3. Dalla devianza all’ empowerment
3.2 La career theory
3.2.3 Verso l’integrazione degli approcci strutturali e dell’individuo
l’insieme degli eventi e il circuito di agenti ed enti che influiscono sul destino dei soggetti e sulla scansione della loro carriera. Associate alle contingenze ci sono anche le cosiddette esperienze morali vissute dagli individui rispetto ai fatti che segnano una svolta nel modo in cui essi guardano il mondo. Se è vero che i percorsi vengono influenzati e direzionati non solo dagli eventi, ma anche dagli attori sociali, Goffman sottolinea che è bene analizzare anche le tattiche e le strategie messe in campo dai soggetti nell’interazione con l’Altro. Con questo significa osservare le posizioni sociali che essi occupano davanti alle persone che esercitano un ruolo attivo nella loro carriera qualunque sia la natura (nascosta e/o variabile) e il grado interno di adesione a tali posizioni: in questo frangente emerge tutto il tema goffmaniano del controllo delle impressioni esercitato con l’intento di indurre l’Altro ad agire secondo la propria volontà (Goffman, 1967). Questo restituisce un maggior potere di azione al soggetto che dunque non è totalmente influenzato dalle contingenze esterne che si imbattono sul proprio percorso, ma può essere attore e regista (almeno parziale) della propria storia di vita.
Le riflessioni proposte da Becker e Goffman conducono quindi a percepire la carriera come le fil rouge percorso da una persona nella propria storia, caratterizzato da una serie di esperienze di apprendimento relative ai cambiamenti della posizione sociale e della propria identità (immagine del sé). Si tratta dunque di una prospettiva molto distante da quella promossa dagli approcci che analizzano le strutture di carriera concependole come promotion ladder limitata esclusivamente ai contesti organizzativi professionali. Negli approcci individuali, infatti, si può parlare di career anche riferendosi ai pazienti psichiatrici, ai musicisti da ballo, ai consumatori di marijuana così come ai criminali, aprendo ai mondi sociali che includono non solo le attività professionali, ma anche quelle non remunerate, siano esse culturali, sportive, associative o di altro genere.
(1981) che hanno cercato di studiare il modo in cui nascono e si sviluppano le pratiche interne ad un sistema capaci di determinare l’evoluzione delle carriere stesse. Tali pratiche sono “strutture di conoscenza organizzate culturalmente” (Knorr-Cetina & Cicourel, 1981, p. 66), simili in un certo senso all’habitus di Bourdieu (1997), che vengono definite all’interno degli ambienti in cui si trovano i soggetti. È attraverso l’interazione tra i membri di un gruppo che tali pratiche diventano elementi cardine della struttura: attraverso la ripetizione di schemi di azioni e di interpretazione agiti nel micro mondo della quotidianità si costruiscono quelle che sono le macrostrutture che vigono all’interno di un’organizzazione. Con il tempo le pratiche vengono quindi embedded nei sistemi e nelle culture; i pratictioner diventano capaci di acquisire tali “strutture conoscitive” e maturare la consapevolezza rispetto alle buone pratiche legittimate e ricercate nei loro contesti così come agli elementi di cui è necessario avvalersi per progredire all’interno della propria carriera. Come si può comprendere in tale approccio il soggetto non è solamente un fruitore passivo della struttura, ma esercita una propria agency nelle interazioni continue con i membri del proprio gruppo avendo possibilità di contribuire al cambiamento del sistema. In questo senso le pratiche di Knorr-Cetina e Cicourel (1981) agiscono come le strutture strutturate e strutturanti di Bourdieu (1997) e in questo gioco i soggetti possono, nel lungo periodo, modificare le “regole del gioco” (Goffman, 1959) agendo come attori anche nella definizione dei criteri che sono necessari per evolvere nelle proprie carriere.
Da questo contributo discendono due interessanti aspetti, uno di metodo e l’altro di contenuto. In primo luogo trattare di pratica significa avere come principale oggetto di interesse non tanto i pratictioners o i sistemi organizzativi e culturali in cui esse sono inseriti quanto piuttosto proprio le strutture di conoscenze che si originano nell’interstizio tra la dimensione macro e quella delle micro interazioni. In seconda battuta avere il focus di interesse sulle pratiche connesse alle carriere significa poter utilizzare questo approccio per lo studio di tutti i mondi sociali anche quelli non necessariamente connessi all’attività professionale come quelli oggetto del nostro lavoro di ricerca.
