Sul modo di intendere questo rapporto, la letteratura è immensa; ciò dimostra in primis la problematicità di tale distinzione e poi anche la rilevanza di essa. Che il diritto possa contenere principi e che il giurista possa fare ricorso ad essi in determinate circostanze, sono affermazioni pacifiche nella cultura giuridica moderna e recepite in molte codificazioni dell’Ottocento e del Novecento. La riflessione teorica sui principi ha acquisito un interesse peculiare anche per la promulgazione in molti ordinamenti, a partire dalla metà del Novecento, di documenti costituzionali contenenti numerose norme di principio. Insieme a tale aspetto poi, va considerata la progressiva presa di coscienza da parte dei giuristi, delle risorse argomentative offerte da tali nuovi testi giuridici e la conseguenza di tale esplicita
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positivizzazione dei principi, che determina una rivisitazione degli assunti teorici del positivismo giuridico.
Centrale di questa riflessione, è l’individuazione delle caratteristiche specifiche che consentono di distinguere i principi da altri tipi di norme, ed in particolare dalla species di norme giuridiche chiamate «regole».
Esemplificando si può affermare che mentre la regola prescrive un comportamento specifico, preciso e predeterminato, il principio invece, non ci dice come ci si deve comportare in una determinata situazione ma indica un valore che deve essere perseguito80, lasciando aperte diverse scelte pratiche attraverso le quali tale ideale può essere raggiunto. Tale libertà è facilmente comprensibile se si pensa al fatto che quasi sempre nel caso concreto, il principio da applicare non è uno solo. Quando è così, e quindi quando si tratta di conciliare tra loro una pluralità di valori, si impone un bilanciamento81 tra di essi: “desiderabile non la prevalenza di un solo valore e di un solo principio, ma la salvaguardia di tanti, contemporaneamente”82. È auspicabile abbandonare la sovranità politica di un'unica visione particolare, dominante, secondo la logica dell’aut-aut, che non rispecchia lo Stato democratico e pluralista attuale; è necessario un
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Nel linguaggio dei giuristi, il vocabolo “principio”, ha una evidente componente assiologia. Con tale termine, essi non si riferiscono solo a norme costituzionali ma anche al diritto civile, penale, etc. Cfr. GUASTINI, Nuovi studi
sull’interpretazione, cit., p.119- 120.
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La tecnica del bilanciamento tra principi assume un ruolo di primo piano nell’ambito dell’attività interpretativa delle disposizioni normative sia legislative che costituzionali perché orienta l’interprete sia nella scelta tra i differenti possibili significati di una medesima disposizione legislativa, sia nelle attività dirette a colmare lacune o a risolvere antinomie. I contrasti tra principi del diritto non possono essere risolti con i tradizionali metodi di risoluzione dei conflitti tra norme (e cioè ricorrendo al criterio cronologico, gerarchico e di specialità) anche perché essi sono contenuti esplicitamente o implicitamente nel medesimo documento normativo, perciò sono pari ordinati e coevi. Per questo l’interprete deve instaurare una gerarchia assiologia tra principi secondo cui “il principio X prevale sul principio Y in relazione al caso Z”. Cfr. R. GUASTINI, L’interpretazione dei
documenti normativi, Giuffrè editore, Milano, 2004, p. 212-221.
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atteggiamento mentale possibilistico, secondo la legge fondamentale del diritto costituzionale del presente, che è quella dell’et-et83.
In Zagrebelsky si trova la distinzione tra regole e principi nell’ambito della nozione generica di “norma84”: l’autore afferma che le norme legislative sono prevalentemente regole, mentre quelle costituzionali sui diritti e sulla giustizia, sono per la maggior parte principi; a grandi linee quindi distinguere regole da principi significa differenziare legge e Costituzione ma quest’ultima, a sua volta, può porre anche delle regole. Si può dire perciò che solo i principi hanno un ruolo propriamente costituzionale e quindi costitutivo dell’ordine giuridico, mentre le regole, anche se scritte in Costituzione, hanno soltanto un valore rinforzato dato dalla loro forma speciale85.
