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La prima legislazione con il d.p.r n 748 del

DALLA RIFORMA DELLA DIRIGENZA CON IL D.P.R N 748 DEL 1972 SINO ALLA RIFORMA MADIA

2.1. La prima legislazione con il d.p.r n 748 del

Nel 1972, dopo un iter affannato, venne approvato il d.p.r. n. 748 contenente: la disciplina inerente il trattamento economico dei funzionari direttivi statali, la disciplina delle funzioni dirigenziali e il riordino delle carriere.

Una prima ragione di incertezza, che allontanava la riforma dal modello privatistico cui il legislatore doveva ispirarsi, era la distinzione della dirigenza in tre qualifiche: direttore generale, dirigente superiore e primo dirigente.

Di seguito sono elencate le principali novità in materia dirigenziale che vennero sviluppate nel nuovo testo legislativo: a) i dirigenti vennero responsabilizzati con

una responsabilità dirigenziale, che si aggiunse alla responsabilità disciplinare, amministrativa, civile, penale e contabile, queste previste per tutti i dipendenti pubblici; b) ai dirigenti vennero assegnate delle competenze autonome e proprie; c) in funzione delle diverse e più grandi responsabilità che incidevano sul dirigente, veniva previsto per lo stesso un nuovo stato giuridico ed economico; d) fu dichiarata la competenza del Ministro ad esercitare poteri di direttiva in via preventiva e poteri di rimozione in via successiva; e) si assegna una speciale disciplina per l'accesso alla dirigenza e alla formazione professionale della stessa mediante una previsione di un corso di formazione dirigenziale45.

Tale riforma, però, non ha mai trovato una piena applicazione visto che ha trovato un'attuazione molto irrisoria. Cosi non si differenziava la posizione dei dirigenti rispetto agli altri dipendenti pubblici, eccentuato dal fatto che si faceva rinvio alle disposizioni compatibili inerenti al personale direttivo per ciò che non era previsto all'interno dello stesso decreto legislativo, come per esempio l'estinzione o la modificazione del rapporto di lavoro46.

Per quanto riguarda le attribuzioni amministrative che la riforma del 1972 da agli incaricati delle funzioni dirigenziali, bisogna affermare che i dirigenti, secondo l'art. 2, 1 co., d.p.r. n. 748, potevano: a) svolgere incarichi di inerenti a compiti di ricerca e di studio; b) essere destinati a compiti ispettivi; c) o adibiti alla direzioni delle maggiori ripartizioni con circoscrizione non inferiore alla provincia, degli uffici periferici più importanti e di ampie ripartizioni delle Amministrazioni.

45 Valensise B., La dirigenza statale alla luce delle disposizioni normative contenute nella legge 15 luglio 2002, n. 145, Torino, Giappichelli, 2002, pp. 23-24

Per quanto attiene alla direzione degli uffici, in collegamento con la qualifica dirigenziale, si poteva avere la funzione di direttore di divisione o uffici importanti, il primo dirigente, ovvero essere nominato capo servizio centrale dipendente direttamente dal ministero o eletto della funzione della funzione di vicario del direttore generale, o di capo di un ufficio periferico all'interno della circoscrizione non minore di quella provinciale, il dirigente superiore, ovvero la preposizione a una direzione generale o di un ufficio periferico o centrale ma sempre con il medesimo livello, il dirigente generale.

Inoltre, all'art 7 del del decreto in commento, si specificavano le materie nelle quali i dirigenti avevano una propria competenza ed erano legittimati ad emanare atti con carattere definitivo, zone di competenza relazionate al valore e alla materia, come quelli inerenti ai contributi, concorsi, contrattuale, gestione del personale, sussidi, licenze, autorizzazioni, concessioni, sovvenzioni e anche in tema di liti passive e attive.

