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La prima autorizzazione integrata ambientale dell’Ilva: il decreto direttoriale 4 agosto

Il 2011 segna l’anno in cui l’attività dello stabilimento Ilva viene assoggettata per la prima volta alla disciplina dell’autorizzazione integrata ambientale, circostanza che sancisce definitivamente il passaggio da una forma di regolazione basata su autorizzazioni settoriali rilasciate da distinte autorità amministrazione ad una regolazione, invece, definita nell’ambito di un’unica sede procedimentale attraverso un solo provvedimento.

327 Sulla latitudine del sindacato del giudice amministrativo in materia di valutazioni ambientali la

giurisprudenza è tendenzialmente univoca, infatti, nel ritenere che «il carattere ampiamente discrezionale, che connota la valutazione di impatto ambientale per la pluralità, ampiezza e varietà degli interessi pubblici coinvolti, in parte tra di loro confliggenti, ancorché escluda un sindacato di merito, non osta ad un sindacato di legittimità pieno, da intendersi cioè nel senso che, pur non potendo il giudice amministrativo sostituirsi all’amministrazione (in quanto siffatto potere è proprio soltanto della giurisdizione di merito), detto sindacato non si esaurisce in un esame meramente estrinseco e formale della valutazione discrezionale, secondo i noti parametri di logicità, congruità e completezza dell’istruttoria, ben potendo invece estendersi anche alla esatta valutazione del fatto, secondo i parametri della disciplina nella fattispecie rilevante, ove in concreto verificabile (Cons. St., sez. V, 22 settembre 2014, n. 4775)» (in questi termini, Cons. St., Sez. V, 23 marzo 2015, n. 1564).

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Il percorso che ha portato al rilascio dell’AIA, con il decreto ministeriale prot. DVA DEC-2011-0000450 del 4 agosto 2011328, si rivela particolarmente complesso e

articolato, come dimostra il fatto che si sia protratto per 1618 giorni ovvero circa dieci volte la durata del termine ordinario per la conclusione del procedimento329.

La complessità del procedimento (iniziato con la presentazione dell’istanza di AIA il 28 febbraio 2007) può trovare spiegazione, da un lato, con la gravosità degli accertamenti istruttori resi indispensabili dalle dimensioni dello stabilimento Ilva e, dall’altro, tanto con il ritardo con cui l’ordinamento italiano si è adeguato alla normativa europea in materia, quanto con la necessità di modulare l’organizzazione amministrativa in senso coerente con le specificità del caso di Taranto.

In primo luogo, l’attività istruttoria degli organi tecnici dell’amministrazione (in particolar modo della Commissione IPPC) è stata resa molto impegnativa dalla mole di valutazioni che hanno dovuto riguardare uno stabilimento estremamente complesso soprattutto sotto il profilo più marcatamente impiantistico e dimensionale (si ricorda che, a valle del raddoppio operato negli anni ‘70, gli impianti occupavano un’area con estensione in grado di rivaleggiare addirittura con quella dell’area cittadina). La dimostrazione di ciò si rinviene all’interno del parere istruttorio conclusivo che si compone di poco meno che mille pagine (a cui si deve aggiungere anche quello reso sulla centrale termoelettrica).

In secondo luogo, anche la strutturale lentezza con cui l’Italia si era adeguata alla normativa europea aveva giocato un ruolo nel determinare il prolungamento delle attività di valutazione. Il procedimento è stato iniziato nella vigenza del d.lgs. n. 59 del 2005 e concluso secondo tale disciplina anche se tale decreto medio tempore era stato

328 Il decreto del Ministro dell’Ambiente con cui si rilasciata l’AIA alla Società Ilva si compone di 9

articoli ai quali si aggiunge il Parere istruttorio conclusivo della Commissione IPPC insieme al piano di monitoraggio e controllo predisposto da Ispra.