Tuttavia, anche se nel nostro ordinamento giuridico contemporaneo costituzionalizzato, l’individuazione dei principi trova un primo punto di riferimento nella Costituzione, è opportuno precisare che non sempre è chiaro se una disposizione costituzionale esprima un principio o una regola. Inoltre è ammessa la possibilità di individuare
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Zagrebelsky parla a proposito di una dogmatica giuridica «liquida» o «fluida» che deve far sì che i concetti mantengano la loro individualità, coesistendo, impedendo la sopraffazione di un componente a discapito degli altri e ancor più l’eliminazione. Non si può fissare una volta per tutte i rapporti tra le parti. Cfr. ZAGREBELSKY,
Il diritto mite, cit. p. 15-16.
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L’autore definisce la norma come “qualche cosa che deve essere o deve accadere, in particolare che un uomo deve comportarsi in un certo modo”. Cfr. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p.147.
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Negli ordinamenti giuridici contemporanei costituzionalizzati, dotati di Costituzione lunga, rigida e garantita, e nei quali la cultura giuridica adotta il punto di vista della supremazia di essa, accade che molti principi siano espressamente proclamati in disposizioni costituzionali; basti pensare alla presenza della sezione intitolata «principi fondamentali». Così, la nozione di «principio fondamentale» si allinea a quella di «principio costituzionale» derivandone che quelli non costituzionali non possono essere considerati fondamentali, ma tutt’al più «generali», e la loro applicazione sarà giustificata nella misura in cui essi siano compatibili con i primi. Possiamo quindi dire, che nella cultura giuridica attuale, l’individuazione dei principi trova un primo punto di riferimento nel testo costituzionale. Cfr. G. PINO, Diritti e interpretazione, Il ragionamento giuridico nello Stato costituzionale, il Mulino, Bologna, 2010, p. 61.
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principi impliciti86 ai quali può essere riconosciuto valore costituzionale; infine, i principi possono essere tratti anche da ulteriori fonti ai quali venga riconosciuto un carattere di supremazia assiologia87.
La differenza più importante viene indicata però dal diverso trattamento cui regole e principi sono sottoposti da parte della scienza del diritto: le prime sono oggetto di metodi vari dell’interpretazione giuridica ed è importante stabilire con precisione i precetti che il legislatore enuncia per mezzo delle formulazioni, poiché ad esse si deve “ubbidire”; mentre, per i secondi, c’è poco da interpretare perché il loro significato lessicale è per lo più autoevidente ed essi danno dei criteri per prendere posizione di fronte a situazioni indeterminate quando si manifestano concretamente. Il loro significato non è determinabile in astratto infatti bisogna comprenderli e in seguito “aderire” ad essi88.
Nel dibattito teorico sui principi, si può individuare una famiglia di orientamenti che affermano una «distinzione forte», ed un’altra, che afferma una «distinzione debole»89.
Relativamente alla prima, tra i cui esponenti possiamo citare R. Dworkin, l’idea caratterizzante è che determinate caratteristiche appartengano costantemente ed esclusivamente ai principi, ed esse li
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Molti principi sono espressamente formulati in Costituzione, o in altri documenti normativi. I principi impliciti invece, non sono riconducibili ad una specifica disposizione ma sono ricavati in via argomentativa. L’elaborazione di essi può partire in due direzione: «dal basso verso l’alto» o viceversa. Nel primo caso, come punto di partenza, si assumono alcune norme e si cerca il principio che le giustifica; nel secondo, si parte da alcuni principi, siano essi espliciti o impliciti, più generici, da cui se ne traggono altri più specifici, la cui esistenza è strumentale alla realizzazione di quello generale. Cfr. PINO, Diritti e interpretazione, cit., p. 63-64.
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Si pensi all’ordinamento comunitario, o ai vari strumenti internazionali, quali la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (la c.d. Carta di Nizza).
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Cfr. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 147-150. 89
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distinguerebbero dalle regole. Quindi i primi avrebbero uno o più dei seguenti tratti distintivi:
- sono norme particolarmente importanti, sono i valori fondanti e costitutivi dell’ordinamento; pertanto ad essi si “aderisce”, in una sorta di adesione etico-politica, mentre alle regole si deve “ubbidire”; - hanno un notevole grado di generalità, vaghezza e indeterminatezza, sono norme a fattispecie apertissima o addirittura si potrebbe dire, senza fattispecie, mentre le regole connettono ad essa che sussiste ed è precisa, delle conseguenze giuridiche;
- proclamano un valore, mentre le regole, pur anch’esse essendo funzionali alla realizzazione di qualche valore morale, non fanno esplicitamente riferimento ad esso, tutt’al più indicano una condotta da seguire funzionale al suo perseguimento;
- la loro applicazione è condizionata da considerazioni di «peso»ed importanza90, mentre la regola si applica o meno, non si pesa;
- sono norme defettibili, mentre le regole sarebbero soggette ad applicazione categorica, quella del tutto o niente, una volta verificatesi le circostanze previste dalla fattispecie;
- sono «mandati di ottimizzazione», cioè prescrivono il perseguimento di un determinato obiettivo, valore, e quant’altro, nella maggior misura possibile, in base alle concrete possibilità fattuali o normative;
- sono norme categoriche, mentre le regole sono ipotetiche.
