3. I giudici e la legge
3.4 Proposta di rifondazione costituzionale della legalità in vista di una sua
destrutturazione.
I citati orientamenti si basano sul dato della crisi della legalità, che come abbiamo già detto, è alla base della tenuta dello Stato di diritto. Ci si chiede se sia possibile conciliare l’attuale complessità sociale, caratterizzata da un pluralismo degli ordinamenti e delle fonti, con l’insieme dei principi ereditati dalla tradizione illuminista.
Si dovrebbe promuovere un rinnovato rigore della lingua legale nella formulazione delle norme; ritornare a porre il codice come centrale; costruire una legalità a livello sovranazionale, e in prospettiva globale, mediante istituzioni che garantiscano i diritti e i beni fondamentali.
Oggi nessuno può negare l’esistenza di una sfera fisiologica ed irriducibile di discrezionalità interpretativa nella giurisdizione; gli odierni positivisti sono consci che non tutto il diritto si riduce a legge statale e sono ormai lontani dalle formulazioni di Montesquieu e di Beccaria del giudice come «bocca della legge» e del giudizio come «sillogismo perfetto» (formule tra l’altro frutto del loro tempo a fronte di una giustizia arbitraria ma che poi si sono trasformate in una legittimazione alla deresponsabilizzazione della giurisdizione)139.
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È chiaro che in tale prospettiva, il ruolo del giudice non può che essere visto come quello di mero esecutore della volontà del legislatore, dalla quale non gli è consentito discostarsi.
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Sono anche distanti dal ritenere che la giurisdizione possa arrivare ad una verità certa ed assoluta140.
Tuttavia da non dimenticare è la struttura a gradi dell’ordinamento basata sulla gerarchia delle fonti, dapprima la sopraordinazione della legge al potere esecutivo e giudiziario secondo il paradigma del
diritto giuspositivista, poi quello costituzionalista della
sopraordinazione della Costituzione al potere legislativo141. Essa da sempre svolge il ruolo di limite all’esercizio di suddetti poteri che altrimenti diverrebbero assoluti ed arbitrari.
Tale «separazione dei poteri» chiaramente non elimina gli spazi di discrezionalità interpretativa giudiziaria, ma separa il diritto «vigente», testi normativi di produzione del legislatore, dal diritto «vivente», di produzione dei giudici, frutto della loro argomentazione ma accettabile in quanto interpretazione plausibile del diritto di produzione legislativa. La giurisdizione quindi è sempre applicazione di un diritto preesistente e perciò la dicitura «interpretazione creativa» sarebbe una contraddizione in termini poiché dove c’è la prima non può esserci la seconda. L’interpretazione non consiste nell’invenzione di significati normativi dal nulla, ma è un’attività cognitiva che inevitabilmente comporta una scelta discrezionale, non avendo le parole della legge, un significato oggettivo che il giudice, o comunque tutti coloro che hanno a che fare con essa, possa scoprire. Proprio per tale ragione, deve essere argomentata razionalmente per motivare la scelta del significato dato all’enunciato normativo ritenuto più plausibile tra quelli possibili. Perciò l’espressione
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Karl Popper chiama «verificazionisti illusi» quelli che credono che la conoscenza consista nel raggiungimento di una verità certa ed assoluta, e «verificazionisti delusi» coloro che di fronte all’impossibilità di arrivare a suddetta verità, ripiegano nello scetticismo e nell’irrazionalismo. Cfr. FERRAJOLI, Contro la giurisprudenza creativa, cit., p. 26.
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Si può aggiungere infine il paradigma del costituzionalismo europeo sopraordinato al potere politico degli Stati e a quello economico dei mercati.
