Il giudice deve rimanere indipendente rispetto alle emozioni popolari e non solo; anche da qualsivoglia altro potere previsto e perciò presente nel nostro ordinamento costituzionale,affinché sia possibile mantenere tale qualità, come afferma l’art. 104 Cost. al primo comma41. Quindi i giudici sono indipendenti e godono di totale autonomia di giudizio non essendo soggetti per esempio a direttive politiche, ordini o suggerimenti rispetto al modo di giudicare il caso concreto: da un lato essi non sono legati da vincoli gerarchici tra loro; dall’altro, sono indipendenti sia dal potere esecutivo che dal potere legislativo.
Tale indipendenza comporta altresì e conseguentemente che essi siano perciò ‘imparziali’ poiché vincolati unicamente alla legge come prevede l’art. 101, II c., Cost., stabilendo che i giudici sono soggetti «soltanto» ad essa42. Ciò implica inoltre che essi siano soggetti anche
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L’art 104 della Costituzione al primo comma prescrive: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”. Tale norma si trova nella seconda parte della Costituzione, “ordinamento della Repubblica”, al titolo IV, “la magistratura”, sezione I, “ordinamento giurisdizionale”.
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Il secondo comma dell’art. 101 della Costituzione solleva diversi problemi interpretativi, tra cui il termine “giudice”: nel linguaggio volgare sono tali per un verso, tutti i titolari di funzioni prima facie giurisdizionali, siano essi componenti o meno dell’ordinamento giudiziario; per l’altro, tutti i membri dell’ordinamento giudiziario, siano essi titolari o meno di funzioni giurisdizionali. Tale modo di identificare il giudice estende tale qualifica anche agli organi che esercitano funzioni non giudicanti ma requirenti. Non è questo però il significato del termine nel contesto del citato articolo; nel linguaggio tecnico giuridico, tale parola in esame, viene utilizzata da un lato, per designare tutti i titolari di funzioni giurisdizionali, anche se occasionalmente possono esercitare mansioni diverse; dall’altro, per indicare coloro che, anche provvisoriamente, hanno incarichi giurisdizionali, pur essendo normalmente titolari di compiti differenti. Si può dire che qui il termine ‘giudice’ è sinonimo di autorità giurisdizionale e a sua volta può
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alla Costituzione giacché la legge formale è fonte gerarchicamente subordinata rispetto ad essa ed alle leggi di rango costituzionale43. Ne consegue che i giudici non possono violarla né negare la sua applicazione.44
Il principio di legalità vale indistintamente per tutti i poteri dello stato ed in virtù di esso, ogni attività dei pubblici poteri deve trovare fondamento in una legge (quale atto del Parlamento, unico organo espressione della sovranità popolare o della nazione) e non si può
considerarsi tale, chiunque sia stabilmente titolare di una funzione giurisdizionale (requisito soggettivo) e chiunque, sebbene estraneo al potere giudiziario perché normalmente investito di un ufficio non giurisdizionale, eserciti una tale attività ossia di applicazione della legge in posizione di terzietà o imparzialità (requisito oggettivo). Quindi in questo caso, la nozione di autorità giurisdizionale, non si estende agli organi requirenti: è sì un magistrato appartenente all’ordine giudiziario, e come tale è in posizione di indipendenza rispetto ad ogni altro potere, ma non ha quello di emettere provvedimenti decisori. Cfr. R. GUASTINI, Il
giudice e la legge, Giappichelli editore, Torino, 1995, p. 100-104.
