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Prime considerazioni Cambio di prospettiva

A questo punto il panorama è segnato. E non serve un osservatore particolarmente attento per ravvisarne l’estrema complessità.

Il tema della compatibilità del trust liberale istituito inter vivos con effetti destinati a prodursi post mortem con i principi posti in materia di delazione necessaria, si intreccia con una serie di delicate questioni che rappresentano un arduo cimento per il giurista347.

Le tesi esposte, quale con indagine più approfondita quale meno, hanno cercato tutte di incunearsi in tali problematiche. Tuttavia siamo lungi dall’essere approdati ad un porto sicuro.

I risultati cui sono giunte le prime riflessioni in materia sono apparsi soddisfacenti, salvo essere stati messi in discussione da una serie di dottrine successive che hanno portato argomenti all’apparenza tanto validi quanti quelli su cui poggiavano le teorie smentite.

Così è stato per il problema della legittimazione passiva.

Da un preliminare approccio formalistico, che pretendeva di riconoscere sempre e solo nel trustee il convenuto giudiziale, si è passati ad una lettura “adeguata” della disciplina dell’azione di riduzione, sì da !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

soluzione ... è una valutazione economica che non riflette la struttura giuridica della fattispecie e l’articolazione dei suoi effetti.”

346 Cfr. BARTOLI S., Trust, atto di destinazione e tutela dei legittimari, op. cit., pp. 305-306. 347 Profetiche, in tal senso, sono state le parole di VETTORI G., Trust: prove di adattamento, in Trust: opinioni a confronto, in T&AF, Quaderni n. 6, a cura di BARLA DE GUGLIELMI E., 2006, p. 538 in nota “Il legislatore ha ratificato la Convenzione de L’Aja senza

aver preventivamente apprestato strumenti e direttive per garantire un’applicazione tendenzialmente univoca, lasciando pertanto “solo” l’interprete”.

prospettare una doppia legittimazione che “inseguisse” il bene donato (i.e. legittimazione del trustee prima del trasferimento ai beneficiari e di quest’ultimi una volta che abbiano ricevuto la trust property).

Tuttavia, nemmeno tale posizione è stata considerata un punto d’arrivo. La dottrina successiva, seppur con riferimento ai negozi mortis causa, sul presupposto che il trasferimento dei beni al trustee è reale tanto quanto la successiva alienazione compiuta dal fiduciario a favore dei beneficiari, ha subito messo in evidenza come non possa predicarsi l’azione di riduzione nei confronti di quest’ultimi, pena ritenere che tale azione vada a rivolgersi nei confronti di un atto del quale il disponente-de cuius non ha mai fatto parte. Dunque, tale orientamento ha individuato la legittimazione passiva esclusiva del trustee con subentro nell’obbligazione di restituzione da parte del beneficiario che abbia già ricevuto i beni.

In senso totalmente opposto, poi, un’altra dottrina ha rilevato come il trustee – stante la peculiare proprietà della quale è intitolato – non possa essere in alcun modo considerato un donatario del de cuius. Da ciò, unitamente alla evidenza dello stretto collegamento funzionale intercorrente tra la volontà del disponente e l’operato del trustee a favore dei beneficiari, ne ha fatto conseguire la legittimazione passiva sempre e comunque in capo ai beneficiari con le consequenziali problematiche di “paralisi” dell’azione di riduzione nei casi di designazioni condizionate o sottoposte a termine.

Infine, proprio con riferimento a queste ultime ipotesi, altri hanno proposto di uscire dagli schemi dei rimedi successori del Libro II ed hanno avanzato la teoria della nullità dell’atto istitutivo di trust.

La problematica sin qui esposta, del resto e come ampiamente passato in rassegna, è intimamente collegata alla questione relativa all’oggetto della liberalità indiretta. Dalla quale, peraltro, sono stati tratti argomenti per desumere la diversità dell’azione di riduzione contro le liberalità indirette (come il trust) rispetto alla medesima azione introdotta avverso una donazione contrattuale.

Anche con riferimento alla questione dell’oggetto non si condividono consensi.

Una parte della dottrina considera non estensibile l’orientamento giurisprudenziale formatosi in tema di oggetto delle liberalità indirette poiché il nesso funzionale tra esborso del donante ed arricchimento del donatario indiretto sarebbe invero interrotto, nella fattispecie di trust, dall’autonomo operare del trustee. In tal modo, l’oggetto dell’azione di riduzione, così come l’oggetto di collazione e imputazione, sarebbe sempre e solo corrispondente all’impoverimento del donante.

Altra dottrina invece ha ravvisato l’esistenza di tale nesso nel presupposto che i poteri di cui si avvale il trustee sono stati attribuiti dal disponente, che nell’incarico conferito ha determinato regole e condizioni dell’esercizio dell’ufficio gestorio. Con la conseguenza che la discrezionalità del trustee non varrebbe ad interrompere il predetto nesso funzionale e che, pertanto, ai fini dell’azione di riduzione andrebbe a rilevare il bene di cui si è arricchito il beneficiario.

