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Il caso Serena Cruz. Una riflessione sul ruolo del giudice nello stato costituzionale.

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IL CASO SERENA CRUZ. UNA RIFLESSIONE SUL RUOLO

DEL GIUDICE NELLO STATO COSTITUZIONALE

INDICE

INTRODUZIONE ... 2

CAPITOLO PRIMO Il caso Serena Cruz ... 4

1. Il fatto ... 4

2. La vicenda giudiziaria ... 10

3. Il ricorso individuale alla Corte europea dei diritti dell’uomo ... 25

4. Serena, dall’affidamento ad oggi ... 28

5. Le vicissitudini della nuova famiglia adottiva, i Nigro ... 30

CAPITOLO SECONDO La comprensione del caso ... 34

1. L’analisi dell’episodio dal punto di vista dei tecnici del diritto ... 34

2. La posizione del giudice rispetto all’opinione pubblica e agli altri poteri presenti nel nostro ordinamento giuridico ... 40

CAPITOLO TERZO Le questioni insite al fatto che lo rendono rilevante ... 46

1. Legalità ed equità ... 47

2. Regole e principi ... 79

3. I giudici e la legge ... 92

3.1 Breve ricostruzione storica del ruolo della legge e del giudice, assunto nelle varie epoche. ... 99

3.2 L’origine del problema del rapporto tra giudice e legge. ... 108

3.3 La crisi della legalità e la giurisdizione quale fonte creativa di nuovo diritto ... 113

3.4 Proposta di rifondazione costituzionale della legalità in vista di una sua ristrutturazione, anziché della sua odierna destrutturazione. ... 121

4. Giudici e società ... 128

CONCLUSIONI ... 136

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INTRODUZIONE

“I diritti degli uomini dipendono dalla legge? E le esigenze della giustizia che cosa hanno a che fare con essa? […]. Occorre un confronto con le idee generali e con il pluralismo degli universi culturali, etici, religiosi e politici che caratterizzano e complicano la società attuale […]. Le norme di diritto non possono più essere né espressione di interessi di parte né formule per concezioni universali e immutabili che qualcuno possa imporre e altri debbano subire. I principi di libertà e giustizia entrano in contatto con i casi della vita1 […] e devono guidare l’applicazione della legge da parte dei giudici, ai quali spetta ben altro compito che quello di semplici «bocche della legge»2.

I casi e le loro esigenze, influenzano la determinazione della regola. L’interpretazione di essa è sempre ancorata ai fatti della vita, siano essi «di routine», siano essi «critici», conformemente alla natura pratica della scienza del diritto, restando un’ideale quello di un’interpretazione esclusivamente teoretica, proposto dalla dottrina pura3. Ne consegue il timore di un’interpretazione «soggettivistica» che non è altro che lo specchio della attuale società pluralistica; la comunità dei giuristi, anch’essa rappresenta differenti punti di vista che non possono non riflettersi nella loro opera4. Ciò da un lato

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L’esempio qui riportato è il caso di Serena Cruz, vicenda a partire dalla quale si trae spunto per le riflessioni oggetto di questo scritto.

2

Cfr., G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Einaudi, Torino, 1995, p. 1 3

Brevemente si sintetizzano le teorie dell’interpretazione di Kelsen: 1) qualsiasi testo normativo è suscettibile di molteplici interpretazioni da parte degli operatori del diritto, conseguenza della pluralità di significati che può esprimere; 2) l’accertamento di tali significati è attività “scientifica”; 3) la scelta di uno di essi è “attività politica”. Essa può essere compiuta sia dai giuristi che da altri organi dell’applicazione. Se messa in atto dai primi non ha effetti giuridici; se dai secondi li ha, quantomeno inter partes. Cfr. R. GUASTINI, Nuovi studi sull’interpretazione, Aracne editrice, Roma, 2008, p. 65.

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Nello Stato liberale il fatto che l’interpretazione si riduca a mera ricerca del significato delle norme volute dal legislatore, deriva da una situazione

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politico-3

comporta delle conseguenze negative dal punto di vista della certezza del diritto, ma dall’altra esprime la dinamicità inevitabile che ha il sistema giuridico, comunque giustificata, se si pensa che principi contenenti valori di giustizia, essendo inseriti in Costituzione, sono divenuti parte del diritto positivo e grazie ad essi, che hanno contenuto variabile, si comprende il mutamento costante che di volta in volta subisce l’ordinamento5.

Questo lavoro cerca di far emergere gli aspetti problematici costitutivi del diritto oggi (norme, regole, principi) e quelli relativi agli operatori che si confrontano con essi e con i casi della vita che devono essere regolati. Partendo da un breve excursus del ruolo della legge nei vari periodi storici, sì da comprendere l’attività dei giuristi e dei giudici e, più in generale, di coloro che hanno a che fare con le disposizioni giuridiche, si passa attraverso la valutazione di vari aspetti,avendo come punto di riferimento un caso concreto dal quale emergono: il caso «Serena Cruz». Per prima cosa raccontato avuto riguardo ai fatti, alle sentenze, all’eco che suscita nei confronti dell’opinione pubblica, a partire da personalità presenti nel Parlamento, giornalisti e presentatori, fino ad arrivare proprio alle case di tutta Italia. Esso è il fatto dal quale ha origine la mia riflessione sul ruolo della legge, del giudice, sui suoi poteri e i suoi limiti, quando si trova davanti ad una norma da interpretare.

sociale stabile e dalla omogeneità dei valori fondanti. Cfr. ZAGREBELSKY, Il

diritto mite, cit., p. 200-201.

5

È altresì vero che tale tendenza alla trasformazione dell’ordinamento, non può andare a scapito di altri valori come ad esempio l’uguaglianza giuridica, la prevedibilità, l’imparzialità e il carattere non arbitrario dell’azione giudiziaria. Cfr. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 202.

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CAPITOLO PRIMO

Il caso Serena Cruz

1. Il fatto

Serena Cruz nasce il 20 maggio 1986 (data di nascita ufficiale anche se non vi è assoluta certezza) a Manila, nelle Filippine. La bambina appena nata viene abbandonata dalla madre e successivamente trovata in un bidone dei rifiuti; ciò porta al suo ricovero in un istituto in tenerissima età.

Sul finire dell’anno 1987 si recano a Manila Francesco Giubergia, ferroviere di Racconigi, e la moglie Rosanna, infermiera nella locale Unità sanitaria addetta al servizio materno infantile.

I due coniugi,anni prima, avevano perso un figlio, nato morto. Complicazioni durante il parto comportarono l’asportazione dell’utero e delle ovaie della donna,rendendola incapace di avere figli in modo naturale in futuro.

Così,influenzati da diversi fattori, (tra cui la cultura cattolica del paesino di Racconigi nel quale sono cresciuti e vivono; l’approvazione nell’ 8 maggio 1983 della legge 184 sulla disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori) prendono la decisione di adottare un bambino. Sono aiutati e consigliati da colui che fu per un periodo il loro medico di famiglia, il dottor Deodato, stabilitosi a Racconigi per due anni poi diventato funzionario dell’Organizzazione mondiale della sanità nelle Filippine a Manila, dove in seguito si stabilì e adottò quattro figli. E’ proprio tale dottore a prospettare ai Giubergia la possibilità e i vantaggi di una adozione internazionale. Essi si affidano completamente a lui dato anche il rapporto di grande fiducia che si era creato quando operava nel loro paesino. Il medico non solo li mette sulla via dell’adozione, ma li aiuta affinché essa

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divenga possibile, ospitandoli nella propria abitazione per un paio di mesi,così evitando spese che altrimenti i Giubergia non avrebbero potuto sostenere data la loro umile condizione.

Quei mesi rappresentano il tempo necessario per reperire la documentazione obbligatoria nel paese di origine del bambino da adottare6.

