronde, l’assunto gli era agevolato dall’intervento del mi- racoloso, al quale esso e i suoi lettori credevano. E vi riusci, sembra, cosi bene, che sorse la leggenda che egli realmente avesse visitato l’ Inferno e il Purgatorio, e, almeno in estasi, gli fosse stato rivelato il Paradiso; e gli antichi espositori furono costretti a insistere che egli scriveva « da poeta»; e anche i moderni, che di tali cautele non hanno bisogno,

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esprimono spesso la loro meraviglia per l'impronta di realtà, che Dante conferisce al suo racconto. Ma che le meticolose spiegazioni che egli dà sulla configurazione dei luoghi e sui modi del viaggio, e sul tempo che gli occorse per compierlo, e sui fenomeni che osservò, e, soprattutto, le dissertazioni con le quali spiega e giustifica quelle cose imma- ginate e le tratta come fatti reali che confermano una teoria scientifica e ne sono confermati, rechino prova che esso stesso fosse ingannato dalle proprie immaginazioni e le prendesse per fatti reali, e cadesse in una sorta di allucinazione; questo, sebbene sia stato in varî modi sostenuto, non è per niun conto da ammettere. E non già perché con tale ipotesi s’introdurrebbe nel genio di Dante una troppo grande mi- stura di demenza e si verrebbe meno al rispetto che gli si deve; ma veramente perché l’ipotesi contrasta alla limpi- dezza e consapevolezza della mente e dell’animo di lui, e, per di più, non è necessaria. Tutti i compositori di romanzi di quella sorta, teologici, scientifici o socialistici, sono pre- cisi e meticolosi e ragionano le loro immaginazioni, perché cosi richiede il loro assunto; e anche nel secolo decimonono ci furono, tra i lettori e gli uditori, alcuni che, al pari delle femminette di Verona, presero per realtà le immaginazioni e tennero per certa l’esistenza delle varie Utopie o Icarie, e talvolta mossero la vela e il remo per raggiungere le terre promesse e le isole della felicità.

Sulla struttura della Commedia, cioè sul romanzo teolo- gico che le è messo a fondamento, è sorta una delle pit cospicue sezioni della letteratura dantesca, gareggiante per mole con quella accumulata sulle allegorie, e si chiama della « topografia fisica » e della «topografia morale» dei tre regni. E poiché quella struttura Dante la volle ed esegui, ed esiste nel suo libro, è naturale che gl’interpetri curino di chiarirla, ed è utile che, per far si che l’abbiano chiara in mente i lettori (i quali per solito ne accolgono un’idea

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sommaria e confusa, perché vi s’interessano poco) si dise- gnino, come si sono disegnati, atlanti, e si diano geografie dell’altro mondo dantesco, ed orarî od orologi del viaggio in esso, e commenti al codice penale che vi regna, e alla graduatoria dei meriti e delle ricompense. Solo che sarebbe da ripetere, rinforzandola, la raccomandazione che già s’è fatta, di guardarsi dal troppo, e di non dimenticare che queste di Dante sono mere costruzioni immaginative, di scar- sissima importanza, soprattutto per noi che abbiamo altre immaginazioni pel capo, e che, a ogni modo, delle imma- ginazioni e dei sogni non conviene a lungo intrattenere la gente, « noiando altrui (ammoniva monsignor della Casa nel Galateo) col recitarli con tanta affezione e facendone si gran meraviglia, che è uno sfinimento di cuore a sentirli »:

sicché, poniamo, è perditempo e reca fastidio discutere e udir discutere se Dante impiegò nel suo viaggio sette o nove o dieci giorni, e se nel Paradiso ventotto o quaran- tadue o settantadue ore, e a quale ora per l’appunto vi fece salita, se prima o dopo il mezzogiorno, e simili. Ma i dan- tisti ci costringono a ripetere su questo punto anche l’altra e più sostanziale censura, dell’antimetodicità del loro pro- cedere, e a spiegare in che essa, nel caso particolare, con:

sista. Dante, per minuzioso e meticoloso che sia proceduto, ha pur lasciato lacune nel congegno del suo romanzo teo- logico, e, per attento che sia stato, è incorso in talune contradizioni; fors’anche perché, come da alcuni si pensa, non poté dar l’ultima mano al poema, e sottomettere a ge- nerale riaccordo un’opera composta in più anni e sotto l’efficacia di molti e diversi avvenimenti. Se il suo lavoro fosse stato d’indole filosofica e critica, si potrebbe riempirne le lacune e risolverne le contradizioni, come si usa nello studiare i filosofi, ripigliando e continuando le loro inda- gini e tirando le logiche conseguenze che dalle loro pro- posizioni derivano; ma, essendo, com’è, lavoro d’immagi-

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