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Nel documento DIS NZErOy UNIVERSITY OF ILLINOIS AT (pagine 181-186)

offre una comoda scappatoia e agilmente scioglie senza scio- glierlo un nodo, in cui ci si è cacciati.

Lasciando in disparte queste dispute di vacuo formalismo, pel resto, durante il cinquecento, la Commedia fu lodata da coloro che, come il Varchi, movendo dalla sopradetta dot- trina didascalica e oratoria della poesia, giudicavano che Dante avesse conseguito un gran fine morale con la puni- zione dei rei nell’ Inferno e il premio dei buoni nel Paradiso, e fu biasimata dagli altri, che coltivavano l’ideale d’una poesia sensualmente gradevole e, come il Muzio, dichiara- vano che Dante «ogni altra cosa era piuttosto che poeta », e perfino spregiavano il suo poema come aspro e duro ver- seggiamento di qualche scartafaccio fornitogli da frati teo- loganti e argomentanti. Si è perciò lietamente sorpresi, quando, dopo aver rimestato i documenti di quelle contro- versie cinquecentesche (molte delle quali si legano alla diatriba contro Dante, messa in circolazione nel 1571 sotto il nome di Rodolfo Castravilla), ci s'imbatte in alcune pa- role di Vincenzo Borghini, rivolte tutt'insieme a respingere le censure dei sensuali e voluttuarî e le lodi dei didascalici.

Ai primi, che si appellavano al Bembo, il Berghini paca- tamente osservava che il celebre letterato yeneziano, « tirato dal suo genio in altra sorte di poesia, più dolce cioè e più dilicata, non gustò né mise quello studio in quell’altra che conveniva a poterne con tutta dirittura giudicarne». E a coloro che stimavano doversi ammirare Dante « per le molte sentenzie che sono in quel poema inchiuse », rispondeva, che, certo, far poco conto di queste cose sarebbe sciocchezza, ma (continuava) «io dico bene che io l’ho per serventi di quel poema e non per principali, e ammiro il poeta come poeta, e non come filosofo o come teologo; se bene mi pare una quasi divinità d’ingegno l’aver saputo e potuto inne- starle di sorte che servano al bisogno del poema con grazia e con leggiadria. E se il Cosmico non vide altro nel poema

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di Dante che quel ch’e’ dice, e’ lo gustò molto poco, e me”

faceva di spender il tempo suo in leggere altro che Dante, se non seppe cavar altro» ‘. Il Borghini, che già nelle in- dagini circa la lingua, le allusioni storiche e le allegorie dantesche aveva segnato la via buona, anche rispetto al carattere poetico di Dante vide e disse giusto; ma quel suo dire cadde come nel vuoto, senza eco, nonché negli altri, in lui stesso, perché, per diventare valido ed efficace, si sarebbe dovuto sentire in contrasto e uscirè ad aperta guerra con tutta la poetica di quel tempo: il che non avvenne.

E il valore del giudizio del Vico è invece, per l'appunto, nell’essere prodotto e produttore insieme di una nuova dot- trina della poesia, che Dante e Omero e tutti i grandi e schietti poeti suggerivano con le loro creazioni, e che in- sieme spiegava Dante e Omero e tutti gli altri grandi e schietti poeti: una nuova dottrina che si sarebbe svolta nei secoli seguenti e si sarebbe chiamata estetica, scienza della fantasia, scienza dell’intuizione, o in altri modi. Che cosa importa, a petto di questo gran merito, che il Vico sforzasse .il paragone di Dante con Omero ?, dell’Italia dugentesca con l’ Ellade del nono secolo innanzi l’èra volgare, ed esage- rasse la dipendenza della poesia dalla barbarie delle società e pensasse per un momento di togliere a Dante una parte

‘della sua anima, la scolastica e il latino? Sono concetti e ravvicinamenti che bisogna intendere con discrezione, e piut- tosto come simboti che come affermazioni di fatti, simboli

i Studî sulla Divina Commedia di G. GaLiLEI, V. BorcHINI ed altri, ed. Gigli (Firenze, 1855), p. 308.

2 Su di che furono mosse obiezioni, non appena la Scienza nuova, un secolo dopo, cominciò a essere studiata; come può vedersi in FauriIEL, Dante et les origines de la langue et de la littérature italienne (Paris, 1834), I, 21-2, 371-3; ViLLeMaIN, Tableau de la littérature au moyen dige (ed. di Parigi, 1882), I, 346-7; P. EmiianI GiupicI, Storia della let-

teratura italiana (4 ediz., Firenze, 1865), I, 228.

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cioè della vera poesia, che sorge sulle passioni e non sulle riflessioni. Che cosa importa che non andasse più innanzi nella caratteristica particolare del poema di Dante e non cavasse tutto il frutto che poteva dai profondi canoni che aveva stabiliti sul modo d’interpetrare la Commedia? Ciò fu fatto di poi, e si verrà ancor meglio facendo nell’avve- nire; ma gli ulteriori passi non sarebbero stati possibili senza quel primo.

