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Le politiche per lo sviluppo industriale per il mezzogiorno: la motivazione “economica” dell’installazione di un’acciaieria a Taranto

3.1 La politica “decide” le strategie di sviluppo industriale indipendentemente

dalla valutazione delle ricadute ambientali

La ricostruzione della vicenda relativa alla scelta di localizzare a Taranto uno stabilimento per l’esercizio dell’attività siderurgica consente di mettere in evidenza il ruolo che lo Stato, soprattutto nel dopoguerra, ha assunto nella definizione delle politiche economiche per lo sviluppo territoriale delle zone del meridione del paese; politiche in cui si riscontra, però, l’assenza di un coordinamento tra le esigenze più propriamente collegate all’economia e quelle invece relative alla tutela dell’ambiente e della salute. Infatti, almeno nella prima fase della loro elaborazione (e cioè fino a metà degli anni ‘70), nelle decisioni di programmazione industriale (per il settore siderurgico) non si rinviene un coordinamento né sostanziale né formale tra i valori costituzionali che entrano, invece, in gioco, quando si tratta di esercitare attività altamente inquinanti, come la produzione dell’acciaio.

Nel corso dei decenni che vanno dalla costruzione dello Stabilimento di Taranto ad oggi, la mancata elaborazione di una adeguata politica ambientale156 ha

progressivamente determinato l’insorgere di una situazione estremamente grave (sotto il punto di vista ambientale, sanitario, industriale, e occupazionale) che ha messo (e sta mettendo) seriamente alla prova la tenuta del sistema “ordinario” previsto dal nostro ordinamento per la gestione di questa tipologia di problematiche.

Il grave deficit della programmazione ambientale da parte delle autorità pubbliche si è manifestato nell’assenza di una strategia di intervento complessiva in

156 Per la definizione della nozione di “politica ambientale” si può fare riferimento a quella proposta da R.

LEWANSKY, in Governare l’ambiente. Attori e processi della politica ambientale (Bologna, Il Mulino, 1997, 34). Per tale autore, «la politica ambientale ricomprende l’insieme degli interventi posti in essere da autorità pubbliche e da soggetti privati al fine di disciplinare quelle attività umane che riducono la disponibilità di risorse naturali o ne peggiorano la qualità e la fruibilità». Perché si configuri, dunque, una politica ambientale occorre che siano posti in essere “interventi” aventi rilevanza “ambientale” (nel senso di attività che consentano il contemperamento delle diverse esigenze sottese allo sviluppo sostenibile), ma, al tempo stesso, interventi coordinati che siano in grado di incidere efficacemente sui comportamenti degli attori (pubblici e privati) coinvolti. Così concepita la nozione di “politica ambientale” porta a restringere il novero degli interventi che ne possono venire considerati attuativi. E infatti «se si considerano quali elementi sufficienti le semplici dichiarazioni di intenti, o l’istituzione di una apposita struttura burocratica, occorrerà trarre conclusioni affermative. Se viceversa, si pongono soglie molto severe e si esige la compiuta attuazione di iniziative coordinate, allora solo una piccola parte dell’intervento pubblico sopravvivrà alla prova» (v. G.REGONINI, L’analisi delle politiche pubbliche, in G.FREDDI (a cura di), Scienza dell’amministrazione e politiche pubbliche, Carocci, Roma, 1989, 315; autore citato anche in G.L.BULSEI, Ambiente e Politiche pubbliche, Roma, Carocci, 2005, 22).

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grado di bilanciare, in un’ottica di sostenibilità dello sviluppo, le diverse esigenze di rilievo costituzionale. Gli strumenti giuridici ed economici utilizzati al fine di conformare l’attività industriale (per renderla coerente con l’utilità sociale nelle varie declinazioni che essa assume) si sono dimostrati del tutto inadeguati, evidenziando il “fallimento” del modello di amministrazione ambientale seguito dai poteri pubblici che ha favorito anziché impedire, l’aggravarsi dell’emergenza ambientale, sanitaria e occupazionale che interessa lo stabilimento di Taranto.

