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Capitolo 2 – Un approccio al mercato cinese: un punto di vista d

2.1 La marca

2.1.3 La post-glocalizzazione

Oggi sono due le tendenze che si contrappongono nel mercato cinese: le imprese occidentali che cercano di essere un po’ più cinesi, e le imprese cinesi che cercano di essere occidentali. Il risultato? Si è creata una certa confusione tra i consumatori.

Come già scritto, la quarta fase di post-glocalizzazione, altro non è che un approccio strategico che cerca di avvicinare ulteriormente l’offerta occidentale alla cultura e ai valori del consumatore cinese. Questo

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avvicinamento si concretizza attraverso la creazione e la promozione di prodotti o linee di prodotti ideati appositamente per il mercato cinese.

Gli esempi nell’articolo “From made in China to made for China” sono diversi: Hermes che lancia per il mercato cinese a Shanghai i marchio Shang Xia (2010), che significa “da cima a fondo”, con il quale si offre una linea di vestiti, mix di moda e artigianato, con uno stile ispirato alla tradizione

cinese; Levi’s che inaugura la sua nuova linea di jeans, dENiZEN, a

Shanghai e disponibile solo per i paesi in forte crescita come Messico, India,

Brasile o Pakistan; KFC (Kentucky Fried Chicken) apre solo per il mercato

cinese una nuova serie di locali, East Dawing, nei quali si serve fast food di

alimenti esclusivamente cinesi; GM stringe un accordo con SAIC (Shanghai

Automotive Industry Corporation) per il lancio di una nuova auto ideata per il solo mercato cinese e la chiama Bao Jun (che, tradotto, sarebbe il cavallo giusto su cui puntare).

Al contrario, però, esiste anche un trend inverso, ovvero l’utilizzo dei nomi inglesi utilizzati da aziende cinesi nel tentativo di accrescere l’appeal dei propri prodotti agli occhi dei consumatori (Nan Zhou e Russell Belk, 2004). In questo caso, ad esempio, Metersbonwe, che è un marchio di abbigliamento cinese, viene scambiato dagli stessi consumatori cinesi come un marchio straniero9. La situazione inversa invece è toccata a Danone, che ha talmente bene interpretato il mercato cinese da far credere ai suoi consumatori cinesi di essere cinese essa stessa.

In generale il consumatore cinese tende a preferire il marchio straniero, ma, come sottolineano Magni ed Atsmon, il valore ad esso associato dipende sempre dal prodotto stesso e dalla disponibilità economica dei singoli. Dunque, anche se la domanda di prodotti, servizi o beni stranieri è crescente la creazione e la commercializzazione di prodotti creati appositamente per un mercato (in questo caso quello cinese) diverso da quello d’origine, richiede sempre molti sforzi, siano essi di natura economico/finanziaria o di impegno strategico per la creazione di un piano che possa essere potenzialmente vincente.

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Magni e Atsmon (2010), sondaggio dal quale è risultato che il 90% dei rispondenti credeva che il marchio

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In generale, comunque, i centri decisionali rimangono fuori dalla Cina in modo tale da riuscire a mantenere un’identità precisa e volutamente estranea al contesto cinese. Quando però si decide di lanciare un marchio che sia, o sembri essere, cinese allora nasce la necessità di lasciare ad un esecutivo, presente in Cina, un’autorità ed una libertà d’azione non sempre gradita ai gruppi dirigenziali dell’HQ (Magni e Atsmon, 2004).

In generale, il lancio di questi prodotti stranieri, creati appositamente per il mercato cinese, ha un effetto positivo perché mette in evidenza agli occhi del consumatore l’impegno che le imprese straniere mettono in campo per cercare di soddisfare le loro necessità ed i loro bisogni.

