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L'occupazione acquisitiva: storia di un istituto

1. Le occupazioni illegittime dei beni immobili privati da parte della pubblica amministrazione.

1.3. La giurisprudenza successiva alle Sezioni unite del 1983 Le Sezioni unite 1987 e 1988.

1.3.2. La posizione della Corte costituzionale.

La Corte costituzionale è il giudice delle leggi chiamato a sindacare la loro conformità alla Costituzione, per questo semplice motivo l'istituto dell'occupazione acquisitiva è stata sottoposta all'attenzione della Corte solo quando alcuni interventi normativi hanno recepito la fattispecie pretoria.

141 Sez. Un., 25 novembre 1992, n. 12546, in Foro it., p. 87.

142 G. DE MARZO, Le sezioni unite e l'occupazione espropriativa, ovvero come (far finta di) metter le cose a posto, nota a Sez. Un. 25 novembre 1992, n. 12546, in Foro it., 1993, p. 97.

Di questi interventi si tratterà nel proseguo, il richiamo in questa sede è però necessario per spiegare l'occasione che ha permesso alla Corte di riconoscere (implicitamente) la legittimità costituzionale dell'occupazione appropriativa, non potendo essa sindacare gli orientamenti della Corte di cassazione.

La norma che ha fornito alla Corte l'occasione di pronunciarsi sull'istituto è l'art. 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 458, il quale nel 1990, il quale riconosceva il diritto al risarcimento del danno causato dall'annullamento del provvedimento espropriativo ai proprietari dei terreni utilizzati per l'edilizia residenziale pubblica.

In questa occasione la Corte ha sostenuto la compatibilità della norma con l'art. 42 Cost., precisando che la legge può disporre direttamente l'espropriazione, purché questa sia sorretta da motivi di interesse pubblico e sia previsto un indennizzo per il privato; secondo la Corte, “il terzo comma dell'art.

42 della Costituzione non implica che la potestà espropriativa debba riferirsi ad ipotesi ablative prefigurate in via generale e accompagnate da sequenze procedimentali costanti ed unitarie”. La norma è stata considerata il primo

riconoscimento formale dell'occupazione appropriativa a livello normativo e, per questo motivo, si è ritenuto che con questa sentenza143 la Corte abbia

implicitamente accertato la legittimità costituzionale dell'istituto.

Ma è solo con la successiva sentenza144, sempre relativa alla norma sopra

citata, che la Corte per la prima volta ha menzionato e accettato la fattispecie dell'occupazione appropriativa. In questa pronuncia la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 27 ottobre 1988, n. 458, nella parte in cui non prevedeva che al proprietario del terreno utilizzato per finalità di edilizia residenziale pubblica, senza che sia stato emesso alcun provvedimento di esproprio, potesse applicarsi la disciplina dalla stessa prevista per l'ipotesi in cui - nella medesima situazione - il provvedimento espropriativo era stato dichiarato illegittimo.

La Corte, nelle sue argomentazioni, ha precisato che l'art. 3 «viene

comunemente inteso come una sostanziale applicazione di quella particolare fattispecie acquisitiva alla mano pubblica di beni privati costituita dalla figura, di creazione giurisprudenziale, della c.d. accessione invertita, od occupazione appropriativa”. Inoltre, dopo averne brevemente riassunto i caratteri, ha rilevato

come l'accessione invertita è “una regola già operante in via generale per tutte

le opere pubbliche», mentre l'art. 3 citato si riferiva allo specifico settore 143 Corte cost., 31 luglio 1990, n. 384.

dell'edilizia residenziale pubblica.

La Corte costituzionale successivamente ha avuto modo di pronunciarsi più volte sul ristoro dovuto al proprietario per il danno da occupazione appropriativa, ossia l'unico aspetto della fattispecie che abbia mai avuto una disciplina legislativa a partire dal 1995.

Con la sentenza 16 dicembre 1993, n. 442, ha sostenuto la correttezza delle diverse modalità di ristoro dei pregiudizi subiti dal privato in seguito all'espropriazione e all'occupazione appropriativa; nell'ipotesi di espropriazione, l'art. 5 bis, d.l. 11 luglio 1992, n. 333, ha riconosciuto al proprietario un'indennità di esproprio pari alla semisomma del valore venale e del reddito domenicale decurtata del quaranta per cento, mentre, nell'ipotesi di occupazione appropriativa, il privato aveva diritto al risarcimento integrale del danno.

Secondo la Corte, «le fattispecie a confronto sono infatti assolutamente

divaricate e non comparabili». Pertanto, il fatto che l'occupazione acquisitiva

«si colloca fuori dei canoni della legalità» giustificava il risarcimento integrale e spiegava perché la pubblica amministrazione dovesse subire conseguenze più gravose rispetto alle ipotesi in cui l'espropriazione si verificava dopo un procedimento legittimo.