La ricostruzione del dibattito all’origine della scelta di localizzare un’acciaieria nel territorio della città di Taranto mette in evidenza come il decisore politico, nella valutazione delle modalità per favorire lo sviluppo delle zone depresse del mezzogiorno italiano, non abbia preso in considerazione anche le potenziali conseguenze ambientali negative (“esternalità”), connesse all’esercizio di un’attività industriale all’interno di in un contesto urbano157.

La scelta di localizzare il IV Centro siderurgico italiano a Taranto, infatti, appare guidata non soltanto dalla valutazione delle favorevoli condizioni geografiche per l’installazione di tale tipologia di impianto (dovute alla particolare conformazione dei luoghi che garantiva la presenza di ampie aree pianeggianti con una rada protetta che consentiva un agevole approvvigionamento delle materie prime via mare), ma anche (e, si può ritenere, soprattutto) dalla convergenza tra gli obiettivi sottesi alla politica industriale nazionale nel settore dell’acciaio, da un lato, e quelli della politica per la riduzione del ritardo nello sviluppo che affliggeva l’Italia meridionale158.

Infatti, la decisione di localizzare la nuova acciaieria nell’area urbana tarantina consentiva contemporaneamente di rispettare le opzioni strategiche del c.d. “Piano Sinigallia”, che aveva previsto il rilancio della produzione siderurgica italiana attraverso la costruzione di stabilimenti di grandi dimensioni sulla base del modello americano (stabilimenti per le industrie di base che richiedono quelle specifiche condizioni territoriali che si rinvenivano a Taranto), e di promuovere lo sviluppo di aree

157 Per un’esaustiva ricostruzione della vicenda relativa all’insediamento del IV Centro siderurgico nella

Città di Taranto v. M.BALCONI, La siderurgia italiana (1945-1990). Tra controllo pubblico ed incentivi di mercato, Bologna, Il Mulino, 1991; v. anche S.PIATTONI, Politica locale e sviluppo economico nel Mezzogiorno, in Stato e mercato, 1999, 1, 12 ss.

158 In relazione alla tematica delle scelte politiche per la promozione dell’industrializzazione del

Meridione, senza pretesa di esaustività, si rinvia a: A. LA SPINA, La politica per il Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna, 2003; OSTI, G.L., L’industria di stato dall’ascesa al degrado. Trent’anni nel gruppo Finsider. Conversazioni con Ruggero Ranieri, Il Mulino, Bologna, 1993; R.RANIERI,“La grande siderurgia in Italia. Dalla scommessa sul mercato all’industria dei partiti”, in G.L.OSTI, L’industria di stato dall’ascesa al degrado. Trent’anni nel gruppo Finsider. Conversazioni con Ruggero Ranieri, Il Mulino, Bologna, 1993; G. SCHACHTER, “Politiche alternative di sviluppo per il Mezzogiorno”, in M.ANNESI,P. BARUCCI, E G.G.DELL’ANGELO, (a cura di), Studi in onore di Pasquale Saraceno, Milano, Giuffrè, 1975; SARACENO P.,“I divari di sviluppo economico nella progettata Comunità a Dodici”, in S. CAFIERO,(a cura di), Il Mezzogiorno nelle politiche nazionali e comunitarie. Contributi della SVIMEZ alla “Giornata del Mezzogiorno” (Bari 1969-1979), Giuffrè, Milano, 1982; L.SENN,“La politica di sviluppo per poli nel Mezzogiorno d’Italia: criteri per un bilancio dell’esperienza”, in R.BRANCATI,P.COSTA,V. FIORE,(a cura di), Le trasformazioni del Mezzogiorno, Franco Angeli, Milano, 1988.

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economicamente arretrate del mezzogiorno (caratteristica che presentava la stessa area di Taranto).