329 La sequenza cronologica degli eventi più rilevanti che hanno condotto al rilascio dell’AIA può

ricostruirsi nel modo seguente: il 28 febbraio 2007 la Società Ilva presenta l’istanza di avvio del procedimento; il 20 giugno 2007 il Ministero attiva il procedimento; il 7 luglio 2008 avviene la costituzione del gruppo istruttore della Commissione IPPC; il 16 ottobre 2008 viene rinnovata la composizione del gruppo istruttore; il 3 settembre 2008 Ilva comunica che – a causa del mancato rilascio dell’AIA – provvederà all’esecuzioni di interventi per adeguare alle BAT alcuni impianti dello Stabilimento; la partecipazione del pubblico al procedimento interviene regolarmente (vengono presentati 23 documenti); il 16 dicembre 2010 la Commissione IPPC rende il parere istruttorio per la centrale termoelettrica dell’Ilva; il 4 novembre 2011 l’Ilva presenta le proprie osservazioni a tale parere; il 22 febbraio 2011 si tiene la conferenza di servizi che il 24 febbraio successivo richiede integrazioni al gestore Ilva; il 28 febbraio 2011 Ilva trasmette le integrazioni richieste; il 27 maggio 2011 la Commissione AIA- IPPC trasmette il proprio parere istruttorio; il 23 giugno 2011 Ilva formula le proprie osservazioni al parere istruttorio della Commissione AIA-IPPC; il 2 luglio 2011 il Nucleo dei NOE dei Carabinieri di Taranto segnala – anche al Ministero dell’Ambiente – la presenza di irregolarità nella gestione dello Stabilimento Ilva; il 4 luglio 2011 la Giunta regionale della Regione Puglia adotta la delibera n. 1504 con cui esprime parere favorevole con prescrizioni al rilascio dell’AIA in favore dell’Ilva; il 5 luglio 2011 si tiene l’ultima conferenza dei servizi (a cui partecipano oltre al Ministero dell’Ambiente, la Regione Puglia, gli enti locali interessati, l’Arpa Puglia e l’Ispra) che delibera di esprimere parere favorevole al rilascio dell’autorizzazione integrata; il 20 luglio 2011 la Commissione AIA-IPPC trasmette il proprio parere istruttorio conclusivo insieme al Piano di Monitoraggio e Controllo predisposto da Ispra; il 4 agosto 2011 il Ministro dell’Ambiente adotta il decreto che approva l’AIA.

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sostituito dal Titolo II bis, Parte seconda, del d.lgs. n. 152 del 2006330. In questo intervallo di tempo era intervenuta anche la contestazione dell’inadempimento agli obblighi di recepimento della direttiva IPPC da parte della Commissione; contestazione che aveva portato alla condanna dell’Italia per la mancata adozione delle misure normative necessarie a consentire alle autorità amministrative di verifica il rispetto della disciplina europea sulla valutazione da parte degli impianti interessati. La sentenza di condanna pronunciata nel marzo 2011 può, senza dubbio, aver determinato nell’amministrazione ministeriale la volontà di addivenire in tempi stretti alla conclusione dell’iter per l’Ilva (circostanza che si è verificata di lì a poco nel successivo mese di agosto 2011)331.

Infine, la presenza di una pluralità di impianti industriali ricadenti all’interno della stessa porzione di territorio dell’area urbana di Taranto intervenire sul piano dell’organizzazione amministrativa con strumenti per una miglior valutazione contestuale degli effetti prodotti dalle attività industriali sull’ambiente. A tale fine, come in precedenza rilevato, nel 2008 era stato concluso uno specifico Accordo di programma per la gestione unitaria dei procedimenti diretti al rilascio dell’autorizzazione agli stabilimenti finalizzato a semplificare l’acquisizione delle informazioni rilevanti per la valutazione ambientale.