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suddetta, riferita all’attività decisoria del giudice, rappresenta un ossimoro: l’interpretazione, nella misura in cui è chiamata a dare un senso alla norma di legge, non può per definizione essere creativa, cioè dare un senso che non è nella norma, come testimonia l’art. 12 delle preleggi: “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore”. Se così non fosse, non sarebbe possibile distinguere tra legge e sentenza e tra la giustificazione a base della prima in funzione del perseguimento di determinati risultati, e la sua applicazione in concreto da parte dei giudici. Le decisioni dei magistrati devono essere sempre motivate in ragione della loro conformità ad un sistema di valori e di norme precostituite dal legislatore, al quale soltanto competono le scelte di fondo del vivere insieme in una comunità, dato che i giudici sono sforniti di una legittimazione popolare. Ciò si ricava come conseguenza dal principio di legalità e dalla separazione dei poteri ed anche dall’art. 70 della Cost. per cui spetta solo al Parlamento il potere di fare leggi. Tuttavia, l’art. 12 prima citato, non privilegia in assoluto il criterio interpretativo letterale ma evidenzia, tramite il riferimento all’«intenzione del legislatore», un essenziale allusione alla coerenza della norma e del sistema. In tale articolo è presente da una parte il richiamo alla “lettera”, e quindi al significato proprio delle parole secondo la connessione tra esse; dall’altra, l’intenzione del legislatore va intesa con la svalutazione del primo criterio, data la sua inadeguatezza.
Il testo deve costituire l’imprescindibile punto di partenza, anche se talvolta è incapace di prevedere tutti i possibili scenari in una realtà sempre più complessa e variabile, anche perché esso, nella maggior parte dei casi, si innesta in uno o più sistemi di norme con le quali è destinato ad interagire, in una convivenza spesso difficile. Interpretare
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implica necessariamente una mediazione tra il senso originario, la lettera del testo e le domande che nel presente si pone chi ad esso si rivolge. Tale insopprimibile dimensione, che si può configurare come discrezionalità, resta comunque diversa da quella del legislatore, la cui attività è autonoma, libera nei fini e nei contenuti, non soggetta ad alcun obbligo di neutralità e coerenza.
Un fattore fondamentale della discrezionalità e della “creatività” giurisdizionale, almeno nei c.d. «casi difficili», dipende dal fatto che il giudice non deve limitarsi a svelare il significato originario della legge all’epoca della sua approvazione poiché non può ignorare nuovi valori solo per il fatto che non siano ancora riconosciuti dall’ordinamento. Deve intraprendere un confronto razionale e ragionevole con quelli vecchi, che non vanno abbandonati perché datati, come i nuovi, non possono non essere introdotti perché troppo recenti142.
Talvolta il giudice si può trovare anche di fronte alla scelta tra valori diversi che si contrappongono e contraddicono reciprocamente. Egli, in questi casi, per svolgere adeguatamente la sua funzione, deve identificare con precisione il o i valori scelti, e un ordine di priorità. In questo modo la scelta fatta risulta trasparente e non arbitraria. Parlare di «creatività» o di «discrezionalità143», è cosa ben diversa dall’«arbitrio»: il giudice deve far ricorso a criteri ben definiti e pre-
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I valori nuovi non potranno sostituire quelli “vecchi”, finché non saranno saldamente radicati nella società e nella coscienza di almeno buona parte dell’opinione pubblica. Cfr. A. LAMORGESE, Questione Giustizia 4/2016,
L’interpretazione creativa del giudice non è un ossimoro, p. 117.
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A. Barak, in «La discrezionalità del giudice», scrive: «le moderne società riconoscono al giudice una certa discrezionalità non solo riguardo alla chiarificazione dei fatti, ma anche rispetto all’applicazione del diritto ai fatti. Un sistema normativo costituito solo da regole che non lascino alcuno spazio alla discrezionalità del giudice è un sistema inflessibile ed indesiderabile, perché non ha la capacità di adattarsi alle speciali difficoltà poste dal caso individuale. Il bisogno di flessibilità che è imposto dalla concretezza individuale della decisione giudiziaria, richiede che sia attribuita al giudice una certa discrezionalità. Cfr. A.
