1. Il fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale
1.4 Sistemi di sfruttamento e strategie di fronteggiamento del fenomeno
1.4.1 Le politiche di contrasto
Lo sviluppo del fenomeno della tratta a scopo di sfruttamento sessuale ha riacceso la discussione attorno alle politiche pubbliche da applicare per contrastare il fenomeno. Già nei secoli scorsi il dibattito aveva preso forma soprattutto intorno al problema più ampio del fronteggiamento della prostituzione. Storicamente nella tradizione europea si sono delineati quattro differenti modelli diretti a disciplinare il commercio sessuale che originano da quattro modi di significare la prostituzione, prendendo le mosse da approcci ideologici diversi. Questi tipi corrispondono al regolamentismo (o regolamentarismo), proibizionismo, abolizionismo e neo-abolizionismo (Parisi, 2018). Tali modelli sono stati applicati nei Paesi dell’Europa con sfumature differenti dando vita a politiche ibride e mai uguali l’una all’altra in parte per via delle forme che ha assunto la prostituzione nei diversi Stati e dall’altra per la filosofia dei legislatori che hanno di volta in volta inteso e declinato politiche in modi difformi. Storicamente i criteri in base al quali si distinguono i quattro modelli riguardano il riconoscimento legale della prostituzione e le tipologie di controlli obbligatori per coloro che praticano la prostituzione. Con il desiderio di fare chiarezza rispetto alle politiche di contrasto attuate nei vari Paesi, si esporranno brevemente i tratti che caratterizzano ciascun modello, per poi passare a mettere in luce quelli adottati in Italia nel corso del tempo. Il primo di cui si vuole trattare è quello abolizionista. In questo caso la prostituzione (indoor e outdoor) non viene né regolamentata né tanto meno proibita;
semplicemente lo stato “tollera il semplice esercizio e non interviene quando interessa adulti consenzienti e non si rinvengono situazioni di sfruttamento” (Degani, 2009, p. 69).
19 Per esempio “massagio” e non “massaggio” o “menticabili” anziché indimenticabili. Tali errori suggeriscono che la pagina è gestita da organizzazioni/enti non italiane
Tra i paesi europei che hanno spostato tale politica possono essere ricondotti la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Spagna e la Slovenia. In linea con questo approccio, si ritrova quello neo-abolizionista che risulta essere uno sviluppo del modello abolizionista e che proprio per questo prevede la proibizione della prostituzione esercitata all’interno delle case di tolleranza (case chiuse), ma non prevede né la proibizione né tantomeno la regolamentazione dell’attività outdoor. I paesi aderenti a questo tipo di modello sono stati negli ultimi anni il Belgio, Cipro, la Danimarca, l’Estonia, la Finlandia, la Francia, l’Italia e il Lussemburgo, risultato fino a una quindicina di anni fa la modalità più diffusa tra gli Stati d’Europa. Per quanto concerne il proibizionismo, invece, occorre sottolineare che si tratta di un approccio completamente negante la prostituzione: l’esercizio delle attività sessuali è vietato sia che si verifichi al chiuso presso strutture adeguate sia che avvenga all’esterno su strada. A differenze degli altri approcci, questo prevede la punizione delle parti coinvolte20 che possono essere perseguite penalmente. Rientrano in questa casistica Irlanda, Lituania e Malta. Occorre invece fare una precisazione su tre Paesi nordici, quali Svezia, Norvegia ed Islanda, che hanno adottato un modello legislativo descrivibile come neo-proibizionista e che viene molte volte definito e conosciuto come “Modello Svedese”.