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Altro problema interpretativo che pone il secondo comma dell’art. 101 della Cost., è relativo al termine “legge”, che è suscettibile di almeno tre distinte interpretazioni: in primo luogo, si può intendere in senso materiale e quindi come sinonimo di fonte del diritto; in secondo, si può ritenere che si riferisca esclusivamente alla legge formale (quindi nel nostro ordinamento ciò comprende la legge costituzionale, quella ordinaria statale, regionale e quella provinciale delle province autonome di Trento e Bolzano); in terzo, si può riferire sia alla legge formale che agli atti aventi forza di legge ordinaria (referendum popolare abrogativo di cui all’art. 75 Cost., decreti legislativi delegati di cui agli art. 77 I c. e 76 Cost., decreti legge di cui all’art. 77 II c. Cost.). Partendo dal presupposto che per “soggezione alla legge” si intende dovere incondizionato di applicazione di essa, nel senso di impossibilità di rifiutarne l’applicazione (anche se possono sospenderla se nutrano dubbi sulla sula legittimità costituzionale), il termine utilizzato nel c. II dell’art. 101 Cost. può essere riferito, in modo abbastanza pacifico, non al diritto oggettivo in genere o all’insieme indistinto delle sue fonti, ma alla legge formale, ciò implicando la soggezione dei giudici anche alle fonti che sono ad essa sovra ordinate: la Costituzione (nei limiti in cui è oro compito dare ad essa applicazione). Tuttavia dottrina e giurisprudenza sono unanimi nell’estendere tale subordinazione anche agli atti alla legge equiparati di cui agli art. 75, 76 e 77 Cost. Cfr. GUASTINI, Il giudice e la legge, cit., p. 104-113.
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L’applicazione della Costituzione non è compito caratteristico dei giudici comuni, soprattutto per quanto riguarda la parte seconda di essa relativa all’ ordinamento della Repubblica, che spetta propriamente alla Corte Costituzionale, specialmente in sede di giudizio sui conflitti di attribuzione. È inoltre sottratto ad essi, giudicare della legittimità costituzionale delle leggi ed anzi, di fronte ad una disposizione che ammetta anche una sola interpretazione difforme dalla costituzione, il giudice ha l’obbligo di sollevare questione di legittimità costituzionale di fronte alla Corte. Cfr. GUASTINI, Il giudice e la legge, cit., p. 121.
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porre in contrasto con essa, altrimenti viene considerato atto invalido. I giudici quindi, interpretano e applicano le leggi create dal legislatore al fine di risolvere un conflitto o una controversia e motivano45 le loro decisioni al fine di consentire il controllo del ragionamento giuridico che sta alla base di esse così rendendone possibile la contestazione eventualmente attraverso l’impugnazione.
Sulla base di tale principio cardine dell’ordinamento costituzionale, si apre il punto 9 del provvedimento della Corte d’Appello, sezione per i minorenni, del 18.04.1989:
“Sia consentito far riferimento ad un punto di partenza che può
apparire freddo e formalistico, ma che costituisce un cardine essenziale nell’ordinamento costituzionale. I giudici sono soggetti soltanto alla legge e devono applicare la legge secondo coscienza, anche a costo di rischiare l’impopolarità (…). Le sentenze e i provvedimenti giudiziali non possono essere frutto di emozione popolare né tantomeno di passioni o minacce. E proprio per questo la Costituzione si preoccupa di garantire i giudici contro pressioni e ricatti; proprio perché possano essere davvero indipendenti nelle loro decisioni”.
Il principio di legalità nella giurisdizione (o principio di soggezione del giudice alla legge) significa anzitutto dovere incondizionato di
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L’art. 111 Cost. stabilisce che “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. In ossequio a tale prescrizione, il codice di procedura civile, esige che la sentenza contenga la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto della decisione e che l’ordinanza sia succintamente motivata (art. 132, 134 c.p.c.). Per quanto concerne il decreto, esso “non è motivato salvo che la motivazione non sia prescritta per legge” (art. 135 c. 4 c.p.c.); è anche vero che le previsioni che non contemplano la giustificazione del decreto sono riferite a casi in cui è esclusa la natura giurisdizionale di esso, che riveste per lo più caratteri di un provvedimento di natura amministrativa. L’obbligo di motivazione assolve alla funzione di assicurare in concreto il perseguimento dei diversi principi costituzionali in tema di giurisdizione, quali il diritto di difesa, l’indipendenza del giudice, la sua soggezione alla legge e il principio di legalità. La violazione di tale obbligo determina l’invalidità del provvedimento giurisdizionale e può essere fatta valere attraverso il sistema delle impugnazioni. Cfr. GUASTINI, Il giudice e la legge, cit., p. 113.