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definiti, per decidere, sì che sia possibile controllarne il risultato, almeno sul piano della coerenza e su quello della prevedibilità144 delle decisioni145. La scelta deve essere supportata da una logica argomentativa esauriente, tale da renderla persuasiva, da cui ne deriva l’obbligo di motivazione dei provvedimenti.
Il fatto poi che “il giudice è soggetto soltanto alla legge”, impedisce che la sua attività possa essere annoverata tra le fonti del diritto. Anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione emerge un orientamento: la consapevolezza che l’interpretazione non si risolve in un mero cognitivismo ed un inerte esegesi del testo ma implica la
legittima scelta della fissazione del possibile significato
razionalmente associabile all’enunciato interpretato secondo le potenzialità di senso che vi sono incluse, sulla base anche della coerenza col sistema e della contestualizzazione e dell’attualizzazione del precetto legislativo; al contempo rifiuta la possibilità di collocare la giurisdizione in una dimensione tale da giustificare l’abbandono del testo legislativo e di legittimare un’opera giudiziale che si ponga al di fuori della cornice espressa dall’enunciato146. Le norme
GIUSTI, Questione Giustizia 4/2016, Giurisdizione e interpretazione in
Cassazione, p.140.
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L’interpretazione giudiziale nell’applicazione delle leggi deve essere razionalmente prevedibile; ove la decisione fosse al di là di ogni prevedibilità si esporrebbe al sospetto di aver violato la legge. Cfr. LAMORGESE,
L’interpretazione creativa del giudice non è un ossimoro, cit., p. 122.
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Criteri concreti ed affidabili, a partire dal testo di legge, potrebbero essere: i valori e i diritti fondamentali riconosciuti dall’ordinamento, il comune sentire, le consuetudini, la tradizione giuridica con i suoi dati extratestuali. Cfr. LAMORGESE, L’interpretazione creativa del giudice non è un ossimoro, cit., p. 118.
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Una ricerca empirica nelle decisioni della Corte di Cassazione, dimostra come il settore del diritto delle persone e della famiglia sia uno di quelli nei quali è maggiormente evidente il ruolo determinante della giurisprudenza, al fine di tradurre la astratta disciplina in un concreto modello di azione, sia nel cogliere, e dargli valenza nel momento applicativo, fattori propulsivi dell’evoluzione del sistema, interni ed esterni alla disposizione di legge. Ciò è dovuto ad una pluralità di fattori: innanzitutto, la difficoltà della legge di seguire e disciplinare in tempi sufficientemente rapidi i conflitti, i bisogni e le aspettative, generati dagli sviluppi rapidi della scienza, della tecnica e dalle nuove forme dei rapporti tra le persone.
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tracciano il confine oltre il quale l’attività interpretativa diventa attività creativa e cioè invade la sfera riservata al legislatore; la norma di volta in volta adegua il suo contenuto a fronte di nuove connotazioni, valenze e dimensioni che l’interesse tutelato nel tempo assume nella coscienza sociale, anche nel bilanciamento con contigui valori di rango superiore, a livello costituzionale e sovranazionale147. Su questa impostazione logica di distinzione tra pronunciamento giurisdizionale e precetto legislativo, e di impossibilità di equiparare la sentenza alla legge sul piano delle fonti del diritto, convergono le indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale148, la quale nella sentenza n. 230 del 2012, nega che l’omogeneità tra diversi orientamenti giurisprudenziali, equivalga ad una operazione creativa di nuovo diritto oggettivo perché ciò comporterebbe la consegna al giudice, di una funzione, quella legislativa, in radicale contrasto con i
Talvolta il giudice si trova a dover decidere anche senza fattispecie, quindi si rivolge alle Carte Costituzionali o alle Carte dei diritti, applicate perciò senza la mediazione di leggi ordinarie e dunque senza quel riconoscersi del tipo nel fatto, della forma generale nell’evento concreto. In secondo luogo, la presenza nel tessuto normativo del diritto delle persone, di clausole generali, ossia una strutturazione normativa aperta ai principi e ai valori che dà elasticità e flessibilità all’ordinamento e di conseguenza aumenta l’ambito di discrezionalità affidato al giudice. Infine è rinvenibile nel diritto delle persone, la sperimentazione del vincolo della interpretazione costituzionalmente e convenzionalmente conforme. I valori di riferimento del costituzionalismo multilivello (come la proporzionalità, la ragionevolezza e la dignità umana), rimettono alla autorità giurisdizionale la chance di una loro effettiva attuazione e ne sollecitano un coinvolgimento più diretto nell’attività di elaborazione creativa del diritto. Cfr. GIUSTI, Giurisdizione
e interpretazione in Cassazione, cit., p. 145.