Si tratta di una modifica del proibizionismo introdotta con la legge svedese n. 408/1998
“Proibizione dell’acquisto di servizi sessuali” che prevede la punizione solamente per il cliente e non per la meretrice la quale viene considerata in maniera preventiva una vittima dello sfruttamento sessuale. Le modifiche introdotte dal modello neo-proibizioniste risiedono nella convinzione che la domanda di prostituzione sia la principale causa dell’aumento dell’offerta del commercio sessuale, nonché della persistenza e dell’incremento del sex trafficking che si alimenta soprattutto tramite la domanda del cliente, ultimo anello della catena dello sfruttamento. Il regolamentismo invece prevede che le attività indoor e outdoor vengano per l'appunto regolamentate e controllate dallo Stato al fine di inscriverle nel regime della legalità se vengono esercitata nel rispetto della legislazione vigente. In questi casi la meretrice è una lavoratrice legale che può operare come dipendente o in autonomia e in molti Stati è sottoposta a controlli medici per garantir il mantenimento di un suo buono stato di salute, ma anche dei clienti21. Allo stesso tempo, esercitando una professione paragonabile alle altre proprio perché normata da un sistema di leggi, la prostituta deve sottostare agli obblighi fiscali previsti dallo Stato, pur avendo
20 Molto più frequentemente viene punita e penalizzata la meretrice, mentre con una frequenza minore viene sanzionato il cliente.
21 In Olanda le prostitute non sono soggette a controlli sanitari obbligatori al fine di tutelare la loro privacy
accesso ai programmi di assistenza sociale incluso quello previdenziale e soprattutto sanitario. Nei Paesi che hanno adottato una politica regolamentista vengono tutelati i cittadini autoctoni e quelli stranieri vittime di sfruttamento sessuale: il punto centrale in questi casi non è la pratica prostituzionale, ma la riduzione della libertà personale anche nella gestione del proprio corpo. I paesi che hanno adottato negli ultimi anni il modello regolamentista sono stati Austria, Grecia, Lettonia, Paesi Bassi, Olanda, Regno Unito, Ungheria e Germania. Alla tradizionale classificazione dei quattro modelli presentati occorre sottolineare che nel corso degli anni si sono aggiunte anche forme nuove come il neo-regolamentarismo o il neo-proibizionismo (di cui abbiamo accennato) che rappresentano riformulazione più o meno ingenti delle principali correnti di intervento.
Se lo scenario europeo ha potuto vedere applicati tali approcci politici per fronteggiare la prostituzione e lo sfruttamento della pratica commerciale sessuale, si desidera mettere in evidenza le filosofie che sono state adottate nel corso del tempo dall’Italia. In questo senso il lavoro di ricostruzione fatto da Ambrosini (2002) una ventina di anni fa può essere di aiuto risultando ancora molto attuale. Per quanto riguarda il nostro Paese infatti diversi sono gli orientamenti che si sono intervallati nel tempo e che hanno modificato la legiferazione italiana: nei prossimi paragrafi ci sarà modo infatti di approfondire l’evoluzione del quadro giuridico nazionale anche alla luce degli orientamenti politici che si è deciso di sposare per contrastare la prostituzione e la tratta a scopo sessuale.
