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IL DIRITTO AD AVERE UN FIGLIO: LE TECNICHE DI PROCREAZIONE ASSISTITA IN ITALIA ED ALL'ESTERO

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INDICE

Introduzione 3

1. IL significato di procreazione medicalmente assistita 6 1.1 I Principi fondamentali del diritto a procreare nella Costituzione Italiana 8 1.2 Il diritto ad avere un figlio nella CEDU e nelle convenzioni 9 1.3 La fecondazione eterologa nel nostro ordinamento prima

dell'approvazione di una legge organica 11 1.3.1 Il codice deontologico 11 1.3.2 Il primo caso giurisprudenziale sul disconoscimento della paternità da fecondazione eterologa 12 1.3.3 Le successive sentenze della magistratura sul disconoscimento della paternità 14 1.4 Maternità surrogata: i casi trattati dai Tribunali Italiani 23

1.4.1 Maternità surrogata: il caso Paradiso-Campanelli ed il ricorso alla Corte Cedu 2017 26

2. Proposte di legge e iter legislativo per l'approvazione di una legge organica sulla procreazione medicalmente assistita. Un excursus storico 30 2.1 Approvazione in Parlamento della legge n. 40/2004: cosa dice la legge, cosa ne pensa la dottrina 34 2.1.1 L'articolo 4 comma 3 ed il divieto di fecondazione eterologa:le ragioni della norma 41 2.1.2 L'articolo 5: i requisiti soggettivi dei soggetti richiedenti 47 2.1.3 Gli articoli 12,13 e 14: limiti, divieti e sanzioni previsti dalla legge 49 3. La legge n.40 del 2004 al vaglio dei giudici nazionali e della Corte Europea 54

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3.1 La prima sentenza emessa dalla Corte Costituzionale sulle misure a

tutela dell'embrione. Sentenza n.151 del 2009 54

3.2 La sostanziale disapplicazione del divieto di diagnosi genetica pre-impianto 60

3.2.1 Il riconoscimento della legittimità di accesso alla diagnosi genetica pre-impianto per le coppie sterili e infertili 60

3.2.2 L'influenza della giurisprudenza europea su quella nazionale per l'accesso alla diagnosi pre-impianto alle coppie fertili ma affette da patologie genetiche: la sentenza Costa e Pavan c. Italia. 69

3.2.3 L'intervento della Corte Costituzionale sulla diagnosi pre-impianto per le coppie fertili ma portatrici di malattie genetiche. 76

Sentenza n.96 del 2015 3.3 La caduta del divieto di fecondazione eterologa 80

3.3.1 Le prime ordinanze dei giudici ordinari contro il divieto previsto dall'articolo 4 della legge 40 80

3.3.2 Le sentenze S.H. e altri contro Austria della Corte europea sul tema della fecondazione eterologa 82

3.3.3 Il contibuto delle pronunce della Corte europea sul caso S.H. e altri c. Austria nel sistema italiano 89

3.3.4 La sentenza n. 162/2014 della Corte Costituzionale 94

4. La disciplina delle tecniche di PMA all'estero 98

4.1 La normativa francese 100 4.2 La normativa spagnola 105 4.3 La normativa tedesca 112 4.4 La normativa inglese 116 4.5 La normativa statiunitense 122 Bibliografia 125 Sitografia 128

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INTRODUZIONE

Questo lavoro si pone come principale obiettivo quello di analizzare la questione riguardante il diritto ad avere un figlio e come ciò venga ad essere tutelato sia in ambito interno che in ambito internazionale.

Negli ultimi anni poi lo sviluppo scientifico ha fatto sì che per soddisfare il desiderio ad un figlio, siano state create delle nuove tecniche scientifiche; tra queste senza dubbio un valore

fondamentale è stato dato dalla procreazione medicalmente assistita, ossia quel complesso di tecniche e applicazioni mediche che hanno portato la metaria ad essere molto più complessa che in passato. Da questo momento è sorto quindi un aspro dibattito sulla natura di tali pratiche, sulla necessità di una loro

regolamentazione e sul modo in cui doveva essere concepita la fecondazione artificiale, ovvero se potesse essere equiparata o meno alla procreazione naturale. In molti Stati Europei il

problema è stato già affrontato e risolto da ormai diverso tempo, in Italia invece la materia è rimasta priva di fondamento

normativo fino al 2004 quando finalmente il Parlamento Italiano ha approvato una disciplina organica su questa delicata materia. La procreazione medicalmente assistita non solo ha comportato un'estensione delle capacità procreative ma ha inciso anche sul concetto espresso del diritto a procreare; infatti il dibattito ha riguardato soprattutto la questione se questo diritto comprenda soltanto la procreazione naturale oppure se si estenda alle nuove

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tecniche di procreazione artificiale al fine di poter concepire un figlio.

Nel primo capitolo della tesi si parla come prima cosa del significato di procreazione medicalmente assistita e di tutte le possibili tecniche adoperabili con questo strumento, si ricerca poi la presenza sia nella nostra Costituzione che in ambito Europeo, soprattutto nel trattato della Cedu la normativa che può

individuare un diritto specifico ad avere un figlio, tenuto conto che né in Costituzione né in ambito Europeo, troviamo indicato in maniera espressa tale diritto. Si riporta poi come si è evoluta la materia nel nostro ordinamento tenuto conto che fino al 2004 non era presente una legislazione organica sul tema, riportando numerosi interventi giurisprudenziali in materia di PMA ed individuando anche le poche fonti di riferimento in questo ambito con riferimento ad i vari casi di disconoscimento della paternità richiesti dopo l'utilizzo di questa tecnica. In fine si fa un accenno anche al fenomeno della maternità surrogata e su come la materia è stata tratta nel nostro ordinamento a partire dal primo caso avvenuto nel 1989 fino all'ultimo caso trattato nel 2017 dai nostri tribunali ed anche dalla Cedu sulla possibilità del riconoscimento del figlio da maternità surrogata.

Nel secondo e nel terzo capitolo, viene analizzata la legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, con la quale l’Italia ha introdotto una disciplina specifica in materia di fecondazione artificiale. Si parte con un excursus storico sui vari progetti di legge

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presentati in Parlamento e sulle critiche che venivano avanzate dai vari schieramenti politici prima di approvare la legge.

Si prosegue analizzando nel dettaglio la nuova normativa concentrandosi principalmente sugli aspetti caratteristici di tale normativa, che hanno suscitato forti critiche in ambito giuridico e scientifico e in special modo sul divieto previsto dall'articolo 4 comma 3 sul divieto introdotto dal legislatore riguardante la fecondazione eterologa.

Nel successivo capitolo sono esaminati i numerosi interventi giurisprudenziali che hanno interessato la legge n. 40 e che hanno inciso notevolmente sul suo impianto originario, determinando anche un superamento dei molti limiti e divieti previsti dalla legge stessa; l’attenzione si concentra in particolare sulle

sentenze nazionali ed europee in materia di diagnosi genetica pre-impianto, diagnosi genetica pre-impianto anche per coppie fertili e di fecondazione eterologa, con l’intento di definire i vari

indirizzi e posizioni, anche differenti, espressi dai giudici in materia di PMA.

Nel quarto capitolo si analizza invece l'aspetto comparatistico di queste tematiche che riguardano alcuni Stati europei tra i più importanti ed il modello seguito invece negli Stati Uniti

d'America per comprendere come in queste realtà veniva trattato in passato questo tema così delicato e come la normativa dei singoli Paesi ha trattato la materia concentrandosi in modo specifico, sulle condizioni oggettive ed i requisiti soggettivi

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richiesti per l’accesso alla PMA e sulle varie tecniche di fecondazione eterologa, ammesse e disciplinate nei singoli ordinamenti.

1. Il significato di Procreazione medicalmente assistita

Per fecondazione assistita si intende l’insieme delle tecniche che consentono la nascita di un essere umano senza ricorrere a un rapporto eterosessuale. Esistono molte tecniche di fecondazione, in molti casi esse consentono la procreazione senza la trasmissione del proprio patrimonio genetico grazie al ricorso alla donazione di gameti sia maschili che femminili; alcuni tipi di riproduzione assistita implicano che la fecondazione avvenga all’interno del corpo della donna ,in vivo, ( tra queste l’inseminazione e la Gift Gametes Intra Fallopian

Transfer); altre tecniche di riproduzione assistita, come la FIVET, si definiscono in vitro, in quanto comportano che l’incontro fra i gameti avvenga in provetta.