Tuttavia, tale ha posto pone il – consequenziale – problema degli effetti dell’azione di riduzione, se cioè essa possa comportare la restituzione del bene al legittimario oppure, in deroga al principio della legittima in natura, determini l’insorgere in capo al legittimario di un mero diritto di credito nei confronti del beneficiario.

Infine, il tema dell’ordine delle libertà riducibili, che, apparentemente meno controverso, ha comunque generato dissensi. Specie laddove il disponente riservi a sé il potere di revocare i beneficiari originari oppure di nominarli o di aggiungerne di nuovi. In tal caso, c’è chi evidenzia la natura accessoria di tali elementi rispetto alla designazione beneficiaria e dunque considera determinante sempre il momento istitutivo; mentre altri propendono per privilegiare l’aspetto dell’incertezza della designazione sì da assumere come riferimento temporale il momento in cui tale incertezza si interrompa per volontà del disponente o per il sopraggiungere di cause naturali.

Districarsi in tale serie di opinioni, pur ordinata che sia, non è semplice. Per riportare ad unità il discorso, muoviamo dai dati comuni dei diversi orientamenti dottrinali, per ravvisarne il substrato generale ed eventualmente, se del caso, assumere un metodo d’indagine diverso da quello sinora prospettato dalla dottrina.

I tratti in comune individuabili ed individuati sono due.

In primo luogo, tutti gli orientamenti hanno analizzato le questioni appena delineate con riferimento ad ipotesi di trust in cui i beneficiari sono soggetti terzi rispetto ai legittimari. In altre parole, l’ipotesi di studio è sempre quella di un trust istituito inter vivos con effetti post mortem, il cui oggetto eccede il valore della disponibile e dai beneficiari del quale il disponente ha escluso il legittimario348. La dottrina, con riferimento ai trust liberali inter vivos, non ha mai proposto la distinzione fenomenologica da noi prospettata sul finire del capitolo I349 e, consequenzialmente, non ha mai preso esplicita posizione sull’ipotesi che il beneficiario sia lo stesso legittimario.

Il secondo tratto comune attiene al rimedio proposto: tutte le dottrine sono orientate per la riducibilità ex art. 555 c.c. di un trust liberale inter vivos con effetti post mortem350. Anche con riferimento all’apparato rimediale, dunque, l’approccio da noi indicato sul finire del capitolo I, teso a distinguere le ipotesi e le relative tutele, è rimasto inespresso e nessuno, fin qui, si è mai interrogato sulla possibilità di estendere l’art. 549 c.c. al caso della costituzione in trust inter vivos della quota di legittima.

In sintesi, il substrato comune della dottrina dei trust è l’aver adottato una impostazione di studio tendente alla semplificazione fenomenologica !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

348 A tale fattispecie, abbiamo osservato (con la dottrina, cfr. BARTOLI S., Trust, atto di destinazione e tutela dei legittimari, op. cit., p. 259), è assimilabile l’ipotesi in cui il

legittimario sia istituito trustee (cfr. Cap. I, par. 6.2.1).

349 In adesione alla dottrina sui trust testamentari, cfr. Cap. I, par. 6.2 testo e ivi nota

158.

350 L’unico spunto in una direzione diversa è stato quello di coloro i quali hanno

proposto la sanzione della nullità per quei casi ritenuti gravemente patologici, cioè di trust ritenuti in contrasto con norme imperative. Tuttavia, si è trattato di una proposta che la restante parte della dottrina, prontamente ed in maniera peraltro condivisibile, ha ritenuta eccessiva e fuorviante.

ed alla riduzione ad unità delle soluzioni, cosicché le differenze si registrano (solo) nelle soluzioni individuate per la concreta di utilizzabilità del rimedio dell’azione di riduzione.

Tale impostazione di fondo lascia perplessi. A maggior ragione se posta in confronto con quella adottata dalle dottrine che, accanto ai trust inter vivos, hanno studiato l’ipotesi del trust testamentario.

Gli autori che si sono occupati con maggiore profondità351 del rapporto tra la disciplina della successione testamentaria ed il trust istituito per mezzo di testamento hanno abbracciato una prospettiva diametralmente opposta a quella unitaria testé riferita.

In sintesi, da una differenziazione fenomenologica delle ipotesi di trust hanno dedotto una parallela diversificazione dei rimedi esperibili352: un trust di valore esorbitante la disponibile dai beneficiari del quale è stato estromesso il legittimario andrebbe ridotto; l’ipotesi della costituzione in trust della quota di legittimala cadrebbe sotto la sanzione dell’art. 549 c.c..

A tal punto, occorre domandarsi come mai tale prospettiva non sia stata riprodotta dalla dottrina studiosa dei trust inter vivos353.