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Cass. Sez. Un., 23 dicembre 2014, n. 27341. Cfr. GIUSTI, Giurisdizione e
interpretazione in Cassazione, cit., p. 142.
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Un’importante pilastro nei rapporti legislatore-giudici, nella disciplina delle materie eticamente sensibili, è contenuto nella sent. 347/1998 per cui spetta al giudice ricercare nel complessivo sistema normativo, l’interpretazione idonea ad assicurare la protezione dei diritti fondamentali. Il giudice, deve “stare al suo posto”, assicurando, e non sopravanzando, le risultanze della legislazione democratica, frutto della partecipazione politica nella sede del Parlamento, in cui si esprime la sovranità popolare. Ciò non significa che debba aspettare il legislatore politico, astenendosi dall’applicare regole e principi costituzionali. Cfr. GIUSTI,
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profili fondamentali dell’ordinamento costituzionale149. Si oppone a simile equiparazione, non solo la considerazione del difetto di vincolatività di un semplice orientamento giurisprudenziale, anche se avvallato da una pronuncia delle Sezioni Unite; ma anche e prima ancora il principio della separazione dei poteri, riflesso specificamente nel precetto costituzionale che vede il giudice, come più volte abbiamo detto, soggetto soltanto alla legge (art. 101 Cost.). Emerge lo sforzo del giudice di legittimità di adeguare l’interpretazione delle disposizioni di legge, al continuo mutare delle esigenze e dei costumi, entro però, i confini consentiti dal testo normativo ed alla luce dei principi posti dalla giurisprudenza costituzionale e dalle pronunce delle Corti sovranazionali. La nomofilachia non è soltanto statica, quindi non va intesa come conferma e stabilizzazione di orientamenti giurisprudenziali cristallizzati nel tempo. Accanto alla certezza, essa rappresenta anche uno strumento di razionalità e di evoluzione del sistema di giustizia, garantendo, grazie all’operato dei giudici di merito e al contributo della dottrina, la massima possibile tutela dei diritti fondamentali, in un contesto coerente e solido. Nonostante che nel nostro ordinamento di civil law sia assente il principio del “precedente vincolante”, caratterizzante invece gli Stati di common law, risulta un’ovvia influenza sulle argomentazioni interpretative della Corte di Cassazione, che le è esplicitamente assegnato dall’art. 65 dell’ordinamento giudiziario italiano150. Tale norma mira a far sì che ci sia una tendenziale uniformità di trattamento e la massima certezza
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Cfr. GIUSTI, Giurisdizione e interpretazione in Cassazione, cit., p. 144. 150
Capo V, Della Corte Suprema di Cassazione, Attribuzioni della Corte Suprema di Cassazione, c. 1, “La Corte suprema di cassazione, quale organo supremo della giustizia, assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, l’unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie agli altri
compiti ad essa conferiti dalla legge”.
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del diritto, ponendo tali precedenti vincolanti per ragioni sostanziali, di persuasività per la loro intrinseca razionalità.