Rispettata la procedura prevista dalla legge italiana7, i coniugi tornano a Racconigi con un bimbo: Nasario. Si recano al Tribunale dei Minori

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É previsto che il dossier relativo alla coppia debba essere inviato alla Autorità Centrale competente per le adozioni internazionali, l’ICAB (Inter Country Adoption Board), che provvede al controllo e alla registrazione della documentazione dei candidati all’adozione. Quando viene individuato il minore, l’ICAB invia alla coppia, tramite l’ente autorizzato, un dossier contenente tutte le informazioni a lui relative per ottenere l’accettazione della proposta di abbinamento. Se passa un anno dalla registrazione senza proposta di abbinamento, è necessario un aggiornamento della documentazione. La coppia generalmente ha 15 giorni di tempo per rispondere ad essa, prolungabile a 30 giorni se c’è bisogno di fare particolari approfondimenti. In caso di accettazione dell’abbinamento da parte della coppia, l’ICAB, prepara tutta la documentazione necessaria relativa al minore e stabilisce la data di partenza della coppia per il soggiorno nelle Filippine che sarà circa di 10 giorni. Durante tale permanenza, gli adottanti hanno un primo incontro con i funzionari dell’ICAB, un secondo con il minore presso l’istituto in cui si trova, al fine di trascorrere vari momenti con lui sì da iniziare ad adattarlo alla nuova situazione, ed infine ritornano all’ICAB per definire la pratica, così da avere tutta la documentazione necessaria per l’autorizzazione di ingresso in Italia. L’affidamento in vista dell’adozione ha la durata di sei mesi; trascorso tale periodo nel paese di accoglienza e con il consenso definitivo dell’ICAB, può essere trasformato in adozione. Cfr. http://www.commissioneadozioni.it/it/per-una-famiglia-adottiva/paesi/asia/filippine.aspx

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La legge che regola l’adozione in Italia é la 184/1983 (poi modificata dalla l. 476/1998 ed ancora dalla l. 149/2001) che stabilisce i requisiti che gli adottanti devono possedere a tal fine e la procedura per renderla possibile. L’iter previsto prevede innanzitutto la verifica da parte del Tribunale dei Minori dei requisiti richiesti per legge. Se li ritiene esistenti, quindi se gli aspiranti adottanti vengono ritenuti idonei, presenta la dichiarazione di disponibilità all’adozione internazionale. Ad essa la famiglia deve allegare il certificato di nascita, lo stato di famiglia, la dichiarazione di assenso dei genitori degli adottanti, certificati economici, il certificato del Casellario giudiziario e l’autocertificazione della non esistenza di una separazione in atto tra i coniugi. Entro i successivi 4 mesi i servizi sociali esaminano la coppia e la loro capacità di prendersi cura del bambino; successivamente informano i genitori dello stile e della condizione di vita del paese in cui hanno deciso di adottare il figlio adottivo. Viene preparato un decreto di idoneità dal Tribunale dei Minori e dai servizi sociali e inviato alla Commissione per le adozioni internazionali e alla onlus scelta dai genitori che serve a monitorare le richieste di adozione nell’area scelta. L’ autorizzazione del paese straniero è

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di Torino per consegnare tutta la relativa documentazione, l’idoneità a divenire genitori e il provvedimento di adozione del governo filippino. Il Tribunale, accertata la sussistenza degli atti previsti, sentito il parere del pubblico ministero e riunitosi in Camera di consiglio, riconosce l’adozione, così Nasario diventa figlio legittimo della coppia ed in seguito cittadino italiano.

Quando il bambino compie tre anni e mezzo d’età,una sera, arriva una telefonata a casa Giubergia. È il dottor Deodato che in modo molto conciso informa la famiglia che a Manila c’è una bambina in gravi condizioni bisognosa di aiuto poiché la madre non può averne cura. Quella può essere l’occasione per i Giubergia di avere un secondo figlio e per Nasario di avere una sorellina, oltretutto della stessa nazionalità. Il non trascurabile problema è ripercorrere per la seconda volta tutta la trafila fatta in occasione della prima adozione. Anche stavolta è il dottore a prospettare una soluzione: Francesco deve dichiarare che, quando per la prima volta si reca a Manila con la moglie, ha una relazione extraconiugale con una filippina dalla quale nasce una figlia di cui si assume in quel momento la responsabilità e si impegna a mantenere ed educare, data l’impossibilità della madre che è giovane, povera e si prostituisce. A garanzia di questa strategia c’è il certificato anagrafico della bambina che è perfettamente compatibile con la permanenza del signor Giubergia a Manila in occasione dell’affidamento di Nasario.

La famiglia,nell’immediato scossa dalla notizia, ci pensa per qualche giorno, poi decide di procedere nei modi prospettati dal dottore. Oltre

necessaria affinché l’adozione vada a buon fine. É la Commissione internazionale ad autorizzare l’ingresso e la permanenza del bambino in Italia. Al rientro nel paese di accoglienza e al termine del periodo di affidamento pre-adottivo, il Tribunale dei Minori registra l’adozione. A questo punto il bambino diviene cittadino italiano a tutti gli effetti. Cfr. C. FISCHETTI, F. CROCE, G. HASSAN, Un bambino da

scoprire, sviluppo e problemi dell’adozione internazionale, PHOENIX editrice,

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al loro personale ed acceso desiderio di genitorialità, pensano che dare a Nasario una sorellina della medesima nazionalità possa essere un buon presupposto per una sua più sicura serenità futura; si aggiungono poi le pessime condizioni della bambina e quindi il forte desiderio di aiutarla come già hanno fatto con il primo adottato, affetto da una grave malattia polmonare e da decalcificazione ossea, poi ristabilitosi una volta portato in Italia a Racconigi.

Così, il 7 gennaio 1988, Francesco Giubergia si presenta all’ambasciata italiana di Manila denunciando la bambina come sua figlia, generata da una relazione con Marlene Vito Cruz; consegna i documenti, tra cui uno autenticato dal notaio Sulplicio Benigno, con la dichiarazione di rinuncia della madre rispetto alla figlia.

L’adozione di un figlio naturale8 prevede una procedura molto più snella9 e conseguentemente dei tempi ridotti per concludere la

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Con l’espressione «figlio naturale» si fa riferimento a colui che è procreato da genitori non uniti tra loro da vincolo matrimoniale. A tal proposito, l’art. 30 della Costituzione, assicura anche ad esso ogni tutela giuridica e sociale e una condizione di pari dignità, compatibilmente con i diritti degli altri componenti della famiglia legittima.

La filiazione naturale è stata riformata da ultimo dalla legge 219 del 10 dicembre 2012 e pubblicata in Gazzetta ufficiale il 17 dicembre. L’obiettivo al quale mirano le nuove norme è eliminare qualsiasi forma di discriminazione tra figli legittimi e figli naturali. In particolare il provvedimento modifica il codice civile, le disposizioni per la sua attuazione e le disposizioni transitorie nei seguenti punti: - l’art. 74 c.c. (sostituito) definisce la parentela come il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo (anche se rimane escluso il vincolo di parentela nei casi di adozione di persone di maggiore età);

- l’art. 251 (sostituito) disciplina l’autorizzazione al riconoscimento del figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio. Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal tribunale per i minorenni;

- l’art. 276 (sostituito) relativo alla legittimazione passiva per cui la domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza,nei confronti dei suoi eredi. Se anche questi non sussistono, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore

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pratica;infatti, il 13 gennaio 1988,Francesco Giubergia torna a Racconigi con una bambina di 19mesi registrata all’anagrafe con il nome di Serena Cruz Giubergia.

Il 22gennaio, il Tribunale dei Minori convoca i Giubergia, avendo saputo dell’arrivo di lei dall’estero senza l’effettuazione di nessuna pratica di adozione.

