2. L’uscita dalla tratta sessuale e le traiettorie di vita nel post trafficking
2.2 Che cosa accade dopo i programmi di assistenza? Prospettive di vita e scenari
2.2.2 Il ritorno al proprio paese di origine: il rimpatrio onorevole
che, allo stesso tempo, riescono a guadagnare di più dalle proprie attività: queste possono divenire guardiane oppure assistenti. Le prima sono donne che hanno estinto il proprio debito e che utilizzano i soldi guadagnati per iniziare a reclutare e trafficare altre persone da far lavorare per sé; le seconde aiutano semplicemente la sfruttatrice nello svolgimento dei propri compiti. Il fatto di essere scelta dalla madam comporta inevitabilmente assumere uno status superiore rispetto alle altre prostitute anche nei casi in cui le prescelte dovessero continuare a pagare una quota parte delle loro entrate economiche alla maman. In ogni caso si tratta di persone che riescono completamente a incorporarsi nella subcultura deviante accettandone le logiche, i mezzi e i valori di riferimento; tuttavia potranno essere considerate come effettive “prostitute indipendenti” solamente quando agiranno in maniera volontaria, senza nessuna condizione di soggiogazione e nemmeno in uno stato di vulnerabilità. Fino a quanto resteranno guardiane o assistenti, infatti, non potranno ancora considerarsi completamente affrancate dalla precedente maman: tutto ciò che eseguono non viene effettuato in autonomia, ma comunque in una situazione di coercizione. Come evidenziato si tratta di una transizione di carriera graduale e progressiva in cui sono le micro interazioni del quotidiano intrattenute con la rete sociale criminale a facilitare l’ascesa sociale nel sistema del trafficking. Chiaramente lo sviluppo di un simile scenario non è l’unica evoluzione di carriera a cui possiamo assistere: in alcuni casi, come messo in evidenza da altri contributi sociologici, la persona è in grado di uscire dai sistemi devianti per riconfigurare la propria vita secondo stili più conformi alla normalità.
rappresentare per il soggetto direttamente interessato l’esposizione a situazioni rischiose a causa dell’instabilità socio-politica dei propri paesi di origine e/o della loro assenza di tutela dei diritti umani. Ci rendiamo conto che parlare di rimpatrio non è una questione banale, ma al contrario è di notevole complessità in quanto può assumere significati differenti, intrisi di accezioni positive o anche negative: per esempio esso può rientrare nel primo campo semantico laddove è connesso al raggiungimento di un discreto livello di benessere economico, ma può caricarsi di significati negativi quando avviene a fronte del fallimento del progetto come nel caso delle donne vittime di tratta. È evidente che in quest’ultima situazione la persona non sempre manifesti un desiderio di ritorno in patria soprattutto perché si configura come un passaggio denso di ambiguità; tuttavia è proprio su questo paradosso che si innesca il concetto di rimpatrio onorevole65. Quest’ultimo intende delinearsi come una forma specifica di rimpatrio assistito destinato ad alcune categorie di persone particolarmente vulnerabili come nel caso delle donne e delle vittime di human trafficking. Due in particolare sono i presupposti su cui si basa il rimpatrio onorevole: in primis la dimensione di volontarietà esplicita da parte delle persone di voler ritornare nel proprio paese di origine e, in secondo luogo, il significato di onorevolezza intrisa nel suo senso. Questi due aspetti mettono in evidenza elementi importanti: per quanto riguarda la volontarietà, essa implica la necessaria consapevolizzazione da parte della persona che richiede un simile percorso. Le motivazioni alla base possono essere differenti dalla fatica e dalla paura di continuare a vivere nel paese in cui si è stati sfruttati all’esigenza di recuperare i legami familiari lasciati presso il proprio paese di origine, ma in ogni caso
“tanto più sono chiare le ragioni della scelta e le sue conseguenze […] di poter usare questo tipo di risorsa in contrapposizione al programma di protezione sociale, tanto maggiore sarà la riuscita del progetto e la stabilità dopo il rientro” (Corposanto &
Barnao, 2005, p. 21). Oltre alla volontarietà, questa forma di rimpatrio fa leva proprio sul concetto di onore che sappiamo essere non universalmente valido, ma al contrario connesso alla tradizione culturale di ogni società. Questo significa che tale procedura per sortire gli effetti desiderati - ovvero andare incontro ai desideri delle persone di uscire da una carriera deviante per ritessere i legami con il paese di origine - deve essere realizzata in modo da non ledere ulteriormente la persona, ma al contrario attuare dei meccanismi di
65 Da un punto di vista tecnico sappiamo che esistono quattro tipi di rimpatri: volontario (avviene sotto la libera decisione del soggetto per diversi motivi), coatto (la persona viene obbligata tramite espulsione a ritornare presso il proprio paese di origine), assistito (previsto dal T.U. sull’immigrazione, art. 33 in cui la persona viene assistita durante il ritorno in patri; esso può avvenire sia per volontarietà della persona sia obbligatoriamente per motivi legali) e onorevole.
protezione contro il rischio di una probabile sua seconda vittimizzazione. Per fare questo occorre che almeno due punti siano sviluppati: il primo riguarda il fatto che “l’onore” della persona non sia stato distrutto prima di partire dalla propria patria; il secondo concerne la necessità di non vedere completamente fallito il progetto migratorio personale: ciò implica una minima consapevolezza di quanto sarebbe accaduto nel paese di destinazione oppure il raggiungimento di mete ambite e riconosciute come di valore nel proprio paese di origine.