Nell’ambito dell’accordo si era anche istituita un’apposita figura che avrebbe dovuto presiedere al coordinamento dell’iter istruttorio (in particolar modo, per l’acquisizione degli elementi conoscitivi idonei ad una valutazione integrata soltanto degli impatti del singolo impatto ma anche di quelli delle altre attività industriali considerata l’unicità del contesto).

In relazione all’oggetto della presente indagine, occorre far riferimento, in modo specifico, soltanto a quegli aspetti del procedimento per la valutazione ambientale rilasciata all’Ilva nell’agosto 2011 che costruiranno i presupposti per i successivi sviluppi della vicenda.

In questa prospettiva si deve avere riguardo, da un lato, alle modalità con cui l’autorizzazione ha recepito il contributo partecipativo offerto sia dalla Regione Puglia sia dal Nucleo operativo dei Carabinieri, e, dall’altro, agli aspetti critici non risolti dalle disposizioni contenute nell’AIA con particolare riguardo alla regolamentazione dell’attività industriale dell’Ilva nell’Area a caldo; ciò perché tali aspetti hanno dato luogo sia a un contenzioso davanti al giudice amministrativo sia giustificato anche l’intervento da parte della magistratura penale.

330 Su questo profilo, v. Cons. St., sez. II, parere 3 luglio 2013, n. 4212.

331 Con la sentenza della Settima sezione la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (in causa C-50/2010)

aveva infatti era venuta meno agli obblighi ad esse incombenti in forza dell’art. 5, n.1, della direttiva 2008/1/CE «non avendo adottato le misure necessarie affinché le autorità competenti controllino, attraverso autorizzazioni rilasciate a norma degli artt. 6 e 8 della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 15 gennaio 2008, 2008/1/CE, sulla prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento […], ovvero, nei modi opportuni, mediante il riesame e, se del caso, l’aggiornamento delle prescrizioni che gli impianti esistenti ai sensi dell’art. 2, punto 4, di tale direttiva funzionino secondo i requisiti di cui agli artt. 3, 7, 9, 10, 13, 14, lett. a) e b), 15, n. 2, della medesima».

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Sotto il primo profilo, rileva la circostanza che la Regione Puglia aveva espresso parere favorevole condizionato all’imposizione al gestore di una serie di prescrizioni dirette a garantire il soddisfacimento dell’esigenza di protezione della salute della popolazione (soprattutto tarantina). L’assenso all’adozione dell’AIA da parte regionale era stato subordinato alla richiesta che il Ministero prevedesse cautele aggiuntive per mantenere sotto controllo l’emissione in atmosfera delle sostanze inquinanti (diossine e benzo(a)pirene) già oggetto di interventi normativi regionali: al gestore si sarebbe dovuta imporre l’installazione di una strumentazione apposita per il controllo in continuo delle emissioni e si sarebbe dovuta prevedere la possibilità di riesaminare le condizioni di autorizzazione tanto all’esito degli accertamenti in esecuzione del Piano di risanamento dell’aria di Taranto del 2010 quanto all’esito del completamento delle valutazioni ambientali relative agli altri impianti presenti nell’area tarantina (soprattutto in considerazione del fatto che la capacità produttiva massima dell’Ilva autorizzata nel PIC era stata aumentata fino a 15 Mt/a rispetto alle 10 Mt/a precedenti). Quanto richiesto dalla Regione veniva recepito dal MATTM all’interno del decreto AIA anche se il carattere immediatamente cogente di alcune prescrizioni (ad esempio, quella sul monitoraggio in continuo) veniva stemperato, rinviandone l’attuazione concreta a un momento successivo a valle di ulteriori valutazioni tecniche332.

L’intervento del NOE dei Carabinieri è altrettanto significativo così come la valutazione che ne viene fatta dal Ministero dell’Ambiente. A pochi giorni dall’ultima conferenza di servizi propedeutica al rilascio dell’AIA333, infatti, i Carabinieri inviano

una nota (indirizzata tanto al Ministero dell’Ambiente quanto agli altri enti coinvolti e alla Procura della Repubblica di Taranto) diretta a segnalare il riscontro – a seguito di sopralluogo presso lo stabilimento Ilva – di alcune violazioni nella gestione degli impianti che addirittura – a giudizio dell’organo – avrebbe potuto giustificare il sequestro degli stessi al fine di garantire una migliore tutela dei beni costituzionali della salute e dell’ambiente.