Dunque come fare per proporre un prodotto con un marchio potenzialmente di successo in Cina? Per rispondere a questa domanda viene in aiuto un contributo di Crocker G. e Tay Yi-Chung (2004), nel quale i due autori tentano di suggerire tre strade percorribili affinché un prodotto, di qualunque tipo, possa ritagliarsi il proprio spazio all’interno di un mercato complesso come quello cinese:

- Le imprese che tentano l’approccio con il mercato ed il consumatore cinese devono avere una profonda conoscenza di entrambe sia dell’uno che dell’altro: in particolare per quanto riguarda i consumatori non è sufficiente sapere cosa essi comprino ma, in più, è necessario sapere quali segmenti di consumatori comprino cosa e

le ragioni sottostanti a tali comportamenti d’acquisto;

- Le imprese dovrebbero essere in grado di creare una value proposition (la promessa di valore che l’impresa fa al consumatore, o anche il beneficio primario, attraverso il quale si creano parte delle aspettative nel cliente) per ogni categoria di consumatore obiettivo. La value proposition deve superare la semplice materialità ma deve essere in grado di coinvolgere ed accompagnare il consumatore lungo tutto il percorso che va dalla scelta dell’acquisto al consumo; - Ciò che le imprese straniere devono riuscire a fare, è allineare tutte

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consumo desiderata. Per fare ciò, naturalmente, le imprese con già un’esperienza nel mercato cinese risulteranno avvantaggiate, ma anche per le nuove entranti un processo di adattamento al contesto cinese dovrà essere considerato come un fattore che potrà portare al successo. In generale, per raggiungere quest’obiettivo risulterà necessario per le imprese seguire da vicino l’inserimento del proprio marchio dando, ad esempio, importanza alle rappresentanze fisiche ed ai negozi monomarca, che hanno un grande valore nel mercato cinese in quanto sono sinonimo di rappresentazione e rassicurazione agli occhi del consumatore cinese per una vera esperienza di marca (Vescovi, 2011).

Pare che rispetto ai mercati occidentali, in quello cinese vi sia una forte rilevanza nell’essere o meno leader nel proprio settore, in quanto spesso la scelta del consumatore spesso ricade proprio su quei marchi (Vescovi, 2011). Questo accade, presumibilmente, per il semplice fatto che il consumatore occidentale ormai da decenni vive in una società basata sul consumo (e sul consumismo), mentre quello cinese si trova oggi di fronte ad una vasta gamma di prodotti ai quali non è abituato e dei quali fino a poco tempo fa non era nemmeno a conoscenza. I suoi consumi, quindi, si baseranno su quelli degli altri e sarà portato a scegliere il brand più popolare o diffuso.

La conseguenza di questa tendenza è duplice: da un lato il premio per le marche forti, dall’altro la difficoltà che incontrano le piccole imprese che vogliono tentare la difficile strada della conquista del consumatore cinese. In questo senso si può affermare che le imprese italiane, spesso piccole e rappresentanti anche di mercati di nicchia, vengono penalizzate, a favore delle grandi imprese multinazionali.

In questo senso le imprese italiane dovrebbero cercare di emergere con posizioni di leadership nei piccoli mercati che rappresentano in modo, così, da aumentare la propria reputazione e migliorare la propria immagine. Per le marche globali avere un’immagine locale (creazione di nuovi brand) rappresenta una sfida ma che può dare luogo ad un grande valore. Tutto ciò

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è conseguenza del fatto (di cui sono spesso vittima le imprese italiane) che anche le piccole imprese, in qualche modo, devono ricercare una certa visibilità in un grande mercato (Vescovi, 2011).

Concludono, Crocker e Tay (2004), che non necessariamente saranno le grandi multinazionali a spuntarla alla fine. La marca che otterrà il maggiore successo sarà, straniera o locale, piccola o grande, quella che sarà in grado creare un marchio ed una strategia di mercato attraverso le quali essere efficaci in tre differenti dimensioni: la mente del consumatore, l’esperienza offerta al consumatore e la combinazione e coordinazione di tutte quelle attività attraverso le quali vi è la possibilità di coinvolgere ulteriormente il consumatore.