LA CLASS ACTION NELLA SUA DINAMICA PROCESSUALE.
3. Poteri processuali dell'organo giurisdizionale e pronunce adottabili dal giudice.
Le disposizioni normative in commento, come rilevato, recano disposizioni peculiari tese a predisporre una disciplina processuale in riferimento ad una situazione sostanziale connotata da specialità ed a matrice collettivistica.
La peculiarità della disciplina in parola, in particolare, assurge ad un’evidenza netta laddove il Legislatore ha regolamentato la scansione procedurale.
Al riguardo, infatti, il ridetto art. 140 bis cod. cons., al comma 11, stabilisce che “Con l’ordinanza con
cui ammette l’azione il tribunale determina altresì il corso della procedura assicurando, nel rispetto del contraddittorio, l’equa, efficace e sollecita gestione del processo. Con la stessa o con successiva ordi- nanza, modificabile o revocabile in ogni tempo, il tribunale prescrive le misure atte a evitare indebite ri- petizioni o complicazioni nella presentazione di prove o argomenti; onera le parti della pubblicità ritenu- ta necessaria a tutela degli aderenti; regola nel modo che ritiene più opportuno l’istruzione probatoria e disciplina ogni altra questione di rito, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio.”
Il corso della procedura, dunque, non è prestabilito dalla norma - come avviene, invece, per il rito ordina- rio, ai sensi dell’art. 183 c.p.c. o per il rito cautelare ex artt. 669 bis e ss. c.p.c. – ma demandato ad una valutazione discrezionale dell’organo giudicante che, a tale proposito, dovrà, naturalmente, rispettare l’ineludibile principio del contraddittorio, per altro a rilievo costituzionale.
Una siffatta potestà discrezionale del giudice – pervasiva dell’intero disposto normativo in parola ed ido- nea a predisporre un intenso potere valutativo in capo allo stesso giudicante – è strumentale ad assicurare un processo celere ed equo e, al tempo stesso, a demandare ogni determinazione di natura processuale al- la concretezza della situazione di volta in volta rilevante.
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Il comma 11 dell’art. 140 bis, in altri termini, è interamente parametrato su una situazione giudiziale ri- sarcitoria a valenza collettivistica laddove, non potendo essere applicate le regole ordinarie – predisposte per giustiziare illeciti a rilievo individuale – è stato demandata all’organo giurisdizionale la determina- zione del corso della procedura in relazione alle necessità di pubblicità (coessenziali all’azione in parola) e a quelle probatorie (da non complicarsi né ripetersi, rilevando una pluralità di attori), pur nel rispetto di esigenze di celerità, equità e di rispetto del contraddittorio.
Le menzionate caratteristiche dell’azione di classe, poi, incidono in termini assolutamente rilevanti non soltanto sulla procedura, ma anche sul tipo di pronunce che il giudice è facoltizzato ad emettere.
Relativamente all’esito decisionale dell’azione di classe, in dottrina59
è stato osservato che con la novella del 2009, si è voluto in primo luogo introdurre uno strumento di tutela di immediata natura risarcitoria volta a compensare i pregiudizi sofferti dai singoli e quindi condannare l'impresa al risarcimento per l'in- giusto profitto che ha realizzato; ciò a differenza del modello originario disegnato dall’art. 140 bis cod. cons., nel quale il Tribunale nel caso di accoglimento della domanda attrice si limitava a determinare i criteri omogenei di calcolo per la liquidazione, in separato giudizio, delle somme da corrispondere ai sin- goli consumatori o utenti che avevano aderito all’azione collettiva, lasciando aperta la questione circa la quantificazione dei diritti dei singoli. Il Tribunale, ma solo se ciò fosse stato se possibile allo stato degli atti di causa, poteva al limite determinare la somma minima da corrispondere a ciascun consumatore o utente.
Il Legislatore della riforma ha quindi inciso fortemente nella fase decisoria del giudizio prevedendo espressamente al 12° co. dell'art. 140 bis cod. cons., che «se accoglie la domanda, il Tribunale pronuncia
sentenza di condanna con cui liquida, ai sensi dell'art. 1226 c.c., le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione o stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la loro liquidazione».
Attraverso la nuova azione di classe si rafforza l’obbiettivo di realizzare strumenti di economia proces- suale e di uniformità decisoria all'interno di un processo suscettibile di risolvere potenzialmente un nume- ro indefinito di posizioni individuali.
Il novellato art. 140 bis cod. cons. si muove infatti nella direzione della aggregazione ab initio delle mol- teplici pretese individuali, presentando come oggetto del processo, un accertamento completo della prete- sa risarcitoria, sia in ordine all’an che al quantum del dovuto.