Ritornando invece ad approfondire le strategie e politiche di contrasto attuate in Italia, tre sono le filosofie che si sono intervallate talvolta opponendosi e andando in contrasto una con l’altra (Ambrosini, 2002). In primo luogo sono state sposate filosofie di tipo repressivo-abrogazioniste che avevano l’intento di intervenire sul cliente punendolo e sanzionandolo soprattutto se colto in fragrante, molto più facilmente durante il contatto con una prostituta outdoor. Tale sistema è stato tuttavia rinnegato dalla magistratura in quanto non praticabile nel panorama giuridico italiano. Allo stesso tempo rispetto al paradigma abrogazionista viene sottolineato come la strategia repressiva da sola non è sufficiente per contrastare il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione che dovrebbe essere arginato e prevenuto attraverso l’implementazione di provvedimenti atti a modificare le condizioni che spingono le persone a prostituirsi (O’ Connell Davidson, 2000). Afferenti alle posizioni repressive sono tutte le strategie applicate negli anni passati con cui, in una logica di sicurezza e di massima protezione dei cittadini, si procede alla legislazione di decreti espulsivi o norme locali restrittive, di retate dirette presso i luoghi della prostituzione (dove le donne vengono ancor di più etichettate e stigmatizzate come
“prostitute illegali”) o ancora lo spostamento – indirettamente voluto- delle aree del commercio sessuale dai luoghi aperti ai luoghi chiusi, dal centro delle città alle zone periferiche. Se tali operazioni hanno l’esito di “rassicurare” i cittadini in quanto vi è l’apparenza di una eliminazione del problema, in realtà non si giunge ad alcuna sua soluzione, ma al contrario l’effetto rimane quello di una maggiore difficoltà di intercettare e operare con coloro che vivono una situazione di sfruttamento. Nel caso dell’outdoor infatti “la delicatissima azione di recupero richiede in molti casi la tessitura di un rapporto di fiducia che inizia per la strada, proprio là dove le donne vengono esposte alla scelta dei clienti, in uno spazio pubblico e visibile. Spezzare questo filo sottile con una retata può contribuire a consolidare lo sfruttamento, anziché contrastarlo” (Carchedi, 2002, p. 35). Il tipo di politica repressiva che, soprattutto a livello locale ha spazi di applicazione, può trovare il suo senso tra gli abitanti delle comunità fortemente attraversate dal problema dell’immigrazione clandestina e del sex trafficking ad esso associato. I cittadini possono in questi casi desiderare la riqualificazione del proprio spazio di residenza ponendosi in forte contrasto con gli enti che sono impegnati nel contrasto del fenomeno e del recupero delle vittime che al contrario sostengono l’inefficacia delle strategie repressive. In ogni caso l’applicazione di politiche repressive non avrebbe come effetto non solo l’apparente illusione della risoluzione definitiva del problema, come si è anticipato nelle righe sopra, ma soprattutto comporterebbe la dislocazione del fenomeno e il suo cronicizzarsi. La seconda filosofia che ha animato le strategie politiche e gli interventi sociali italiani coincide con quella del “recupero” della vittima. In questo senso la legislazione è andata nella direzione di tutelare le persone trafficate e sfruttate sessualmente senza la legiferazione di normative basate su una logica premiale o punitiva, ma piuttosto protettiva e di supporto. Il Testo Unico sull’Immigrazione (articolo 18) rappresenta l’espressione più eclatante dell’approccio basato sul “recupero” in quanto apre alla possibilità di un riscatto per la persona sfruttata offrendo gli strumenti legali e socio-sanitari per perseguire tale obiettivo. All’interno di questo paradigma, infatti, è stato possibile dedicare maggiore spazio ai bisogni delle vittime riconoscendone il diritto di ricevere accoglienza e di essere inserite in programmi di assistenza e di reinserimento sociale indipendentemente dal tipo di collaborazione con il sistema giuridico avviato dalla vittima22. Le normative che sono state attuate con il desiderio di rafforzare e supportare le
22 In questo caso il riferimento è all’art. 18 del Testo Unico sull’Immigrazione che prevede il cosiddetto
“doppio binario” per le donne trafficate e sfruttate sessualmente, ovvero la possibilità di ricevere assistenza e protezione nonostante la decisione da parte della vittima di non sporgere denuncia. Per la parte lesa infatti