Nel determinare il governo italiano a conferire l’incarico all’IRI di realizzare la costruzione ex novo del IV Centro siderurgico proprio a Taranto (invece che in altre città che presentavano addirittura caratteristiche localizzative migliori: ad esempio, Piombino dove il preesistente impianto avrebbe potuto essere ampliato) ha avuto un ruolo anche l’entrata in vigore della legge 29 luglio 1957 n. 634 (rubricata “Provvedimenti per il Mezzogiorno”) che perseguiva specificamente l’obiettivo di favorire la localizzazione delle nuove imprese nelle aree depresse del meridione italiano utilizzando lo strumento delle agevolazioni economiche e fiscali. Taranto rientrava, a pieno titolo, tra le aree che avrebbero dovuto beneficiare della normativa di favore, perché all’epoca si trovava a fronteggiare una situazione di crisi occupazionale e produttiva, la cui causa era da individuare nella contrazione nel volume delle attività dell’arsenale militare e dei cantieri navali che fino ad allora avevano, invece, rappresentato la principale forza trainante dell’economia locale.

La posa della prima pietra, che segna l’inizio dei lavori di costruzione dello Stabilimento, risale al 9 luglio 1960, mentre l’attività produttiva comincia nel 1964, quando viene messo in funzione il primo altoforno159.

In esecuzione del “secondo grande programma di espansione” che interessa la siderurgia in Italia, negli anni dal 1959 al 1970-71, lo Stabilimento sarà ampliato, anche con lavori di notevole rilevanza sulle infrastrutture portuali e viarie, nella prospettiva di aumentare la competitività internazionale dell’industria nazionale mediante l’aumento delle capacità produttive dei singoli impianti e la specializzazione in alcune tipologie di produzioni160.

Il c.d. “raddoppio” estenderà la superficie complessiva dello Stabilimento ad una dimensione (15000 m2) pari a circa due volte l’estensione della stessa città di Taranto, con effetti anche sulla capacità produttiva che raggiungerà la quota di 11,5 milioni di tonnellate di acciaio grezzo all’anno161.

Il caso di Taranto rappresenta un esempio di politica economica basata sulla creazione di poli di sviluppo applicata al Meridione italiano162.

Per quanto si possa ritenere che non siano state realizzate completamente le potenzialità del modello, l’iniziativa tarantina ha comunque fatto registrare risultati positivi, dimostrando la capacità di traino dell’industria di base rispetto allo sviluppo del territorio provinciale (che ha avuto, almeno nella fase iniziale, un trend di crescita sia

159 Nel 1961 la proprietà dello Stabilimento viene trasferita ad Italsider.

160 In particolare, sulla seconda fase del programma di sviluppo della siderurgia italiana v. M.BALCONI,

La siderurgia italiana (1945-1990). Tra controllo pubblico ed incentivi di mercato, Bologna, Il Mulino, 1991, 129 ss.

161 Nel 1968 il Cipe aveva deliberato un primo potenziamento dell’attività produttiva del sito (consentendo

la costruzione di nuovi impianti e il miglioramento di quelli già esistenti) che così aveva acquisito una capacità di oltre 4,5 milioni di tonnellate l’anno.

162 Per un’analisi del modello di sviluppo incentrato sulla strategia dei “poli” e nello specifico di quello

costruito a Taranto si rinvia a E. CERRITO, La politica dei poli di sviluppo nel Mezzogiorno. Elementi per una prospettiva storica, in Quaderni di Storia Economica, 2010, Giugno, 3.

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sotto il profilo occupazionale che sotto il profilo dell’aumento della popolazione residente).

