Gaetano Albergo
Dipartimento di Scienze Umanistiche, Università di Catania, Italy [email protected]
1. LNC e logica paraconsistente
Una minaccia per il principio di non contraddizione viene dalla logica ‘paraconsistente’: il dialeteismo sostiene che alcune contraddizioni sono vere, in altri termini, ci sono enunciati α, tali che sia α che ¬α sono veri, cioè, tali che α è sia vero che falso. Un elenco dei possibili livelli di inconsistenza, o di paraconsistenza, potrebbe essere, schematicamente, il seguente:
- Teorie doxastiche:
Le persone potrebbero anche avere credenze inconsistenti. Gli scienziati a volte usano teorie inconsistenti. Abbiamo bisogno dunque di mezzi logici per trattare credenze o teorie contraddittorie.
- Teorie semantiche:
Non esistono cose inconsistenti. L'inconsistenza emerge solo nel rapporto tra linguaggio e mondo.
- Teorie metafisiche:
Nel mondo esistono cose realmente inconsistenti, o è sempre possibile che esse esistano.
Le prime due versioni non sembrano essere troppo preoccupanti. É vero che la nostra mente ospita un certo numero di pensieri con contenuti contrad- dittori. Ed è anche vero che, almeno con gli enunciati dei paradossi si fa fati- ca a sbrogliare la contraddizione. Il pericolo maggiore in effetti è rappresen- tato da ogni versione metafisica del problema. Perché se il problema si trova nei nostri processi inferenziali di default, o nelle potenzialità non referenziali del nostro medium linguistico, in realtà avremo solo un danno minimo. Il di- scorso si complica se è il mondo ad ospitare contraddizioni, perché in questo caso se questo fenomeno entra a far parte della nostra comune fenomenologi- a, nulla impedisce che anche per i nostri sistemi cognitivi valga la peggiore delle ipotesi, e cioè l' ex falso quodlibet, o, in altri termini, l'esplosione delle contraddizioni. Rendersi conto che i nostri meccanismi cognitivi funzionano abbastanza bene allontana tale minaccia. Oppure, in termini trascendentali, possiamo immaginare un agente che si comporta come dovrebbe comportarsi se le sue scelte fossero dettate da credenze vere, ma i cui pensieri sono sem- pre marcati come veri e falsi contemporaneamente?
2. L’ a posteriori dell’osservazione
Il dialeteismo metafisico sostiene che esistono vere contraddizioni, o al- meno che sia sempre possibile che ci siano vere contraddizioni. Secondo una versione dialeteista metafisica della teoria corrispondentista della verità do- vuta a JC Beall (2000), non c’è nulla che impedisca che un fatto positivo e il suo corrispondente negativo possano valere nello stesso mondo. Ma, quando noi percepiamo uno stato di cose, vediamo che lo stato di cose sussiste. Pos- siamo forse percepire che uno stato di cose non sussiste? Nel linguaggio co- mune, se ad una riunione di lavoro il signor Rossi è assente, dirò che non ve- do il signor Rossi, e non che vedo il non esser presente del signor Rossi. Allo stesso modo non possiamo vedere che qualcosa non è verde. Ogni giudizio con un tale contenuto negativo dovrà essere aggiunto a ciò che noi vediamo per mezzo di inferenza. Questo, secondo il dialeteista Graham Priest, sarebbe falso, perché “nei processi di pattern-matching realizzati dalle reti neurona- li, è spesso difficile distinguere tra percezione e inferenza analogica” ( Priest, 1999 p. 443). Così, con l’utilizzo di uno speciale paio di occhiali aventi un filtro rosso su una lente e un filtro verde sull’altra potremmo avere l’esperienza di vedere ogni cosa come verde e come rossa. L’argomento di Priest è il seguente: si potrebbe dire che essere verde e rosso non è una con- traddizione. Ma di fatto lo è: rosso e verde sono colori complementari. È
dunque una impossibilità concettuale per qualcosa essere di entrambi i colori. Così, dovremmo vedere direttamente che qualcosa non è verde perché, qual- siasi cosa sia verde e rossa, è verde e non verde. Ma, suggerisco, se seguiamo questo ragionamento, e cioè se ammettiamo che sia possibile vedere qualcosa che è verde e rossa, allora dovremmo anche vedere una cosa rossa e non ros- sa. Ma è possibile vedere la stessa cosa come rossa e non rossa, e allo stesso tempo, come verde e non verde? La faccenda diventa complicata, praeter ne- cessitatem. Inoltre, il rifiuto della dicotomia tra ‘percepire’ e ‘percepire che’ non sembra supportato, da parte di Priest, da solidi argomenti condivisibili. Se ogni atto di percezione fosse un ‘percepire che’, il contenuto di un’esperienza percettiva sarebbe dunque ‘che un certo stato di cose è così e così’. Ciò che una persona vede dovrebbe dunque essere vero, o almeno in accordo con la realtà. Ma allora, se sappiamo cosa significa percepire il vero come vero, dovremmo anche sapere cosa significa percepire il falso come falso. Risulta essere più plausibile ammettere che la percezione è solo di co- se, e non di verità, fatti o stati di cose.