A tal proposito ulteriori contributi che recuperano l’eredità degli interazionisti conciliandole con le teorie strutturaliste sono quelli di Harré (1981) e Giddens (1981). Il primo si focalizza in particolare sulle conseguenze non ricercate o non intenzionali dell’azione che, al pari di quelle meditate e volontarie, contribuiscono a costruire le strutture. Il secondo, riprendendo in parte l’idea delle pratiche, tratta di struttura ambivalente in quanto da una parte sostanzia le decisioni e le possibilità di azione dei soggetti, dall’altra viene veicolata e definita dagli stessi. L’autore afferma che il sistema
determina l’insieme delle regole e delle risorse presenti in esso le quali vengono interiorizzate dalle persone che le usano come guida per le loro azioni. Attraverso le routine e il ripetersi delle azioni stesse, il sistema normativo e di risorse viene quindi riprodotto nel tempo. Il soggetto può dunque muoversi nel suo contesto anche se vincolato dai limiti della struttura. Questo significa che, pur potendo esercitare un potere di azione personale, le persone devono costruire le proprie carriere servendosi dei sistemi normativi, valoriali e dei mezzi (risorse) forniti dal sistema sociale e/o organizzativo in cui si trovano;
a seconda delle decisioni prese si originano forme differenti di carriera. Quest’ultima, detto diversamente, è conseguenza, effetto delle scelte intenzionali e non portate avanti dai soggetti all’interno di un contesto “abitato” da regole e risorse precise. Nonostante le restrizioni della struttura, le persone possono scegliere quale forma di carriera perseguire:
se seguire l’iter già intrapreso da altri oppure cercare modalità alternative per muoversi all’interno del medesimo contesto, pur in controtendenza. È proprio a partire da questo slancio, che i soggetti possono esercitare il loro potere di azione: lo spazio di libertà può essere giocato non tanto nel cambiare completamente il sistema di regole, risorse e limitazioni offerte dal contesto, quanto nelle modalità di assemblare e comporre gli elementi che si trovano nei sistemi. La riflessione di Giddens (1981) offre la possibilità di vedere la carriera come un concetto in parte cognitivo, in quanto deve essere in prima battuta elaborata mentalmente, calcolata e valutata dai soggetti a partire dalle esperienze vissute o da quanti hanno avuto modo di osservare dai percorsi intrapresi da altre persone.
In secondo luogo si tratta anche di un concetto normativo proprio perché coartato e costruito concretamente sulla base delle opportunità offerte dai sistemi in cui si muovono gli individui e in virtù dei limiti/vincoli che li caratterizzano.
A fronte delle riflessioni emerse dai tre filoni appena esposti, come possiamo avvicinarci allo studio delle carriere di vita di donne ex-vittime di tratta impegnate in enti anti trafficking? In primo luogo occorre prestare attenzione alle pratiche che vengono mutuate nei diversi contesti così come l’interdipendenza e la mutua influenza giocata tra individuo e struttura. L’eredità degli approcci individuali invita chiaramente a tenere in considerazione anche un’altra dimensione: quella delle interazioni, delle relazioni, e dei gruppi di riferimento a cui i soggetti appartengono. È nel processo di socializzazione e influenzamento tra pari che le persone possono acquisire norme e valori con cui guardare il mondo e orientarsi in esso. Le relazioni e le sottoculture a cui si appartiene possono impattare sulle attività che concernono la carriera personale, orientandone la direzione e,
allo stesso tempo, anche la costruzione del senso della propria identità. I contributi derivanti dalla microsociologia hanno infatti incluso nel concetto di carriera anche la dimensione che riguarda la rappresentazione del soggetto, i giudizi che esso attribuisce al sé o agli altri e per tanto rimane una dimensione particolarmente importante da osservare nell’evoluzione delle carriere delle donne della ricerca soprattutto in virtù dell’estrema discontinuità che ha caratterizzato le loro traiettorie. A tal proposito la terza suggestione forte che se può trarre dagli approcci sopra esposti è il superamento dell’idea iniziale monolitica di carriera come “scala di promozione lineare” anche in virtù dei cambiamenti sociali che hanno attraversato la post-modernità. L’idea di progresso, di riuscita sociale e di programmabilità viene completamente