La stessa città di Taranto ha modificato il proprio modello di sviluppo: da una vocazione prettamente agricola della popolazione attiva occupata si passati al settore terziario e in particolare a quello industriale. Naturalmente a fianco degli effetti positivi si sono riscontrati anche degli effetti negativi (in questa sede si fa riferimento esclusivamente ai profili propriamente economici, escludendo quelli attinenti alla tutela dell’ambiente e della salute). Tali effetti negativi, in parte, riguardano la scelta di programmare uno sviluppo industriale mono-settoriale che ha parzialmente pregiudicato la crescita (o addirittura l’esistenza) delle altre industrie sul territorio che hanno avuto difficoltà a collegarsi con la produzione dell’acciaio. La mancanza di un’adeguata e coerente pianificazione urbanistica (almeno nel corso dei primi decenni di attività) ha reso più complesso il coordinamento della presenza dello stabilimento industriale con il tessuto urbano in cui si è inserito (nonostante che per dimensione rivaleggi con l’ambito cittadino)163.

Dalla ricostruzione sopra delineata, emerge chiaramente la circostanza che il decisore politico, tra la fine degli anni ‘50 e l’inizio del decennio successivo, ha concentrato l’attenzione in via prioritaria (se non esclusiva) in ordine al soddisfacimento delle esigenze di promozione del progresso economico e del rilancio di specifiche aree del territorio nazionale particolarmente depresse. In altri termini non ci si è posta la questione del coordinamento di tali obiettivi con altre esigenze come quella della tutela dell’ambiente, della protezione della salute e dell’equità; elementi che invece saranno le fondamenta per l’edificazione del concetto di “sostenibilità” dello sviluppo. In questa prospettiva, è sintomatico il fatto che la stessa costruzione dello Stabilimento è avvenuta sulla base di un semplice titolo edilizio che è stato rilasciato in un contesto amministrativo caratterizzato dall’assenza di strumenti di valutazione preventiva degli impatti derivanti dallo svolgimento dell’attività produttiva.

La circostanza che nella prima fase dell’avvio del progetto siderurgico di Taranto il decisore politico non abbia considerato il tema del bilanciamento dell’interesse economico con gli altri interessi costituzionalmente rilevanti rappresenta un dato coerente con il ritardo con il quale viene assunto l’interesse ambientale nella sfera politica: almeno fino alla metà del decennio degli anni ‘70, infatti, la tutela dell’ambiente non veniva ancora percepito come un valore autonomo dalla collettività164.

163 Cfr. E. CERRITO, La politica dei poli di sviluppo nel Mezzogiorno. Elementi per una prospettiva storica,

in Quaderni di Storia Economica, 2010, Giugno, 3, 16.

164 Per un’analisi del modello di sviluppo incentrato sulla strategia dei “poli” e nello specifico di quello

costruito a Taranto si rinvia a E. CERRITO, La politica dei poli di sviluppo nel Mezzogiorno. Elementi per una prospettiva storica, in Quaderni di Storia Economica, 2010, Giugno, 3.

82 4. La fase della proprietà “pubblica” dello Stabilimento Ilva (dal 1960 al 1995): l’approccio settoriale alla regolazione dell’attività industriale si riflette sulla tutela dell’ambiente e della salute

La prima fase della vita dello stabilimento risulta caratterizzata dalla presenza del potere pubblico nell’iniziativa industriale. Sul piano cronologico, in questa fase possono distinguersi alcuni sotto-periodi: un primo periodo dalle origini dello stabilimento fino al c.d. “raddoppio” (quando nell’ambito del rilancio complessivo del settore siderurgico si decide di estendere l’acciaieria quasi triplicandone la dimensione); un secondo periodo dal completamento del c.d. “raddoppio” alla flessione del settore negli anni 80 (in cui si registra una drastica riduzione del numero di occupati che all’inizio degli anni ‘90, si erano ridotti a quasi la metà del decennio precedente)165; ed,

infine, un ulteriore e ultimo periodo che si conclude con la cessione all’imprenditoria privata a causa della gravi crisi finanziaria che interessava la Società.