Dunque, se da un lato gli esempi di Priest non sono catalogabili come oc- correnze di percezioni di situazioni contraddittorie, ma solo di illusioni per- cettive, dall’altro, potremmo assumerli, arguendo, come un dato a favore del- la tesi che vuole che potremmo riconoscere una contraddizione osservabile se ne vedessimo una. Ma il guaio consiste, secondo Priest, nel fatto che le nostre osservazioni non rappresentano un solido argomento a priori contro la tesi del dialeteismo metafisico: “Sappiamo, dunque, che il mondo non è triviale, poiché possiamo vedere che le cose stanno in questo modo. Queste conside- razioni, come tutte le considerazioni a posteriori, sono rivedibili” (ibidem). E questo dovrebbe lasciare aperta la possibilità che la contraddizione possa sempre spuntare all'improvviso.
3. Guardare nell’immaginazione
Percepire uno scenario contraddittorio significa rappresentare simultane- amente un dato positivo ed uno negativo che nega il primo. In altre parole, la stessa cosa dovrebbe essere rappresentata come presente e come assente. Se poniamo la questione in questi termini sembra più difficile trovare esempi coerenti. Dire, come fanno i dialeteisti, che nel momento in cui una persona varca la soglia di una stanza non è più dentro ma non è neanche fuori, e pre- sentare poi questo come un caso di contraddizione osservabile, oppure, per evitare di postulare un gap tra i valori di verità, cosa che ne introdurrebbe un
terzo, dire che in quel caso la persona si trovi dentro e fuori, significa con- fondere uno stato contingente istantaneo con uno vero stato di cose. In questo modo credo si guardi nel posto sbagliato e si dimentichi ciò che è meno pro- blematico. Bisogna prima fissare alcune condizioni preliminari: abbiamo buone ragioni per escludere le illusioni visive, gli stati istantanei, le figure impossibili (ad esempio le litografie di Escher), le descrizioni incoerenti, e in breve ogni cosa che sia theory laden, cioè fenomeni che non abbiano un con- tenuto contraddittorio in se stessi. Se adottiamo la terminologia classica di Dretske possiamo capire quanto siano profonde le confusioni relative a nostro problema. Se poniamo attenzione alla distinzione tra vedere epistemico (‘ve- dere che’) e vedere non epistemico, riusciamo ad osservare facilmente l’ambiguità che sta dietro il problema se concepire p implica la possibilità di p. Concepire epistemicamente p non implica la possibilità che p. Ma concepi- re non epistemicamente p implica che p sia possibile. La concepibilità non è più, di contro ad una lunga tradizione, un argomento meramente a priori.
Noi percepiamo realtà fenomeniche, e ho avanzato la pretesa secondo la quale percepire una contraddizione significa percepire la stessa cosa come presente e assente allo stesso tempo. Supponiamo dunque che l’esperienza di immagini mentali sia simile all’esperienza percettiva in quanto compiuta co- me un’esperienza quasi-osservazionale con un oggetto simile a quello reale ed esperito come un oggetto distale nel flusso di informazione. Così, se que- sto genere di immaginazione è relativo ad oggetti assenti, la percezione avrà a che fare con oggetti presenti. Avremo dunque lo stesso oggetto, ma una dif- ferente relazione intenzionale. Dunque, così riformulato il nostro problema, possiamo chiederci: è possibile vedere qualcosa e, allo stesso tempo, imma- ginare qualcos’altro che lo nega? Qui con ‘immaginare’ intendo un semplice caso di imagery, un’immagine mentale. Oppure, partendo da un interrogativo più basilare, è possibile vedere e immaginare la stesa cosa? Ad esempio, mentre ci troviamo ad osservare nostra madre potremmo provare a visualiz- zare il suo viso, ed è chiaro che quello che cerchiamo è lo stesso identico contenuto nella stessa modalità di presentazione. Sarà subito chiaro che l’esercizio non è dei più facili. Infatti, secondo diversi studi di neuroanatomia ci sarebbe una sovrapposizione delle regioni cerebrali che si attivano rispetti- vamente nell’atto di vedere e in quello di visualizzare. Secondo Kosslyn è lo stesso meccanismo della nostra neuroanatomia ad essere implicato, e cioè il Visual Buffer. Le neuroscienze trovano un eco nelle parole di Wittgenstein, in Zettel egli dice “Mentre guardo un oggetto non posso immaginarmelo” (§ 621). Questo dovrebbe significare che non mi è possibile immaginare lo stes- so identico oggetto a cui sto guardando. Potrei certamente guardare mia ma-
dre da dietro, non riconoscerla, e ancora immaginarla come di fronte a miei occhi, cioè immaginare il suo viso. Il vedere de re non impedisce l’immaginare de dicto. Emerge dunque che per un sistema cognitivo come il nostro non è possibile rappresentare una cosa come presente e assente. Per rendere più chiaro il nostro problema, sarà utile dare una formulazione meta- fisica della legge di non contraddizione. Secondo la dicitura di secondo ordi- ne avremo:
∀x∀P ~(P(x) ˄ ~(P(x))
Se però vogliamo dimostrare che la seconda domanda, quella più basilare, è più difficile della prima, è utile citare Aristotele, quando nella Metafisica dice “ è impossibile che la stessa cosa, ad un tempo, appartenga e non appar- tenga a una medesima cosa, secondo lo stesso” (1005b19-22). Così avremo un caso di contraddizione genuina ogni qual volta la stessa proprietà è predi- cata e non predicata di un oggetto. Inoltre, Aristotele aggiunge che non si raggiunge il cuore della questione se adottiamo, anche implicitamente, una distinzione di rispetti, differenti parametri, e cioè una fonte di ambiguità.