Possiamo quindi notare che sono svariate le tecniche che consentono tale pratica e ognuna di esse comporta un grado di maggiore o minore invasività nella vita dei soggetti interessati.

Una pratica diffusa da diverso tempo all'estero, ma vietata in maniera espressa in Italia dalla legge n.40 del 2004, è la pratica del c.d. utero in affitto o meglio definita maternità surrogata. Tale metodo di

procreazione si ha quando una donna si presta a portare a termine un'intera gravidanza, fino al parto, su commissione di single o coppie

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incapaci di generare o concepire un bambino. 1 Tale pratica benchè vietata nel nostro paese, è tuttavia abbastanza diffusa tra i nostri concittadini che si recano all'estero dove invece è consentita. Le statistiche ci dicono che oltre l'80 % di chi fa ricorso è eterosessuale, tuttavia, dopo l'approvazione in Senato delle unioni civili riguardanti anche i diritti delle coppie omosessuali, si è aperto un aspro dibattito sulla possibilità della stepchild adoption, ovverosia l'adozione del figliastro anche da parte di questi ultimi.

Dopo molte polemiche si è deciso lo stralcio dell'articolo 5 della norma su questo punto perché per molti poteva incentivare il ricorso alla pratica dell'uso della maternità surrogata.

Qualora si optasse di ricorrere a questa pratica nei paesi esteri che lo permettono, si pongono alcuni

problemi. Le norme italiane consentono il riconoscimento automatico dei genitori biologici e ammettono quindi la trascrizione dell'atto di nascita del neonato. Non sussistendo nell'ordinamento una norma che permetta il riconoscimento automatico del rapporto di genitorialità, si pone il problema del riconoscimento del legame familiare tra il figlio e il genitore non biologico (o genitore sociale); situazione che si verifica allorché l'ovulo o lo spermatozoo siano donati da un soggetto terzo. L'ipotesi è tipica delle coppie eterosessuali, quando la madre non è in grado di fornire l'ovulo alla donna portatrice e delle coppie

omosessuali.

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In assenza di una disciplina che permetta l'instaurarsi del legame parentale tra il neonato e il genitore sociale, alcune famiglie si sono rivolte alla magistratura evidenziando come il quadro normativo precluda il diritto del minore a vedere riconosciuto il suo rapporto con il genitore sociale.

E' necessario dunque trovare una soluzione legislativa che porti al riconoscimento di eventuali figli nati con tale tecnica senza dover ricorrere alla magistratura.

1.1 I Principi fondamentali del diritto a procreare nella Costituzione Italiana

Nella nostra Costituzione non esiste un rilievo espresso riguardante il diritto a procreare ma è possibile giungere ad una rilevanza

Costituzionale di tale diritto se prendiamo in considerazione nel loro combinato vari articoli e principi fondamentali presenti nel nostro testo Costituzionale.

Senza ombra di dubbio il primo articolo da segnalare è certamente l'articolo 2 2. In tale norma si parla espressamente dei diritti inviolabili dell'uomo nella sua generalità, è una norma aperta dove è possibile ricomprendere ogni eventuale nuovo diritto che possa emergere dai mutamenti della società anche se non espressamente menzionato dai vari articoli della Costituzione riguardanti i principi fondamentali. Il diritto a procreare pare essere tutelato anche nel primo comma dell'articolo 13 3.

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2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia

nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale

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La libertà personale, come ogni altro diritto di libertà, è un diritto naturale dell'uomo che l'ordinamento si limita esclusivamente a riconoscere, non essendo possibile una sua concessione da parte del legislatore. Ci troviamo sostanzialmente di fronte ad un diritto individuale che consente di non subire impostazioni tanto da altri soggetti che dall'autorità pubblica in una dimensione fisica e morale, quindi possiamo ricomprendere anche il diritto a procreare nelle libertà previste in maniera generale dall'articolo 13 della nostra Costituzione.

Fondamentali appaiono poi gli articoli 29,30 e 31 4. In questi articoli la tutela dei diritti sulla famiglia, presuppone il diritto a formare una famiglia e quindi anche ad avere figli.La centralità della famiglia si spiega con il fatto che essa viene considerata società naturale che costituisce il nucleo centrale della Società. Vediamo inoltre che il Costituente accorda una tutela a tutti i figli, anche se nati fuori dal matrimonio, considerandolo un diritto proprio della persona umana.

1.2 Il diritto ad avere un figlio nella CEDU e nelle convenzioni In questo contesto, sono da prendere in considerazione due

fondamentali articoli previsti dalla CEDU. Parliamo dell'articolo 8 e dell'articolo 14. In questi articoli si tutela espressamente la vita privata e familiare ma la Corte elabora una nozione di «vita familiare» più ampia di quella tradizionale, attribuendo agli Stati contraenti la facoltà di differenziare, in relazione ai diversi modelli della stessa, le varie

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4 La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul

matrimonio. E' dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio. La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia. Protegge la maternità, l'infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

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forme di tutela e quindi anche la filiazione mediante tecniche di procreazione medicalmente assistita è stata fatta rientrare nel concetto di «vita familiare». 5

Appare fondamentale per capire meglio la tutela di questo diritto la Convenzione di Oviedo 6, che ha costituito il primo organico trattato in materia di bioetica.

La Convenzione è strutturata in 14 capitoli, per un totale di 38 articoli, preceduti da un preambolo che riporta i motivi ispiratori della

Convenzione; tra questi ha particolare rilievo il concetto che un uso improprio della biologia e della medicina può minacciare la dignità e i diritti dell’uomo. Alcuni articoli, che riguardano essenzialmente il divieto di manipolazione genetica dell’uomo, la discriminazione su basi genetiche e l’uso di embrioni umani per la ricerca, non sono passibili di restrizioni e assumono quindi carattere di veri e propri principi incondizionati. 7

Questa rappresenta dunque un faro per lo sviluppo di successivi regolamenti interni ed internazionali volti ad orientare le politiche di ricerca in ambito biomedico ed a proteggere i diritti dell'uomo dalle minacce sollevate dalla ricerca in ambito scientifico.

In base dunque a tutte queste norme interne ed internazionali, possiamo notare come ogni persona abbia il diritto di procreare, tuttavia è da stabilire se nel nostro ordinamento il soggetto abbia il diritto alla procreazione anche con l'ausilio di mezzi artificiali, pretendendo che lo Stato metta a disposizione dei singoli tutte le tecniche ed i mezzi necessari alla realizzazione dello scopo.

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5 europeanrights.eu, Maria Giulia Putaturo Donati, pag. 5

6 Stipulata ad Oviedo il 4 Aprile 1997 7 Treccani, Enciclopedia della scienza e della terra.

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1.3 La fecondazione eterologa nel nostro ordinamento prima dell'approvazione di una legge organica

1.3.1 Il codice deontologico

Fino all'approvazione della legge n.40 del 2004 denominata "Norme in materia di procreazione medicalmente assistita" il nostro ordinamento era completamente privo di qualsivoglia normativa e bisognava basarsi soltanto su alcune ordinanze emanate dai vari ministri della salute ed al codice deontologico dei medici, emanato però soltanto nel 1995, dove agli artt.39-41 vengono stabiliti dei limiti all'utilizzo di alcune tecniche di fecondazione e sopperisce quindi alla mancanza di una norma generale dello Stato. Notiamo infatti che l'articolo 41 ammette la possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa mentre vieta espressamente il ricorso alla maternità surrogata e

l'inseminazione post mortem 8.

Ma è grazie soprattutto all'intervento dei giudici che si risolvono i conflitti nati dall'utilizzo di questa pratica e si comincia a porre il problema di come legiferare questa delicata materia.Tuttavia proprio questa carenza normativa non solo non ha impedito di ricorrere alle varie tecniche scientifiche esistenti ma ha creato un caos legale soprattutto con riferimento alla fecondazione eterologa. L’accesso a queste tecniche infatti determinò l’insorgenza di numerose

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8 Articolo 41 Codice deontologico. Fecondazione assistita - La fecondazione assistita ha lo

scopo precipuo di ovviare alla sterilità al fine legittimo della procreazione. Sono vietate nell'interesse del bene del nascituro:

a) tutte le forme di maternità surrogata;

b) forme di fecondazione artificiale al di fuori di coppie eterosessuali stabili; c) pratiche di fecondazione assistita in donne in menopausa non precoce: d) forme di fecondazione artificiale dopo la morte del partner.

