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Le politiche economiche neoliberali

Le rendite sulle quali si basava l'economia egiziana provenivano dalla produzione interna e dall’esportazione di petrolio e gas naturale, dal controllo del Canale di Suez e dalle rimesse dei lavoratori emigrati nei paesi del Golfo98. Inoltre, grazie alla firma del trattato di pace con Israele, dagli Stati Uniti affluivano nelle casse dello Stato aiuti economici e, dopo la riammissione nella Conferenza dell'Organizzazione Islamica, da cui l'Egitto era stato escluso in precedenza, anche dalle ricche petromonarchie del Golfo99. Queste rendite, già all’inizio degli anni Settanta, non erano più in grado di compensare il continuo e crescente drenaggio di denaro dalle casse dello Stato100. L’Egitto accusava infatti le conseguenze della spesa pubblica degli anni del socialismo arabo e di un sistema esteso di welfare state. Il ruolo interventista dello Stato in economia aveva imposto livelli di spesa elevati, e le politiche agricole ed industriali non avevano dato i risultati sperati.

Quando Mubarak salì al potere, nel suo primo discorso di fronte all'Assemblea del Popolo delineò le principali linee guida anche in materia economica affermando che il governo sarebbe ritornato alla pianificazione economica e sociale centrale e avrebbe

95 http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EkEkuluAVVLEVguIwl.shtml. 96 http://www.europarl.europa.eu.

97 A. Piazza Bárbara, op. cit., p. 126.

98 http://www.cires.unifi.it/upload/sub/SSDD/WORKING%20PAPERS/WP_Piffero.pdf. 99 Ibidem.

orientato la Politica della Porta Aperta verso la produzione101.

Verso la fine degli anni Ottanta, alla vigilia della Prima guerra del Golfo, l'economia egiziana, nonostante le politiche di liberalizzazione e di privatizzazione, era in crisi102. La crescita era tornata negativa, i salari reali dei lavoratori egiziani non qualificati precipitarono nel giro di quattro anni, il tasso di disoccupazione raddoppiò e la qualità dei servizi pubblici, come la sanità, l’educazione e i trasporti, peggiorò notevolmente103. Il debito estero egiziano, che nel 1981 era di 22 miliardi di dollari, nel 1988 raggiunse i 46 miliardi di dollari104. A partire dal 1990, il rapporto debito-PIL del paese era di circa il 50%, sicuramente il più alto nel mondo105.

Al cuore della crisi c'erano tre macro-squilibri: il divario tra il risparmio interno e gli investimenti, quello tra le importazioni e le esportazioni e, infine, il divario tra le entrate e la spesa pubblica. Alla metà degli anni Ottanta la spesa pubblica totale costituiva il 60% del PIL, le entrate totali erano il 40% del PIL e il deficit del settore pubblico rappresentava il 20% del PIL106. Nel 1991 il governo cominciò a tagliare le spese ma, il crollo del prezzo del petrolio sui mercati internazionali a metà degli anni Ottanta, ridusse notevolmente le entrate dello Stato107.

Era necessaria pertanto una riforma economica che permettesse di riequilibrare il bilancio statale108.

Nel 1987 Mubarak firmò un accordo con il Fondo Monetario Internazionale, in virtù del quale si offrivano una serie di prestiti in cambio dell'impegno egiziano a raggiungere determinati obiettivi monetari109.

La guerra del Golfo nel 1991 creò una situazione completamente nuova110; l'Egitto fu costretto ad accettare, in cambio della riduzione del debito, le soluzioni di stabilizzazione macroeconomica e di aggiustamento strutturale imposte dalle agenzie di

101 S. Soliman, The Autumn of Dictatorship: Fiscal Crisis and Political Change in Egypt under Mubārak, California, Standford University Press, 2011, p. 36.

102 M. Cammett, I. Diwan, A. Richards, J. Waterbury, A Political Economy of the Middle East, Boulder,

Colorado, Westview Press, 2015, p. 293.

103 Ibidem.

104 S. A. Cook, The Struggle for Egypt..., p. 159.

105 M. Cammett, I. Diwan, A. Richards, J. Waterbury, op. cit., p. 293. 106 Ibidem.

107 Ibidem.

108 http://www.cires.unifi.it/upload/sub/SSDD/WORKING%20PAPERS/WP_Piffero.pdf.