Si presenta solo la signora Giubergia ribadendo la versione data dal marito al momento del riconoscimento di paternità, quindi riaffermando la verità della relazione adulterina avuta dallo stesso la prima volta che si sono recati a Manila per l’adozione del primo figlio.

nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse;

- l’art. 315 c.c. (sostituito) prevede che tutti i figli abbiano lo stesso stato giuridico; - l’art. 315 bis c.c. (inserito) rubricato “diritti e doveri del figlio” , prevede il diritto del figlio ad essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni. Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti;

- l’art. 38 delle disposizioni per l’attuazione del c.c. e disposizioni transitorie, di cui al regio decreto n. 318 del 30 marzo 1942, è stato sostituito. Nella nuova versione prevede di competenza del tribunale per i minorenni i provvedimenti contemplati negli art. 80, 90, 330, 332, 333, 334, 335 e 371, ultimo comma del c.c. . Per i procedimenti di cui all’art. 333 resta esclusa la competenza del tribunale per i minorenni nell’ipotesi in cui sia in corso, tra le stesse parti, giudizio di separazione o divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c.c.;

- l’art. 35 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, è sostituito e disciplina il nome dei figli per cui il nome imposto al bambino deve corrispondere al sesso e può essere costituito da un solo nome o da più nomi, anche separati, non superiori a tre. Nel caso siano imposti due o più nomi separati da virgola, negli estratti e nei certificati rilasciati dall’ufficiale dello stato civile e dall’ufficiale di anagrafe deve essere riportato solo il primo dei nomi. Cfr. http://www.commissioneadozioni.it/it/per-una-famiglia-adottiva/paesi/asia/filippine.aspx

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Anche se il rapporto giuridico di filiazione non si costituisce automaticamente, per riconoscere un figlio naturale basta un atto volontario del genitore che consiste nella dichiarazione unilaterale di scienza in cui viene affermato di essere padre o madre del soggetto in questione. Nel caso di specie si tratta di un figlio naturale di persona unita in matrimonio, quindi figlio adulterino, pertanto è prevista altresì l’autorizzazione del giudice, in questo caso del Tribunale dei Minori, trattandosi di una bambina minorenne, che viene concessa se sussiste anche il consenso del coniuge, dell’altro genitore naturale e dei figli legittimi se hanno un’età superiore ai 16 anni.

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Il 29 gennaio, il Tribunale dei Minori riconvoca il signor Giubergia che in quell’occasione si presenta dichiarando che è venuto a conoscenza della nascita della bambina solo dopo che è avvenuta, che non è potuto andare subito a prenderla per impossibilità economica e che la madre, di sua spontanea volontà, vuole rinunciare alla figlia perché oltre alla giovane età, è anche molto povera.

La vicenda,così raccontata da entrambi i coniugi, viene ritenuta da subito inattendibile dal Tribunale e anzi ne alimenta i sospetti. I signori Giubergia sono avvertiti che se le loro dichiarazioni verranno ritenute false, ne conseguiranno gravi conseguenze per loro e per la bambina. In virtù di tali avvertenze rese dal Tribunale e coerentemente con esse, viene aperto un fascicolo civile avente ad oggetto l’affidamento di Serena, destinato a sfociare presso altra famiglia in caso di falsità delle dichiarazioni rese dai coniugi.

Nel mese di febbraio Francesco Giubergia fa domanda affinché Serena venga inserita come figlia legittima nella sua famiglia ai sensi dell’art 252c.c10.

Per questo, il 24 marzo 1988, il Tribunale dei Minori ordina l’effettuazione dell’esame del DNA nei confronti di colui che si dichiara essere il padre; tuttavia egli non si presenta.

Il suo avvocato è della tesi che la prova del sangue non può essere richiesta in questo caso perché la bambina è stata riconosciuta da entrambi i genitori naturali. L’eccezione viene respinta, quindi confermato il provvedimento dalla Corte d’Appello il 3 maggio 1988.

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L’art. 252 c.c. prevede al secondo comma: “L’eventuale inserimento del figlio nato fuori dal matrimonio nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice qualora ciò non sia contrario all’interesse del minore e sia accertato il consenso dell’altro coniuge convivente e degli altri figli che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età e siano conviventi, nonché dell’altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento. In questo caso il giudice stabilisce le condizioni cui ciascun genitore deve attenersi”.

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E’ disposto dal giudice di dar corso alla prova in data 27 giugno, ma ancora una volta il signor Giubergia non si presenta.

L’avvocato difensore chiede un rinvio per preparare un nuovo ricorso fondato sull’incompetenza funzionale del Tribunale dei Minori a richiedere l’esame del sangue ma nuovamente viene confermato il parere negativo su tale ricorso e fissato per la terza volta l’esame ematologico in data 19 luglio.

Il signor Giubergia, nonostante l’insistenza manifestata dal Tribunale nelle suddette occasioni, mantiene con fermezza il suo atteggiamento di rifiuto a tal proposito ed infatti manca ancora all’ulteriore appuntamento fissato.

A questo punto, il tecnico nominato per eseguire la perizia, non ha altra scelta che rimettere gli atti al giudice per impossibilità di svolgere tale incarico.

2. La vicenda giudiziaria

Trascorsa l’estate, il 27 ottobre, il Pubblico Ministero del Tribunale dei Minori chiede l’inserimento della bambina presso una famiglia affidataria, data la probabilità molto alta della falsa paternità e quindi dei conseguenti documenti che la attestano.

Il 7 novembre, il Tribunale accoglie la richiesta del Pubblico Ministero disponendo inoltre la immediata esecutività del provvedimento (anche in caso di proposta di Appello dei Giubergia) ritenendo urgente il non prolungamento della permanenza della bambina in quella famiglia.

Il 17 novembre, i Giubergia vengono chiamati in Tribunale dove è comunicata loro la decisione presa di togliergli la bambina.

Essi, per evitare l’immediata esecuzione dell’ordine di

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Corte, sezione per i minorenni, la sospensione dell’esecuzione immediata del provvedimento adottato dal Tribunale, in attesa che la stessa si pronunci; anche in quell’occasione ribadiscono la verità della versione data in origine.

Il 24 novembre 1988,il Presidente della Corte decide di sospendere l’immediata esecuzione dell’ordine di allontanamento, accogliendo la richiesta dei Giubergia.

Il 6 dicembre, la Corte di Appello di Torino dispone che vengano presi in esame i documenti prodotti dai coniugi di Racconigi; la paternità di Francesco Giubergia risulta solo da un documento filippino nel quale Marlene Vito Cruz, che afferma di essere la madre di Serena, dichiara lui come padre,il quale, al momento della registrazione, quindi solo da lei eseguita, si trovava all’estero. Tale documento non può essere ritenuto valido nell’ordinamento italiano il quale esige che il riconoscimento di un figlio naturale avvenga tramite atto formale fatto dal padre, con determinate caratteristiche prescritte dalla legge11, ben diverso da una dichiarazione unilaterale di una donna che attribuisce la paternità ad un uomo (e magari all’oscuro di lui).

Dal Signor Giubergia però non è prodotto alcun documento di riconoscimento di paternità.

Nonostante la mancanza di tale prova, la Corte decide di compiere essa stessa delle verifiche sugli atti di stato civile dei Giubergia in cerca del suddetto documento che tuttavia non è trovato. Le affermazioni rese da quella famiglia sono basate tutte sulla dichiarazione unilaterale della sedicente madre.

Così, il 31 gennaio 1989, sulla base dell’assenza di un valido riconoscimento di paternità, la Corte dichiara che non esiste nessun

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atto ufficiale che accerta e prova tale status, quindi conferma il provvedimento del Tribunale del 7 novembre.

Tra tante, emerge anche l’ipotesi che Marlene Vito Cruz sia solo la presunta madre, dato che, servizi giornalistici, riportano dichiarazioni nelle quali lei afferma di non aver mai avuto figli; per questo, il Tribunale per i minorenni, richiede alla competente Autorità giudiziaria filippina di interrogarla. Ciò costituisce un altro dei motivi

della conferma del provvedimento del Tribunale del 7

novembre,pensato anche in virtù della legge 4 maggio 1983 n. 184 che deve essere applicata con rigore e fedeltà contro ogni frode. Una legge che regola i profili formali che devono essere rispettati nelle pratiche di adozione a tutela e difesa in primis dei bambini, da applicarsi senza eccezioni e che mira a impedire e a combattere la piaga internazionale del traffico di essi.

A questo punto i Giubergia, per evitare l’allontanamento della bambina,propongono istanza di adozione o almeno di affidamento pre-adottivo, ma il Tribunale dei Minori respinge ulteriormente la richiesta fatta, con provvedimento del 21 febbraio 1989, non ravvisando i presupposti necessari per avviare tali pratiche.

I Giubergia propongono appello contro tale verdetto e il 14 marzo 1989 la Corte di Appello conferma la decisione del Tribunale.