La teoria della distinzione debole91 invece, si basa sull’osservazione che, tutte le norme, siano esse regole o principi, possiedono, in qualche misura, almeno alcune delle caratteristiche sopra riportate.
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Se in un medesimo caso concreto sono applicabili più principi, al fine della decisione si dovrà individuare il più importante. Cfr. PINO, Diritti e
interpretazione, cit., p. 53.
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Tra gli esponenti di questo orientamento troviamo ad esempio Hart, e R. Guastini. Cfr. PINO, Diritti e interpretazione, cit., p. 53.
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Perciò, ciò che li differenzierebbe, sarebbe il grado in cui tali caratteri vi si trovano, perciò una norma è qualificabile come principio in quanto la fattispecie è più generica e indeterminata, maggiormente aperta ad eccezioni implicite e se in sede di applicazione è maggiormente considerato il fattore del peso o della importanza. Dunque, se i principi sono norme generiche92 e indeterminate, allora sono suscettibili di essere applicati in modo diverso: la fattispecie di un principio solitamente proclama un valore senza stabilire precisamente in che modo esso deve essere realizzato93. Viceversa, una regola può anche avere una fattispecie generica, ma ad essa associa una conseguenza (o anche più conseguenze alternative), indicata in maniera tendenzialmente specifica.
Genericità e indeterminatezza sono proprietà graduali: non è detto che una regola sia assolutamente specifica e determinata, e un principio del tutto generico e indeterminato94. Questi ultimi poi non possono restare indefiniti, pena la loro inapplicabilità, infatti devono essere concretizzati e perciò essere resi più specifici in sede di applicazione.
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«La genericità non deve essere confusa né con la generalità, né con la vaghezza. La prima riguarda l’estensione della classe di oggetto cui un predicato si riferisce: più ampia è la classe, più è generale un enunciato. La seconda è relativa ai casi in cui è dubbia l’applicazione di un predicato, per motivi quantitativi» (se ad esempio pensiamo al termine «ricco», non è precisamente determinabile con quanti soldi una persona possa essere considerata ricca) o combinatori (il predicato si riferisce a cose che hanno in comune alcune caratteristiche ma in modo che non ve ne sia una comune a tutte). È vero che di solito i principi sono molto generali e molto vaghi, ma questi non sono elementi scriminanti rispetto alle regole, che a loro volta possono esserlo altrettanto. Cfr. PINO, Diritti e interpretazione, cit., p. 54.
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È soprattutto nella conseguenza che si manifesta la genericità del principio: dunque, quanto più essa è generica e indeterminata, tanto più la norma a cui si riferisce, potrà essere considerata un principio; di contro, quanto più specifica e determinata è la conseguenza che una norma associa alla fattispecie, tanto più essa potrà essere indicata come regola. Cfr. PINO, Diritti e interpretazione, cit., p. 55- 56.
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Ad esempio una regola può presentare profili di genericità e astrattezza se contiene clausole elastiche; e la conseguenza può non essere rigidamente predeterminata; si pensi alla sanzione: può oscillare tra un minimo e un massimo, può avere natura diversa (pecuniaria, detentiva ecc.) e può essere condizionata dalla valutazione di circostanze attenuanti e aggravanti. Cfr. PINO, Diritti e
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Anche il «peso», è un carattere graduale, quindi come tale è presente sia nei principi che nelle regole. Esso consiste nell’influenza che la norma esercita in sede di interpretazione e applicazione del diritto: così esso è massimo nella misura in cui la norma debba essere senz’altro applicata, non lasciando dubbi rispetto a considerazioni diverse; è nullo quando la norma non è nemmeno presa in considerazione in sede di argomentazione giuridica; in altri casi il peso è graduale, e quindi valutato in base al contributo dato dalla norma nell’indirizzare rispetto ad una decisione o ad un’altra. Così le regole hanno un peso stabile e cioè, in presenza delle condizioni di applicazione presenti nella fattispecie, si applicano secondo la logica del tutto o niente; i principi hanno un peso graduale e quindi il loro contributo rispetto alla decisione di un caso è variabile: non necessariamente sono applicati in tutte le circostanze in cui lo sarebbero astrattamente. Tuttavia, anche in questo caso, tale distinzione non può essere formulata in termini netti: anche una regola può esercitare un peso minore, ad esempio perché può essere interpretata in maniera restrittiva; oppure anche un peso maggiore, perché applicata in maniera analogica o perché soggetta ad interpretazione estensiva95.