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controversie e quindi divenne centrale il ruolo del giudice, che era chiamato a decidere su questioni particolarmente complesse. Il giudice era chiamato quindi a stabilire una sorta di ordine tra diritti e interessi tutti ugualmente aventi valore costituzionale.

1.3.2 Il primo caso giurisprudenziale sul disconoscimento della paternità da fecondazione eterologa

Per la fecondazione eterologa i giudici, prima dell'approvazione di una legge organica, furono chiamati a dirimere i conflitti insorgenti tra i coniugi e che riguardavano il disconoscimento di paternità una volta che il marito avesse già prestato il proprio consenso alla fecondazione della moglie con l'utilizzo di un donatore esterno alla coppia.

La prima sentenza di un tribunale italiano sulla materia è molto datata, risale addirittura al 1956 9. In quell'occasione i giudici furono chiamati a decidere se era possibile riscontrare il reato di adulterio in seguito all'utilizzo della fecondazione eterologa. Il Tribunale di Roma aveva affermato che, nel nostro ordinamento,tranne per l’istituto

dell’adozione, non esisteva alcun rapporto di filiazione che non

corrispondesse ad un rapporto biologico. A quel tempo infatti, eccezion fatta per l'articolo 235 del codice civile, non vi era altra normativa in materia civile o penale che si riferisse in maniera espressa alla materia in questione, i giudici tuttavia entrarono nel merito e decisero appunto la questione controversa.

I giudici determinarono infatti che in questo caso il padre doveva

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essere identificato in colui che aveva donato il seme per la fecondazione e che quindi, il consenso espresso in precedenza dal marito per poter ricorrere alla fecondazione eterologa, non era di ostacolo alla richiesta di un disconoscimento della paternità una volta avvenuta la nascita. I giudici quindi ritennero di dover accogliere l'istanza presentata dal marito della donna. Questa sentenza essendo la prima che riguardava una materia così delicata non fu priva di critiche e osservazioni da parte di diversi autori di quel periodo.

In particolare possiamo leggere le opinioni espresse dal Professor Trabucchi il quale la considerò troppo limitativa e ritenne necessario cercare altri principi che potessero discplinare la materia. L'azione di disconoscimento doveva essere considerata indisponibile e riservata al marito solo per evitare una paternità a lui non riferibile e tale ipotesi non poteva riguardare la fecondazione eterologa avvenuta con il consenso del marito dove la nascita è derivata con l'utilizzo di un mezzo non vietato dall'ordinamento.Seguendo tale regola, il marito, consenziente all’inseminazione eterologa, non avrebbe potuto opporsi alle conseguenze di un fatto voluto, dando rilievo, nell’esercizio dell’azione di disconoscimento di paternità, alla mancanza del normale presupposto della derivazione biologica.10

Nella possibilità che il presunto padre faccia valere una verità biologica che egli, di fatto, ha accettato e addirittura concorso a determinare con il proprio consenso; a ciò si aggiunga come

l'indisponibilità sopra menzionata dovrebbe a rigore imporre, a pena del configurarsi di un reato di alterazione di status, la dichiarazione del

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10 A. Trabucchi, Fecondazione artificiale e legittimità dei figli, in Giurisprudenza italiana, 1957; Inseminazione artificiale (Diritto civile) 1962 pag.739

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figlio come naturale,e in ultimo, come l'ammettere il disconoscimento comporterebbe il rischio di un atteggiamento ricattatorio del marito il quale, una volta acconsentito all'inseminazione eterologa, potrebbe poi minacciare di far prevalere la verità biologica: detta ultima possibilità contrasterebbe proprio con l'obiettivo di tutelare la dignità del

matrimonio ovvero l'unità della famiglia cui sono preordinate le limitazioni di cui all'articolo 235 c.c. 11.

Per il Professor Santosuosso è quanto meno discutibile, «secondo la legge vigente» ogni proposta tendente a riconoscere al consenso del marito «efficacia preclusiva» dell’azione di disconoscimento, anche se «detta efficacia è auspicabile in sede di una specifica normativa di questa materia» .12

1.3.3 Le successive sentenze della magistratura sul disconoscimento della paternità

Per avere una seconda decisione da parte della magistratura bisognerà attendere quasi quaranta anni. Il caso si ripropose infatti nel 1994 e fu deciso dal Tribunale di Cremona 13. In quell'occasione il caso portato

all'attenzione della Corte riguardava una coppia incapace di procreare a causa di problemi legati alla sfera riproduttiva del marito. I coniugi di comune accordo avevano quindi deciso di ricorrere alla tecnica della fecondazione eterologa e in conseguenza di ciò nacque un figlio. L'anno seguente il marito si pentì della propria decisone e promosse un'azione per il disconoscimento della paternità ai sensi dell'articolo

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11 G. Biscontini, la filiazione legittima, in diritto di famiglia, Torino, 2007, pag.55 12 F. Santosuosso, La procreazione artificiale umana, Milano, 1984, p. 75 13Tribunale di Cremona, 17 febbraio 1994

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235 del codice civile asserendo di essere stato affetto da impotentia generandi nel periodo compreso tra il trecentesimo e il centottantesimo giorno antecedente alla nascita del bambino e in conseguenza di ciò la moglie lo citò in giudizio per chiedere lo scioglimento del matrimonio

in quanto la donna non lo avrebbe contratto se avesse saputo fin dall'inizio che quest'ultimo era sterile. Il Tribunale oltre alla

dichiarazione di nullità del matrimonio, considera legittima la richiesta di disconoscimento avanzata dall'uomo, per l'inesistenza nel nostro ordinamento giuridico di una norma specifica che escluda l'esercizio dell'azione nell'ipotesi in cui sia stato precedentemente prestato il consenso all'inseminazione eterologa confermando quindi quanto già detto dal Tribunale di Roma nel 1956.

Il Tribunale rigettò, inoltre, la domanda di risarcimento proposta dalla moglie riguardante tutti i danni morali e materiali derivanti dalla condotta incoerente del marito e, purtroppo, sofferti anche dal minore, per la perdita del padre.

Il Tribunale dichiarò inammissibile anche la richiesta formulata dal curatore nell'interesse del nato, di poter assumere conoscenza dell'identità del donatore del seme col quale fu fecondata la donna.

I giudici nella loro decisione, evidenziarono prima di tutto come l’articolo 235 del Codice civile prevedesse come presupposti per l’applicazione solo l’impotenza del marito e il dovere di fedeltà coniugale e come proprio quest’ultimo dovesse essere esteso dalla sfera sessuale a quella generativa; in questo senso non poteva quindi essere considerato rilevante l’eventuale consenso del marito alla PMA di tipo eterologo, che si traduceva in un’autorizzazione a violare un dovere inderogabile e indisponibile come quello della fedeltà

coniugale. I giudici poi evidenziarono come dalle norme vigenti non si potesse desumere un divieto di esercizio dell’azione di

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fecondazione eterologa e come, basandosi sulla normativa vigente, non si potesse attribuire il rapporto di filiazione, prescindendo da un fondamento biologico. 14

Anche dopo questa decisione la dottrina fornì pareri contrastanti: per alcuni autori era infatti giusta la visione del tribunale sulla possibile applicazione dell'articolo 235 del codice civile al caso concreto ma la maggior parte mostrò posizioni alquanto critiche alla sentenza ed evidenziarono come, aderendo all'inseminazione eterologa della moglie, l'uomo assume anche gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, oltre al ruolo educativo ed affettivo di padre; obblighi ed impegni irrevocabili, una volta che sia stata iniziata la gravidanza, che non cessano di essere tali, solo perché é venuta meno l'armonia coniugale 15.

Quando la coppia decide di ricorrere alla procreazione assistita, si assume delle responsabilità nei confronti del nascituro ed il

disconoscimento di paternità era da considerare un comportamento offensivo nei confronti della donna e del figlio nato. Nella

procreazione assistita, la volontà assume un ruolo fondamentale per la nascita di un figlio e quindi si sottolinea come fosse possibile revocare il consenso solo fino al concepimento, momento a partire dal quale diveniva irrevocabile e di consegenza non si poteva equiparare la fecondazione eterologa, che presuppone il consenso del marito, ad un caso di adulterio Del resto, se così non fosse verrebbe violato il diritto dei figli alla certezza e alla stabilità dei rapporti parentali.16

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14 Tribunale di Cremona, ibidem

15 Cateni eTurillazzi,inseminazione artificiale eterologa col consenso del marito ed esperibiltà dell'azione di disconoscimento: principi etici e giuridici,in Riv. it. medicina legale,1994

16 Ferrando, Il caso Cremona: autonomia e responsabilità della procreazione, in Giurisprudenza italiana, 1994, p. 997

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Tuttavia, i giudici del Tribunale di Cremona hanno ritenuto

ammissibile l'azione di disconoscimento, sulla base dell'art. 235 c.c. che, annovera tra i suoi presupposti, l'impotenza del marito e sulla base del dovere di fedeltà coniugale.