È il tempo per quest’ultimo di dare esecuzione al provvedimento, dato e confermato in sede di appello, di allontanamento della bambina dalla famiglia presso la quale è stata fino a quel giorno.

È un momento di grande emozione popolare: il paese di Racconigi, costituito da diecimila abitanti, entra in sciopero, restano chiuse tutte le attività (bar, negozi, ristoranti) e insorgono inoltre il parroco e il

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sindaco chiedendo, “in nome della Vera giustizia”12, che Serena venga lasciata dove è cresciuta fino a quel momento.

L’immagine di Serena diventa nota in tutta Italia che si spacca letteralmente in due: da una parte, vi sono coloro che approvano la decisione del Tribunale asserendo la loro contrarietà alle adozioni “fai da te”, estranee ai principi giuridici e morali insiti nella legge che mira infatti a dissuadere eventuali trafficanti di minori; dall’altra, ci sono invece coloro ai quali ripugna l’idea che a due bambini innocenti (Serena e Nasario) vengano imposte tali sofferenze, essendo pacifico che i Giubergia non sono trafficanti di bambini e che svolgono egregiamente i propri compiti parentali. Si costituisce a tal proposito il comitato pro Serena Cruz e vengono raccolte firme di solidarietà fino al formarsi di altri comitati anche in ulteriori regioni d’Italia.

La vicenda provoca reazioni fino ai più alti livelli istituzionali: dal Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, che si dichiara colpito dalla drammaticità del fatto, al Ministro degli Affari Sociali Rosa Russo Jervolino. Dal Presidente della Camera Nilde Iotti, al Ministro di Grazia e Giustizia Giuliano Vassalli, che risponde alla Camera alle numerose interpellanze e interrogazioni sulla vicenda. Egli dichiara il suo personale distacco dalla decisione del Tribunale di Torino che ha posto l’accento in modo prevalente sulla esemplarità pro futuro nei confronti di chi non rispetta la legge sulle adozioni, piuttosto che porlo totalmente nei confronti dell’interesse della bambina. Annuncia che sarà incaricata una commissione che si occuperà di studiare le possibili modifiche sulla legge delle adozioni dell’83 per impedire che possano verificarsi altri episodi simili.

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Cfr.N. GINZBURG, Serena Cruz o la vera giustizia, Einaudi, Torino, 1992, p. 11.

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Interviene persino il governo filippino a reclamare la piccola che, stante la decisione del Tribunale, si trova in Italia irregolarmente. Il fatto diventa di interesse di tutti i giornali nazionali, di interviste da parte dei giornalisti e di dibattito anche nel mondo dei letterati13. Il Professore Norberto Bobbio14 scrive un articolo che viene pubblicato il 29 marzo su“La Stampa” di Torino, in cui si schiera

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- Gustavo Zagrebelsky prende ad esempio il caso nella proposta del suo “diritto mite”, secondo cui i principi di libertà e giustizia devono guidare l’applicazione della legge da parte dei giudici poiché fanno parte della vita, e quindi, dei casi concreti che essi devono giudicare. Cfr. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, cit., p. 192.

- Stefano Rodotà, giurista politico e accademico italiano, ha espresso la sua opinione sul tema delle adozioni in condizioni di illegalità, delineando la possibilità di perfezionare questo tipo di situazioni nei casi in cui la permanenza illegale di un bimbo in una famiglia abbia già avuto una certa durata nel tempo, pur riconoscendo la difficoltà di formulazione di una norma di tal genere. Aggiunge che si dovrebbe creare un sistema articolato di sanzioni che agisca come deterrente nei confronti delle coppie che vogliono scegliere una via al di fuori della legge. Auspica inoltre una più rigorosa opera di prevenzione nonché l’inasprimento delle pene contro i trafficanti nelle adozioni. Cfr. Il magistrato: fanno del male alla bimba, La Repubblica, Cfr. http://www.commissioneadozioni.it/it/per-una-famiglia-adottiva/paesi/asia/filippine.aspx

- Natalia Ginzburg dedica al caso il suo ultimo libro, “Serena Cruz o la vera giustizia”, per ricordarlo ma anche per puntare i riflettori su altre vicende relative ad adozioni e affidamenti e per dar conto della solidarietà mostrata in queste occasioni da tutti coloro che sono stati vittime di separazioni o perdite. Inoltre tenta di dar risposta ad un interrogativo lacerante: perché quella bambina viene portata via dai genitori? Essi sì, hanno frodato la legge, ma per un atto di amore. Cfr. GINZBURG, Serena Cruz o la vera giustizia, cit.

- Vittorino Andreoli, primario di psichiatria e docente all’Università di Verona, scrive “Il caso Serena Cruz. Un’adozione interrotta” per testimoniare la vicenda come l’ha vissuta lui in prima persona analizzando i problemi all’interno di essa. Il quotidiano l’ “Avvenire” raccoglie dure critiche di associazioni nazionali, di giudici e del padre adottivo della bambina, tutti assolutamente contrari all’uscita del libro. A tali accuse la casa editrice e lo stesso professore rispondono che il volume si propone, come gli altri della collana “Psichiatria e Crimine” di cui fa parte, un duplice scopo: il primo, del tutto scientifico, affronta il rapporto tra psichiatria e magistratura; il secondo è culturale, destinato cioè anche a chi non è necessariamente un “tecnico” e vuole mostrare i percorsi attraverso i quali si arriva al giudizio, oltre che essere di grande utilità in un momento in cui le problematiche legate all’adozione si ripropongono acutamente. Cfr. P. G. GOSSO, L’adozione

“fai da te” secondo lo psichiatra Andreoli,

http://www.fondazionepromozionesociale.it/PA_Indice/108/108_ladozione_fai_da _te.htm

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Egli durante un convegno tenutosi a Torino nel 1989 e promosso dall’Anfaa (associazione nazionale famiglie adottive e affidatarie), fa pervenire ai relatori una lunga lettera (data la sua assenza) che ruota intorno alla domanda, senza risposta,

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dalla parte dei giudici e dà atto della serietà con la quale essi hanno analizzato il caso e di conseguenza redatto la sentenza.

Il 13 marzo, lo psichiatra Vittorino Andreoli presenta in Tribunale una relazione contenente un’analisi clinico-psicologica di Serena richiestagli dai signori Giubergia, dal loro collegio difensivo e dal comitato;essi così facendo pensano che tale documento possa impedire l’esecuzione della sentenza, confermata anche in Corte d’Appello, e far disporre una perizia d’ufficio, ma nei fatti tali propositi rimangono frustrati.

La suddetta relazione è basata su osservazioni del comportamento in condizioni abituali, quindi viene valutata la personalità della bambina in ambientazioni non artefatte ma le più vicine possibili all’ambito relazionale che quotidianamente é presente nella sua vita. L’analisi prende in considerazione vari aspetti quali l’espressione verbale, grafica, mimica e comportamentale. Viene rilevata una stranezza nell’atteggiamento motorio caratterizzato da continui sussulti, sobbalzi e movimenti scoordinati; dal lato psicologico è rilevato il repentino e immotivato passaggio da attitudini aggressive a momenti di serenità; la presenza di fobie (suono del campanello, rumore del treno, ritardo nel rientro dei genitori) e di disturbi quali quelli relativi al sonno interrotto da incubi causanti pianto, sudorazione e rossore. Sulla base di tali osservazioni il quadro diagnostico di Serena non si presenta certo privo di psicopatologie; lo psichiatra definisce la sua personalità fobico-ossessiva, centrata su una grave insicurezza che si manifesta con reazioni di fuga, quindi di chiusura, e con reazioni di

perché il caso serena Cruz abbia suscitato tanto scalpore. Il dibattito cominciato con l’intervento di Giorgio Pallavicini, Presidente dell’Anfaa, dopo aver fatto il punto sulla situazione nazionale chiedendo collaborazione maggiore ai servizi locali per trovare famiglie idonee, polemizza sul “caso Serena” difendendo, insieme ai relatori (e Bobbio), la scelta del Tribunale e accusando i mezzi di informazione per come è stata presentata al pubblico la vicenda. Cfr. archivio.agi.it,, Adozioni: caso Serena deve insegnare rispetto per la legge, 14.04.1989.