Nella prospettiva dell’indagine sulle operazioni di bilanciamento degli interessi primari e comprimari nella tutela dell’ambiente il periodo, in cui l’attività siderurgica è rimasta sotto il controllo statale, si caratterizza per l’assenza di un’azione organica ed effettiva da parte dell’amministrazione pubblica (che è rimasta prevalentemente di livello locale – comune e provincia – fino alla istituzione delle Regioni e del Ministero dell’Ambiente), alla quale sono mancati (almeno durante i primi anni della produzione) gli strumenti per assicurare un’adeguata protezione della salute dei cittadini di Taranto e delle matrici ambientali rispetto alle conseguenze negative dell’esercizio dello Stabilimento. La prima normativa in materia di emissioni in atmosfera viene, infatti, emanata soltanto nel 1966 (anche se poi la sua concreta applicazione è stata posticipata a causa del ritardo nell’adozione dei decreti attuativi), mentre la legge c.d. “Merli” per la tutela delle acque dall’inquinamento risale al 1976166.

165 In particolare, in questa fase, a seguito del peggioramento delle condizioni del mercato siderurgico, la

Società Italsider registra una crisi di liquidità che viene resa ancora più grave dal fatto di avere impegnato notevole risorse nel raddoppio dello Stabilimento di Taranto. La perdurante situazione di squilibrio finanziario porta, infine, alla decisione dell’IRI di disporre la liquidazione volontaria dell’Italsider, all’esito della quale le partecipazioni vengono trasferite alla ricostituita Società Ilva nel 1988.

166 La c.d. legge Merli (abrogata con l’entrata in vigore del d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152 a sua volta

successivamente confluito nel d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152) basava il sistema di controllo dell’inquinamento su due pilastri: a) l’obbligo di presentare domanda di autorizzazione prima di attivare qualsiasi nuovo scarico; b) il rispetto di limiti di accettabilità predeterminati relativi alle acque di scarico (si trattava principalmente degli scarichi provenienti da insediamenti produttivi. Il regime dei limiti tabellari, tuttavia, è stato esteso in via giurisprudenziale a partire dall’inizio degli anni 90 anche agli scarichi civili e a quelli delle pubbliche fognature); c) il rinvio alla normativa regionale per quanto concerne la disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature. La legge si proponeva di stabilire in tutto il territorio nazionale un’unica disciplina degli scarichi, basata sulla prescrizione per gli stessi dei limiti di accettabilità previsti nelle tabelle A, B e C allegate. A garanzia del rispetto di tali limiti, si prevedeva, in via generale, l’obbligo di autorizzazione per tutti gli scarichi (v. art. 9, commi primo e ottavo). Nella nozione di scarico veniva ricompreso qualsiasi versamento di reflui, a prescindere dagli scopi perseguiti, dalle modalità dalla frequenza con cui veniva effettuato, perché ciò che rileva per il legislatore è il risultato, ovvero l’attivazione di uno sversamento di reflui (v. Cassazione penale, sez. III, 14 aprile 1995). La disciplina per gli scarichi poteva, comunque, avere contenuto diverso con riferimento: aa) alla natura degli scarichi (civili, produttivi o delle pubbliche fognature); bb) al

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La struttura interna del corpus normativo si rivela comunque sintomatica di un approccio frammentato da parte del legislatore, che ancora non ha maturato la sensibilità necessaria ad elaborare discipline ambientali che si muovano in una prospettiva “olistica”; prospettiva che sia in grado di ricomprendere contemperandole reciprocamente sia le istanze connesse allo sviluppo economico sia la tutela di valori primari come l’ambiente e la salute167.

Nel contesto istituzionale e normativo che connota i primi decenni di produzione, le istanze della collettività locale di tutela soprattutto sanitaria, che emergono in parallelo al progressivo formarsi della coscienza ambientale, vengono raccolte e mediate dalle iniziative dell’autorità giudiziaria penale, posto che il ridotto potere di intervento da parte dell’Amministrazione (non ancora dotata degli strumenti giuridici e delle conoscenze scientifiche necessarie).