Le concezioni dell’interpretazione che ammettono l’appello ai principi incorrono generalmente nell’obiezione, in nome della certezza del diritto, che esse aprirebbero la via all’arbitrio degli interpreti autorizzati ad introdurre punti di vista oscillanti nella ricostruzione delle regole giuridiche e nella loro applicazione. Tale visione dell’interpretazione da un punto di vista soggettivistico, si
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Un principio può essere reso defettibile dal concorso con altri, ritenuti più importanti. In relazione alle circostanze, può anche essere considerato meno rilevante di una regola poiché vi sono buone ragioni per applicare quest’ultima. Ed ancora, un principio P1, in date circostanze, può soccombere rispetto a P2, mentre in condizioni diverse, P1 può essere prevalente su P2. Cfr. PINO, Diritti e
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rintraccia nel carattere pluralistico che caratterizza sia la società attuale intesa nel suo complesso, sia la comunità dei giuristi e di coloro che operano attraverso il diritto, che rappresentano punti di vista differenti che conseguentemente si riflettono nella loro opera. L’interprete deve confrontarsi con un universo giuridico plurale, costituzionale ed europeo, da cui emergono tante regole, quanti principi, alla luce dei quali le prime devono essere lette, ciò comportando un esercizio interpretativo tutt’altro che meccanico, dall’esito spesso non scontato.
Anche in questo caso i giudici torinesi hanno non solo tenuto conto delle regole giuridiche previste dalla legge 184/1983, ma insieme ad esse, è più volte richiamata la ratio sottostante, cioè il principio guida per cui tale legge è stata emanata. Si tratta di evitare alla radice i fenomeni di mercificazione di bambini. Così infatti si esprime il Tribunale dei minori di Torino, nella decisione del 7 novembre 1988:
“Bisogna sapere che attraverso i falsi riconoscimenti di paternità naturale si verifica, in Italia e nel mondo, un vasto e lucroso traffico di bambini. Chi vuole ottenere un bambino senza passare attraverso i controlli stabiliti dalla legge (controlli che sono previsti per difendere i bambini e per impedire la loro riduzione a merce di scambio, a oggetti di mercato) si rivolge a mediatori, o direttamente a una donna incinta disposta a vendere il figlio: pagando quanto occorre, ottiene il possesso di un bambino, riconosce il bambino stesso come proprio figlio naturale, e il gioco è fatto. I Tribunali per i minorenni sono molto attenti a questo fenomeno, perché in esso si gioca il destino di molti bambini. E la legge contiene delle norme volte a combattere i falsi riconoscimenti”.
Suddetto Tribunale, anche nel provvedimento del 21 febbraio del 1989, relativo alle domande riunite dirette ad ottenere l’adozione e in subordine l’affidamento presentate dai coniugi Giubergia, ripete non
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solo, (e come sempre), le regole giuridiche che ha seguito nel decidere il caso, ma motiva e rafforza la scelta fatta in ossequio proprio ai principi ispiratori della legge 184/1983:
“Serena è introdotta in Italia in violazione della normativa italiana sull’adozione e sull’affidamento; il signor Giubergia infatti accetta di figurare come padre della bimba. In realtà, come chiarisce la Corte d’Appello, egli non è affatto il padre: egli aggira, con le false dichiarazioni sulla paternità, sia la legislazione italiana che quella filippina quindi non è giuridicamente possibile, in ossequio ai principi informatori della legge 184/1983 (che vuole combattere il triste fenomeno dei falsi riconoscimenti tramite i quali i minori divengono oggetto di contrattazione e cessione privata senza alcuna garanzia e col reale pericolo di mercificazione, di ricatti e di cattivi inserimenti familiari) pervenire ad adozione96”.