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aggressività. Sicuramente lontana da uno sviluppo psicologico armonico, il Professore ritiene che l’ambiente in cui è inserita non può che essere terapeutico ed anzi ha già avuto effetti di natura positiva sull’Io della bambina, dato il clima di sicurezza che lì, in quella famiglia, è ritenuto come presente. Per questi motivi ritiene, senza il minimo dubbio, inaccettabile l’allontanamento di Serena che non può causare altro che una vera e propria morte psichica della stessa e inoltre che una decisione in contrasto con ciò è contraria al valore dell’equilibrio e della salute psicosociale cui è titolare ogni individuo15.

Nonostante il contenuto della relazione, il 17 marzo, Rosanna Giubergia dietro ordine degli assistenti sociali, dice a Serena che l’avrebbe accompagnata all’asilo; in realtà la porta nella comunità-alloggio della Provincia in cui la lascia.

Le è ordinato inoltre di non dire niente al fratello Nasario che quindi vede la madre rientrare a casa senza Serena e senza alcuna spiegazione.

Nella comunità viene tolto alla bambina ogni cosa che possa ricordarle i momenti di vita passati fino a quel momento16.

15

Espressioni in parte riprese dal libro “Il caso Serena Cruz. Un’adozione interrotta di Vittorino Andreoli, che, tra l’altro, riporta anche copie dei disegni della bambina. Cfr. ANDREOLI, Il caso Serena Cruz. Un’adozione interrotta, Editori Riuniti, Roma, 1994, p. 23-51.

16

Nel libro “Genitori adottivi e figli del mondo” (di Jean-Francois Chicoine, pediatra, professore all’Università di Montréal, cofondatore dell’associazione «Le monde est ailleurs»; Patricia Germain, infermiera all’ospedale SainteJustine di Montréal; Johanne Lemieux, assistente sociale, fondatrice del Bureau de consultation en adoption) vengono analizzati vari aspetti dell’adozione internazionale. Tra questi, si parla della “scatola dei ricordi”: ogni bambino con una famiglia, in casa ha degli effetti che fanno parte del suo mondo e gli danno un senso di continuità e appartenenza; ad esempio la foto della mamma incinta, il video del parto, la scatolina con il braccialetto dell’ospedale. I genitori adottivi solitamente vogliono riprodurre tale modello con degli oggetti che ricordino il momento dell’adozione. Gli autori del libro consigliano di creare un luogo o un oggetto che abbia la funzione di rinviare al passato del bambino; questo sarà il “luogo delle radici” o la “scatola delle radici”. Tutti i genitori si trovano a rispondere a migliaia di domande dei loro figli sulla vita, la morte, la sofferenza, la

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Rimane in quella comunità solo otto ore; nella notte viene portata in un’altra, al riparo dai giornalisti così da restare ignota a tutti.

Serena inizia a soffrire di crisi di pianto e convulsioni; il parroco di Racconigi Don Aldo Marengo inizialmente afferma che ha saputo da un’assistente che la pediatra somministra alla bambina gocce di valium da sciogliere nella minestra e altri tranquillanti. In seguito nega di aver saputo ciò.

Il 21 marzo, i Giubergia presentano ricorso contro la sentenza. La difesa sostiene, anche in virtù delle dichiarazioni fatte dal Professore e psichiatra Vittorino Andreoli, che Serena soffre del distacco dalla famiglia con cui è stata più di un anno e che soffre più di ogni altro bambino che si trova in quella situazione perché fortemente disturbata da incubi e fobie che derivano dalle mancanze relative al suo primo anno di vita, nel quale è stata abbandonata e trovata gravemente malata.

Il 31 marzo il ricorso viene respinto. I giudici ritengono che quel grado di sofferenza così acuto descritto dalla difesa non sussista sulla base di relazioni fornite da psicologi che hanno visto e analizzato il comportamento di Serena nella comunità (tuttavia non avendola mai vista prima presso l’abitazione di Racconigi). Essi affermano la quasi scomparsa dei sintomi affermati dal Professore Vittorino Andreoli, l’assenza di incubi, notti tranquille, alimentazione abbondante e

malattia, l’amore etc. Tuttavia i genitori adottivi si trovano di fronte anche ad ulteriori interrogativi cui non sanno dare risposta, relativi a quei tasselli del passato del piccolo, andati perduti. Dare radici ad un bambino abbandonato è cosa assai ardua e la “scatola” vuole proprio cercare di dare dei punti di ancoraggio attraverso oggetti, simboli, ma soprattutto luoghi precisi nei quali andare a cercare informazioni sulla loro vita. Tale scatola perciò dovrà contenere cose legate alla vita del bambino prima dell’adozione,relative alla famiglia biologica e al Paese di origine. Essa viene descritta come una sorta di valigetta che deve avere un aspetto allegro, non molto grande, da poter mettere sotto il letto o dentro l’armadio della cameretta del bambino, così anche facilmente raggiungibile da lui da solo, o da lui e le persone che reputa significative, con cui vuole condividere tali ricordi o porre domande in merito. Cfr. J. F. CHICOINE, P. GERMAIN, J. LEMIEUX, Genitori

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socializzazione regolare con i coetanei. Ritengono il rapporto con i Giubergia ansiogeno e per questo incapace di soddisfare le esigenze della bambina e quindi non così terapeutico come il perito di parte lo ha descritto.

Di tutt’altro avviso è la dottoressa Linuccia Canova che esegue la sua valutazione osservando Serena nel secondo istituto in cui è portata. Consegna la sua relazione psicologica sulla minore il 23 marzo assumendo nel caso il ruolo di perito d’ufficio. Alla base di tale perizia c’èin un primo momento, l’osservazione della bambina nel gioco spontaneo con gli altri e in un secondo, quella del suo comportamento nel gioco guidato con il perito. La dottoressa non rileva alcuna anomalia dal punto di vista motorio, della relazione e alcun timore per l’estraneo. Tuttavia nota alcuni problemi nella costruzione della frase e nel rispondere a ciò che le viene chiesto; tali difficoltà si manifestano solo qualche volta e non sempre, perciò ne deduce non una incapacità, ma una opposizione che si esprime anche nel fugare le richieste che le si rivolgono, sviandole, così da dominare l’interlocutore e sfuggire alla consegna. Suddetti comportamenti denotano la sua insicurezza, il bisogno di controllare le situazioni in cui si trova e la paura di farsi vedere inadeguata nelle stesse. La diagnosi conclusiva è quindi non la presenza di disturbi psicologici di tipo psicotico ma una scarsa fiducia in se di natura depressiva: Serena, dall’esperienza di distacco dai Giubergia, ha reagito innalzando barriere di difesa volte a coprire e mascherare il suo disagio interiore frutto indubbiamente di mancanze.

In linea con la suddetta posizione è altresì il neuropsichiatra infantile Giovanni Bollea17 che pubblica un articolo su “la Repubblica” nel

17

Giovanni Bollea era un noto psichiatra italiano, padre della moderna neuropsichiatria infantile (nato il 5 dicembre 1913 e morto il 6 febbraio 2011); fondatore e direttore dell’istituto di neuropsichiatria infantile, primo Presidente della società italiana di neuropsichiatria infantile, promotore di innumerevoli

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quale afferma che quello stato di allegria, tranquillità e serenità osservato é solo apparenza e nella realtà lo definisce come una depressione camuffata; dichiara inoltre che è da ritenersi molto strana la precipitosa diminuzione delle fobie di cui sopra. Così propone una superperizia da dover essere effettuata dagli psicologi del Tribunale, dal Professore Vittorino Andreoli (l’unico ad aver visto la bambina presso i Giubergia) e da altri psicologi scelti da quest’ultimo, ma questa non è mai stata eseguita.

Ancora e per la terza volta, in data 11 aprile 1989, i Giubergia ricorrono alla Corte chiedendo la revoca del provvedimento del Tribunale e di quelli della Corte, quindi la restituzione urgente della bambina.

La Corte si è già espressa su molti punti nelle precedenti sentenze ed in particolare su quello centrale che pone gli altri in secondo piano e subordinati allo stesso: manca il documento di riconoscimento di paternità, è inesistente, quindi Francesco Giubergia non risulta essere padre naturale della piccola Serena. Ciò rende quindi irrilevante ogni disquisizione sulla prova del DNA e sulla competenza del Tribunale per i Minorenni a pronunciare sulla falsità o meno del riconoscimento.

