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La prima sentenza emessa dalla Corte Costituzionale sulle misure a

Con questo primo intervento della Corte Costituzionale si ridimensiona fortemente l'approccio iniziale dato dalla legge sulla PMA e si

cominciano a scardinare alcuni dei punti chiave che intendevano disciplinare la materia. La questione di legittimità Costituzionale era stata sollevata nel 2008 dapprima dal Tar del Lazio e in seguito dal Tribunale di Firenze che nel giro di poco tempo chiedono l'intervento della Corte Costituzionale per risolvere la questione di legittimità. Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubitava della legittimità costituzionale

articoli 3 e 32 della Costituzione, nella parte in cui prevedeva un numero massimo di embrioni producibili, non superiori a tre, da impiantare contestualmente, e permetteva la crioconservazione degli stessi solo nelle ipotesi di grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna, prevedendo comunque che il trasferimento degli embrioni nell’utero materno dovesse avvenire il prima possibile. Il Tribunale di Firenze riteneva che il divieto di crioconservazione e il conseguente obbligo di creazione di un numero massimo di embrioni da impiantare contemporaneamente nell’utero materno non fossero conformi al combinato disposto degli articoli 2, 3 e 32 della

Costituzione: infatti non solo così non sarebbero state considerate le condizioni cliniche della madre, prevedendo quasi un protocollo sanitario unico, ma la stessa sarebbe stata costretta anche a subire un sorta di trattamento sanitario obbligatorio, non volto a tutelare la salute propria o della collettività. Dubbi di costituzionalità erano stati

sollevati dallo stesso Tribunale anche in riferimento all’articolo 6 della legge n. 40 del 2004 sul consenso informato, affermando che il divieto di revoca del consenso prestato successivamente alla fecondazione sarebbe stato in contrasto con l’articolo 32, comma 2, della

Costituzione, nella parte in cui quest’ultimo impedisce trattamenti sanitari obbligatori, se non imposti per legge, e richiede il rispetto della dignità umana.Il tribunale, nella successiva ordinanza, sollevava la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 2, della legge n. 40, limitatamente alle parole “ad unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione. I tre procedimenti sono stati riuniti insieme e la Corte Costituzionale li ha decisi con unica sentenza.

Nella decisione, la Corte Costituzionale, ha risolto il problema determinato dai divieti della legge, che affliggevano le coppie che volessero far ricorso alla fecondazione omologa, eliminando il numero massimo di embrioni riproducibili ed il contestuale divieto di

crioconservazione degli stessi (articolo 14 commi 2 e 3, legge

40/2004). Nella sua sentenza la Corte ha rilevato che la tutela dell'embrione non è assoluta ma limitata dalla necessità di individuare un giusto

bilanciamento con la tutela delle esigenze della procreazione e quindi aggirando in questo modo l'assolutezza della tutela da accordare all'embrione. La legge infatti, rivelava un limite alla tutela apprestata all’embrione, poiché nel caso di limitazione a soli tre del numero di embrioni prodotti, si ammette comunque che alcuni di essi possano morire in conseguenza del mancato attecchimento. L’articolo 14, comma 2, è stato ritenuto in contrasto anche con il principio di gradualità e minor invasività, da seguire nell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, espresso dall’articolo 4, comma 2, della stessa legge n. 40 del 2004. La Corte ha evidenziato poi come il limite di questa disciplina legislativa consistesse nel sottrarre alla valutazione del medico la possibilità di individuare, caso per caso, il numero idoneo di embrioni da impiantare sia ad assicurare un tentativo serio di procreazione assistita che a ridurre al minimo il rischio per la salute della donna e del feto; in questo modo, è rilevato un contrasto con quanto affermato dalla precedente giurisprudenza costituzionale, per la quale, “in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere la autonomia e la responsabilità del medico, che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali“.42 __________________________________