Si tratta di un percorso che ha l’obiettivo di garantire alle persone coinvolte un reinserimento positivo nella propria patria e una facile ri-socializzazione all’interno del tessuto relazionale precedentemente abbandonato. A livello di carriera migratoria, l’adesione a un simile percorso significa in primo luogo sviluppare una consapevolezza legata alla propria condizione di vita passata (come donna uscita dalla tratta sessuale) e in secondo luogo una riconfigurazione e riconversione dei propri progetti di vita personali che passano inevitabilmente dall’abbandono delle reti connesse alle subculture criminali.
Allo stesso tempo, il processo di inversione della propria carriera di vita passa attraverso la riduzione dello stigma connesso all’essere statati precedentemente trafficati (Corposanto &
Barnao, 2005): a tal proposito gli agenti che intervengono in questa deviazione della carriera morale dei soggetti cono coloro che lavorano negli enti di supporto anti-tratta.
Questi servizi, infatti, riescono ad abbassare il rischio di marginalizzazione delle persone precedentemente trafficate agendo su due versanti: in primo luogo attuando dei programmi di sensibilizzazione sul trafficking nei paesi di origine in modo tale da favorire dinamiche inclusive e non di stigmatizzazione; allo stesso tempo, le agenzie anti-tratta possono accostarsi alle famiglie di origine delle donne come veri e propri facilitatori di accoglienza.
Nello studio condotto in Nepal da Crawford e Kaufamn (2008), per esempio, viene presentato un programma in cui i membri del personale degli enti anti-tratta si recano ai villaggi per incontrare le famiglie di origine delle ragazze trafficate al fine di indagare la loro disponibilità a ricevere notizie dalla figlia. In caso di risposta positiva, i referenti del servizio conducono gradualmente66 la famiglia ad incontrare la figlia in modo da favorire la ricrescita dei legami parentali e facilitare il re-inserimento della persona sopravvissuta al traffico. Solamente nel caso in cui il ricongiungimento con la propria famiglia avviene alla luce di dinamiche positive allora la figlia precedentemente trafficata potrà gradualmente svelare ai parenti la propria storia. Occorre mettere in evidenza come in questo caso i
66 Nel caso del programma Nepalese, in caso di risposta positiva ad un ipotetico incontro con la figlia, le famiglie vengono in un primo momento condotte nelle strutture di accoglienza senza che vengano informate del trascorso della figlia. Se l’esito dell’incontro è positivo, allora è possibile fa incontrare al proprio villaggio la famiglia con la propria figlia facendo ricongiungere tutti i membri.
servizi anti-tratta riescono a promuovere il ritorno in famiglia facendo in modo che la persona sopravvissuta al trafficking venga messa nelle condizioni di generare reddito, ovvero avere un buon capitale economico. La possibilità di provvedere non solo al proprio benessere, ma contribuire attivamente anche per quello della propria famiglia permettendole di acquisire un buon status sociale è un fattore che favorisce l’accettazione dei sopravvissuti all’interno del proprio villaggio. La rilevanza della dimensione economica non è una variabile insignificante: in molti casi le persone migrano dal proprio paese proprio con il progetto di acquisire capitale economico e dunque facilitare la mobilità sociale verticale della propria famiglia (Zanfrini 2016; Ambrosini, 2011). È evidente che il ritorno in patria, in questi casi, può essere visto come un successo del progetto migratorio da parte della famiglia e non un fallimento come, invece, viene molte volte vissuto dalle sopravvissute alla tratta. Il successo del reinserimento passa attraverso diverse contingenze che non possono non includere anche l’operato delle agenzie di promozione sociale. Il ritorno in patria non si conclude sempre in maniera positiva, ma sicuramente rappresenta uno scenario possibile di carriera che le donne trafficate possono percorrere una volta uscite dai programmi di assistenza. Quello che possiamo dire è che si tratta di una vera e propria azione di sistema personalizzata (Corposanto & Barnao, 2005) in cui ogni soggetto viene attivamente coinvolto: l’estrema eterogeneità delle situazioni di sex trafficking e dei fattori che entrano in campo spingono inevitabilmente a sviluppare interventi capaci di mettere al centro le esigenze del soggetto e dunque personalizzarli. Se questo offre indubbiamente un valore aggiunto al tipo di percorso intrapreso dalla persona sopravvissuto, è sicuramente un iter oneroso che richiede tempistiche lunghe, competenze tecniche elevate da parte dei professionisti convolti, ma anche di tutte le persone coinvolte:
questi aspetti, purtroppo, rimangono fattori che rendono più faticoso il ricorso al ritorno presso il proprio paese. Proprio per questa ragione, una volta terminati i programmi di assistenza e protezione, le prospettive dei migranti trafficati possono seguire altri sviluppi:
è il caso di coloro che scelgono di rimanere nel paese di accoglienza, ma senza ri-socializzarsi al gruppo criminale.