La rilevanza di quanto segnalato veniva però da parte del Ministero circoscritta temporalmente ad una fase anteriore al rilascio dell’AIA con la conseguenza che in sede di primo rilascio non si avrebbe avuto necessità di tenerne conto. La questione avrebbe dovuto essere affidata agli enti competenti per il rilascio delle precedenti autorizzazioni settoriali. In ogni caso, se non poteva incidere direttamente sul contenuto dell’AIA in corso di approvazione, il Ministero avrebbe comunque provveduto dopo l’AIA a verificare il merito dei rilievi contenuti nella nota eventualmente disponendo il riesame dall’autorizzazione per tenere conto degli esiti.

332 Come risulta infatti alla pag. 12 del decreto 4 agosto 2011 il Ministero richiedeva al gestore

l’istallazione di un sistema di monitoraggio in continuo ma né rinvia la concreta messa in opera all’esito dei lavori istruttori di un apposito tavolo tecnico.

333 Come riportato in precedente la CdS si è tenuta il 5 luglio 2011 mentre la comunicazione dei Carabinieri

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Di qui, emerge come fosse prioritario nell’Amministrazione ministeriale l’esigenza di addivenire in tempi ristretti alla conclusione dell’iter autorizzatorio effettuando anche scelte di bilanciamento basate sul metodo della procrastinazione.

Sotto il secondo profilo, non si può non rilevare la profonda complessità sul piano tecnico delle valutazioni alla base della scelta del punto di equilibrio definito nell’AIA che è in grado di spiegare anche la presenza di alcuni elementi di criticità rispetto all’esigenza di una più completa tutela della salute soprattutto riguardanti la regolazione delle attività dell’Area a caldo dello stabilimento.

Da parte delle associazioni ambientaliste, in particolare, veniva contestata la carenza del quadro prescrizionale334 in ragione: a) della mancata previsione di modalità di rilevamento in continuo degli inquinanti; b) dell’assenza di una rete di monitoraggio esterno dell’area della cokeria né di un impianto di abbattimento delle emissioni; c) della mancata predisposizione di un sistema di copertura dei Parchi minerali (per i quali, in continuità con i precedenti atti d’intesa, si prevedeva soltanto un barrieramento al perimetro dello stabilimento); d) dell’assenza di misure per contrastare il fenomeno dello slopping335.

La mancanza di strumenti specifici per il monitoraggio in continuo e il controllo delle emissioni acquisiva una consistenza ancora più grave in relazione al fatto che l’autorizzazione, in questo modo, dimostrava di non aver preso in considerazione anche le emissioni in atmosfera a carattere diffuso (e cioè quelle non convogliate attraverso camini) che pure rappresentavano una notevole fonte di inquinamento. E infatti l’AIA disciplinava le emissioni convogliate precisando, all’art. 1, punto 3, (“Limiti di emissione e prescrizioni per l’esercizio”) del decreto ministeriale, che «Tutte le

emissioni e gli scarichi non espressamente citati si devono intendere non ricompresi nell’autorizzazione».

L’equilibrio stabilito dall’AIA è stato oggetto di rilievi critici anche da parte della Società Ilva a cui era stata rilasciata l’autorizzazione, che ne ha infatti impugnato numerose prescrizioni davanti al TAR Puglia.

L’esame del procedimento giurisdizionale che ha definito l’impugnativa presentata da Ilva si rivela interessante sotto almeno due profili: il primo attiene alla concomitanza cronologia delle pronunce del TAR rispetto ad altri eventi nodali della vicenda in esame di cui viene a rappresentare un presupposto; il secondo, attiene, invece, al piano più strettamente processuale del sindacato esercitato dal TAR sulle prescrizioni contestate.