Ma come abbiamo visto, per parte maggioritaria della dottrinal'art. 235 non é direttamente applicabile in questo caso, in quanto costruito sull'ipotesi che il figlio rifiutato dal marito, sia in realtà frutto di una relazione extraconiugale della moglie con un altro uomo, mentre l'inseminazione eterologa non é affatto assimilabile all'adulterio.17 La sentenza fu impugnata di fronte alla Corte d'Appello di Brescia nel 1995 18. Gli appellanti sostenevano che nel caso della procreazione assistita bisognava attenersi alla disciplina riguardante l'adozione in quanto il nato non è biologicamente discendente dai genitori. La Corte d'Appello confermò la decisione emessa dal Tribunale in primo grado ma basandola su motivazioni differenti.

La Corte d'Appello di Brescia, infatti, è cosciente che sia l'art. 235 c.c., sia la normativa sulla adozione sono perfettamente equidistanti dal caso in esame, per cui anche il tentativo di equiparare l'irrevocabilità del consenso all'adozione al consenso all'inseminazione eterologa è destinato a fallire. I principi sottesi alla normativa sull'adozione se pur non possono essere desunti in modo meccanico e pedissequo

certamente sono destinati ad essere punto di riferimento nella ricerca di una adeguata normativa di sostegno alle questioni sollevate

dall'inseminazione eterologa. Il pregevole ragionamento della Corte bresciana, invece, preferisce riconoscere la qualità di principi generali alla tutela della verità della filiazione e alla indisponibilità degli status,

___________________________ 17 Ferrando, Il caso Cremona, opera citata , p. 998 18 Corte d'Appello di Brescia, 14 giugno 1995

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dimenticando di portare ad ulteriori, e forse più convincenti

conseguenze, proprio le argomentazioni svolte in tema di adozione le quali certamente sono in grado di lumeggiare l'effettiva portata del c.d. interesse del minore.19

La Corte, in verità, dinanzi ad un vuoto normativo non se la sente di interpretare il sistema vigente portando alle più logiche conseguenze il proprio ragionamento. La Corte infatti nell'evidenziare l'inadeguatezza dell'articolo 235 codice civile al caso in esame auspica che in

mancanza di una legislazione in materia, potesse essere la Corte Costituzionale a ricercare la soluzione più adatta anche se in verità in merito al dubbio di costituzionalità dell'art 235 c.c. aveva espresso parere negativo.

Due anni dopo di fronte al Tribunale di Napoli si presentò un caso simile a quello proposto in precedenza di fronte al Tribunale di Cremona. In questo caso il Tribunale emise un'ordinanza

sollevando una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 235 del codice civile, in riferimento agli artt. 2, 3, 29, 30 e 31 della

Costituzione.Il tribunale osservava che nel nostro ordinamento il consenso prestato dal marito (cosciente della propria impotenza) all'inseminazione artificiale eterologa della moglie non puo' ritenersi idoneo ad escludere l'esperibilita' dell'azione di disconoscimento di paternita' prevista dall'art. 235, n. 2), del codice civile.

Il tribunale di Napoli da' conto del fatto che una simile

interpretazione delle norme e' stata contraddetta da molte autorevoli voci dottrinali, secondo le quali il consenso prestato dal padre all'inseminazione eterologa dovrebbe tradursi nella conseguente improponibilita' dell'azione di disconoscimento; soluzione questa gia' ___________________________

19 Giuseppe Cassano,nuove frontiere giurisprudenziali del diritto di famiglia (fecondazione artificiale eterologa e fecondazione post mortem),www.diritti.it

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recepita anche nella legislazione positiva di diversi Stati.

Nel caso dell'inseminazione eterologa e' evidente che consentire l'azione di disconoscimento viene a ledere in modo irreversibile le prerogative del figlio ed il minore viene ad essere per sempre privato della figura paterna, perdendo il diritto alla propria identita' ed al proprio nome e assumendo uno status simile a quello dei figli di genitori ignoti.20

La Corte Costituzionale ritenne tuttavia la questione inammissibile.21

Si sostiene, infatti, che la portata dell'art. 235 riguarda esclusivamente la generazione che segua ad un rapporto adulterino, ammettendo il disconoscimento della paternità in tassative ipotesi. E' pur vero che ipotesi nuove, non previste dalla norma, possano essere disciplinate dalla stessa ma ciò non è certamente possibile nel caso

dell'equiparazione dell'ipotesi di disconoscimento di paternità a quelle dissimili disciplinate dall'art. 235 c.c., mancando in assoluto

omogeneità di elementi essenziali e identità di ratio. La Corte, quindi, ritiene la questione sollevata inammissibile, visto che l'estensione della portata normativa dell'art. 235 c.c. al caso in esame si risolverebbe in arbitrio. La dichiarazione di inammissibilità della questione non consente di prendere posizione nel merito alla Consulta, di tal modo che l'effetto desiderato, l'enucleazione di un principio di diritto vincolante per il giudice della controversia e non solo, viene del tutto frustrato. 22

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20 Ordinanza emessa il 14 marzo 1997 dal tribunale di Napoli nel procedimento civile vertente tra A. W. e A. T. ed altri

21 Corte Costituz., sentenza 26 settembre 1998, n.347 22 Giuseppe Cassano, nuove frontiere giurisprudenziali del diritto di famiglia (fecondazione artificiale eterologa e fecondazione post mortem),www.diritti.it

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L'intervento della Consulta, però, non ha certamente contribuito, stante la non vincolatività di una pronuncia di inammissibilità, a chiarire in maniera esaustiva tutti i dubbi irrisolti legati al disconoscimento di paternità a seguito di fecondazione eterologa e ad indicare in maniera vincolante la via da seguire. Tuttavia la Corte concluse la sua sentenza con una frase destinata a lasciare meno dubbi sull'interpretazione della norma: “l’individuazione di un equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti, nel rispetto della dignità della persona umana, appartiene primariamente alla valutazione del legislatore. Tuttavia nell’attuale situazione di carenza legislativa, spetta al giudice di ricercare nel complessivo sistema normativo l’interpretazione idonea ad assicurare la protezione di anzidetti beni costituzionali”23. Dopo la sentenza della Corte, la controversia ritornò al Tribunale di Napoli per la decisione. Il Tribunale ritenne inammissibile il ricorso all'azione del disconoscimento articolo 235 del codice civile da parte del coniuge che in precedenza aveva prestato alla moglie il proprio consenso all'utilizzo delle tecniche di procreazione. 24 I giudici in questo caso partirono dal presupposto di considerare in maniera differente l'adulterio vero e proprio dalla nascita di un figlio avvenuto con l'utilizzo delle tecniche di procreazione assistita. In questo secondo case il padre avrebbe potuto intentare l'azione per il disconoscimento della paternità solamente se non fosse stato a conoscenza di ciò mentre invece essendo stato in precedenza dato il consenso, non era più possibile esperire un'azione di disconoscimento

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23 Corte Cost., sentenza 26 settembre 1998, n,347 24 Tribunale di Napoli, 24 giugno 1999

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e dunque il consenso del padre doveva essere considerato un atto di responsabilità, equiparabile a quello della generazione per via naturale. Si giunse finalmente a negare l'ipotesi di disconoscimento della

paternità, le volte in cui si ricorreva a tecniche di fecondazione assistita come già in precedenza veniva chiesto dalla ormai dottrina

maggioritaria.