Nel ricorso, i Giubergia richiamano l’art 17 delle preleggi18, sostenendo di aver fatto un riconoscimento valido per la legge filippina e quindi valente anche per quella italiana.

iniziative a favore dell’infanzia. Oltre al compendio di neuropsichiatria infantile ed a più di 250 lavori, ha pubblicato il best seller “le madri non si sbagliano mai”. 18

L’art. 17 delle preleggi è stato abrogato dall’art 73 della legge 31 maggio 1995, n. 218 sul sistema italiano di diritto internazionale privato in vigore dal 2 settembre 1995. Precedentemente riportava “Lo stato e la capacità delle persone e i rapporti di famiglia sono regolati dalla legge dello Stato al quale esse appartengono. Tuttavia uno straniero, se compie nella Repubblica un atto per il quale sia incapace secondo la sua legge nazionale, è considerato capace se per tale atto secondo la legge italiana sia capace il cittadino, salvo che si tratti di rapporti di famiglia, di successioni per causa di morte, di donazioni, ovvero di atti di disposizione di immobili situati all’estero”. Cfr. http://www.brocardi.it/preleggi/capo-ii/art17.html

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La Corte, al contrario, richiama l’art 31 delle preleggi19 secondo il quale in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero possono aver effetto nel territorio dello Stato italiano quando sono contrarie all’ordine pubblico20. Proprio le norme italiane relative allo stato civile delle persone appartengono a quelle facenti parte l’ordine pubblico, data la loro importanza a proposito degli effetti sullo status giuridico di esse e a maggior ragione rientra in esso (inteso pure nella

accezione di ordine pubblico internazionale21) la normativa

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Anche l’art. 31 delle preleggi è stato abrogato dalla riforma del sistema italiano del diritto internazionale privato. Precedentemente riportava “Nonostante le disposizioni degli articoli precedenti, in nessun caso le leggi e gli atti di uno stato estero, gli ordinamenti e gli atti di qualunque istituzione o ente, o le private disposizioni e convenzioni possono aver effetto nel territorio dello Stato, quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon costume. L’ordine corporativo fa parte integrante dell’ordine pubblico”. Cfr. http://www.brocardi.it/preleggi/capo-ii/art31.html

20

L’ordine pubblico è un concetto complesso che ha una varietà di contenuti in rapporto alle diverse branche del diritto. In generale può essere definito come l’insieme dei principi dell’ordinamento giuridico che ne costituiscono il fondamento etico. I valori giuridici che lo compongono sono volti, tra l’altro, ad arginare l’ingresso nel nostro ordinamento nazionale di principi stranieri incompatibili con quelli fondamentali del nostro sistema.

21

L’ordine pubblico internazionale può essere definito invece come una clausola generale che ha la finalità di preservare l’armonia interna del nostro ordinamento giuridico dall’applicazione di norme straniere che produrrebbero nel caso concreto dei risultati inconciliabili e antitetici nei confronti delle nostre concezioni sociali dominanti e delle nostre regole giuridiche cardine. Rileva l’art. 16 della legge 31 maggio 1995 n. 218, poiché pone dei limiti ben precisi per l’applicazione, all’interno del nostro ordinamento, di norme giuridiche straniere. In sintesi, se la norma che appartiene all’ordinamento giuridico straniero contiene dei principi che non possono essere applicati nel nostro ordinamento giuridico, deve essere disapplicata. Così recita l’art. 16: «1. La legge straniera non è applicata se i suoi effetti sono contrari all’ordine pubblico.

2. In tal caso si applica la legge richiamata mediante altri criteri di collegamento eventualmente previsti per la medesima ipotesi normativa. In mancanza si applica la legge italiana».

Tale articolo nasce dall’espressa esigenza di regolamentare fattispecie sempre più soggette a contaminazioni di principi, istituti e regole di provenienza straniera per l’effetto combinato dell’integrazione europea, dei flussi migratori sempre più consistenti, della globalizzazione dei mercati e dei suoi operatori. Pertanto, i principi essenziali che sono alla base del nostro ordinamento, vengono così tutelati proprio da tale articolo che pone un limite tassativo all’applicazione del diritto straniero ed è stato collocato dal nostro legislatore a salvaguardia dell’identità giuridica, sociale ed economica più intima dello Stato italiano. C’è in ultimo da tener presente che l’ordine pubblico presenta caratteri di relatività nello spazio e

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21

riguardante il rapporto di filiazione la quale stabilisce, che per la validità del riconoscimento di un figlio naturale, occorre un atto a forma vincolata che sia posto in essere dal padre e che riguardi direttamente il figlio naturale.

A difesa della loro posizione, i signori Giubergia citano anche il caso del minore Oreste Migliaccio22. In quell’occasione la Corte di

nel tempo, quindi tale concetto muta e si evolve in relazione alle concezioni sociali dominanti e per questo spesso diviene molto indeterminato. Gli operatori del diritto hanno il dovere di coglierne gli aspetti e applicarli nei casi pratici. Cfr.

http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=1437

22

Così è intitolato un articolo su “La Repubblica” il 26 marzo 1989: «Legge umana con Oreste, può restare in famiglia». Ed inoltre esso inizia proprio con questa affermazione: «Ad Oreste è andata molto meglio che a Serena». I giudici che vivono ed operano nel Napoletano si ritrovano spesso di fronte a procedimenti per alterazione dello stato civile e molto spesso assolvono per insufficienza di prove. In questo caso è la dottoressa Melita Cavallo, del Tribunale per i Minorenni, a sospettare per prima della falsità della dichiarazione fatta da Angelo Migliaccio, al Municipio nel gennaio dell’86, ai fini del riconoscimento di Oreste come suo figlio, generato da una relazione con una donna che non intendeva essere nominata. Per questi motivi arrivò al dichiaratosi padre un decreto del Tribunale minorile contenente la misura del collocamento del bambino presso la Casa Santa dell’Annunziata di Napoli e la nomina di un curatore speciale (l’avvocato Emilia Delcogliano) incaricato di impugnare, per difetto di veridicità, il riconoscimento della paternità. Angelo Migliaccio, tramite il suo avvocato Gerardo Vitiello, impugna tale decreto. Ciò che rileva ai nostri fini, è che anche in questo caso, come nella vicenda di Serena, si crea una polemica in Parlamento: alcuni deputati del Partito Comunista italiano presentano un’interrogazione al Ministro della Giustizia criticando duramente l’operato della dottoressa Cavallo poiché contrario all’allontanamento di un bambino accolto amorosamente da una famiglia, prima dell’accertamento della legalità o meno del riconoscimento. Anche qui è coinvolto l’allora Presidente della Repubblica Cossiga e il CSM. La Corte d’Appello in seduta collegiale, senza entrare nel merito della veridicità del riconoscimento, ordina che il minore rimanga presso la famiglia costituita dall’agricoltore Angelo Migliaccio e la moglie, anche perché il ricovero in istituto appare inopportuno essendo intuitivo il danno che ne sarebbe potuto derivare al bimbo sottratto all’ambiente in cui è positivamente inserito. Successivamente, sempre la Corte di Appello, sezione per i minorenni (anche se composta da giudici diversi da quelli che si occuparono della questione precedentemente) nel secondo provvedimento, ribadisce il trauma che potrebbe derivare al minore, in quel momento di 2 anni e 10 mesi, dallo spostamento in un istituto o presso altra famiglia; aggiunge che la falsità del riconoscimento è soltanto un’ipotesi al momento non dimostrata. Secondo alcuni, tali decisioni sono state escogitate dai giudici napoletani per aggirare la legge sulle adozioni che, anche se da un lato si propone di stroncare il fenomeno del mercato dei bambini, dall’altro rimane carente sul versante delle adozioni. Nel caso specifico di Napoli infatti, il traffico dei minori rimane imponente e le adozioni concluse regolarmente e accordate dal Tribunale minorile sono molto poche. Cfr. La Repubblica, Legge umana con Oreste, può restare in

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Appello di Napoli, sezione per i minorenni, revoca il provvedimento di allontanamento del bambino dalla famiglia in cui si trova che é stato emanato con motivazione di non causargli traumi. In questo caso quindi, secondo i ricorrenti, è stato guardato e valutato come preminente l’interesse del minore.