109 O. Roger, Stato, potere e politica nella formazione del Medio Oriente moderno, Bologna, Il Ponte,

2005, p. 195.

credito internazionale111. In seguito a questo accordo l'Egitto ricevette 372 milioni di dollari112. Si aprì così una nuova fase di riforme neoliberiste.

Le riforme concepite dal FMI e dalla Banca Mondiale erano finalizzate a trasformare l'economia pianificata in un sistema economico nel quale il mercato giocasse un ruolo maggiore, al fine di poter inserire il paese negli equilibri dell'economia internazionale113. Al centro del programma di stabilizzazione vi era un'ampia riduzione del debito fiscale attraverso la sostanziale riduzione degli investimenti pubblici114. Le politiche fiscali, attuate ancor più drasticamente rispetto a quanto aveva chiesto il Fondo monetario internazionale, fecero crollare la moneta rispetto al dollaro, tagliarono il bilancio dello Stato e le sovvenzioni alle imprese del settore pubblico, in vista della loro privatizzazione o chiusura. Queste ultime infatti erano in perdita e l'economia in crisi non era più in grado di sostenerle115.

L’adesione alle politiche economiche neo-liberali promosse dal FMI e dalla Banca Mondiale costituirono un punto di svolta di fondamentale importanza politico sociale per uno Stato che ricavava le proprie risorse economiche da rendite esterne dirette o indirette senza bisogno di tassare la popolazione116. Ben due terzi degli introiti di valuta straniera del paese derivavano infatti da rendite petrolifere, transiti nel canale di Suez, turismo, aiuti stranieri, rimesse di emigranti. Ad eccezione del turismo e delle rimesse si trattava di «benessere non guadagnato»117.

Lo Stato egiziano non solo era il dispensatore essenziale di servizi sociali nonché di sussidi sui beni di largo consumo, ma anche il principale datore di lavoro pubblico del paese, grazie all'espansione sproporzionata del settore pubblico e della burocrazia. In termini del peso relativo del pubblico impiego tra il 1988 e il 1998 non ci fu una riduzione bensì un incremento118.

I cittadini assicuravano fedeltà al governo nella misura in cui le loro necessità venivano soddisfatte. La giustizia sociale e la sicurezza economica di cui l'élite al potere si faceva garante attraverso questo sistema capillare di redistribuzione le permetteva di mantenersi saldo senza dover ricorrere eccessivamente alla violenza interna e alla

111 Ibidem.

112 A. P. Bárbara, op. cit., p. 137.

113 M. Cammett, I. Diwan, A. Richards, J. Waterbury, op. cit., p. 294. 114 Ibidem.

115 T. Mitchell, op. cit., p. 276.

116 www.sisp.it/files/papers/2012/federico-battera-1443.pdf.

117 Limes, La primavera egiziana presenta il conto, in Controrivoluzioni in corso, 2011, p. 235. 118 www.sisp.it/files/papers/2012/federico-battera-1443.pdf.

repressione di un dissenso peraltro quasi inesistente fino a quel momento119.

Di conseguenza la diminuzione della capacità distributiva dello Stato mise in crisi la sua legittimità agli occhi della popolazione, che protestò contro la rimozione di parte dei sussidi sui beni di prima necessità, che danneggiò la capacita d’acquisto delle classi più popolari120.

Le politiche di sussidio statale erano un forte mezzo di legittimazione del regime stesso ed era naturale che una sospensione di queste ultime avrebbe causato rivolte, come già era avvenuto in passato, nel 1977, quando Sadat propose l'eliminazione di vari sussidi che avrebbero sollevato il prezzo di molti prodotti alimentari comuni121.

Il processo di ristrutturazione economica intrapreso dal regime comportò quindi ampi cambiamenti radicali che inasprirono le disuguaglianze sociali e peggiorarono le condizioni di vita di numerosi egiziani122. I salari reali diminuirono significativamente e la disoccupazione totale aumentò passando dal 8,6% nel 1990 ad almeno il 11,3% nel 1995123. Le proteste e le manifestazioni di dissenso da parte dei partiti di opposizione e dei lavoratori, che costituirono diversi comitati per la difesa del settore pubblico124, aumentarono: nel 1990 furono segnalati otto scioperi, nel 1991 ventisei, nel 1992 ventotto e sessantatré nel 1993125.