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Sezione II – Il centro storico come bene complesso e la necessità di un nuovo

2) Premessa: la teoria dei Commons

Oggi la scienza economica fornisce agli interpreti una definizione abbastanza consolidata, partendo dal rapporto tra bene e utilizzatori si è in presenza di un bene comune quando è caratterizzato da difficoltà di esclusione di un individuo dalla fruizione del bene (c.d. escludibilità) e il suo consumo da parte di un attore riduce la possibilità di consumo degli altri (c.d. rivalità).

Tuttavia, la c.d. teoria dei beni comuni o teoria dei Commons è stata oggetto di vivaci dibattiti ed evoluzioni fin dal 1968 quando Garrett Hardin ha pubblicato sulla rivista Science un articolo dal titolo “The Tragedy of the Commons”151.

150 A riguardo si veda J. B. McLoughlin, Urban and Regional Planning: A Systems Approach, 1969, il quale ricostruisce la città come sistema complesso e l’urbanistica come pratica che agisce sul territorio e la città per mezzo di metodi di analisi e sistemi di controllo.

151 G. Hardin, The Tragedy of the Commons, in Science, 13 dicembre 1968, vol. 162, Issue 3859, pag. 1243-1248.

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La tragedia dei beni collettivi era stata studiata anche precedentemente152, tuttavia Hardin ha messo in luce come in assenza di accordi istituzionali le persone sono portate a sfruttare troppo le risorse, sino a depauperarle. Sempre secondo la concezione in parola, se qualcosa non è di proprietà privata né di proprietà pubblica si trova in uno spazio intermedio senza diritti, istituzioni e leggi. Per giungere a queste conclusioni Hardin porta l’esempio di un pascolo aperto a tutti. C’è da aspettarsi che ogni pastore cercherà di mantenere il maggior numero possibile di bestiame sul pascolo e di massimizzare il suo guadagno. Dopo aver analizzato costi e benefici il pastore razionale concluderà che l’unica via ragionevole per lui da perseguire è quella di aggiungere un altro animale al suo gregge, poi un altro e così via. Tuttavia, questa è la conclusione raggiunta da ogni pastore razionale che usa il pascolo bene comune. Ed è proprio questa la tragedia: “ogni uomo è bloccato in un sistema che lo costringe

ad aumentare il suo gregge senza limiti, in un mondo che è soggetto a limiti. La rovina è la meta verso cui tutti gli uomini corrono, ciascuno perseguendo il suo proprio interesse, in una società che crede nella libertà dei beni comuni”153.

Dunque, nella visione “hardiniana” gli utilizzatori di una risorsa comune sono intrappolati in un dilemma tra interesse individuale e utilità collettiva, da cui è possibile uscire solo grazie all’intervento di una autorità esterna come lo Stato o all’assoggettamento del bene a proprietà privata.

Significativi passi avanti nello sviluppo della teoria dei Commons sono stati compiuti grazie al lavoro di Elinor Ostrom, Premio Nobel per l’economia nel 2009, che ha ipotizzato l’esistenza di una terza via tra Stato e mercato. Questa economista statunitense ha compiuto un’operazione che si potrebbe definire audace: ha insinuato

152 Possiamo ricordare innanzitutto Aristotele, Politica, Libro II, cap.3: “ciò che è comune alla massima

quantità di individui riceve la minima cura. Ognuno pensa principalmente a sé stesso, e quasi per nulla all’interesse comune”. Bisogna poi richiamare W. Forster Lloyd, Two Lecture on Population, 1833, che

fece l'esempio di pastori che impiegano un appezzamento di terreno comune su cui ciascuno di essi ha il diritto di lasciare pascolare il proprio bestiame come rappresentazione di un utilizzo non accorto di risorse collettive. Infine, H. S. Gordon, La teoria economica di una risorsa di proprietà comune: l’industria della

pesca, 1954, in cui l’autore spiega come il bene comune rappresentato dal pescato sia a disposizione di tutti

i pescatori, i quali perseguono i loro interessi personali e sono portati a pescare il più possibile in modo che la risorsa non sia attinta da altri pescatori, la risorsa così viene sfruttata eccessivamente e non si realizza l’ottimo sociale.

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in noi l'idea che, forse, non siamo davvero tutti condannati ad essere intrappolati dalla terribile tenaglia della “tragedia hardiniana”. Forse, per noi e per i Commons c'è speranza.

In particolare la Ostrom154 ha spiegato che esistono comunità ed istituzioni di un diverso tipo, complementari alla proprietà privata e pubblica, e che per la gestione dei beni comuni non ci siano solo gli assetti istituzionali dello Stato e del mercato, ma che vi sia anche l’auto-organizzazione degli utilizzatori. Ecco, dunque, una terza via per uscire dalla “tragedia”, nel delinearla la Ostrom declina dei principi progettuali per governare i beni collettivi, ricavandoli dall'analisi approfondita di casi in cui vi è stata gestioni sia proficua che fallimentare di risorse comuni, individuando i fattori caratteristici di queste esperienze.

Inoltre la Ostrom ha accentua l'idea che non esista una soluzione univoca per gestire tutti i beni che cadono nella categoria concettuale dei Commons, così come non esiste una ricetta applicabile universalmente. Parliamo, infatti, di beni che sono accomunati dalla loro rivalità nel consumo e dalla difficoltà di esclusione dei potenziali beneficiari del loro utilizzo. Tuttavia, analizzati individualmente, questi beni hanno caratteristiche peculiari (i problemi che incidono il bene acqua sono diversi da quelli delle risorse ittiche). Vi è un ulteriore elemento di complessità, i Commons presentano problematiche eccentriche in funzione del territorio in cui sono collocati e delle caratteristiche delle comunità che li sfruttano e amministrano. La Ostrom ha piena consapevolezza di questo dato di partenza ed è questa la sua forza; l'autrice, infatti, non offre panacee e ci invita a riflettere, accompagnandoci nella ricerca ed individuazione di un metodo che lei giunge a sintetizzare nei principi progettuali sopra richiamati.

L’elemento più significativo del problema della gestione dei beni comuni è rappresentato dalla genetica complessità della questione stessa. Una riflessione approfondita mostra che siamo in presenza di un problema adespota - o meglio –

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diffuso: la gestione dei Commons ha una portata ed una incidenza che travalica il singolo individuo, ma che lo coinvolge nello stesso tempo.

Uno dei maggior corollari della teoria dei Commons, e più utile ai fini del presente lavoro, predica che l'assetto proprietario (pubblico o privato che sia) è secondario, si tratta a ben guardare di un problema di gestione del bene, di amministrazione. Dunque, ciò che possiamo fare è cercare, se non altro, un metodo per gestire questi beni dalle caratteristiche tanto peculiari.

3) Beni indivisibili e rivalità nel consumo. Il centro storico come bene

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