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applicazione e ciò implica,in primo luogo, che ogni provvedimento giurisdizionale debba essere fondato su una specifica norma di legge che sia o espressa, quindi costituisca uno dei possibili significati di una precisa disposizione legale; o in mancanza,può essere fondato anche su una norma inespressa, implicita, la cui esistenza possa essere argomentata a partire da precise regole previste in testi giuridici. Le norme di legge applicate devono essere obbligatoriamente indicate in motivazione dagli organi giurisdizionali che non possono in nessun caso rifiutarsi di applicarle, salvo che si tratti di leggi abrogate o annullate dalla Corte Costituzionale perché in contrasto con la Costituzione. Anche su questo punto i giudici di Torino si soffermano, esponendolo nel provvedimento:
“Quando i giudici avvertono che la legge è ingiusta, sollevano la
questione di legittimità costituzionale, aprendo la possibilità che quella legge venga cancellata. Ma quando i giudici sono convinti in coscienza che la legge è giusta, devono applicarla con fedeltà, anche andando contro corrente”46.
L’applicazione della legge da parte dei giudici presuppone l’obbligo di conoscerla, perciò il soggetto privato che invoca a suo favore una certa disposizione non è tenuto a dimostrare al giudice l’esistenza di essa e non deve informarlo sul suo contenuto; allo stesso modo il giudice può richiamare ed applicare delle norme che le parti ignorino o che comunque non abbiano preso in considerazione.
In secondo luogo, il suddetto principio implica che i provvedimenti giurisdizionali devono essere non soltanto ‘compatibili’ rispetto alla legge(nel senso di non in contraddizione con essa rispetto al loro contenuto); devono essere precisamente ‘conformi’ ad essa, non solo da un punto di vista formale (e quindi nel senso di come si presenta
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Punto 9 del provvedimento 18.04.1989 della Corte di Appello di Torino, sezione per i minorenni. Cfr. GRUPPO ABELE, ASPE n. 11 del 4 maggio 1989, Torino, p. 26-27.
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esteriormente e nel senso di procedurale) ma anche da uno ‘materiale, quindi si deve presentare logicamente deducibile da norme di legge rispetto al contenuto e all’oggetto. Se così non è, si costituisce una violazione di legge ricorribile in cassazione ai sensi dell’art. 111, II c., Cost.
In terzo luogo, i giudici sono soggetti alle leggi nell’ulteriore significato che devono limitarsi ad applicarle senza crearne di nuove, cioè non possono realizzarne ulteriori generali e astratte con effetti vincolanti erga omnes, compito che spetta a chi esercita la funzione legislativa che è inibita ai giudici ed infatti, le loro decisioni, a differenza della legge, valgono solo inter partes per il caso deciso (come è anche espressamente previsto nell’art 2909 c.c.47).
“L’indipendenza dei giudici è un valore importantissimo per tutta la collettività. Ciò non significa che il giudice sia autorizzato ad arroccarsi in uno sprezzante isolamento. Anzi, siccome egli ha il compito, difficile e tremendo, di applicare la legge dello Stato voluta dal Parlamento in funzione del bene collettivo, il giudice deve essere un «servitore» del bene collettivo. Sa che, incerte situazioni, qualunque decisione è criticabile, perché qualunque decisione presenta, accanto ad aspetti positivi, aspetti negativi48”.