Ciò che rileva in merito a queste pronunce è che la Corte costituzionale si limita a riconoscere la legittimità costituzionale dell'occupazione appropriativa implicitamente, di fatto aderendo all'orientamento della Cassazione, senza però esaminare direttamente i profili di costituzionalità145.

Questo è dipeso dal fatto che, nei giudizi che hanno prodotto le citate sentenze, la legittimità costituzionale della fattispecie non era oggetto delle questioni proposte alla Corte costituzionale dai giudici rimettenti.

Solo nel 1995 la Corte è stata chiamata a pronunciarsi espressamente sulla compatibilità dell'occupazione appropriativa con la Costituzione. Alla Corte si è chiesto, come prima fondamentale questione, di verificare, in riferimento all'art. 42 ed agli artt. 3 e 53 della Costituzione, la legittimità: a) delle norme, «non

corrispondenti a specifiche disposizioni di legge e tuttavia rinvenute dalla Corte di Cassazione nell'ordinamento», che ricollegano la perdita del dominio e

l'acquisto di esso in capo alla pubblica amministrazione all'illecito costituito dalla costruzione dell'opera pubblica su suolo altrui senza provvedimento espropriativo, per quanto esse consentono una «ablazione senza

espropriazione», facendo così conseguire all'illecito effetti positivi per il suo

autore146.

La Consulta ha dichiarato inammissibili le questioni per «inesistenza

dell'oggetto»; infatti, ai sensi dell'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, il giudice

rimettente è tenuto ad indicare alla Corte «le disposizioni della legge o dell'atto

avente forza di legge, dello Stato o delle Regioni viziate da illegittimità costituzionale».

La Corte ha rilevato come il giudice rimettente, nell'ordinanza di rimessione, ha denunciato il contrasto di un «principio giurisprudenziale» con la Costituzione, ma non ha indicato le disposizioni di legge che dovrebbero disciplinare l'occupazione appropriativa, «che costituisce viceversa il veicolo

obbligato di accesso al giudizio di costituzionalità».

Per quanto riguarda l'ulteriore questione della legittimità costituzionale dell'art. 2043 cod. civ. in riferimento agli artt. 42 (per inosservanza dei presupposti e delle condizioni cui è costituzionalmente subordinata l'ablazione della proprietà) e 3 (da intendersi come ingiustificata omissione della previsione di una «sopravvenienza sanante» idonea ad equiparare quoad effectum la illecita occupazione appropriativa alla lecita vicenda espropriativa) Cost., la Corte, dopo aver rilevato che secondo la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione con la fattispecie occupativa non si realizza “la traslazione di un

idem” (perché la vicenda deve essere ricostruita in termini “di manipolazione- distruzione di un quid e parallela acquisizione di un aliud residuale a quella manipolazione”), evidenzia come l'elemento qualificante della fattispecie è la

vanificazione del suolo, il quale dopo la trasformazione perde irrimediabilmente i suoi caratteri originari, acquisendone dei nuovi che lo rendono un bene nuovo e diverso.

Da questa premessa la Corte trae un'importante conclusione: la perdita del bene per il privato è un risultato diretto dell'illecito perpetrato dalla pubblica amministrazione, mentre l'acquisto, in capo alla stessa, del bene è un effetto della costruzione dell'opera pubblica, «con conseguente non restituibilità del

suolo in essa incorporato».

L'aver collegato eziologicamente gli effetti estintivo – acquisitivo dell'occupazione appropriativa a due diverse cause, consente alla Corte di escludere il contrasto con l'art. 42 Cost., perché gli effetti positivi prodotti dalla fattispecie non dipendono causalmente da un atto illecito della pubblica amministrazione.

La Corte sottolinea come l'effetto acquisitivo si caratterizzi in positivo perché

“realizza un modo di acquisto della proprietà, previsto dall'ordinamento sul

versante pubblicistico, giustificato da un bilanciamento fra interesse pubblico e l'interesse privato”; mentre l'effetto estintivo si caratterizza in negativo in quanto

«ha tutti i crismi dell'illecito». Per questo motivo, reputa coerente con la connotazione illecita della vicenda che la disciplina normativa preveda il diritto al risarcimento del danno e non il diritto ad un'indennità.

Per concludere, si deve dare atto che la Corte costituzionale negli anni ha di fatto consolidato la sua presa di posizione sulla legittimità della fattispecie dell'occupazione appropriativa. Nelle sentenze n. 369 del 1996 e n. 148 del 1999, entrambe aventi ad oggetto la legittimità costituzionale delle disposizioni normative disciplinanti l'indennità dovuta in caso di occupazione appropriativa, la Corte ha richiamato la fattispecie elaborata dalla giurisprudenza, arrivando a sostenere che essa «ha superato anche il vaglio di costituzionalità con la

sentenza n. 188 del 1995».

Appare pacifico che la Corte costituzionale ha di fatto avvalorato la fattispecie pretoria contribuendo in tal modo al suo consolidarsi nell'ordinamento italiano147.