Da un primo angolo visuale, la rilevanza del giudizio attivato da Ilva emerge con evidenza se si considera che la fase cautelare e quella di merito hanno coinciso con

334 L’autorizzazione integrata del 4 agosto 2011 è stata impugnata dall’associazione WWF con ricorso

straordinario che è stato in parte dichiarato inammissibile e in parte respinto (v. Cons. St., parere 3 luglio 2013, n. 4212.

335 A. BONELLI, Good morning diossina, Taranto un caso italiano ed europeo, Green European

Foundation, 2015, 110. Il fenomeno dello slopping, in particolare, consiste nella tracimazione di schiume prodotte dalle scorie eliminate durante il processo di affinazione della ghisa (e avviene all’interno dell’ “Area acciaieria”).

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altrettante fasi cruciali del procedimento penale che si è svolto in parallelo all’attività amministrativa di regolazione: l’ordinanza cautelare, infatti, veniva pronunciata poco dopo che aveva avuto luogo l’incidente probatorio nell’ambito del quale venivano esposti gli esiti delle perizie epidemiologica e chimica disposte dal GIP di Taranto336; la sentenza, inoltre, veniva depositata in cancelleria pochi giorni prima del sequestro preventivo, senza facoltà d’uso, dell’area a caldo disposto dallo stesso GIP337. La

concomitanza sotto l’aspetto cronologico riguarda anche il piano dell’azione amministrativa, dal momento che la pronuncia cautelare con cui il TAR sospendeva l’efficacia di alcune prescrizioni dell’AIA viene indicato dal Ministero dell’Ambiente come uno dei presupposti per l’attivazione del procedimento di riesame dell’autorizzazione.

Quanto sopra dimostra come, nella vicenda Ilva, le azioni degli attori istituzionali a vario titolo coinvolti nella gestione della questione ambientale tendono a sovrapporsi e finanche ad interagire in una dialettica azione – reazione.

Da un altro angolo visuale, occorre verificare se il TAR innova o meno il modello di sindacato sulle valutazioni espresse dall’Amministrazione in sede di autorizzazione integrata ambientale che è stato ricostruito nel paragrafo precedente.

L’esame sia dell’ordinanza cautelare338 sia della sentenza339 dimostrano come il

potere del giudice sia utilizzato per sindacare la completezza e coerenza dell’attività istruttoria espletata dall’Amministrazione anche accedendo all’analisi del fatto ma non si spinga a sostituire con le proprie le scelte di bilanciamento effettuate nel provvedimento340.

336 La pronuncia cautelare veniva resa il 9 marzo 2012 mentre l’incidente probatorio si svolgeva il 17

febbraio 2012.

337 La sentenza anticipa di circa quindi giorni il sequestro preventivo (la prima è depositata infatti l’11

luglio 2012 mentre il secondo viene adottato il 26 luglio seguente)