donne nel loro percorso di emancipazione dalla rete criminale hanno offerto nuove possibilità alle vittime e soprattutto potenziato il contrasto alla tratta. Questo è stato reso possibile agevolando il percorso necessario per effettuare la denuncia e mettendo in sicurezza coloro che avevano il desiderio di intraprendere l’iter legale. Chiaramente il paradigma di “recupero” si è sviluppato attraverso la sinergia costante tra istituzioni pubbliche e del privato-sociale nonché la partecipazione della società civile. La costruzione del lavoro di rete è stata supportata anche dall’erogazione di piani finanziari appositamente dedicati al contrasto e alla prevenzione del sex trafficking. I limiti di tale approccio possono essere ricondotti alle tempistiche lunghe che richiede il lavoro di presa in carico e soprattutto la necessità della partecipazione (più o meno consapevole) delle donne direttamente coinvolte nello sfruttamento. Quello del “recupero” non è infatti un paradigma abile nel trovare soluzioni immediate e che, in un certo senso, apre ad altre problematiche, come la strutturazione di nuovi progetti di vita per le donne che escono dal commercio sessuale e che devono trovare altri impieghi. In questi casi quello che si verifica è la ripetizione della cosiddetta etnicizzazione del mercato del lavoro (Reyneri, 2017) tale per cui le aree in cui poter trovare un’occupazione risultano quelle afferenti alle aree domestiche o della ristorazione e che rischiano di offrire guadagni minori rispetto alla prostituzione. Il terzo paradigma che si è posto sulla scena italiana e che anche recentemente sembra essere tornato alla ribalta è quello neo-regolazionista, che mira a superare quanto promulgato dalla Legge Merlin per vedere la riaffermazione di forme autorizzate di commercio sessuale confinato in quartieri a luci rosse (come il modello Olandese) o presso apposite strutture dedicate all’esercizio della pratica prostituzionale.
L’intento alla base non è quello di tutelare le donne vittima di sfruttamento quanto la regolamentazione di una professione pari alle altre; il presupposto alla base è infatti il consenso delle donne rispetto l’attività commerciale sessuale e la preoccupazione è quella di metterle nelle condizioni di poterlo fare al meglio. Stando alle teorie e regole dell’economia, gli effetti del neo-regolamentismo sul sex trafficking risultano essere sostanzialmente due anche se secondo orientamenti differenti e opposti (Parisi, 2018):
l’effetto sostitutivo e l’effetto scala. Nel primo caso la regolamentazione comporterebbe l’ingresso nel mercato del sesso di ulteriori soggetti che andrebbero ad affiancare e sostituire i lavoratori precedentemente presente e praticanti illegalmente la prostituzione,
può essere difficoltoso oltre che rischioso esporsi con le autorità competenti soprattutto all’inizio del percorso di emancipazione quando la vittima potrebbe essere ancora facilmente contattata e raggiunta dai propri sfruttatori.
ovvero le vittime del sex trafficking. La presenza di una normativa che regolamenta la prostituzione avrebbe l’effetto di ampliare il numero di persone che esercitano la prostituzione legalmente limitando l’ingresso sul mercato di persone vulnerabili ed esposte allo sfruttamento. L’effetto scala invece consiste semplicemente nell’aumento della domanda in quanto, non venendo più considerata la prostituzione come un atto perseguibile per legge, risulta al contrario legittimata. L’effetto deterrente della pena che si riscontra in paradigmi proibizionisti ha infatti l’effetto di contenere l’insieme dei clienti potenziali che non traducono in esplicita richiesta il loro desiderio. Al contrario all’interno di un approccio neo-regolamentista si verificherebbe una legittimazione e dunque espressione della domanda implicita della clientela potenziale. Quello che occorre mettere in evidenza è il tipo di rapporto che configurerebbe tra i due tipi di effetto presentati: “da un punto di vista teorico e secondo le leggi economiche, a prevalere dovrebbe essere l’effetto di scala. Anche tenendo conto della sostituzione di nuovi soggetti in ragione delle politiche regolamentarista, il fenomeno della tratta di persone non scomparirebbe del tutto e alla fine verrebbe alimentato dal maggior numero di operatori presenti sul mercato”
(Parisi, 2018, p. 39). Riassumendo, ognuna delle tre prospettive attuate in Italia presenta luci ed ombre che rendono ancora oggi aperto il dibattito su quale sia la migliore strategia politica per contrastare il fenomeno della tratta sessuale riconoscendo allo stesso tempo le posizioni dei sex workers che in autonomia scelgono di esercitare la prostituzione (Abbatecola, 2018).