La Corte di Torino spiega che il modo di operare della Corte di Napoli è affine al loro; quest’ultima revoca il provvedimento di allontanamento perché è in corso davanti al giudice ordinario un procedimento per l’accertamento della falsità (o meno) del riconoscimento effettuato dal padre, quindi ritiene opportuno non collocare altrove il minore fino al momento in cui la verità non emerga. Analogo atteggiamento si può riscontrare quando la Corte di Appello di Torino decide di sospendere l’esecuzione del provvedimento di allontanamento preso dal Tribunale dei Minori, anche qui fino al momento in cui non sia stata fatta luce sulla vicenda, quindi prima di essere sicuri che i Giubergia abbiano detto il falso. È solo al momento dell’accertamento dell’invalidità del riconoscimento che la Corte procede all’allontanamento di Serena e anche con rapidità.

In realtà, oggetto della difesa dei ricorrenti, è altresì l’immediatezza e l’intransigenza usata nel caso, paragonata e contrapposta alla lentezza e indulgenza che caratterizza i processi penali in cui ci sono imputati di reati anche gravi e quindi più di quello commesso dai ricorrenti. Da parte sua, la Corte afferma che il loro operato non è stato affatto celere, che anzi, prima di prendere alcun provvedimento ha voluto essere certa della verità dei fatti, che la lentezza che ha così permesso una permanenza di 14 mesi della bambina, è dovuta all’ostinato

famiglia,

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1989/03/26/legge-umana-con-oreste-puo-restare-in.html

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comportamento dei signori Giubergia finalizzato a mascherare la frode effettuata alla legge.

Resta da esaminare un unico punto: quello secondo cui, i giudici, togliendo Serena alla famiglia Giubergia, hanno tradito lo spirito e i principi cui la legge 184/1983 si informa e quindi sacrificato l’interesse (da considerare preminente per essa) della minore a vantaggio di schemi rigidi e fissi; la questione è quanto i giudici hanno preso freddamente le loro decisioni sacrificando le ragioni del cuore e calpestando le esigenze di Serena,rispettando invece dei principi astratti dando prova della loro forza. Nei primi due processi si concentrano soprattutto sui signori Giubergia e sui modi che hanno usato per ottenere l’affidamento della bambina; in seguito, nel terzo processo, dopo che Serena viene allontanata dalla famiglia, l’attenzione è tutta rivolta a lei, al suo stato di salute e alle conseguenze che ha avuto nell’immediato e avrebbe potuto avere in futuro, dato il disposto allontanamento dalla famiglia.

In primo luogo, i giudici dicono che non si tratta solo di un conflitto tra Serena e l’applicazione della legge, ma hanno dovuto guardare agli innumerevoli casi di bambini esposti ad essere oggetto di mercato e la disapplicazione della legge. Essa difende tutti i bambini e i giudici devono fare lo stesso. Non è il rifiuto dei magistrati di tradire la legge a produrre sofferenza a Serena, ma è la prolungata frode di essa da parte dei Giubergia ad averla provocata, ai quali viene imputata la completa responsabilità. Essi hanno avuto molte occasioni per cambiare versione e sono stati avvertiti più volte dal Tribunale delle conseguenze in caso avessero detto falsità. D’altro canto, sia il Tribunale che la Corte, non gli hanno imputato la volontà di cagionare dolore, essi hanno agito in mala fede e quindi sapendo di aver frodato la legge, ma sicuramente non con l’intenzione di ledere in alcun modo la bambina.

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In secondo luogo, i giudici affermano che gli interessi di un minore vanno valutati in una prospettiva di tempi lunghi e non (o quantomeno non solo) riferendosi alla emozione immediata provata e provocata dall’allontanamento. Tengono conto del periodo di permanenza della bambina presso la famiglia Giubergia (poco più di un anno) in cui sicuramente si sono allacciati rapporti affettivi ma non da sopravvalutare. Un lasso di tempo importante tale da creare un trauma reale all’interno della bambina ma non privo di tensioni dovute al clima di inquietudine e di insicurezza presente in casa Giubergia, i quali sono consapevoli del possibile allontanamento di Serena, rimanendo sempre consci del fatto di averla acquisita illegalmente, proprio perché tanto desiderata. Per questo asseriscono che l’esistenza della bambina presso un’altra famiglia sarebbe stata molto diversa, più tranquilla,più limpida. Infatti, da non trascurare, è anche l’ombra di essere il frutto di una relazione adulterina (nel caso non si fosse dimostrato il contrario), fatto non intimamente e socialmente (da ricordare il piccolo paesino di Racconigi di impostazione cattolica) gratificante.

In terzo luogo, i giudici considerano il profilo psicologico della bambina che di fatto non rileva traumi profondi e irreversibili. Senza dubbio non privo di lacerazioni, data anche l’esperienza fin dalla nascita dell’abbandono a cui ne seguiva all’età di tre anni un’altra, ma con ogni possibilità di essere ricucite se, da quel momento in poi, avesse vissuto in un ambiente tranquillo e con persone possidenti di tutti i requisiti che la legge impone.

Per questi motivi, i giudici ritengono di non poter accogliere le istanze della famiglia Giubergia. Essi rimangono convinti di non aver violato lo spirito della legge 184/1983, di aver tutelato Serena ed ogni altro bambino insieme a lei, non essendoci nel caso concreto e alla stregua della legge vigente, alcuna via praticabile per emanare un

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provvedimento di adozione o affidamento come richiesto dai ricorrenti.

La decisione viene ritenuta quella a lungo termine più conforme all’interesse della minore.

La Corte conclude rivolgendo sia quelli che fino a quel momento sono stati i genitori di Serena e a tutti coloro che si sono mostrati interessati e partecipi riguardo il fatto e solidali con la famiglia. La bambina non ha deciso di essere “il caso”, quindi si richiede di rispettare il suo diritto alla riservatezza, a vivere indisturbata, a vivere da quel momento in poi, lontana da quel clamore che l’aveva circondata fin dalla nascita e senza che lei lo avesse voluto, deciso.

3. Il ricorso individuale alla Corte europea dei diritti dell’uomo23

Data la posizione di netta chiusura mostrata nelle più e varie occasioni dal Tribunale in primis e confermata dalla Corte dopo, i Giubergia presentano un ulteriore ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a nome anche di Nasario e di Serena24.

In questa occasione, i Giubergia lamentano la violazione dell’art 8 Cedu25 e quindi affermano che il rigetto della domanda di adozione

23

Quanto segue è tratto dalla decisione della Commissione Europea dei diritti dell’uomo sulla vicenda Serena Cruz. Cfr. Decisione della Commissione europea

dei diritti dell’uomo sulla vicenda Serena Cruz,

http://www.fondazionepromozionesociale.it/PA_Indice/090/90_decisione_della_co mmissione_europea.htm

24

Il ricorso individuale alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, è possibile ed è previsto dall’art 34 CEDU per la singola persona fisica, per un’organizzazione non governativa o per un gruppo di privati che si ritengono vittima di una violazione di uno o più diritti e di libertà fondamentali dell’uomo. Tale status di vittima deve perdurare, affinché il ricorso venga dichiarato ricevibile, per l’intera procedura, pena il rigetto dell’istanza proposta. Cfr.

http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20041208204428

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L’art. 8 C.E.D.U. così prevede: “1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.

2. Non può esservi ingerenza di un’autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in

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odi affidamento pre-adottivo ha violato il loro diritto al rispetto della vita familiare. Dichiarano inoltre di essere stati vittime di un trattamento, oltre che irrispettoso del diritto di cui prima, degradante e inumano, dato l’avvenuto allontanamento di Serena dopo 14 mesi di vita in comune, con grande trauma sì di loro stessi ma anche e soprattutto rispetto alla bambina e al fratello.

La Commissione ritiene non validamente presentata la domanda a nome di Serena, dal momento che non emerge dagli atti alcun legame di filiazione con il signor Giubergia; i richiedenti non hanno nemmeno dimostrato che essi abbiano esercitato o esercitino, a qualsiasi titolo, l’autorità parentale su Serena. Ne consegue che essi non hanno alcun titolo per rappresentare la bambina in una procedura davanti alla Commissione.