ribaltata con l’avvento della cosiddetta società del rischio (Beck, 2000). L’instabilità e la precarietà che caratterizzano la contemporaneità non possono non essere tenute in considerazione quando si tratta delle traiettorie o carriere di vita che intraprendono i soggetti. La fluidità del nuovo millennio si fa tangibile nelle scelte concrete che orientano e sostanziano i percorsi intrapresi dalle persone: “in un contesto globalizzato, denotato da allentamento normativo e molteplicità di appartenenze, è così sempre più frequente la possibilità di sperimentare la discontinuità (in termini di tensioni e di rotture) del corso della vita, dei modelli culturali, delle stesse rappresentazioni autobiografiche. Diventa difficile, dunque, parlare di “biografie normali”, nel duplice senso di conformi a modelli normativi e statisticamente prevalenti”
(Bichi, 2000, p. 10). I modi di vivere i contesti di appartenenza e le sfere di azione non sono più univoci e prevedibili; si rompe la trasmissione unidirezionale dei modelli culturali e degli archetipi che li sostanziano. Mutamento, instabilità, ma anche possibilità diventano le coordinate per lo snodarsi delle biografie personali e la costruzione della propria identità. I soggetti possono scegliere quale discorso tra i tanti adottare per narrare la propria storia dando vita a veri e propri meticci culturali. Questo ci pare particolarmente evidente nel caso delle donne oggetto della nostra ricerca che si trovano a rompere più volte il proprio progetto e percorso di vita. Ecco dunque che in tale contesto, la nozione di carriera “classicamente intesa”, ovvero secondo un’accezione lineare, continua, preordinata, contrattuale e costituita da posizioni oggettive sembra completamente svuotarsi di senso. L’unico elemento di prevedibilità è proprio l’inevitabilità per le persone di trovarsi impegnate a fronteggiare percorsi di vita frammentati, cercando di interpretare e assumersi individualmente la responsabilità di delineare e perseguire il proprio tragitto esistenziale declinato in tutte le sue dimensioni (professionale, familiare, culturale, associativo…) anche in assenza di una mediazione collettiva e istituzionale. Il problema, la
sfida diviene quella di trovare e attribuire un senso ai tanti frammenti o fasi della propria carriera. Proprio per questa ragione è essenziale studiare le career delle nostre donne non solo da un punto di vista strutturale ma soprattutto andando a osservare i processi di decisione e di attribuzione di senso che le sostanziano. Chiaramente questo non significa attribuire elementi di totale volontarietà alle vittime della tratta sessuale: come riportato dagli approcci strutturalisti le persone possono ritrovarsi in strutture, organizzazioni e contesti che condizionano fortemente il proprio agire. Allo stesso tempo però gli studi interazionisti sulle carriere ci ricordano che nell’evoluzione da una fase all’altra della propria traiettoria (sia lavorativa, ma anche di vita) le persone possono scegliere come interfacciarsi con il proprio contesto, ovviamente in relazione ai vincoli e alle facilitazioni che esso offre. In questo senso gli incontri con gli Altri e le relazioni sociali non sono indifferenti: essi possono fungere da significative contingenze di carriere capaci di fa evolvere in modo discendente o ascendente una traiettoria. Nel caso delle donne vittime di tratta, infatti, l’incontro con il futuro sfruttatore o con un operatore anti-tratta sono elementi che condizionano la direzione della carriera oggettiva e le sfumature della carriera soggettive delle donne. In questo gioco di apprendimenti e reciproci influenzamenti la dimensione individuale non è irrilevante: il modo in cui attribuiscono significato agli eventi rileggendo la propria storia è un elemento che si intreccia con il peso delle variabili sociali. A tal proposito, il concetto di riflessività potrebbe aiutarci a comprendere meglio il modo in cui l’agency individuale interagisce con il contesto in cui il soggetto risiede. Nel prossimo paragrafo dunque dedicheremo una particolare attenzione al contributo di Archer (2003) che, riabilitando il ruolo della “conversazione interiore”, da voce a quel famoso processo che porta le persone a scegliere il proprio progetto di vita lungo linee di senso personalmente costruite, in conformità con i limiti delle proprietà strutturali e culturali in cui è inserito.