Tuttavia la vicenda giudiziaria presa in esame diviene oggetto di interesse dei media (fino ad arrivare al compimento di attentati minacciati o realizzati ai giudici) e di iniziative dei vertici dello Stato (dal Presidente della Repubblica al Ministro Guardasigilli), quindi cessa di essere puramente tale,accendendo tra l’altro, un dibattito sui temi dell’adozione, in generale dei minori e non solo; tra gli altri,
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L’art. 2909 c.c. prevede: “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.
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Punto 9 del provvedimento 18.04.1989 della Corte di Appello di Torino, sezione per i minorenni. Cfr. GRUPPO ABELE, ASPE n 11 del 4 maggio 1989, cit., p. 26- 27.
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anche il rapporto tra giurisdizione e consenso sul loro operato, e la frattura tra operatori ed opinione pubblica. Proprio rispetto a tale
ultima considerazione le indagini demoscopiche hanno
concordemente rilevato la stragrande maggioranza del giudizio collettivo contrario all’allontanamento disposto dai giudici torinesi, anche se a favore di essi rimangono numerose associazioni e movimenti impegnati nel settore, quali: l’Associazione italiana giudici per i minorenni, l’Associazione nazionale magistrati sezione piemontese, l’Associazione nazionale assistenti sociali, il Gruppo regionale piemontese dell’Associazione educatori, la Cgil-Funzione pubblica Piemonte, il Consiglio nazionale sui problemi dei minori, l’Anfaa49 e il Ciai50.
“Il «nodo» che questa vicenda ha posto ai giudici è, a prima vista, quello del conflitto tra la «persona» e l’interesse della legge (tra
«l’uomo»e «il sabato» (secondo la vivida immagine evangelica)51”.
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Si tratta dell’acronimo che sta per Associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie.
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Per Ciai si intende Centro italiano per l’adozione internazionale. 51
Punto 9 del provvedimento 18.04.1989 della Corte di Appello di Torino, sezione per i minorenni. Cfr. GRUPPO ABELE, ASPE n. 11 del 4 maggio 1989, cit., p. 26- 27.
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CAPITOLO TERZO
Le questioni insite al fatto che lo rendono rilevante
Il «caso Serena» quindi, per ragioni disparate, racchiude in sé tematiche, valori, principi ed emozioni non sempre facilmente conciliabili. Esso pone la necessità di riflettere sulla natura del diritto e degli ordinamenti giuridici poiché in base alla concezione che ne risulta, può essere individuato il modo più corretto e adeguato di utilizzarlo. Proprio il momento applicativo, e quindi l’attività giurisprudenziale, porta ad affrontare anche la questione del rapporto tra potere legislativo e giudiziario; il tema degli spazi e dei confini dell’interpretazione della legge da parte del giudice; la produzione del diritto, pena la violazione del principio della separazione dei poteri; l’argomentazione che muove dai principi, costituzionali e sovranazionali, che valorizza clausole generali e tiene conto dei casi della vita; il nesso intercorrente tra diritto e società, o meglio, la funzione sociale che il diritto deve o dovrebbe svolgere. Tutto ciò evoca domande appartenenti al campo della filosofia e della teoria generale del diritto, sulla radice stessa del diritto, su come si declina la giustizia negli ordinamenti giuridici, sul significato e sul ruolo dell’equità.
Possiamo affrontare questi argomenti seguendo delle dicotomie (tutte rintracciabili nei provvedimenti giudiziari relativi al caso trattato) che a loro volta pongono ulteriori problematiche filosofico-giuridiche: a) legalità vs equità;
b) regole vs principi;
c) giudice vs legge (a tal proposito viene brevemente ricostruito il ruolo della legge e del giudice assunto nelle varie epoche storiche; affrontata l’origine del problema del rapporto tra giudice e legge, la crisi della legalità e la giurisdizione quale fonte creativa di nuovo
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diritto; da ultimo proposta una rifondazione costituzionale della legalità in vista di una sua ristrutturazione, anziché della sua odierna destrutturazione);
d) giudice vs società.