• Non ci sono risultati.

Le politiche industriali durante il processo di costituzione dell'Unione Europea

Le politiche industriali: alcuni esempi dall'estero

3.1 Le politiche industriali durante il processo di costituzione dell'Unione Europea

Nel 1957 i rappresentanti di sei paesi continentali dell'Europa occidentale (Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo) firmano il Trattato di Roma, un accordo per giungere entro tredici anni alla realizzazione di un'unione economica tramite l'abbattimento delle tariffe interne, ma mantenendo una comune barriera nei confronti dell'esterno. Nel preambolo del Trattato è assente qualunque riferimento esplicito alle questioni dello sviluppo regionale e alle relative politiche, per cui spetta agli stati membri il compito di farsi carico del problema delle aree deboli. Con la sola eccezione dell'Italia meridionale, le differenze regionali non sono considerate come un problema, sia perché i sei stati fondatori appaiono un gruppo omogeneo dal punto di vista economico, sia perché "l'istituzione di un mercato comune e il progressivo allineamento delle politiche economiche degli stati membri" (Trattato di Roma, 1957, art. 2) avrebbe portato alla loro riduzione. Nel Trattato vi sono comunque alcune disposizioni volte alla creazione di strumenti per contribuire allo sviluppo e alla riduzione delle disparità regionali: il Fondo sociale europeo (Fse), la Banca europea degli investimenti (Bei), entrambi istituiti nel 1957, e il Fondo europeo

agricolo di orientamento e garanzia (Feaog), istituito nel 1962.18 Tuttavia nel

Trattato sono assenti previsioni esplicite in materia di politica industriale, segno del limite posto dai governi nazionali al ruolo e ai poteri della comunità: in materia di tutela della concorrenza, le eccezioni ai comportamenti delle imprese e agli interventi dei governi nazionali, che possono falsare il funzionamento del mercato, possono essere considerate esempi impliciti di politica industriale (Bianchi, 1999, p. 208). La mancanza di un riferimento esplicito è molto significativa, sebbene il primo trattato istituente una comunità europea in materia economica, il trattato della CECA (Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio) del 1951, definisse già un'azione comune in campo industriale: carbone e acciaio erano rilevanti dal punto di vista economico e politico sia per garantire una crescita equilibrata tra i paesi europei, sia per assicurare la sicurezza comune, per cui era necessario sottoporre i due settori a una regolazione comune. Il Vertice di Parigi del 1972, allargato ai tre paesi aspiranti a diventare membri della Comunità Economica Europea (CEE) e divenuti tali nel 1973 (Gran Bretagna, Danimarca e Irlanda) mette in luce la volontà dei paesi partecipanti di coordinare le loro politiche e di creare un fondo per lo sviluppo regionale, finanziato con risorse proprie della comunità. Così nel 1975 viene costituito il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr), con cui la comunità

18 Nel periodo 1958-1987 la Bei svolge un ruolo di rilievo in quanto finanzia il 75% dei prestiti e delle garanzie per progetti di sviluppo nelle aree depresse, soprattutto nel Mezzogiorno (Viesti, Prota, 2007, p. 17).

assume un ruolo attivo per risolvere le problematiche regionali. In realtà il Fesr viene concepito come un meccanismo di compensazione per i paesi creditori netti nel bilancio comunitario, come il Regno Unito (Viesti, Prota, 2007, p. 18). Negli anni settanta la CEE tenta invano di avviare una politica industriale di tipo costruttivistico, caratterizzata da una forte presenza dello stato nel sostenere la produzione nazionale attraverso aiuti alle imprese locali incapaci di affrontare la concorrenza esterna, oppure attraverso la creazione di campioni nazionali: lo stato centrale ha le capacità tecniche e la legittimazione politica per delineare e gestire con strumenti regolatori gli obiettivi di sviluppo nazionale. In questa accezione lo stato orienta i comportamenti degli individui, riducendo la concorrenza interna tra imprese nazionali al fine di competere a livello internazionale. Il principio di fondo di questa visione è che l'estensione del mercato supera l'area di sovranità del governo nazionale, quindi è necessario guidare la propria industria al fine di rendere il paese indipendente dal punto di vista economico e forte dal punto di vista politico: si attribuisce allo stato nazionale l'autorità di governo dell'industria. L'attribuzione di tali poteri a un soggetto sovra-nazionale poteva avvenire solo in casi eccezionali, in cui il governo nazionale accettava principi di co-determinazione con altri governi solo per garantire i propri cittadini contro i conflitti del commercio stesso (Bianchi, 1999, p. 206). In altre parole i governi accettano di istituire un organismo comune della produzione e degli scambi per internalizzare i possibili motivi di

scontro economico e politico. Questa visione di politica industriale non lascia spazio alle politiche della concorrenza, perché lo stato spinge verso una monopolizzazione interna per raggiungere dimensioni efficienti, tali da poter competere sul mercato internazionale. Allo stesso modo, le politiche costruttivistiche non si preoccupano delle relazioni di produzioni esistenti a livello locale: una misura può essere indirizzata verso le aree meno sviluppate unicamente in ragione di un'azione di compensazione attraverso incentivi specifici per ridurre i costi di impianto e di gestione della produzione di una singola impresa (Bianchi, 1999, pp. 133-134).

