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Nuovi scenari per la riproduzione dell’opera d’arte nei muse

4.2 Il decreto Art Bonus

4.2.1 Una premessa

Come è stato illustrato nei capitoli precedenti (v. supra, 2.4), le opere d’arte che non ricadono nella protezione del diritto d’autore e sono da considerarsi in pubblico dominio, sono tutelate dalle leggi a protezione dei beni culturali.

253 De Angelis D., op. cit. (prima parte), p. 10 254 Ibid, p. 13

255 Morando F., Diritti sui beni culturali e licenze libere (ovvero, di come un decreto ministeriale può

far sparire il pubblico dominio in un paese), in “ssrn.com”, quaderni del Centro Studi Magna

Grecia, Università degli Studi di Napoli, Federico II, 2011, disponibile su papers.ssrn.com

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Questi beni, che dovrebbero essere liberamente accessibili a chiunque, sono stati a lungo non liberamente utilizzabili. Solo con le ultime leggi (come ad esempio l’introduzione del comma 1-bis all’art. 70 l.d.a., v. supra, 4.1.1) è stato possibile rendere più flessibili le regole di utilizzazione online. Tuttavia, il tema della tutela e della valorizzazione dei beni al tempo di internet è complesso. È necessario infatti coniugare le istanze di diffusione della cultura e del sapere con la protezione dei beni culturali, senza impoverire il pubblico dominio.

In molti Stati dell’Unione europea e, come abbiamo visto, in Italia (Codice dei beni culturali e del paesaggio), le cosiddette Cultural Heritage Protection Law prevedono misure restrittive in tema di riproduzione di beni culturali. Per fare alcuni esempi, la Grecia, con l’art. 46 della legge n. 3018/2002, o la Turchia, con l’art 34 della legge 2863/1983 limitano la riproduzione dei beni culturali appartenenti ai loro musei256.

Nell’era digitale queste restrizioni rappresentano un limite alla circolazione delle immagini e impediscono una piena diffusione e fruizione della conoscenza del patrimonio culturale universale.

Fino al 2014 in Italia gli artt. 107 e 108 del Codice dei beni culturali e del paesaggio (riguardanti la riproduzione dei beni culturali presenti nei musei e nei luoghi di cultura) sancivano che chi detiene il bene ha anche la facoltà di consentire la riproduzione secondo determinati canoni. Inoltre, con il decreto 20 aprile 2005 del Ministero per i beni e le attività culturali “Indirizzi, criteri e modalità per la riproduzione di beni culturali, ai sensi dell'articolo 107 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.” si ponevano ulteriori limiti alla riproduzione. Agli art. 3 e 4, ad esempio, era illustrato che il responsabile dell’istituto che ha in consegna il bene deve tener conto delle finalità delle

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riproduzioni e del numero di copie realizzate. All’art. 5, comma 4, si stabiliva che:

Ogni esemplare di riproduzione reca l'indicazione, nelle forme richieste dal caso, delle specifiche dell'opera originale (nome dell'autore, bottega o ambito culturale, titolo, dimensioni, tecniche e materiali, provenienza, data), della sua ubicazione, nonché della tecnica e del materiale usato per la riproduzione. Esso riporta altresì la dicitura che la riproduzione è avvenuta previa autorizzazione dell'amministrazione che ha in consegna il bene, nonché l'espressa avvertenza del divieto di ulteriore riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo.257

Se nella prima parte del comma si stabilisce una semplice attribuzione di paternità dell’opera, la seconda parte implica che la riproduzione effettuata non possa essere caricata online, essendo incompatibile con qualsiasi libera utilizzazione, come ad esempio le citate licenze Creative Commons.

Queste norme presentavano una realtà che era già stata superata da anni con le innovazioni tecnologiche, e predisponevano che la fruizione del bene non avvenisse attraverso una struttura a “rete”, come può essere quella del web, ma attraverso una struttura piramidale, al cui vertice vi è l’istituzione concedente che deve dare il consenso per ogni singola riproduzione258.

Queste norme sembravano andare in disaccordo con la nozione di valorizzazione espressa nel Codice stesso (v. supra, 2.6.1), che comporta il promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e assicurarne anche le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. Favorire dunque una circolazione e fruizione anche indiretta dei beni culturali attraverso la rete internet sta diventando sempre più espressione del concetto stesso di valorizzazione. Le

257 Cfr. art. 5 comma 4 del decreto ministeriale 20 aprile 2005 258 De Angelis D., op. cit. (seconda parte), p. 70

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restrizioni applicate dalle norme a tutela dei beni culturali sono sempre meno efficaci nell’ambiente digitale e di difficile applicazione.

Vi è inoltre la questione del ritorno economico, secondo cui c’è la necessità di recuperare gli investimenti per la digitalizzazione o la pubblicazione delle opere. Per questo è stato proposto di sostenere i progetti di digitalizzazione proprio attraverso la concessione di licenze per la riproduzione dei beni. Questa soluzione sembra però basata più su una scommessa che su una solida analisi economica, come afferma Federico Morando, responsabile di Creative Commons Italia259.

Proprio su queste problematiche il D. l. 31 maggio 2014, n. 83, detto anche “Art Bonus” attua importanti modifiche al Codice, che vanno in direzione dell’aumento delle possibilità di accesso e fruizione dei beni culturali. Il decreto infatti considera le nuove possibilità del web e dei social network ed evita restrizioni non necessarie al pubblico dominio, per garantire una diffusione libera della conoscenza.

Il decreto nasce anche a seguito di spinte innovative e progetti partiti “dal basso”, come l’iniziativa del dicembre 2013 “Beni culturali aperti” (convogliato poi in “Invasioni digitali”, v. infra, 4.5), che chiedeva al Ministero proprio una modifica del Codice dei beni culturali in tema di riproduzione, per rendere l’accesso alla cultura più libero. Inoltre, numerosi musei e luoghi dell’arte avevano già iniziato a porsi il problema di come fronteggiare l’avanzata tecnologica e come sfruttare le nuove tecnologie per aumentare la visibilità delle opere d’arte. Un esempio è la Fondazione Torino Musei, che già prima del varo dell’Art Bonus aveva inaugurato l’iniziativa “Open Data”. Come si legge sul loro sito:

La mission dell’istituzione è perseguire la conservazione, la manutenzione e la valorizzazione dei beni culturali conservati nei quattro musei civici:

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Palazzo Madama - Museo Civico d’Arte Antica, GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, MAO - Museo d’Arte Orientale e Borgo Medievale. Rendendo liberamente accessibili i dati, la Fondazione promuove l'apertura a nuove pratiche partecipative della cittadinanza, a nuove forme di storytelling e comunicazione del patrimonio e allo sviluppo di servizi e prodotti innovativi.260

Il percorso normativo si sta dunque indirizzando verso una maggiore circolazione e fruizione anche indiretta dei beni culturali, vedendo nella rete internet sempre più un’espressione del concetto stesso di valorizzazione. L’idea messa in campo è che le restrizioni applicate dalle norme a tutela dei beni culturali sono sempre meno efficaci nell’ambiente digitale. Il decreto Art Bonus vuole dunque proporsi come necessaria innovazione verso la liberalizzazione della cultura.