Evidentemente, il motivo di tale divergenza d’impostazione non può essere ravvisato nella considerazione che l’ipotesi c.d. della “costituzione in trust della quota di legittima” sia una prerogativa del solo trust testamentario. Come già visto in chiusura del capitolo I è facile immaginare la medesima fattispecie realizzata ad opera di un trust inter vivos con effetti post mortem: basterà che il disponente destini il trust a beneficio di un legittimario ed identifichi quegli eventi futuri certi o incerti, cui è subordinata l’attribuzione della quota di riserva al !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

351 Cfr. SARACENO M., Destinazione dei beni e tutela dei legittimari, op. cit., par. 1; MOSCATI

E., Trust e tutela dei legittimari, op. cit., p. 24; PORCELLI G., Successioni e trust, op. cit., p. 216; nonché ROMANO C., Riflessioni sul vincolo testamentario di destinazione ex art. 2645 ter c.c.,

op. cit., pp. 182-183, con riferimento alla consimile ipotesi di atto di destinazione ex art.

2645-ter c.c. testamentario.

352 Cfr. Cap. I, par. 6.2.2.

353 L’interrogativo è a maggior ragione lecito considerando che gli autori testé citati

hanno approfondito anche la categoria dei trust inter vivos nel rapporto con la tutela dei legittimari.

beneficiario-legittimario, in avvenimenti che naturalisticamente non possono sopravvenire alla sua esistenza e, dunque, compiersi prima della sua morte.

Parimenti, non può ipotizzarsi che gli autorevoli Autori che hanno occupato il loro cimento con riferimento allo studio del trust inter vivos ritengano che l’ipotesi appena riferita non determini una lesione a carico del legittimario.

Conseguentemente, devono più fondatamente essere ritenute le seguenti due ragioni per le quali la dottrina dei trust inter vivos abbia ritenuto di non prender in esplicita considerazione l’ipotesi della “costituzione in trust della quota di legittima”, eventualmente paventando una diversificazione di rimedi esperibili.

In prima battuta, l’idea che le fattispecie di trust, comunque configurate, determinano a carico del legittimario il medesimo tipo di lesione, con la conseguenza che non vi sia necessità alcuna di diversificare i rimedi, bastando quello dell’azione di riduzione.

In secondo luogo, l’adesione alla dottrina assolutamente maggioritaria che ritiene il campo di applicazione dell’art. 549 c.c. circoscritto ai soli atti mortis causa ed insofferente ad una estensione interpretativa in ragione, principalmente, del dato letterale e della natura sanzionatoria della norma, che la renderebbero di stretta interpretazione354. Cosicché, sarebbe la stessa natura inter vivos del trust successorio ad escludere in radice la possibilità di ipotizzare altra tutela all’infuori di quella in riduzione355.

Tali conclusioni, quantomeno induttivamente vere, sono a nostro avviso da sottoporre a revisione critica.

Riteniamo che l’ipotesi di trust eccedente il valore della disponibile rivolto a favore di terzi produca una lesione ben diversa rispetto al trust in !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

354 Cfr. per tutti CICU A., Successione legittima e dei legittimari, op. cit., p. 181, alla cui

opera la dottrina successiva ha dimostrato di uniformarsi. Cfr. Cap. I, nota 184.

355 Si esprimono esplicitamente in questo senso BARTOLI S., Trust, atto di destinazione e tutela dei legittimari, op. cit., p. 259; SARACENO M., Destinazione dei beni e tutela dei

legittimari, op. cit., p. 1049; ROTA F. - BIASINI G., Il trust e gli istituti affini in Italia, Milano, 2007, p. 60-61.

cui sia conferita la quota di riserva e sia rivolto a favore dello stesso legittimario. Sì da giustificare una possibile diversità di rimedi esperibili nelle due distinte situazioni: azione di riduzione laddove il beneficiario sia estromesso dal trust; art. 549 c.c. ove, invece, l’erede necessario sia considerato fra i beneficiari.

Del resto, abbiamo già evidenziato356 come una aprioristica chiusura sull’ambito applicativo dell’art. 549 c.c. conduca solo a risultati irragionevoli per la coesione sistematica dell’ordinamento, cioè che l’art. 549 c.c. si applichi al testamento e non ad un consimile atto inter vivos; nonché a risultati del tutto anacronistici nel contesto della moderna società civile connotata dalla diffusione del fenomeno negoziale degli atti alternativi al testamento aventi natura inter vivos con effetti post mortem357.

A tal punto, al fine di verificare la fondatezza dell’ipotesi di lavoro testé citata, la priorità logica richiede di misurare l’assunto per cui un trust liberale inter vivos con effetti post mortem determini lesioni diverse in ragione della sua configurazione.

Siffatta indagine non può prescindere dal riscontrare che sia ab origine il nostro sistema a prevedere diverse lesioni di legittima ed a prospettare, parallelamente, distinti soluzioni rimediali: in difetto di una pluralità riscontrabile nelle pieghe del sistema, infatti, sarebbe del tutto irrilevante professare una diversificazione nel solo caso del trust.

Dobbiamo, pertanto, esaminare la portata del c.d. principio di intangibilità della legittima declinato nelle tutele che lo presidiano.