Un punto fondamentale sulla vicenda arriverà l'anno successivo alla sentenza emessa dalla Corte Costituzionale. Infatti, la sentenza d'Appello che venne emessa dalla Corte di Brescia fu impugnata in Cassazione 25. In questo caso la Cassazione nella sua decisione si è potuta basare anche su quanto deciso solo pochi mesi prima dalla Consulta su un caso analogo dove venne infatti indicata la linea interpretativa da seguire nell'applicare correttamente l'articolo 235 del codice civile. La Corte di Cassazione negava l’azione di disconoscimento della paternità del figlio nato, ritenendo che l’articolo 235 Cod. Civ. – che prevede la possibilità dell’azione di disconoscimento della paternità nel caso di adulterio – non potesse essere applicato al caso di pratiche di

inseminazione, in quanto le due situazioni non sarebbero assimilabili. La Cassazione afferma, infatti, che suddetta norma, se permettesse l'azione di disconoscimento con conseguente privazione per il nato della figura paterna, per mezzo di una statuizione giudiziale resa proprio su istanza del soggetto che abbia determinato o concorso a determinare la nascita con il personale impegno di svolgere il ruolo di padre, eluderebbe i cardini dell'assetto costituzionale ed il principio di solidarietà cui gli stessi rispondono. 26 ________________________

25 Corte Cassaz., sentenza n. 2315 del 16 marzo 1999 26 Corte Cassaz., ibidem

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Non può dirsi meritevole di tutela l'interesse del padre a pentirsi della propria decisione di accogliere un figlio nato grazie all'inseminazione eterologa. Il principio di responsabilità per la procreazione porta a fondare la legittimità del figlio non sulla derivazione biologica, ma sull'assunzione di responsabilità del marito e della madre e, di conseguenza, ad escludere che sia ammissibile l'azione di disconoscimento promossa dal padre 27

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27 Ferrando, Il caso Cremona, opera citata, p,1003

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Sul caso della maternità surrogata o anche detta utero in affitto, i nostri tribunali si sono pronunciati per la prima volta nel 1989 con una sentenza emessa dal Tribunale di Monza 28

Il caso sottoposto ai giudici riguardava una coppia italiana che aveva appreso tramite un amico della possibilità di poter aver figli da terze persone ricorrendo all'inseminazione artificiale in paesi esteri. Il loro amico gli presentò una donna algerina che era disposta a portare a termine una gravidanza per loro conto. I coniugi le proposero allora un accordo con la stipula di un contratto dove si impegnava a portare a termine la gravidanza con l'ausilio delle tecniche di fecondazione assistita e con il seme del marito ed in seguito alla nascita ad affidare allo stesso ed alla moglie di lui il figlio con la clausola che la donna algerina rinunciasse a qualsiasi diritto verso il nascituro, tuttociò dietro il ricevimento di un compenso da ricevere al compimento del

contratto.Tuttavia già durante la gestazione, la donna cominciò a pretendere più di quanto pattuito ed una volta avvenuta la nascita, si rifiutò di consegnare la bambina che peraltro teneva in condizioni di abbandono e in precarie condizioni igieniche, per continuare a

pretendere dai coniugi altro denaro e rifiutandosi quindi di adempiere al contratto in precedenza sottoscritto. A questo punto allora i due coniugi decidono di ricorrere al tribunale per veder rispettato il contratto sottoscritto e quindi vedersi consegnata loro la bambina e dichiararla a tutti gli effetti loro figlia e con l'esclusione della madre biologica dalla vita familiare della bambina.

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Convenuta in giudizio,quindi, questa vinse la causa in quanto i giudici dichiararono la nullità del contratto per l’impossibilità e l’illiceità dell’oggetto contrario agli articoli 2, 30 e 31 della Costituzione. Prevedendo però al contempo la possibilità del riconoscimento della figlia naturale da parte del padre biologico e di chiederne quindi l'inserimento nella propria famiglia legittima mentre per la moglie la possibilità di chiedere l'adozione della bambina. Un caso più o meno analogo si presentò alcuni anni dopo all'attenzione dei giudici del Tribunale di Roma.

In questo caso i ricorrenti chiesero al Tribunale di emettere un'ordinanza ex articolo 700 del c.p.c. per essere autorizzati all'impianto “in vitro” con surrogazione della maternità da parte di un’amica della coppia, alla quale quest’ultima si era rivolta a causa di malformazioni genetiche che impedivano la procreazione. Alcuni anni prima la coppia aveva contattato un ginecologo per procedere ad una fecondazione in vitro con utero surrogato ed in attesa della

disponibilità della donatrice, si era reso necessario dare luogo alla crio-conservazione degli embrioni. Dopo quattro anni la coppia si rivolge nuovamente al ginecologo affermando di aver trovato una donna disposta a portare a termine la gravidanza. In quell'occasione tuttavia il ginecologo negò il proprio consenso precedentemente concesso in uno specifico accordo in quanto,nel frattempo, era stato emesso il nuovo codice deontologico dei medici che all'articolo 41 espressamente vieta l’accesso a pratiche di maternità surrogata. I ricorrenti specificavano però che il predetto codice era entrato in vigore in epoca successiva alla formazione della volontà contrattuale e che l’accordo intervenuto doveva essere rispettato puntualmente. Precisavano i ricorrenti che vi era fondato motivo per ritenere che il diritto fosse minacciato da un

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pregiudizio imminente ed irreparabile poiché il rifiuto

all’adempimento da parte del dottore poteva vanificare la possibilità di procedere all’impianto degli embrioni, in quanto lo stato di

conservazione dei quali rischiava di deteriorarsi irreparabilmente con il trascorrere di un periodo di tempo superiore a cinque anni dalla loro conservazione.

I giudici nella loro decisione ritennero lecito il contratto di maternità surrogata e quindi la pretesa, nei confronti di una donna terza, di portare a termine la gravidanza. Secondo la Corte sussitevano inoltre i fondati motivi per ritenere che il diritto fosse minacciato da un

pregiudizio imminente ed irreparabile in quanto il rifiuto del ginecologo poteva portare appunto all'inutilizzo degli embrioni in precedenza conservati. I giudici ritennero poi che il contratto, volto alla realizzazione di un progetto genitoriale, sarebbe stato valido solo se la donna terza avesse preso la decisione di portare a termine la gravidanza, spinta da fini diversi dal lucro e a questa riconobbero pure la possibilità di partecipare alla crescita del figlio nato. 29

Contrariamente quindi a quanto deciso in precedenza dal Tribunale di Monza, in questo caso i giudici ritennnero valido il contratto tra le parti considerando innanzitutto la mancanza del lucro come invece era evidente nel precedente caso. E’ interessante notare che nella stessa decisione il Giudice affermò che anche la madre “uterina” avrebbe dovuto avere rapporti con il figlio, e che avrebbe potuto/dovuto tenerlo con sè per alcuni periodi.

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1.4.1 Maternità surrogata: il caso Paradiso-Campanelli ed il ricorso alla Corte Cedu 2017

Un ultimo caso riguardante la maternità surrogata è avvenuto nel 2010, questo è un caso molto importante da segnalare in quanto la coppia è arrivata addirittura ad adire l'Alta Corte di Strasburgo per vedere riconosciuti i loro diritti. La vicenda riguarda appunto i coniugi Campanelli che nel 2006 furono dichiarati idonei all'adozione ma non riuscirono a trovare un bambino da adottare, quindi nel 2010 si rivolgono ad una clinica in Russia per avere un figlio. Alla donna che avrebbe portato avanti la gravidanza doveva essere impiantato l’ovulo di una donatrice fecondato con il seme del marito. Nel febbraio del 2011 la madre surrogata russa ha dato alla luce un bambino e ha firmato un documento in cui dava il consenso affinché il neonato fosse registrato come figlio della coppia italiana. La moglie della coppia, che era in Russia al momento della nascita del bimbo, lo ha poi portato in Italia quando ha compiuto due mesi. Come previsto dalla legge russa, sul certificato di nascita del bambino i coniugi Campanelli-Paradiso risultavano come i suoi genitori. Informazioni che il Consolato italiano a Mosca, che ha segnalato il caso alla Procura italiana, ha ritenuto però fossero non corrispondenti al vero.