Rimane quindi da esaminare se, la decisione del 21 febbraio 1989 del Tribunale dei Minori di Torino, respingendo la loro domanda di adozione e di affidamento di Serena, ha leso la coabitazione protratta fino a quel momento, (posto che non vi é alcun legame di filiazione naturale conclamato), e prima ancora, se essa è da qualificarsi come vita familiare; solo in tal caso,verificare se c’è stata violazione del diritto al rispetto di essa ai sensi dell’art. 8 Cedu.

Detto ciò, il collegio prosegue affermando che, anche se tale rapporto fosse stato qualificato come vita familiare, sarebbe stato ininfluente perché proprio il secondo comma dell’articolo richiamato dai ricorrenti, giustifica l’ingerenza dello Stato se in linea con le disposizioni della legge; in questo caso il rigetto della domanda di

una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione

dei diritti e delle libertà altrui”. Cfr.

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adozione è in linea con l’art 9 della l. 184/198326, legge finalizzata a combattere i falsi riconoscimenti di paternità e l’elusione delle norme stabilite per la protezione degli interessi dei minori che devono prevalere nella valutazione delle misure da adottare.

Per questi motivi, la Commissione ritiene che il ricorso è da ritenersi manifestamente infondato perché, i giudici del Tribunale di Torino, in motivazione della decisione emanata, hanno mirato a salvaguardare primo su tutti l’interesse della minore, anche se considerato a lungo

termine, quindi ritenendo le ripercussioni immediate

dell’allontanamento e del distacco dai Giubergia, recessivo rispetto alle prospettive future della bambina.

La Commissione inoltre e conseguentemente, ritiene che la misura adottata dal Tribunale è il frutto di un giusto bilanciamento degli interessi in gioco, quindi rispettosa dell’art. 3 della Convenzione27. Data la manifesta infondatezza delle violazioni degli art. 8 e 3 della Convenzione, il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, viene dichiarato irricevibile.

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L’art. 9 VI c. della l. 184/1983 è stato in vigore dal 1/06/1983 fino al 26/04/2001 così recitava: “Chiunque, non essendo parente entro il quarto grado, accoglie stabilmente nella propria abitazione un minore, qualora l’accoglienza si protragga per un periodo superiore a sei mesi, deve, trascorso tale periodo, darne segnalazione al giudice tutelare, che trasmette gli atti al tribunale per i minorenni con relazione informativa. L’omissione della segnalazione può comportare l’inidoneità ad ottenere affidamenti familiari o adottivi e l’incapacità all’ufficio tutelare”.

VII c. “Nello stesso termine di cui al comma precedente uguale segnalazione deve essere effettuata dal genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi”.

VII c. “L’omissione della segnalazione può comportare la decadenza dalla potestà sul figlio a norma dell’art 330 del codice civile e l’apertura della procedura di adottabilità”. Cfr. FISCHETTI, CROCE, HASSAN, Un bambino da scoprire, cit., p. 122-123.

Tale articolo è stato poi modificato nell’aprile 2001 e anche nel febbraio 2014 quindi ad oggi le segnalazioni devono essere fatte al Procuratore della Repubblica. 27

Tale articolo così recita: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o

trattamenti inumani o degradanti”. Cfr.

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28 4. Serena, dall’affidamento ad oggi

Da quel momento, come vuole la legge 184/1983, cala il sipario sulla vicenda, non potendo, da lì in poi, far nessun riferimento specifico all’evolversi della situazione.

La bambina,il 6 aprile del 1989, è data prima in affidamento alla famiglia Nigro (una coppia che vive in un paesino ai confini fra le province di Asti e Alessandria, che già ha due figlie naturali), poi in pre-adozione agli stessi ed infine, arriva il decreto che rende Serena loro figlia a tutti gli effetti.

In linea con l’auspicio espresso della Corte di Appello a fine sentenza, per far sì che la bambina non sia riconosciuta e quindi non sia tenuta ogni volta a dar conto del suo vissuto,è ribattezzata col nome di Camilla, nome che per anni l’ha protetta dalla curiosità della gente. Proprio per questo, Wilma Rotondo, del Comitato di solidarietà pro Serena, in un comunicato del 6 settembre 1989, critica la decisione del Tribunale dei Minori di Torino di consentire a due cronisti del quotidiano torinese, di verificare la felicità della bambina nella nuova famiglia. Afferma che Serena è stata fatta diventare da “soggetto di diritto” a “oggetto di scoop giornalistico” e condivide l’opinione del sindaco di Racconigi, Adriano Tosello, che ritiene inappropriata la scelta del Tribunale. In precedenza la piccola non ha mai parlato della famiglia Giubergia presso la quale ha vissuto, dopo l’arrivo in Italia, per 14 mesi, quindi si chiede come possa ricordarsi e raccontare accadimenti avvenuti nella nuova (ufficiale) famiglia, già passati da tempo. Secondo il comitato (teoria confermata da illustri neuropsichiatri infantili) la socievolezza di Serena è un modo di agganciarsi a tutti per non perdere nessuno e per poter ricavare da tutti affetto; è inoltre possibile che il silenzio della bimba (riferendosi ad un’indagine psicologica condotta da specialisti dell’università di

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Torino) sugli avvenimenti che l’hanno coinvolta, è legato alla negazione e alla rimozione utilizzate come modalità difensive estreme di copertura e che in realtà, tali memorie, sono solo sopite e potranno emergere in futuro. Per ultimo il comitato afferma di aver chiesto a più riprese al governo e al Tribunale dei Minori di Torino di voler sapere il nuovo indirizzo di Serena e che hanno sempre risposto di non saperlo, quando invece ai due cronisti del quotidiano torinese non solo lo hanno detto, ma li hanno anche incaricati, non si sa in base a quali competenze, di saggiare la felicità della bambina nella nuova famiglia28.

Ad oggi Serena Cruz Giubergia, ufficialmente Camilla Nigro, è tornata con la famiglia Giubergia29.

Decisione presa alla maggiore età dopo vari incontri nascosti col fratello Nasario e con tanta sofferenza dei genitori adottivi, della quale rimane comunque legalmente figlia. Ed è proprio alla maggiore età che si sente libera di raccontarsi30 rilasciando un’intervista

28

Cfr. archivio.agi.it.,Caso Serena Cruz: comitato critica ‘scoop’ su bambina, 6 settembre 1989.

29

Il 21 maggio 2004 è pubblicata su “la Repubblica” l’intervista fatta a Graziana Calcagno, il Pubblico Ministero che nel 1989 chiede di togliere la piccola filippina di tre anni alla famiglia Giubergia e di destinarla ai Nigro, che sarebbero diventati la sua vera famiglia adottiva. Spiega che, a parte la violazione della legge, la decisione è presa perché non sono convinti del forte legame instaurato con la famiglia Giubergia, dato che, né Francesco, né Rosanna, avevano i permessi per restare a casa da lavoro, per cui la bambina era accudita molte ore dalla baby sitter. Cfr. ricerca.repubblica.it., Archivio, la Repubblica.it., Serena è tornata alle origini, 21.05.2004.

30

Quindici anni dopo la decisione del Tribunale, anche Filomena Marrangi si sente libera di raccontarsi, rilasciando un’intervista sul quotidiano “il Caso”: l’assistente sociale che per prima si occupa della vicenda, che lavorava nella equipe adozione dell’Asl di Savignano, capisce subito che la storia di Francesco Giubergia, di essere il padre naturale della bambina, è frutto di fantasia ideata al solo scopo di bypassare le procedure per l’adozione internazionale. Lo informa quindi delle regole e delle conseguenze in caso di non rispetto e informa il Tribunale dei Minori di Torino, come è in suo dovere fare in presenza di un minore che in quel momento non ha genitori ufficiali. Da li le arrivano, a lei e alla sua famiglia, telefonate di minaccia ed esattamente un anno dopo l’allontanamento di Serena da Racconigi, la sua auto è incendiata. Pubblicamente prima non parla mai per rispettare il codice deontologico della sua professione che impone il silenzio, specie quando in gioco

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