Per allora, nel secolo del Vico, si può dire che giun- gessero all’estremo l’opposto giudizio e la condanna di Dante secondo un estrinseco ideale, il classicismo e bembismo del cinquecento, che prese nuova veste di razionalismo e di letteratura riflessiva, satirica, galante e sentimentale o

«sensibile ». Il Voltaire, che defini una volta la Commedia poema bizzarro, splendente di alcune bellezze naturali, e al- tra volta addirittura un guazzabuglio, un salmigoudis, e rise degli anacronismi che conteneva, e motteggiò che la ripu- tazione ne starebbe sempre salda, perché tutti la ammira- vano e niuno la leggeva; il Bettinelli, che, facendo anch’esso salvezza solo di alcuni pezzi, di un migliaio di versi, la giudicò un tessuto di prediche, di dialoghi, di quistioni con non altra guida che le passioni e il capriccio dell’autore, priva di azione o con azioni soltanto di discese, di passaggi, di salite, di andate e ritorni, irta di simboli e piena di allusioni a oscuri individui contemporanei del poeta; furono i due più famosi rappresentanti di un’opinione allora lar- gamente divulgata. S’incontra essa, infatti, tal quale, presso

‘molti altri, e per esempio, presso il Cesarotti, per cui la Commedia era «un guazzabuglio grottesco », una « non-di- vina Commedia », e, in forma: epigrammatica, presso Orazio Walpole (1782), che chiamava Dante « stravagante, assurdo, disgustevole, in breve, un metodista in Bedlam» (cioè, al manicomio); e si risente echeggiata dal Goethe, quando, nel 1788, scriveva di non comprendere come ci si potesse intrat-

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tenere con quel poema, di cui l’Inferno a lui tornava orrendo, il Purgatorio equivoco e il Paradiso noioso. Anche questo motivo antistorico, al pari di quello dei «generi», non si spense del tutto dipoi e neppur oggi è del tutto: spento:

il Lamartine ripigliava verso Dante i sentimenti e i pen- sieri del Voltaire e del Bettinelli, e parlava di quella « gazette fiorentine », che è la Commedia, una polemica che «la posté- rité ne comprend plus »; e testé un critico americano è tor- nato alla carica, e anch’esso non trova, in quell’ammasso di stravaganze e sragionevolezze, se non «several literary jewels », che formano «a very small residuum » 4.

Le risposte a siffatte critiche furono, nel settecento, in parte dettate da semplice buon senso (come quando al Bet- tinelli si diè l’avvertimento che Dante non è oscuro per chi è colto, e Gasparo Gozzi inculcò, per l'intelligenza di Dante, lo studio dei tempi dell’autore e delle altre opere di lui);

ma, in altra e maggior parte, consistettero in contrapposi- zioni di false difese a false accuse, di pedanterie vecchie a pedanterie nuove, come col lodarlo di «gravità » nei pensieri e nella morale, e di essere stato il primo ad « aprire glo- riosa strada alla poesia italiana». Pure, uno almeno ci fu che rispose secondo lo spirito che potrebbe chiamaîsi vichiano, uno scrittore tedesco, il Bodmer o qualche amico o scolaro di lui, in un articolo di una rivista zurighese del 1763, ano- nimo e rimasto a lungo dimenticato *. Quello scrittore co- minciava col notare, che lo straordinario poema di Dante partecipava con l’ Iliade ai medesimi biasimi, come contrario

4 A. MorpeLL, Dante and other waning classics (Philadelphia, 1915).

2 Fu scoperto e ristampato dal mio compianto amico LEONE DONATI, nella sua monografia J. J. Bodmer und die italienische Litteratur (nel volume: J. J. Bodmer: Denkschrift zum CC Geburtstag, Zirich, 1900, pp. 2883-88); e per la sua importanza mi è parso opportuno tradurlo e inserirlo nella Critica, XVIII, pp. 3806-11.

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alla costumatezza, alla decenza, alla graziosità del gusto moderno, inosservante delle regole e dell’unità d’azione;

senonché Dante (ribatteva) osservò le sue proprie regole, ed ebbe cosi grandi e varie cose da ritrarre che, per poter far uso di ogni sorta di stile, gli parve assai comodo adot- tare la forma di un fantastico viaggio. Ciò che nella com- posizione del poema si condanna come strano, gotico, con- tradittorio e affettato, si potrebbe, usando un po’ di giustizia, chiamare invece singolare e originale; e l’autore della Com- media aveva altrettanto diritto di poetare nel carattere dei suoi tempi quanto noi in quello dei nostri. L’acuto critico scagionava infine, con istoriche considerazioni, Dante della libertà con cui aveva trattato l’antica mitologia e intro- dotto eccezioni nelle leggi dell’oltremondo; e lo lodava di aver cercato la poesia non solo nelle umane passioni, nel- l’amore di Francesca e nello strazio di Ugolino, secondo che piace ai moderni, ma anche nella morale e nella teo- logia, che egli seppe rendere poetiche.

Quando si ciarla dell’inutilità della critica, non si con- sidera che, se noi ora leggiamo Dante e gli altri poeti senza che tra noi e loro siano gli ostacoli interposti dai grossi pregiudizî del passato, dobbiamo il beneficio di questa age- volezza appunto a critici simili a quello ora ricordato, che

‘ ce ne hanno liberati o ce ne vengono liberando. Nella ge- nerazione seguita a quella del Bodmer, per effetto dei nuovi concetti sulla poesia e sulla storia, che da più parti e in più modi spuntarono e furono come la fioritura o la messe dei germi che alcuni solitarî avevano seminati, la conside- razione antidommatica e storica di Dante e degli altri poeti si fece consueta e come naturale: divenne luogo comune il disdegno verso i giudizî condotti secondo il particolare gusto settecentesco e illuministico, e secondo ogni altro ideale che non fosse quello intrinseco e proprio di Dante e dei suoi tempi. Ciò è chiaro nelle caratteristiche che ormai si leggono

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