A questo punto si apre un procedimento penale per falsa attestazione e violazione della legge sulle adozioni dove si scoprirà che per errore in clinica fu usato il seme di un altro soggetto e non del marito e quindi il bambino non aveva alcun legame biologico con la coppia. Dunque con sentenza emessa nell'ottobre del 2011 il Tribunale dei minori di Campobasso, ha deciso di allontanare il bimbo dai coniugi dapprima affidandolo ad una casa famiglia ed in seguito dandolo in adozione ad un'altra coppia

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Nel 2013 il tribuna ha poi confermato quanto già accertato in precedenza rifiutando di trascrivere definitivamete il certificato di nascita rilasciato in Russia e lasciando anche definitivamente il

bambino in adozione alla nuova famiglia. 30

Tuttavia la coppia nonostante la decione sfavorevole del Tribunale non si perse d'animo e presentò un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo lamentando la violazione dell'articolo 8 della Cedu (diritto al rispetto ed alla vita familiare) in quanto il minore era stato sottratto alla custodia dei genitori e si era negato quel necessario rispetto della vita familiare rifiutando di riconoscere il rapporto di genitorialità derivante dalla pratica di maternità surrogata. La Corte nella sua decisione ha ritenuto fondata la censura relativa all’illegittimità della sottrazione del minore alla coppia e

all’affidamento alla tutela di terzi, rilevando la sussistenza di un legame familiare de facto da tutelare tra la coppia e il bambino. La Corte ha ritenuto, in primo luogo, che le misure che avevano portato alla sottrazione del minore fossero qualificabili come interferenze nella vita privata dei ricorrenti, aventi tuttavia carattere legittimo in quanto conformi alla normativa vigente in Italia. Le misure contestate, nei limiti di discrezionalità consentiti agli Stati,

perseguivano lo scopo legittimo di “prevenzione del disordine”, impedendo il replicarsi di condotte contrarie alla legge. I giudici della Corte hanno quindi esaminato la normativa nazionale per capire se l'applicazione della legge avesse in qualche modo leso i giusti equilibri tra interesse pubblico e interesse privato. I giudici europei hanno rammentato come sia principio consolidato quello per cui in ogni caso si debba dare prevalenza e tutelare l’interesse superiore del minore.

___________________________ 30 Tribunale minori Campobasso, 20 Ottobre 2011

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E nel caso concreto sottrarre il minore per porre termine ad una condizione non conforme alla legge non rispecchiasse il giusto equilibrio tra gli interessi in gioco.

La Corte ha quindi ribadito che la rimozione di un minore

dall’ambiente familiare è una misura estrema, che potrebbe essere giustificata solo in caso di immediato pericolo per il bambino.31 La Corte non ha quindi ritenuto convincenti le ragioni addotte dallo Stato Italiano che hanno portato alla sottrazione del minore ed al suo affidamento ad i servizi sociali. Per la Corte tuttavia, non può esservi un obbligo da parte dello Stato Italiano di riaffidare il minore ai due coniugi perchè ormai a distanza di anni dall'allontanamento ha sviluppato nel frattempo dei legami affettivi con la nuova famiglia affidataria. La Corte quindi condanna l'Italia nei confronti dei coniugi a versare un risarcimento danni a titolo di compensazione per i danni subiti. Dopo questa sentenza, l'Italia decide di ricorrere in appello e il 24 gennaio 2017, la Grande Camera si è espressa definitivamente sulla questione ribaltando il verdetto di primo grado emesso nel gennaio del 2015. Secondo la Corte, l’Italia poteva decidere di togliere il bambino nato con la maternità surrogata alla coppia di genitori con i quali il piccolo aveva passato solo alcuni mesi e con i quali non aveva nessun legame biologico e darlo in adozione.Se i giudici italiani «avessero accettato di lasciare il bambino con la coppia, dandogli la possibilità di

divenirne i genitori adottivi, questo sarebbe equivalso a legalizzare una situazione creata dalla coppia in violazione di importanti leggi

nazionali», tra cui quella che regola le adozioni.

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La Cedu ribadisce così il diritto dei singoli Stati europei a decidere se vietare o no la maternità surrogata. La sentenza afferma che l’Italia ha libertà di manovra nel decidere sulla maternità surrogata.

La Corte, per quanto divisa nel voto (11 a favore e 6 contrari) ha riconosciuto che le misure prese nella vicenda in esame non sono state eccessive. Togliere un bambino è comunque l’extrema ratio: in questo caso è stato deciso di farlo anche perché non aveva legami biologici né con il padre né con la madre. 32

La Grande Camera ha preso in considerazione i seguenti fattori: l’assenza di qualsiasi legame biologico tra il bambino e gli aspiranti genitori, la breve durata del rapporto con il bambino (6 mesi in Italia e 2 in Russia) e l’incertezza dei legami dal punto di vista legale. La Corte ritiene, però, che la questione dei due coniugi riguardi il loro “diritto alla vita privata”, ma che nel caso di specie vi fosse un ampio margine di apprezzamento dello Stato nel dar prevalenza a valori e principi differenti.

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2. Proposte di legge e iter legislativo per l'approvazione di una legge organica sulla procreazione medicalmente assistita. Un excursus storico

Una legge organica che riguardi la materia della procreazione

medicalmente assistita nel nostro ordinamento si è avuta solo nel 2004 con la legge n.40. Tuttavia il nostro Parlamento ha cominciato a discutere sull'argomento già a partire dagli anni 50. Nel 1958 fu presentata da parte di alcuni Deputati un'interrogazione parlamentare ai Ministri dell'Interno, di Giustizia e della Sanità, per chiedere seri provvedimenti inibitori delle pratiche di fecondazione artificiale che cominciavano a svilupparsi nel nostro Paese. L'attenzione politica fu sollecitata da un famoso caso giurisprudenziale sfociato nella sentenza del Tribunale di Roma del 30 aprile 1956, che coinvolse l'opinione pubblica sul tema dell'inseminazione artificiale con seme di donatore anonimo. Sempre nello stesso anno fu presentata in Parlamento la prima

proposta per disciplinare i fenomeni di inseminazione artificiale della donna, seguita poi l'anno successivo da una seconda proposta di legge. Nella successiva legislatura fu presentata un'altra proposta di legge sull'argomento ma anche questa come le precedenti non pervenne ad una positiva conclusione, così come altre presentate in seguito nelle successive legislature. 33

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Tutte queste proposte di legge avevano un comune denominatore, quello cioè di ostacolare l’inseminazione eterologa con la previsione della sanzione penale, mentre rimaneva senza risposta il problema che più impegnava i tribunali italiani e cioè quello dello status del figlio nato, eventualmente anche in un altro Stato, con l’applicazione di tale tecnica. A partire dalla VIII e, specialmente, tra la IX (1983-87) e la XII

legislatura (1994- 1996), i lavori parlamentari ricevettero impulso dal dibattito sollevato, anche a livello europeo, dalla possibilità di ricorrere oltre che alla fecondazione in vivo anche a quella in vitro. A seguito della istituzione di una Commissione ministeriale di studio presieduta da Fernando Santosuosso nel 1984 furono formulate proposte nuove, tendenti a consentire la tecnica omologa di fecondazione assistita, eventualmente anche in vitro, qualora quella in vivo non avesse dato l’esito sperato. 34

Sulla base dei lavori della commissione, il Ministro emanò nel 1985 e nel 1987 delle circolari contenenti essenziali ed urgenti disposizioni sulla legittimità dei servizi di fecondazione nell'ambito del Servizio sanitario nazionale. In seguito, i vari Ministri della salute emanarono delle ordinanze di aggiornamento sia nel 1997 che nel 2001.

Nell'attesa di approvare finalmente una legge organica della materia, e quindi nel lungo periodo di vuoto legislativo, l’esecuzione delle tecniche di procreazione assistita rinveniva qualche regola unicamente nel Codice di deontologia medica e nelle circolari del Ministero della Sanità.

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34 Clorinda Ciraolo, Certezza e stabilità delle relazioni familiari nella procreazione

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Il codice di deontologia medica, pur introducendo vari divieti,non ostacolava la fecondazione eterologa e le circolari del Ministero della sanità, per affrontare gli aspetti più propriamente sanitari della

procreazione medicalmente assistita, prevedevano, tra l’altro, «misure di prevenzione della trasmissione dell’HIV e di altri agenti patogeni nella donazione di liquido seminale impiegato per la fecondazione assistita umana», rimarcando in tal modo la liceità del ricorso alla tecnica eterologa. Rimaneva, però, privo di ogni tutela sul piano normativo il nato con tale tecnica. Da più parti ormai si vedeva la necessità di approvare finalmente una legge che disciplinasse la materia, tuttavia nonostante ciò, in Parlamento era evidente la conflittualità tra le varie forze politiche sulle regole in concreto da adottare.