4.1 Le emissioni in atmosfera causate dall’attività industriale: quali strumenti di

tutela dall’inquinamento? L’intervento del legislatore (dalla legge 13 luglio 1966 n. 615 al d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203) e quello “suppletivo” della magistratura

La compromissione della qualità dell’aria atmosferica dovuta all’attività dell’acciaieria, come noto, ha costituito (e purtroppo ancora adesso continua a costituire) una delle più gravi “esternalità negative” che riguardano l’area urbana di Taranto, soprattutto, in ragione degli effetti avversi che è in grado di causare sulla salute umana. Nelle vicende relative all’Ilva di Taranto, dunque, il problema dell’inquinamento atmosferico rappresenta il campo d’azione più rilevante per il bilanciamento, da un lato, delle esigenze connesse alla prosecuzione della produzione (iniziativa economica e mantenimento di determinati livelli di occupazione) e, dall’altro, con quelle della tutela dell’ambiente e della protezione della salute.

In questa prospettiva, occorre verificare non soltanto la natura degli strumenti di regolazione del fenomeno dell’inquinamento atmosferico predisposti dall’ordinamento ma anche l’identità e le finalità che hanno guidato l’azione dei soggetti che se ne sono avvalsi nello svolgimento dei rispettivi compiti istituzionali.

4.1.1 La legge n. 615 del 1966 c.d. legge “anti smog”

Ad appena un anno di distanza dall’inaugurazione ufficiale dello Stabilimento di Taranto da parte del Presidente della Repubblica, e ormai quando parte dell’attività

momento della loro apertura (scarichi nuovi o esistenti, a seconda che fossero stati attivati anteriormente o successivamente all’entrata in vigore della legge il 13 giugno 1976); cc) al recapito dello scarico (acque, suolo, fognature).

167 In questo contesto si inserisce anche la legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (legge 23

dicembre 1978, n. 833) che aveva attribuito alle unità sanitaria locale l’esercizio (mediante i Presidi multizonali di prevenzione – PMP) delle competenze di controllo e vigilanza in materia di igiene dell’ambiente. Competenza che è stata successivamente (per effetto del referendum del 1993) trasferita con la legge 21 gennaio 1994, n. 61 alle Agenzie regionali per l’ambiente.

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produttiva era già iniziata da qualche tempo, entra in vigore una normativa in materia di tutela dall’inquinamento atmosferico dovuto alle emissioni di sostanze nocive168.

La legge 13 luglio 1966 n. 615 (c.d. legge “anti smog”), rappresenta il primo intervento da parte del legislatore in materia ambientale, e non soltanto in tale specifico settore169; intervento, che ancora risente dello stato embrionale in cui versa la riflessione sull’autonomia concettuale e giuridica dell’ambiente rispetto ad altri valori costituzionali.

Ciò è reso evidente dalla circostanza che nella scelta del bilanciamento tra gli interessi coinvolti il legislatore non prende in considerazione anche l’ambiente in quanto tale (e neppure l’equilibrio ecologico che ne sta invece alla base): la disciplina ha, infatti, quale principale obiettivo la tutela, da un lato, della salute pubblica, e, dall’altro, quella della proprietà (indipendentemente dalla sua natura pubblica o privata).

La tutela della componente ambientale si ottiene, dunque, per così dire, “di riflesso” rispetto all’esigenza di garantire altri “beni” (la salute e la proprietà) da potenziali pregiudizi170.

La stessa definizione della nozione giuridica di “inquinamento atmosferico” riportata nel testo della legge traduce, in diritto positivo, tale impostazione, laddove chiarisce che per “inquinamento atmosferico” si intente l’ «emissione in atmosfera di

fumi, polveri, gas e odore di qualsiasi tipo atti ad alterare le normali condizioni di salubrità dell’aria e di costituire pertanto pregiudizio diretto o indiretto alla salute dei cittadini e danno ai beni pubblici o privati».

168 Pe un inquadramento della tematica relativa all’inquinamento atmosferico, si rinvia a: P.BISCARETTI

DI RUBBIA –PERINI GOLDA –G.PASTORI (a cura di ), Gli inquinamenti atmosferici, Milano, Neri Pozza,