In più il legislatore voleva dare degli strumenti ai dirigenti al fine di raggiungere il risultato dell'efficienza; ciò lo possiamo capire anche dall'art. 2 del testo, dove si afferma che nell'attività di direzione i dirigenti dovessero utilizzare compiti di <<emanazione, in relazione alle direttive generali impartite dal Ministro, di istruzioni e disposizioni per la applicazione di leggi e regolamenti; propulsione, coordinamento, vigilanza e controllo, al fine di assicurare la legalità, l'imparzialità, l'economicità, la speditezza e la rispondenza al pubblico interesse dell'attività dei dipendenti uffici; partecipazione ad organi collegiali, commissioni o comitati operanti in seno alla Amministrazione>>.

I compiti inerenti allo studio e alla ricerca erano già presenti nel testo unico del 1957 e quindi con il decreto 748 si decise di potenziare quanto già legiferato: elaborare schemi di regolamento o di disegni di legge, razionalizzazione delle procedure burocratiche e cercare di risolvere i problemi inerenti alla razionalizzazione e semplificazione.

Importante era anche il fatto che i dirigenti erano, su comunicazione delle associazioni di categoria e dei cittadini, destinatari del mal funzionamento della burocrazia. Essi svolgevano anche l'attività di consulenza e orientamento nei confronti degli uffici sotto vigilanza e verso il personale, quindi non solo un'attività di vigilanza in senso stretto, cioè la sola verifica del regolare e corretto funzionamento.

Per quanto riguarda la scelta dei dirigenti, l'art. 15 conferiva al ministro, sentito il Presidente del Consiglio dei Ministri, la scelta dei dirigenti generali e dei dirigenti da collocare alla direzione degli “altri” uffici, sentito il Consiglio di Amministrazione del ministero.

Nell'individualizzazione della migliore scelta del dirigente a cui assegnare l'incarico non si doveva guardare solo all'esclusiva idoneità del singolo soggetto, ma <<cogliere quegli specifici elementi attitudinali attraverso il rigoroso vaglio della professionalità, dell'efficienza, della personalità ed in particolare delle capacità organizzative e direttive già dimostrate dal funzionario prescelto>>.47

Sembrerebbe che il legislatore volesse introdurre con tale riforma una rivoluzione in senso manageriale della dirigenza, ma nella realtà incontrò ostacoli soprattutto

per le caratteristiche della stessa che avrebbe dovuto richiedere una rottura netta con il passato.

Molti dubbi permangano sulla riforma, soprattutto per il ruolo del ministro, di un suo intervento sulla gestione amministrativa. L'art. 12 della legge di delega, la n. 775/1970, faceva salvi i poteri del ministro <<connessi alla supremazia gerarchica generale spettante ai ministri su tutti gli uffici ed in ordine ad ogni attività del dicastero cui sono preposti, ai sensi dell'art. 95 della Costituzione>>.

Una norma che avesse dato più autonomia alla dirigenza si sarebbe dovuta accompagnare a una limitazione dell'intervento ministeriale in confronto ai singoli atti, invece, il decreto delegato, conferiva al ministro il potere di stabilire le direttive generali, le priorità da seguire e i programmi di massima nell'azione amministrativa. Tali direttive non potevano non limitare l'autonomia dirigenziale potendo anche condizionare gli atti dagli stessi emanati nella sfera di attribuzione loro spettante (una violazione della direttiva poteva considerarsi eccesso di potere e quindi vizio di legittimità del singolo atto).

Questo atto di indirizzo avrebbe dovuto ricondurre ad unità l'azione politica ministeriale e le esigenze amministrative dei dirigenti.

Successivamente, nell'esperienza concreta, si è riconosciuta una discrezionalità molto forte, quando l'atto è stato utilizzato e posto in essere; in parte ciò ha svuotato la riforma anche se non sono stati messi in discussione i poteri dirigenziali48.

In ultimo, per quanto attiene ai poteri del Ministro, si riconosceva a quest'ultimo la possibilità, entro 40 giorni, di annullare gli atti dei dirigenti. In caso di 48 Valensise B., La dirigenza statale alla luce delle disposizioni normative contenute nella legge

annullamento o revoca permaneva la competenza del dirigente ad emanare un nuovo atto e ciò perchè tale potere di annullamento si riteneva fondato sulla presenza di un vizio di legittimità o di merito presente ab origine.49