In realtà negli anni settanta la Commissione estende a livello comunitario la tradizionale azione dei governi nazionali: di fronte alla crisi economica, che metteva a rischio la struttura di potere economico e la legittimazione nazionale dei campioni industriali, i governi proteggono la propria organizzazione, bloccando l'aggiustamento strutturale. Ogni paese difende i propri produttori, sia creando barriere non tariffarie, sia agendo a livello comunitario con un'azione di

lobby per favorire la propria industria. La tipica azione di politica industriale degli

anni settanta consiste nell'erogazione di aiuti di stato alle singole imprese, affinché singolarmente provvedano a riorganizzare le proprie attività per diventare più efficienti. Generalmente si tratta di favorire l'acquisto di macchinari per abbassare i costi di produzione o di accettare i cartelli di crisi, cioè accordi tra imprese per ridurre la sovra-capacità anche attraverso aiuti pubblici,

per smantellare impianti obsoleti e per fissare le quote di mercato. In questo contesto la Comunità lascia agli stati membri libertà di azione, ma al contempo cerca di individuare un proprio ruolo, attuando a livello europeo le politiche nazionali (Bianchi, 1999, pp. 215-216).

Con il "Libro Bianco" del 1985 la politica industriale europea assume una connotazione prevalentemente orizzontale, vale a dire con un impatto trasversale su più settori piuttosto che su uno specifico a prescindere dalla sua selettività, a sottolineare l'importanza di ridurre tutte le barriere, che ostacolano la libera circolazione delle merci nel mercato europeo. Le legislazioni nazionali avviano un processo di armonizzazione delle norme tecniche e uno di rimozione delle barriere amministrative al commercio. Da una parte le politiche selettive in favore di alcuni settori vengono ridotte a causa delle difficoltà delle amministrazioni pubbliche di intervenire in modo efficace senza essere oggetto delle pressioni delle lobbies, dall'altra l'attenzione verso gli agenti economici, che partecipano al gioco competitivo attraverso il miglioramento del contesto istituzionale di riferimento, è sempre maggiore (Tassinari, Di Tommaso, 2015, p.32). I Programmi integrati mediterranei (Pim), istituiti nel 1985, mirano a svolgere un'azione specifica a beneficio delle strutture delle regioni meridionali della comunità: essi si dispiegano in azioni pluriennali da tre a sette anni, finalizzate ad investimenti nel settore produttivo, alla realizzazione di infrastrutture e alla valorizzazione delle risorse umane. I Pim sono elaborati dalle

autorità regionali e poi presentati alla Commissione, che determina la conformità al regolamento, seleziona le azioni da realizzare e fissa l'ammontare e le modalità dei contributi.

L'Atto unico europeo (Aue), sottoscritto nel 1986 ed entrato in vigore nel luglio 1987, rappresenta una delle più importati revisioni al Trattato di Roma, in quanto introduce un Titolo V con l'intestazione "Coesione economica e sociale", con cui hanno origine e fondamento giuridico i Fondi strutturali: viene superata l'idea di una comunità intesa come un'area di libero scambio e si riconosce la necessità di una coesione economica e sociale per realizzare il mercato unico attraverso strumenti di intervento comunitario per la politica regionale. La politica industriale coerente con l'Atto unico si basa sul principio che la prima azione da compiere per permettere lo sviluppo delle imprese è stabilire un chiaro contesto competitivo, rimuovendo ogni ostacolo al commercio, sia interno che mondiale. Questo significa attuare le condizioni richieste per la realizzazione del mercato unico in tutti i paesi della comunità e applicare severamente la norma in materia di concorrenza, in riferimento sia alle imprese sia agli aiuti di stato. D'altra parte è possibile stabilire a livello comunitario e locale azioni per favorire lo sviluppo delle iniziative imprenditoriali e delle capacità di adeguamento della concorrenza internazionale, ma devono essere definite a livello regionale e/o settoriale con azioni orizzontali, cioè come interventi generali a cui i singoli

possono partecipare per sviluppare la propria competitività (Bianchi, 1999, p. 211).

La comunicazione al Parlamento europeo, "La politica industriale in un contesto aperto e concorrenziale" del 16 novembre (Commissione Europea, 1990), ridisegna la visione dell'azione pubblica nell'economia: la comunità deve creare un clima imprenditoriale più favorevole attraverso un concetto di politica industriale per la comunità nel suo complesso, identificando i catalizzatori dell'adeguamento strutturale e gli acceleratori del funzionamento del mercato stesso. I catalizzatori sono la realizzazione del mercato unico e la prospettiva di un'apertura verso paesi terzi; gli acceleratori sono la ricerca e lo sviluppo delle risorse umane, il dinamismo delle imprese, lo sviluppo di reti di servizi e di cooperazioni industriali. Il Trattato di Maastricht (Commissione Europea, 1990b), firmato dal consiglio europeo nel dicembre 1990, riprende questa impostazione e, per la prima volta, contiene un riferimento esplicito all'opportunità di attuare politiche per lo sviluppo della competitività industriale. Si tratta dell'articolo 130, che definisce l'ambito comunitario di una politica industriale: non viene più proposta la visione di un'azione diretta dell'autorità di governo a sostegno di un'industria nazionale incapace di adeguarsi alla concorrenza internazionale e bisognosa di sostegno pubblico. La politica industriale diviene un insieme di azioni per ampliare l'estensione del mercato e per accelerare il mutamento

organizzativo e tecnologico delle imprese. Nell'articolo 130 troviamo due approcci eterogenei:

1.

l'azione pubblica deve essere rivolta a favorire lo sviluppo di un ambiente