338 Tar Puglia, Lecce, ordinanza 9 marzo 2012, n. 201. 339 Tar Puglia, Lecce, sentenza 11 luglio 2012, n. 1187.

340 Il TAR Puglia ha pertanto ritenuto illegittime: «1) le prescrizioni contenute alla pag. 832 del citato

parere istruttorio e a pag. 19 del piano di monitoraggio e controllo in materia di obbligo di installazione di sistemi di abbattimento dedicato alle emissioni di macro e micro inquinanti; 2) la prescrizione inserita a pag. 926 del parere istruttorio al paragrafo 4.1 sul monitoraggio degli scarichi idrici di cui al piano di monitoraggio e controllo, laddove è prevista la realizzazione di uno studio di fattibilità finalizzato all’abbattimento del parametro selenio; 3) la prescrizione relativa alla limitazione all’uso del rottame esterno da avviare al recupero, con riguardo solo all’obbligo di avviare a recupero un minimo del 60% di rottame proveniente da processi interni allo stabilimento; 4) la prescrizione del parere istruttorio che pone a carico dell’esecutore, un diverso e più gravoso contenuto dell’obbligo di monitorare gli scarichi poiché incerto quanto ai tempi di esecuzione e alle modalità unitamente con le altre prescrizioni che evidenziano divergenze con il parere istruttorio e che concernono le emissioni in atmosfera, nonché alle prescrizioni che impongono oneri di progettazione e installazione di sistemi e, infine, a tutte le prescrizioni riguardanti risorse inserite nel piano di monitoraggio e controllo di cui è illegittima la stessa tabella riferita genericamente ai limiti AISA; 5) le prescrizioni riguardanti le attività di recupero ambientale; 6) le prescrizioni del piano di monitoraggio e controllo relative a vari profili non valutati dalla commissione AIA-IPPC» (la sintesi delle censure accolte con la precisazione delle prescrizioni annullate è tratta dal parere del Consiglio di Stato, 3 luglio 2013, n. 4212, che si è pronunciato sul ricorso straordinario del WWF anch’esso diretto a contestare l’illegittimità del provvedimento di AIA del 2011).

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La struttura motivazionale della sentenza ruota intorno alla verifica dell’indeterminatezza e genericità delle prescrizioni nonché alla loro contraddittorietà risposto agli atti dell’istruttoria.

Ciò si riscontra in modo paradigmatico con riguardo alla delicata contestazione delle prescrizioni relative alla prevenzione e al controllo delle emissioni di sostanze inquinanti in atmosfera341: in particolare, ci si riferisce alla richiesta di installazione di sistemi di abbattimento dedicati alle emissioni di microinquinanti ed alla previsione di un sistema di campionamento in continuo della diossina nelle emissioni convogliate nel camino E312.

In relazione alla prima prescrizione, il TAR non considerava ragionevole il punto di bilanciamento individuato dall’AIA, nella parte in cui, da un lato, richiedeva al gestore il rispetto di valori limite di emissione all’uscita dei camini (in alcuni punti fissati tenendo conto delle BAT anche a un livello inferiore di quello previsto dal d.lgs. n. 152 del 2006), e, dall’altro, richiedeva l’adozione di non precisate misure per abbattere le emissioni di macro e micro inquinanti. L’irragionevolezza – declinata in termini di non giustificabilità – consisteva nell’aver imposto un aggravamento degli oneri di esercizio dell’attività (dovuto all’installazione degli strumenti per l’abbattimento) in modo indeterminato ovvero senza l’indicazione delle soluzioni tecniche da adottare contravvenendo così al principio per cui il titolo autorizzatorio deve contenere l’indicazione specificazione del contenuto degli obblighi che vengono imposti al gestore, in quanto altrimenti l’Amministrazione abdicherebbe al ruolo di conformazione dell’attività industriale con il rischio di potenziali pregiudizi per gli interessi protetti dovuti alle soluzioni meno cautelative scelte in autonomia dal privato (v. punto 1.4 della sentenza).

In relazione alla seconda prescrizione, emerge l’altro polo su cui è costruito l’impianto della sentenza ovvero il rilievo della illegittimità per l’esistenza di un contrasto tra quanto prescritto all’interno del parere istruttorio conclusivo (PIC) della Commissione AIA-IPPC e quanto invece previsto nel Piano di Monitoraggio e Controllo (PMC) redatto da Ispra. In un caso, si prescriveva l’obbligo di redigere uno studio di fattibilità mentre, nell’altro, veniva richiesta direttamente l’installazione di meccanismi tecnici per il campionamento in continuo delle emissioni.

Rilevata la contraddittorietà tra le prescrizioni contenute nel PIC da un lato e nel PMC dall’altro, il TAR non ha potuto far altro che annullare la prescrizione perché il