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Guardando alla disciplina concreta, l’art. 140 bis cod. cons., al comma 12, recita così: “Se accoglie la
domanda, il tribunale pronuncia sentenza di condanna con cui liquida, ai sensi dell’articolo 1226 del co- dice civile, le somme definitive dovute a coloro che hanno aderito all’azione o stabilisce il criterio omo- geneo di calcolo per la liquidazione di dette somme. In questo ultimo caso il giudice assegna alle parti un termine, non superiore a novanta giorni, per addivenire ad un accordo sulla liquidazione del danno. Il processo verbale dell'accordo, sottoscritto dalle parti e dal giudice, costituisce titolo esecutivo. Scaduto il termine senza che l'accordo sia stato raggiunto, il giudice, su istanza di almeno una delle parti, liquida le somme dovute ai singoli aderenti. In caso di accoglimento di un’azione di classe proposta nei confron- ti di gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, il tribunale tiene conto di quanto riconosciuto in fa- vore degli utenti e dei consumatori danneggiati nelle relative carte dei servizi eventualmente emanate”.
Il giudicante, dunque, potrà determinare gli importi risarcitori alla stregua di un criterio equitativo, ai sen- si dell’art. 1226 c.c. laddove il danno non possa essere determinato nel suo preciso ammontare oppure sulla scorta di un criterio omogeneo di calcolo utile alla liquidazione delle somme, ma , evidentemente, a carattere generale od astratto, rimanendo la concreta individuazione degli importi demandata al successi- vo accordo delle parti o, in sua mancanza, alla determinazione del giudice stesso.
La norma, come si vede, menziona dapprima la possibilità di valutazione del danno alla stregua di un cri- terio equitativo; una siffatta disposizione si giustifica sulla scorta del rilievo plurimo o collettivistico dei fatti da giustiziare: ove dovesse individuarsi specificamente il danno subito da ciascuno, la relativa istrut- toria sarebbe oltremodo articolata e l’azione collettiva non verrebbe mai a conclusione; per tale motivo, ove i danni individuali non siano concretamente determinabili, il giudice potrà decidere in via equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c.
In ordine alla possibilità di determinare il danno ex art. 1226 c.c., è comunque pacifico che tale strumento non vale ad alleggerire la prova del danno e della sua consistenza, quanto meramente la sua quantifica- zione60.
Per altro, la liquidazione ex art. 1226 c.c. dovrà essere debitamente motivata in sentenza così da non as- sumere una connotazione personalistica e consentire la conoscibilità dell’iter logico -giuridico seguito dal giudice, necessariamente ispirata a criteri di razionalità e non arbitrarietà.61
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M. Sacchi, “Nuova class action: tra tutela dei diritti soggettivi omogenei ed interessi a valenza collettiva.“, cit.
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Opinione sostenuta anche da C. Scognamiglio, Risarcimento del danno, restituzione e rimedi nell’azione di classe, in Class action il nuovo volto della tutela collettiva in Italia – Atti, Giuffrè Editore, 2011.
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Per il caso in cui, invece, sussista la possibilità di determinare i danni e, dunque, non si renda necessario ricorrere ad un criterio equitativo, ai sensi dell’art. 1226 c.c., allora il giudice provvederà ad individuare un criterio omogeneo di calcolo, utile a tale riguardo.
Il carattere astratto o generico di tale criterio viene evidenziato nel prosieguo della norma laddove, de- mandandosi ad un possibile accordo delle parti la determinazione concreta degli importi risarcitori, si rende evidente come l’indicazione del giudice rimanga aspecifica, così da consentire alle parti di disporre degli interessi in gioco e da evitare loro una decisione imposta dall’Autorità giudiziaria, sempre capace di scontentare le parti processuali (sicuramente quella soccombente).
La possibilità di un accordo sulla liquidazione del danno - per la quale si veda amplius l’ultimo paragrafo di questo capitolo - potrà consentire all’azienda di “autodeterminare” gli importi risarcitori, nei limiti dei propri vincoli di bilancio, all’ovvia condizione che una siffatta determinazione sia considerata dai dan- neggiati satisfattiva o ragionevolmente non inferiore a quanto potrebbe essere liquidato dal giudice: en- trambe le parti, come detto, hanno interesse ad addivenire ad un accordo accettabile piuttosto che esporsi al rischio di una valutazione terza, potenzialmente dirompente per il professionista o non soddisfacente per i consumatori.
In ordine all’ultimo periodo della norma in parola - secondo cui in caso di accoglimento di un’azione di
classe proposta nei confronti di gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, il Tribunale tiene conto di quanto riconosciuto in favore degli utenti e dei consumatori danneggiati nelle relative Carte dei servizi eventualmente emanate – giova precisare che la valutazione giurisdizionale, naturalmente, non rimane vincolata da quanto stabilito nelle Carte dei servizi (per altro, emesse dagli stessi soggetti erogatori dei servizi ex art. 2, comma 12, lett. p), L. 481/95), posto che le relative indicazioni costituiranno per il giudice un criterio di valutazione da cui lo stesso potrà discostarsi ove non considerato congruo.