Il dibattito parlamentare in materia di PMA divenne più intenso tra il 1996 e 1997, quando si arrivò all’elaborazione di un disegno di legge “Disposizioni in materia di procreazione assistita” nell’ambito della Commissioni Affari Sociali della Camera presieduta dall'On. Marida Bolognesi, che raccoglieva le indicazioni di 17 proposte di legge sulle tecniche di procreazione medicalmente assistita. La Deputata presentò nel luglio del 1998 un testo unificato che accettava la PMA eterologa, la PMA in favore di coppie di fatto, congelamento di embrioni, sperimentazione embrionale, la produzione sovrannumeraria degli embrioni ed il trasferimento contemporaneo in utero fino a 4 embrioni. Le tecniche di PMA erano ammesse solo per le coppie di sesso diverso, coniugate o conviventi in modo stabile, di età non superiore a 52 anni; era consentita la fecondazione eterologa con donazione di gameti volontaria e gratuita, ma erano previsti una serie di divieti, come quelli relativi alla sperimentazione sugli embrioni umani o alla maternità surrogata.

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Nello stesso periodo si era sviluppata fuori dal Parlamento un intenso lavoro avviato dal Movimento per la Vita (MpV) Italiano, Fondazione “Nuovo Millennio”, Forum delle Associazioni familiari ed altre Associazioni operanti nel settore socio-sanitario che sfociò, nel novembre del 1997, nella presentazione di un organico testo di legge alternativo a quello che stava predisponendo la Commissione Affari Sociali della Camera. Grazie anche a questo lavoro, il testo della Commissione venne sostanzialmente emendato: si riconoscevano, tra l’ altro, i diritti del concepito, e veniva vietata la PMA eterologa. Sotto la presidenza dell’On. Bolognesi, furono successivamente vietati il congelamento e la sperimentazione distruttiva, la produzione soprannumeraria e si limitò a tre il numero massimo di embrioni da trasferire in utero. Venne confermata la possibilità di accedere alla PMA anche alle coppie conviventi. Questo testo venne approvato con maggioranza trasversale il 29/5/1999. Nel giugno 2000, il Senato apportò modifiche sostanziali che riportavano il testo della legge alla “formulazione Bolognesi”, ma non si giunse comunque al voto

conclusivo anche per la sopravvenuta fine della Legislatura ma dopo la tornata elettorale, la discussione parlamentare riprese dal testo

approvato precedentemente alla Camera, che fu preso come testo base. Nel novembre 2001 fu ripresentato alla Camera il testo già approvato nel maggio 1999. Nella discussione che seguì furono introdotte alcune modifiche del testo. La Camera ha approvato il testo così modificato il 18 giugno del 2002. Il Senato, dopo aver ripreso il dibattito sulla legge, l’ha approvata l’11 novembre del 2003 con modifiche riguardanti solo la data di decorrenza delle spese previste. Da qui l’ultimo passaggio alla Camera che ha approvato definitivamente la legge il 19 febbraio del 2004.

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2.1 Approvazione in Parlamento della legge n. 40/2004: cosa dice la legge, cosa ne pensa la dottrina

Dopo un lungo dibattito e la presentazione di vari progetti, è stata approvata la legge 19 febbraio del 2004, n. 40, recante Norme in

materia di procreazione medicalmente assistita. L’Italia è arrivata così

a dotarsi, al pari di molti altri paesi europei, di una normativa specifica in questa materia.

Il testo licenziato è composto da 18 articoli ma fin da subito è stato oggetto di aspre critiche da parte di diversi autori che ne hanno evidenziato i vari problemi presenti all'interno.

All'articolo 1 della legge vengono individuate le finalità della legge stessa. Si legge infatti che per risolvere i problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o infertilità umana è consentito il ricorso alla PMA alle condizioni previste dalla legge e si assicurano i diritti di tutti i soggetti coinvolti compreso il concepito. L'articolo 1 prosegue poi indicando che il ricorso alla PMA è consentito solo qualora non vi siano altri metodi terapeutici efficaci per rimuovere le cause di sterilità. Questa disposizione mostra un primo profilo di problematicità legato al fatto che i soggetti coinvolti nella procreazione medicalmente assistita sono titolari di interessi necessariamente contrapposti e quindi

difficilmente si potrà garantire una contestuale tutela dei diritti di tutti i soggetti.

Analizzando la posizione del concepito nel nostro ordinamento prima dell’approvazione di questa legge si può evidenziare come esso non sia espressamente citato in alcuna norma Costituzionale. Le uniche norme che potrebbero trovare applicazione sono l'articolo 1 del Codice Civile con riferimento alla personalità giuridica ma tali diritti sono

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sull’interruzione volontaria di gravidanza parla di una vita umana che deve essere tutelata “fin dal suo inizio” e questo può essere inteso come un riferimento al concepito. Queste disposizioni sono molto scarne e quindi l’attribuzione di diritti al concepito nel nostro ordinamento si può desumere principalmente da alcune risoluzioni europee e dalla giurisprudenza Costituzionale. Il Parlamento europeo infatti in una risoluzione del 1989 identifica come diritti del concepito “il diritto alla vita e all’integrità, diritto alla famiglia, diritto alla propria integrità genetica”. La Corte Costituzionale invece, nella sentenza n.27 del 1975, ritiene che la tutela del concepito debba essere rinvenuta già in Costituzione, non solo nell'articolo 31 dove si impone la tutela della maternità ma addirittura nell'articolo 2 dove si

riconoscono e garantiscono i diritti inviolabili dell'uomo e dove deve essere ricompresa anche la tutela del concepito. Una conferma la troviamo anche nella sentenza della Corte Costituzionale n. 35 del 1997 dove si discuteva l'ammissibilità di un referendum popolare abrogativo di alcune parti della legge sull'interruzione della

gravidanza, viene nuovamente affermato il principio per cui la vita umana deve essere tutelata dall'inizio. Tra i vari autori si è giunti quindi ad una diversa interpretazione sulla tutela dell'embrione. La dottrina maggioritaria era volta ad escludere la natura di soggetti del diritto agli embrioni umani e quindi questi non sarebbero stati neppure titolari di un vero diritto ad essere tutelati o un diritto alla vita.

Affermavano quindi che la capacità giuridica si acquistasse con il concepimento.35

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35 Palazzoni, La legge italiana sulla procreazione assistita: aspetti fisiologici e giuridici, in Diritto della famiglia e delle persone, 1999.

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Mentre altri autori affermano che la capacità giuridica dell’embrione non sia un problema fondamentale posto dalla nuova legge, ritenendo che questa non possa essere desunta dalla semplice affermazione dell’articolo 1, che lo vorrebbe soggetto di tutela.

Dobbiamo tuttavia considerare il fine della legge come nella necessità di garantire la tutela massima dell’embrione in quanto in linea con le varie sentenze della Corte Costituzionale e con la precedente legge del 1978 sull'interuzione volontaria della gravidanza. L'articolo 2 della legge n.40 individua un fondo annuale di circa 2 milioni di euro per promuovere ricerche sulle cause patologiche, ambientali e sociali dei fenomeni che riguardano la sterilità e l'infertilità e favorire gli interventi necessari per rimuoverle e nel contempo promuovere campagne di informazione e prevenzione dei fenomeni che riguardano la sterilità e l'infertilità e per incentivare studi e ricerche sulle tecniche di crioconservazione dei gameti. La norma si limita a precisare che il Ministro può effettuare l'attività descritta ma non vi è un impegno preciso, ma è lasciato alla

discrezionalità e buona volontà dell'amministrazione. Anche il

finanziamento previsto, distribuito in tre anni appare assai modesto.36 L'articolo 3 modifica invece la legge n.405 del 1975 che aveva istituito i consultori familiari, vengono di fatti aggiunti al primo comma dell'articolo 1 della legge sui consultori varie altre lettere che riguardano la possibilità per le coppie di richiedere informazione ed assistenza riguardo ai problemi della sterilità e alle varie tecniche di procreazione medicalmente assistita nonché la possibilità di richiedere informazioni sulle procedure attuabili per effettuare l'adozione o l'affidamento familiare di un minore.