“La legge consente l’entrata in Italia di minori stranieri a scopo adottivo solo se le persone che li accolgono abbiano ottenuto, previa domanda, un giudizio di idoneità del Tribunale per i minorenni italiano e poi abbiano ottenuto all’estero regolare adozione; le persone che illegalmente e fraudolentemente ricevono e tengono presso di sé il minore, non possono proporsi poi esse stesse come adottanti per un’insuperabile contraddizione (art. 9 l.184/1983)97”
Tuttavia la famiglia Giubergia nel ricorso-reclamo successivo al provvedimento del Tribunale dei Minori del 31 marzo 1989, accusa i giudici di aver tradito proprio lo spirito della legge e l’insieme dei principi a cui essa si informa poiché togliendogli Serena dopo 14 mesi avrebbero sacrificato il preminente interesse della minore a
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Punto 2 della decisione del Tribunale dei minori di Torino del 21.02.1989. Cfr. GRUPPO ABELE, ASPE n. 11 del 4 maggio 1989, cit., p. 16.
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Punto 3 della decisione del Tribunale dei minori di Torino del 21.02.1989. Cfr. GRUPPO ABELE, ASPE n. 11 del 4 maggio 1989, cit., p. 16.
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vantaggio di schemi rigidi e fissi98.Così anche la Corte di Appello, sezione per i minorenni, ribadisce che sì hanno seguito e applicato le regole giuridiche contemplate in materia, ma che a maggior ragione essendo stati fedeli ad esse, lo sono stati anche nei confronti della legge perché essa non prevede eccezione alcuna. Così infatti inizia il punto 9 del provvedimento del 18 aprile 1989:
“E’ facile pensare che i giudici abbiano preso freddamente le loro decisioni, sacrificando le ragioni del cuore a dei principi astratti, e calpestando le esigenze umane di Serena per dare una prova di forza e di arroganza”.
Continua poi la Corte che tale vicenda è vissuta dai giudici che se ne sono occupati, tormentosamente e che hanno maturato la loro difficile decisione in base alle considerazioni seguenti:
a) il conflitto non è soltanto tra la persona di Serena e l’applicazione della legge. Nella situazione di diffuso traffico di minori, il conflitto si pone anche tra le persone di innumerevoli bambini, esposte ad essere oggetto di mercato, e la disapplicazione della legge. Essa difende tutti i bambini. Rifiutando di tradire la legge e di legalizzare la frode ad essa, i giudici operano a servizio dell’interesse di tutti i minori. Se tale rifiuto produce una sofferenza per Serena, quella condizione tormentosa non è conseguenza della applicazione delle regole previste, bensì della prolungata frode dei Giubergia; i giudici li avvisano subito delle gravi ripercussioni in caso di una loro eventuale falsità, dispongono sollecitamente una perizia ematologica, ordinano dopo pochi mesi l’allontanamento della bambina, sospendendolo solo perché i Giubergia ribadiscono la loro tesi, lo eseguono solo quando sono assolutamente sicuri della frode della legge. Una rapida definizione della vicenda è impedita solo ed esclusivamente dai
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Tale critica è mossa anche da una parte dell’opinione pubblica ai giudici minorili torinesi e quindi la Corte si sofferma su essa. Cfr. GRUPPO ABELE, ASPE, n. 11 del 4 maggio 1989, cit., p.17-20.
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Giubergia sui quali ricade l’intera responsabilità delle sofferenze della bambina e anche di quelle di Nasario. Con ciò i giudici non affermano che i coniugi abbiano voluto causare tali pene ed anzi, essi pur essendo in malafede (poiché hanno violato la legge consapevolmente), hanno agito con buone intenzioni, cioè a fin di bene;
b) il conflitto tra gli interessi di Serena e quelli della legge è quindi più apparente che reale. Ciò di cui necessita un minore va valutato in un’ottica di tempi lunghi e non soltanto alla stregua dell’immediata emozione di un allontanamento. Spesso i provvedimenti relativi a minori provocano disagi e traumi (nei bambini come negli adulti) ma in prospettiva tendono a realizzare il bene del minore (punto di vista che deve proiettarsi anche sulla pubertà e sull’adolescenza). Serena ha sviluppato rapporti affettivi con i Giubergia e Nasario ma il periodo che vive con loro, poco più di un anno, è sì un lasso di tempo importante per un bambino ma non tale da condizionarne totalmente