Se accostiamo l’argomento psicologico, sul modo in cui la mente funzio- na, all’argomento metafisico, relativo cioè al modo in cui il mondo non può essere, la faccenda diventa complicata per i dialeteisti. L’impossibilità di una contraddizione osservabile, cioè un’incoerenza con status ontologico, non sembra più opinabile neppure per i dialeteisti. Ad ogni modo, non abbiamo negato la concepibilità delle contraddizioni. Per avere un’idea di questo pun- to, è sufficiente ricordare la formulazione classica dell’operatore della possi- bilità:
◊ A = df ¬ □ ¬A
Il problema sarà allora: come intendere gli operatori modali? Se siamo al- la ricerca della possibilità concettuale, relativamente ad una proposizione, al- lora sarà sufficiente una nozione di concepibilità che tenga conto delle leggi logiche, quelle della matematica e dei principi a priori che governano i con- cetti componenti la determinata proposizione in oggetto. La situazione è dif- ferente se il nostro obiettivo è quel genere di possibilità che, almeno a partire da Saul Kripke e Hilary Putnam, prende il nome di possibilità metafisica. Possiamo solo suggerire che la conoscenza implicita nel concepire è cono- scenza a priori, e che la conoscenza della possibilità metafisica è per natura
almeno parzialmente a posteriori1. Pertanto, per una proposizione P che de- scrive uno stato di cose possibile essere metafisicamente possibile significa rispettare non solo principi a priori, ma anche condizioni che derivano dal regno dei fatti empirici (ad es., fatti relativi alla struttura biologica dei refe- renti dei concetti utilizzati, fatti relativi alle categorie e ai generi cui appar- tengono). D’altronde, è lo stesso sviluppo di tale conoscenza della realtà che si avvale di strumenti sensibili alla contraddizione. Come ha sintetizzato bene Ruth Millikan: “sapere che una cosa è un minerale o che è un animale è sape- re qualcosa su di esso tanto quanto sapere cosa ha senso domandare su di es- so” (Millikan, 1984 p. 255). Difficilmente potremmo aspettarci che un bam- bino ci chieda dov’è la madre di quel minerale, forse neanche nelle situazioni di gioco.
Bibliografia
Aristotele, Metafisica, Bombiani, Milano (2000).
Beall, J.C. (2000) On Truthmakers for Negatives Truths, Australasian Jour Philoso- phy, 78(2), 264-268.
Chalmers D. (1996).The Conscious Mind: In Search of a Fundamental Theor Oxford. Dretske, F. (1969) Seeing and Knowing, The University of Chicago Press, Chicago. Hill, C.S. (2006) Modality, Modal Epistemology, and the Metaphysics of Conscious-
ness. In: S. Nichols (ed.), The Architecture of the Imagination, OUP, Oxford. Kosslyn, S.M. (1994) Image and Brain, The Resolution of the Imagery Debate, The
MIT Press Cambridge MA.
Millikan R., G. (1984) Language, Thought and Other Biological Categories. The MIT Press, Cambridge MA.
Priest G. (1999) Perceiving Contradictions, Australasian Journal of Philosophy, 77, 439-446.
- , Beall, J.C. (2004) Armour-Garb B.: (eds.), The Law of Non-Contradiction. OUP, Oxford.
Wittgenstein, L. (1981) Zettell, Wiley-Blackwell. Tr. it. Zettell. Lo spazio segregato della psicologia, Einaudi, Torino (2007).