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36 M. Dogliotti, A. Figone, Procreazione assistita, fonti, orientamenti, linne di tendenza,

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La parte principale di tutta legge la ritroviamo nel Capo II, qui infatti viene disciplinato l'accesso alle tecniche di procreazione. L'articolo 4 è denominato accesso alle tecniche ed è la disposizione che meglio individua i requisiti oggettivi per l’accesso alle tecniche di PMA. La norma riprende e specifica i principi previsti dall’articolo 1,

affermando che “il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità da causa accertata e certificata da atto medico”. La legge 40 limita dunque la possibilità di accedere alla procreazione medicalmente assistita soltanto “alla soluzione dei problemi derivanti dalla sterilità o infertilità umana”. Questa disciplina si allontana dalle leggi di altri Stati, che invece prevedono la possibilità anche per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche gravi, la cui procreazione naturale potrebbe determinare un rischio alto di trasmissione delle stesse al nascituro, di accedere alla PMA ed evitare così di scegliere tra il non riprodursi o dare la vita ad un figlio malato. Prima dell'approvazione di questa legge infatti nel nostro Paese era molto diffusa la tecnica della diagnosi pre impianto proprio al fine di evitare la nascita di un bambino affetto da malattie genetiche ed essere certi prima di impiantare l'embrione che non vi fossero presenti problemi genetici. Nella legge n. 40 non è presente una norma che vieti espressamente la possibilità di ricorrere alla diagnosi genetica pre-impianto per i

soggetti sterili o infertili, che decidono di sottoporsi alla PMA. Da queste norme sembra emergere la destinazione alla vita dell’embrione, che contrasta con una pratica che prevede una selezione tra embrioni sani e malati. Le Linee guida ministeriali del 2004 hanno introdotto un espresso divieto di diagnosi genetica pre-impianto, limitandone il ricorso al solo tipo osservazionale; queste sono poi state dichiarate

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illegittime dal Tar del Lazio nel 2008 e, nelle successive Linee guida del 2008, è scomparsa questa limitazione.

Questa scelta legislativa ha rappresentato uno dei punti più controversi dell'intera legge con la suddivisione in due distinti punti di vista tra chi è a favore e chi è contro a questa norma. Secondo chi era

contrario, questa tecnica avrebbe determinato una selezione degli embrioni, non ammissibile nell’ottica di tutela che a questi doveva essere riconosciuta; inoltre questa tecnica sarebbe stata poco sicura e poco completa, perché non avrebbe permesso di diagnosticare alcune malattie genetiche. I sostenitori affermavano invece che la prevenzione delle malattie fosse alla base dell’attività medica ed evidenziavano che questa tecnica avrebbe impedito il ricorso successivo all’aborto

terapeutico, sottolineando anche l’assurdità del trasferimento doveroso dell’embrione a fronte di una legge sull’aborto. Tra le due opposte visioni, il legislatore ha scelto di vietare l’accesso alle tecniche di PMA a coloro che, non sterili o infertili, intendessero semplicemente

prevenire la trasmissione di malattie genetiche ereditarie, scelta tra l'altro criticata da molti autori, tra tutti ricordiamo Villani che criticò questa scelta che avrebbe potuto portare al ricorso al cd. Turismo procreativo in quei paesi esteri dove questa tecnica era invece

considerata lecita. 37 Sempre il primo comma dell'articolo 4 dispone che l'impossibilità di procreare naturalmente deve essere accertata e certificata da atto medico. Il medico deve quindi accertare i casi di sterilità/infertilità, ma può anche limitarsi a certificare l’esistenza di un’incapacità inspiegabile di procreare o l’impossibilità di ricorrere a metodi terapeutici meno invasivi.

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37 Villani , La procreazione assistita: la nuova legge 19 febbraio 2004, n. 40, Giappichelli,

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Nell’ipotesi di esecuzione delle tecniche di procreazione assistita in assenza del presupposto della documentata sterilità o infertilità, la legge non prevede alcuna conseguenza giuridica infatti l’articolo 12, relativo alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni legislative, non contiene alcun riferimento al requisito in questione. Nel secondo comma dell'articolo 4 troviamo enunciati i principi che devono sorreggere l'applicazione delle tecniche di procreazione assistita. Parliamo del principio di graduaità e del consenso informato dei soggetti che richiedono di ricorrere a tali tecniche.

Il principio di gradualità viene inteso nel più generale principio di tutela della salute previsto e garantito dall'articolo 32 della

Costituzione. La valutazione per poter ricorrere ai metodi di PMA viene rimesso sostanzialmente al medico ma per evitare una totale discrezionalità, troviamo nell'articolo 7 della legge, il potere attribuito al Ministero della Salute di definire le linee guida contenenti le procedure e le tecniche ammesse dal nostro ordinamento. Le linee guide definite dal Ministero sono infatti considerate vincolanti per tutte le strutture autorizzate e devono essere aggiornate almeno ogni tre anni in rapporto all'evoluzione tecnico-scientifica.

Per quanto riguarda invece il consenso informato previsto dall'articolo 4 comma 2, è invece disciplinato dall'articolo 6 della stessa legge. Il medico prima del ricorso ed in ogni fase di applicazione delle tecniche di PMA deve informare in maniera dettagliata i soggetti interessati sui metodi, i problemi bioetici e sui possibili effetti collaterali sanitari e psicologici conseguenti all'applicazione delle tecniche stesse e sulle relative conseguenze giuridiche per la donna, l'uomo e per il nascituro. Inoltre la coppia deve essere informata della possibilità di ricorrere a procedure di adozione o affidamento in base alla legge n.184 del 1983 che riguarda il diritto del minore ad avere una famiglia, in alternitiva all'utilizzo delle tecniche di PMA. Tuttavia ricorrere a questi ultimi

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istituti non serve a risolvere i problemi di sterilità della coppia ma ad assicurare una famiglia ad un minore che ne sia privo. Il legislatore ha però cercato di equiparare gli istituti di adozione e affidamento alle varie tecniche di procreazione assistita per cercare di risolvere il problema della coppia ad avere un figlio e lasciando che la PMA risultiun metodo residuale per appagare il desiderio della coppia ad avere un figlio. Dunque tutte le informazioni andranno fornite per ciascuna delle tecniche applicate e in modo tale da garantire il formarsi di una volontà consapevole ed espressa. Alla coppia devono anche prospettarsi i costi economici dell'intera procedura quando si tratti di strutture private.

Per quanto riguarda la volontà ed il consenso da parte della coppia di accedere alle varie tecniche di PMA, la legge richiede che ciò avvenga per iscritto ed inoltre si specifica che tra la manifestazione della volontà e l'applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni e che tale volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti fino al momento della fecondazione dell'ovulo mentre una volta avvenuta la fecondazione il consenso diventa irrevocabile. Da questa disposizione capiamo che una volta effettuata la fecondazione, viene ad esistenza un essere umano già titolare di diritti tra cui il diritto alla vita. All'embrione viene ricondotto anche il diritto al mantenimento da parte dei suoi genitori in quanto il figlio verrà alla luce per libera scelta degli stessi. In base alla disposizione dell'articolo 6, la revoca del consenso in un momento successivo alla fecondazione non può più avere effetti ed il medico può dunque ugualmente procedere all'impianto. Tuttavia questa disposizione

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sembra contrastare con l'articolo 32 della Costituzione 38 perchè appunto obbligare all'impianto di un embrione sembra contrastare con la norma costituzionale e sarebbe lesivo della dignità della donna imporre la gravidanza.

Tuttavia tra i due interessi in gioco, quello della donna e quello del nascituro, sembra che prevalga la posizione del concepito. Resta però la possibilità della donna di interrompere in seguito all'impianto la gravidanza ricorrendo all'aborto secondo quanto disciplina la legge n.194 del 1978, questo quindi sembra rendere vana la disposizione prevista dall'articolo 6 della legge n.40 del 2004.

Continuando l'esame dell'articolo 6, nel quarto comma leggiamo la possibilità data al medico responsabile della struttra di non procedere alla PMA solo ed esclusivamente per motivi di ordine medico-sanitario ed in questo caso dovrà fornire alla coppia la motivazione scritta di tale decisione; infine al momento di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita dovranno essere esplicitate chiaramente ai richiedenti le conseguenze giuridiche a cui andranno eventualmente in corso.

2.1.1 L'articolo 4 comma 3 ed il divieto di fecondazione eterologa:le ragioni della norma

Ritornando ora sull'articolo 4 della legge, resta da esaminare il terzo ed ultimo comma della norma, di sicuro il più controverso di tutta legge. Viene infatti disciplinato il divieto senza possibilità di deroghe di ricorrere alla fecondazione di tipo eterologo. Prima della legge nel nostro ordinamento non era mai stato espressamente vietato il possibile _________________________

38 Articolo 32 della Costituzione:“nessuno può essere sottoposto a un trattamento sanitario

obbligatorio se non per disposizione di legge” ; “la legge non può in nessun modo violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”

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