42 Corte Cost., sentenza 8 maggio 2009, n. 150. La Corte prende come riferimento le sentenze

La ragione principale che ha portato la Corte a questa decisione sarà da ricercare dunque nella contraddittorietà del protocollo sanitario unico, previsto appunto dall'articolo 14 al comma secondo, che poteva recare pregiudizi non solo per la salute della donna ma anche degli embrioni. Quindi ciò che la Corte va a colpire è proprio la pretesa del legislatore di sostituirsi al medico in valutazioni che possono spettare solo a quest’ultimo; il legislatore si deve limitare a fissare i principi generali che disciplinano la materia della PMA, ma il bilanciamento tra la tutela degli embrioni e la salute della donna deve spettare al medico, che è l’unico che può applicare le indicazioni “della migliore pratica medica” al caso concreto, rendendo tangibile le aspettative di una gravidanza e salvaguardando così contemporaneamente la coppia e l’embrione.43 . La Corte ha dichiarato infine che “la previsione della creazione di un numero di embrioni non superiore a tre, in assenza di ogni

considerazione delle condizioni soggettive della donna che di volta in volta si sottopone alla procedura di procreazione medicalmente assistita, si pone[va], in definitiva, in contrasto con l’art. 3 Cost., riguardato sotto il duplice profilo del principio di ragionevolezza e di quello di uguaglianza, in quanto il legislatore riserva[va] il medesimo trattamento a situazioni dissimili; nonché con l’art. 32 Cost., per il pregiudizio alla salute della donna – ed eventualmente [..] del feto – ad esso connesso”.44 La Corte nella sua pronuncia indica solo il parziale accoglimento delle richieste fattele in quanto viene sì dichiarata l'incostituzionalità

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43 Manetti, La sentenza sulla pma, o del legislatore che volle farsi medico, in

www.costituzionalismo.it, 2/2014, p. 2

dell'articolo 14, comma 2, ma solo limitatamente alle parole “ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre”, mentre non è stata intaccata dalla pronuncia la parte della disposizione che prevede che “le tecniche di produzione degli embrioni, tenuto conto dell’evoluzione tecnica, non devono creare un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario”. Con questa sentenza dunque, si è avuto principalmente l'effetto di ridurre il protocollo imposto dal legislatore che si è ristretto al divieto di creare un numero di embrioni maggiori di quello necessario ed al contempo ha rimesso alla responsabilità medica sia la scelta di produrre un numero di embrioni superiori a tre se necessario e sia la decisione di non procedere ad un unico impianto. Grazie a questa sentenza, la Corte introduce una deroga al principio di crioconservarzione degli embrioni, contenuto nell'articolo 14, comma 1, quale conseguenza della scelta medica di produrre gli embrioni ma poi non impiantarli e dunque di procedere in questo caso alla loro crioconservarzione. Nelle censure fatte dalla Corte per quanto riguarda l'articolo 14, comma 2, una conseguenza diretta è stata la declaratoria di

incostituzionalità dello stesso articolo ma al comma 3, “nella parte in cui non prevede[va] che il trasferimento degli embrioni, da realizzare appena possibile, come previsto in tale norma, [dovesse] essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna”.45 Con la sentenza, la Corte si è limitata ad applicare l'articolo 32 della Costituzione, in base al quale sono rimesse al medico tutte le scelte

___________________________ 45 Corte Cost., sentenza 8 maggio 2009, n. 150

sanitarie relative alla PMA, che non può quindi essere applicata recando un pregiudizio al paziente. La pronuncia ha dunque inciso sul significato originario della disposizione dell'articolo 14 comma 3 46 . La disposizione originaria dunque non era in grado di impedire che l'impianto degli embrioni avvenisse. Grazie a questa modifica apportata dalla Corte, è possibile ora prevedere la possibilità di un'interruzione definitiva del trattamento quando questo sia sconsigliato dal medico, sulla base di cause di salute, non solo eccezionali e imprevedibili, ma anche ordinarie. La Corte ha invece dichiarato la manifesta inammisibilità delle altre questioni di legittimità sollevate dai ricorrenti sia in riferimento all'articolo 14 commi 1 e 4 sia in riferimento a quanto disciplina l'articolo 6 della legge n. 40 del 2004. Con la sentenza n. 151 del 2009 sono state quindi rimesso al medico le scelte su sul protocollo sanitario da applicare in materia di PMA, sia sull'efficacia della terapia e sia in relazione alla salute della donna che sceglie di ricorrere a queste tecniche. La Corte con la sua decisione mette in primo piano la salute della donna, tuttociò in linea anche con la precedente giurisprudenza della stessa corte che già in passato aveva indicato che “non esiste equivalenza tra il diritto non solo alla vita di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione, che persona deve ancora diventare”47.

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46 Tale norma prevedeva la possibilità di interrompere momentaneamente il trattamento

qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni fosse stato impossibile “per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione” ma chiedeva che questo trasferimento si realizzasse “non appena possibile”.

3.2 La sostanziale disapplicazione del divieto di diagnosi